giovedì 24 novembre 2016

“Una storia disegnata nell’aria. Per raccontare Rita, che sfidò la mafia con Paolo Borsellino”

Dopo la "prima della prima" andata in scena lo scorso 12 febbraio 2016, invitiamo alla "prima" dello spettacolo “Una storia disegnata nell’aria. Per raccontare Rita, che sfidò la mafia con Paolo Borsellino”.
Rita Atria: “(…) Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici; la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci".
Le parole che Rita Atria scrisse sul suo diario dopo la morte del giudice Paolo Borsellino costituiscono, a parere del presidio "Rita Atria", un testamento spirituale imprescindibile e contengono una verità disvelata con semplicità e limpidezza, un pensiero che dovrebbe essere presente nella coscienza di ognuno: la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. 
La storia di Rita Atria e  di Piera Aiello, cognata di Rita e da cui Rita trasse forza ed esempio per la sua scelta di denuncia e desiderio di giustizia, sono lezioni di vita da cui deriviamo la nostra scelta di impegno, libero e volontario, contro il "pensiero mafioso" che può albergare in ciascuno di noi.  
                                                                                  presidio LIBERA "Rita Atria" Pinerolo

Una storia disegnata nell’aria...per raccontare Rita, che sfidò la mafia con Paolo Borsellino



Nonsoloteatro (Torino) 
Di e con Guido Castiglia
Spettacolo realizzato in collaborazione con: Piera Aiello (testimone di giustizia) Libera Associazione contro le Mafie - Presidio “Rita Atria” Pinerolo
Collaborazione alla messa in scena Fabrizio Cassanelli
Scenografia Lucio Diana
Luci e Fonica Franco Rasulo

Una storia disegnata nell’aria” è uno spettacolo nel quale l’arte della narrazione mira diritto al cuore dei ragazzi facendo emergere, con l’intelligenza delle emozioni e con la delicatezza di un linguaggio adeguato, la fragilità di una adolescente trovatasi al centro di uno dei momenti più drammatici della nostra Repubblica: le stragi di mafia.
La storia di Rita Atria, la più giovane testimone di giustizia in Italia, è emblematica; è una storia nella quale emerge forte il desiderio di affermare una realtà libera da veti e mutismi, da intimidazioni velate e soprusi subiti.(...) la sua voglia di vivere e la sua capacità di trasformare, grazie all’aiuto di Paolo Borsellino, il sentimento di vendetta in senso di giustizia. “Una storia disegnata nell’aria” vive il sentimento contemporaneo nelle pieghe degli stati d’animo e nella vitalità caparbia di una diciassettenne che ha visto sgretolare la sua speranza in quel tragico luglio 1992; una storia degna di essere raccontata, oggi, ai ragazzi”

INFO
Biglietti: Intero € 10 - Ridotto € 9 (over 65, Abbonati Stagione 16/17, Cral convenzionati)
Ragazzi € 7 (fino ai 12 anni)
Associati di LIBERA PIEMONTE per un gruppo di minimo 6 persone prezzo speciale € 6,50
Prenotazioni tel. 011.19740285/208 -casateatroragazzi.it

martedì 22 novembre 2016

Salviamo quel che resta della Bellezza di Monte Oliveto. Lettera alla Commissione Urbanistica Regionale

Sentinelle del territorio. Torniamo ad occuparci dell'area di Monte Oliveto . Il Forum delle associazioni si è rivolto direttamente ai componenti la Commissione incaricata della discussione del Piano Paesaggistico Regionale, al fine di presentare le ragioni della propria avversità a qualunque indebolimento del Piano stesso che consentisse l'edificazione nell'area ai piedi di Monte Oliveto. 
Il Paesaggio è bene primario assoluto! leggi qui il primo comunicato 
Nel caso dell'area ai piedi di Monte Oliveto, al principio di tutela del bene Paesaggio si aggiunge un secondo aspetto, non meno importante del primo: la difesa del territorio da dissesti idro-geologici in atto. Troppo spesso in italia assistiamo a politiche e indirizzi urbanistici discutibili, attuate ai danno del bene comune Paesaggio: piani regolatori sovra-dimensionati disegnati a favore delle rendite speculative, del “partito del mattone”; consumo del suolo a fronte di una mole di case sfitte e invendute; edificazioni permesse in "zone a richio", all'origine di tanti disastri a cui si deve poi far fronte.
Alla luce di queste considerazioni, il vincolo di tutela espresso dai tecnici della Regione Piemonte sull'area ai piedi della collina di Monte Oliveto (CP7), acquista ancor più valore: davvero appare come azione volta a perseguire il “bene lungimirante della comunità” dove l'aspetto della tutela del bene primario Paesaggio si unisce alla tutela della Vita umana, bene altrettanto primario.  Questi princìpi non possono trovare "mediazioni al ribasso, compromessi,” e ci pare paradossale che “compromessi al ribasso“ debbano giungere proprio da coloro che adempiono -pro tempore- alla funzione di rappresentanti della comunità stessa di cui dovrebbero invece tutelare il bene comune Paesaggio.
Riportiamo di seguito la lettera indirizzata ai componenti la Commissione Urbanistica Regionale. si invita ad una attenta lettura per comprendere quante e quali siano le criticità presenti sull'area ai piedi di Monte Oliveto

