Duiisburg, provincia di Reggio Calabria. Ora le 'ndrine
hanno una seconda patria
Fonte : LA Repubblica
di GIOVANNI TIZIAN e FABIO TONACCI
Dalla provincia sullo Stretto, l'organizzazione si è diffusa
in quasi tutto il Vecchio Continente: Spagna, Francia, Svizzera, Olanda, Paesi
dell'Est. Ma soprattutto in Germania. E l'80 per cento del narcotraffico è
nelle sue mani. Con un controllo del territorio che somiglia a quello della
madrepatria. Anche se i tedeschi sembrano non rendersene conto
"Buon vespro!", urla il padrino. "Buon
vespro", rispondono in coro i sei uomini della locale, sistemati attorno
alla tavola. Salvatore Femia prende fiato, e poi recita la formula. "La
mia pancia è una tomba, il mio petto è una palata con parole di umiltà, è
formata la società!". Il summit della "locale" di 'ndrangheta
può iniziare. Nella stanza sul retro del ristorante di Femia, il
"Rikaro", si parla di appalti, si parla di fare affari coi russi. Si
parla della "mamma". Le microspie della polizia registrano anche le
voci ovattate dei clienti della sala accanto, al numero tre di Hegaustrasse.
Sono le otto di sera del 20 dicembre del 2009. E a Singen, paesone di 45 mila
persone nel sud della Germania, 2000 chilometri a nord di "mamma" Reggio
Calabria, è una serata gelida. Quanto sappiamo veramente delle infiltrazioni in
Europa della mafia più potente d'Italia, che sta raggiungendo quella russa per
importanza e giro d'affari?
Provincia di Reggio Calabria
La 'ndrangheta oggi controlla l'80 per cento del narcotraffico europeo. Secondo
la Direzione nazionale antimafia introita con la droga 27 miliardi di euro
all'anno. Ha colonizzato tutti gli stati dell'Unione, seguendo due logiche.
L'emigrazione storica calabrese e il business. Importa e smercia cocaina ed
eroina, investe in immobili e villaggi turistici, acquisisce società e titoli
finanziari, organizza estorsioni, traffica in armi. Una multinazionale del
crimine inserita dagli esperti del governo statunitense al quarto posto tra le
organizzazioni mondiali più pericolose, dopo Al Quaeda, il Pkk e i narcos
messicani. E la Germania è la sua seconda patria.
Nella provincia di Costanza (al confine con la Svizzera), dove si trova Singen,
vivono 7 mila emigrati, il 40 per cento dei quali è di origine calabrese.
Arrivati in terra tedesca con la grande ondata del 1959, che portò 200 mila
italiani nei distretti produttivi del Nord Reno-Vestfalia. Radolfzell,
cittadina di 33 mila anime è un'altra Singen. In superficie, placida come le
acque del lago di Costanza su cui affaccia. Ma qui, nascosti in una palazzina
anonima sulla Öschlestrasse, si riunivano alcuni degli 'ndranghetisti arrestati
nell'indagine Crimine 2 della Procura antimafia di Reggio Calabria.
Un'inchiesta che ha raccontato alla Germania una verità ignorata ma sotto gli
occhi i tutti. E cioè che la strage di Duisburg del ferragosto 2007, l'ultimo atto della
faida di San Luca che lasciò a terra nel sangue sei esponenti della 'ndrina dei
Pelle-Vottari, non era un caso. Non era solo roba di italienish. Un rapporto
del Bundesnachritendienst, i servizi segreti tedeschi, già nel 2006 segnalava
che gli 'ndranghetisti avevano fatto un salto di qualità, acquistando pacchetti
azionari di Gazprom e di altre compagnie energetiche. Tre anni dopo, nel 2009,
la polizia federale dichiarava che in Germania c'erano almeno 230 'ndrine con
1800 affiliati, dislocati soprattutto in Baviera, Assia, Renania
settentrionale. Cinque "locali" sono impiantate a Ravensburg,
Francoforte, Engen, Rielasingen e Singen. A Berlino, Duisburg, Erfurt e Monaco
investono milioni di euro le famiglie dei Pelle, dei Nirta-Strangio, i Vottari,
i Romeo. Tutti di San Luca. A Colonia i Morabito di Africo, a Stoccarda i
crotonesi che - si sospetta - hanno strutturato una "locale". "E
oltre ad investire - spiega Michele Prestipino, procuratore aggiunto
dell'Antimafia di Reggio Calabria - controllano il territorio con estorsioni ed
intimidazioni, come in Calabria e nella cintura urbana di Milano. Impongono il
pizzo, e non solo agli emigranti calabresi. Decidono a chi deve andare il voto
degli italiani all'estero". Ma come nasce una "locale"
all'estero? E che rapporto si instaura con le cosche in Italia?
La mamma è sempre la mamma
"I governi francesi, tedeschi e spagnoli non vogliono ammettere di essere
infettati dalla 'ndrangheta, perché la mafia porta soldi", scandisce Luigi
Bonaventura, seduto al tavolo del salotto nella casa di Termoli affidatagli dal
servizio di protezione ("sì, scrivetelo che sto a Termoli, perché lo sanno
tutti ormai, lo sa anche chi mi sta cercando per uccidermi"). Bonaventura
non è un pentito come gli altri. Cinque anni fa era il capocosca dei
Vrenna-Bonaventura di Crotone, poi la scelta di collaborare con la giustizia.
"La 'ndrangheta è arrivata dovunque, ma la sua testa rimane in provincia
di Reggio Calabria, la "mamma" è sempre lì - dice - la
vera forza sta nella capacità di adattamento. Bastano due-tre persone per
formare una 'ndrina. E all'inizio hanno una certa autonomia, possono sperimentare
modelli criminali diversi, allearsi con la malavita locale, scegliere
strategie. Ma quando il business acquista volume, non si scappa...".
Modelli criminali a geometria variabile, ma sempre dentro il recinto disegnato
dai patriarchi dell'Organizzazione. E se una partita di coca o un investimento
immobiliare non necessita dell'approvazione della casa madre, l'apertura di una
unità locale, il conferimento di gradi e il regolamento dei rapporti tra clan
esteri vengono discussi per forza al "Crimine" della provincia di
Reggio Calabria. L'organo che assomiglia a un atipico Cda aziendale, deputato a
coordinare la 'ndrangheta nel mondo. "In Germania hanno sistemato decine
di locali, in Svizzera hanno i soldi - continua Bonaventura - in Olanda e
Belgio controllano i porti. In Costa Azzurra hanno le ville, in Bulgaria
investono nel settore turistico, nei Balcani controllano la rotta della droga.
Non è difficile capire come si espande la 'ndrangheta, seguite i soldi".
Società svizzere e immobili italiani
Il portafoglio gravido di denaro sporco nelle tasche dei boss, quantificato
nel 2008 in
44 miliardi di euro da Eurispes, porta in Svizzera. Nelle banche, dove è
nascosto il tesoro della 'ndrangheta, e nell'alta finanza. "Alcune cosche
della costa tirrenica - spiega il procuratore Michele Prestipino - aprono
società a Zurigo a cui intestano titoli e beni immobili in Italia, per
sottrarli al fisco e ai controlli". L'Antimafia italiana ha certificato
l'esistenza di due locali, a Zurigo e a Frauenfeld. Nell'operazione Crimine 2
spunta un soggetto, "Ntoni lo svizzero" alias Antonio Nesci, cugino
alla lontana del capo di Singen Bruno Nesci. Gli investigatori lo ascoltano al
telefono mentre spiega che a Mossendorf, borgo svizzero di 3 mila anime, può
contare su cinque persone, "uomini a mia disposizione", dice.
Nelle valli attorno a Zurigo i capicosca sono per lo più a piede libero. Liberi
di gestire aziende e ristoranti a nome proprio. Come i boss della ndrina
catanzarese Ferrazzo, presenti nel cantone di Zurigo. In Svizzera passano gli
interessi e il denaro delle famiglie Bellocco di Rosarno, Gallico e Parrello di
Palmi. I clan cioè che, qualche migliaio di chilometri più a sud, si sono
spartiti negli anni gli appalti dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria.
Alleata con tutti, e con nessuno
"La 'ndrangheta non ha problemi a fare affari con gente di ogni razza e
nazione", spiegava qualche anno fa ai magistrati il pentito Saverio
Morabito. Lavora e sfrutta tutte le realtà criminali estere, ma non stabilisce
mai vere alleanze. E' in quest'ottica, opportunistica e parassita, che vanno
interpretate le reti che ha creato per controllare i grandi porti di Rotterdam,
Anversa, Barcellona, Pireo: le vie d'ingresso della droga in Europa.
In un recente rapporto riservato della polizia olandese si legge che "tra
Amsterdam, Hoofddorp, Diemen e Amstelveen vivono almeno una ventina di boss
calabresi e un centinaio di 'ndranghetisti che trafficano in armi, eroina,
cocaina e pasticche. Hanno appartamenti di lusso in piazza Minerva ad
Amsterdam, agiscono indisturbati perché il governo olandese non è consapevole
del loro passato criminale". Sono legati alle famiglie Nirta-Strangio e
Romeo di San Luca (Giovanni Strangio, protagonista della strage di Duisburg,
venne arrestato il 12 marzo 2009 proprio a Diemen) e alle 'ndrine di Cirò e
Corigliano Calabro. Ebbene, quel rapporto spiega che la 'ndrangheta ha contatti
con i 5 criminali più pericolosi d'Olanda. Non solo. Per controllare le merci
del porto di Rotterdam, dove passa il 30 per cento della cocaina proveniente dalla
Colombia (sono circa 36 mila chili che arrivano ogni anno sulle navi, nascosti
nei container di frutta), si serve di una alleanza strategica con i mafiosi
albanesi. E si garantisce informazioni e impunità infiltrando i suoi nella
polizia. Come ha fatto con Barbara Fun, olandese di 39 anni, che grazie ad
amicizie nei servizi segreti fino al 2010 ha potuto lavorare nella polizia regionale
di Haaglanden nonostante nel 1992 fosse stata arrestata in Portogallo insieme
con due esponenti della cosca Di Giovane-Serraino.
Con la mafia russa la 'ndrangheta dialoga da quando è caduto il muro di
Berlino. La "lingua" è sempre quella: armi e coca. Sulla rotta
balcanica della droga, che parte dall'Afganistan e passa da Grecia, Romania,
Albania e paesi dell'ex Jugoslavia, la 'ndrangheta ha legami con tutti i gruppi
criminali autoctoni. La mafia serbo-montenegrina si è offerta di consegnare
eroina e cocaina ai calabresi direttamente a Milano. L'operazione Magna Charta
del Ros dei Carabinieri, che il 4 giugno scorso ha portato all'arresto di una
trentina di trafficanti in tutta Europa, ha svelato l'asse che si era creato
per il trasporto via mare tra una cosca piemontese affiliata ai Bellocco di
Rosarno e l'uomo d'affari Evelin Banev, sospettato di essere uno dei capi della
mafia bulgara. "Anche mio zio Sergio Vrenna - racconta a
Repubblica il pentito Luigi Bonaventura - ha affari con la mafia
bulgara, con la quale condivide il codice "del coltello", il codice
d'onore mafioso. Andate a vedere gli investimenti immobiliari dei calabresi
sulle coste turistiche del mar Nero. Tutta roba nostra". E poi c'è
Barcellona.
Barcellona, la "nuova" Marsiglia
La capitale della Catalogna è il nuovo crocevia europeo delle mafie.
"Siamo tutti là, sembra la Marsiglia degli anni ottanta", vanno
dicendo da qualche anno gli 'ndranghetisti. A Barcellona si sono ritrovati i
calabresi della cosca Piromalli di Gioia Tauro, e la 'ndrina Parrello e Gallico
di Palmi. Ci sono poi gli emissari dei narcos colombiani e messicani, le cui
joint venture della coca con la 'ndrangheta sono ormai stabili e ben oliate.
Qui, nei ristoranti attorno alla Ramblas, si decidono i prezzi delle grandi
partite di droga in arrivo dal Sudamerica. L'ultimo a finire in carcere è stato
Carmelo Gallico, 48 anni, detto "U Picu", capo dell'omonima cosca di
Palmi. Si nascondeva in un'abitazione nel quartiere universitario di
Barcellona, e si intestava fittiziamente delle proprietà in Italia.
Il terreno spagnolo è stato concimato e reso fertile soprattutto da un
soggetto: Santo Maesano, alias Hoffa, alias il professore, il capo delle
famiglie calabresi Maesano-Paviglianiti. Lo racconta Francesco Forgione nel
libro "Mafia Export". Trasferitosi in Spagna alla fine degli anni
Novanta, Maesano era uno dei più grandi narcotrafficanti del mondo. Dal centro
penitenziario Valdemoro di Madrid faceva affari con i suoi referenti in
Colombia e in Venezuela, comprava armi, riceveva il suo vice Vincenzo Romeo. Il
carcere Valdemoro era più una casa di riposo che una vera prigione.
In Spagna, dunque, non esiste il regime speciale del 41 bis. In Svizzera i boss
girano senza nascondersi. In Germania addirittura le mogli degli 'ndranghetisti
arrestati ricevono il sussidio di disoccupazione, 365 euro al mese. "E
sono esentati dal pagare l'affitto", come racconta Vito Giudicepietro,
sindacalista del patronato Inca-Cgil di Singen, punto di riferimento della
comunità italiana. Com'è possibile? Con quali mezzi si sta contrastando la
'ndrangheta all'estero?
In Europa la 'ndrangheta non esiste
Il problema è che, tecnicamente, la mafia non esiste nei codici giuridici degli
stati europei. Il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso c'è
solo in Italia, introdotto nel 1982. All'estero appartenere a una cosca, far
parte di una 'ndrina riconosciuta, non è di per se un reato. Se non ci sono
delitti specifici, le forze dell'ordine non possono aggredire i patrimoni
mafiosi con i sequestri preventivi, né emettere custodie cautelari. "Il
crimine organizzato progredisce e noi siamo ciechi", ha sintetizzato pochi
giorni fa il commissario della polizia francese Jean-Francois Gayraud davanti
alla commissione antimafia europea.
"Quegli ordinamenti giuridici orbi - dice Prestipino - sono l'ostacolo più
grande. In Europa le istituzioni fanno fatica a comprendere la pericolosità del
vincolo associativo e la forza di intimidazione dei clan". Qualcosa,
eppure, si muove. La nostra Direzione nazionale antimafia sempre più viene
presa a modello dalle polizie estere. Le 111 rogatorie inviate nel 2011 dalla
Dia ai paesi europei (34 alla Spagna, 27 all'Olanda, 14 alla Germania, 7 al
Belgio)hanno trovato la collaborazione che meritavano. E da Bruxelles il
direttore dell'Olaf (Ufficio per la lotta antifrode) Giovanni Kessler, dopo
aver segnalato un aumento del 10 per cento negli ultimi due anni delle indagini
su reati economici e finanziari della criminalità organizzata, sposa una nuova
linea. "Serve un soggetto europeo unico che abbia poteri investigativi e
di accusa, serve il procuratore europeo". E in molti, anche all'estero,
guardano alla Direzione investigativa antimafia (Dia) come a un modello da
esportare.