Lettera alla Commissione incaricata alla redazione del Piano Paesaggistico Regionale
Le sottoscritte associazioni, riunite nel Forum Salviamo il Paesaggio di Pinerolo chiedono una audizione al fine di presentare le ragioni della propria avversità a qualunque indebolimento del Piano stesso, che consentisse l'edificazione nell'area ai piedi di Monte Oliveto (CP7).
La Regione Piemonte ed il Ministero dei Beni Culturali hanno infatti riconosciuto che l'area di Monte Oliveto presenta un elevato valore paesaggistico, meritevole di salvaguardia e tutela, tanto che buona parte di quell’area viene dichiarata inedificabile proprio dal Piano Paesaggistico Regionale (PPR) in via di approvazione. E' tuttavia noto che la precedente amministrazione, guidata dal sindaco E. Buttiero, aveva presentato “osservazioni” al suddetto Piano, opponendosi alla dichiarazione di inedificabilità dell'area giacchè il vigente P.R.G.C. prevederebbe invece un'ampia possibilità edificatoria.
Le sottoscritte associazioni avevano pertanto inviato alla Regione Piemonte copia delle firme dei cittadini pinerolesi che si opponevano alla devastazione di “quel che resta della bellezza di Monte Oliveto”.
Nel caso dell'area ai piedi di Monte Oliveto, al principio di tutela del bene Paesaggio si aggiunge un secondo aspetto, non meno importante del primo: la difesa del territorio da dissesti idro-geologici in atto. Parlando in linea generale, siamo tutti a conoscenza di come la mancata azione di contrasto a questo grave problema, che investe l'intero territorio nazionale, continui a provocare ingenti danni alle comunità, sino alla perdite di vite umane nei casi più drammaticamente eclatanti. Occorre quindi ricordare che l'area collinare di cui Monte Oliveto fa parte presenta una particolare fragilità dovuta alla sua intrinseca conformazione: nel 2001, in località Santa Brigida, proprio sopra la zona CP7, parte del versante era franato, causando danni solo alle cose. Tuttavia in una relazione del 2010 dell'adeguamento del P.A.I. si evidenzia come la stessa frana sia in “stato di riattivazione”, classificata come “fa attiva”. Siamo quindi in presenza di uno stato geologico critico e instabile che, a seguito dei cambiamenti climatici in atto, in presenza di precipitazioni violente quali quelle che oramai periodicamente si verificano, potrebbe mettere concretamente a richio l'area abitata sottostante.
Si segnala altresì che sulla collina di Monte Oliveto (Cascina Serena), è presente un bacino di sbarramento (diga) a scopo irriguo autorizzato dalla Regione: una diga permanente con invaso di Cat. A2 (fino a 10 metri di profondità ed un accumulo fino a 30.000 mc.). Immaginiamo tutti quali conseguenze potrebbero derivare qualora, per cause naturali (alluvioni, smottamenti, terremoto), si verificasse un riversamento di quella massa d'acqua nella sottostante area CP7.
allagamento in via Martiri del XXI
La già abnorme edificazione che si è concessa nell'area ha pure aumentato notevolmente la superficie impermeabilizzata, riducendo al contempo la naturale capacità di assorbimento del suolo. E la via Martiri del XXI, la maggiore arteria viaria della zona, è così diventata una sorta di impluvio “innaturale”, obbligato e costretto. A questo proposito è ancora vivo nella memoria dei pinerolesi il ricordo del violento nubifragio avvenuto il 17 giugno 2012 (leggi qui): proprio gli abitanti della zona ai piedi di Monte Oliveto dovettero assistere impotenti al “fiume d'acqua e fango” che, ruscellando dalla collina, allagando strade, sottopassi e cantine, confluiva in Via Martiri, l'impluvio “innaturale”. E lo scorso settembre 2016 sono bastati 15 minuti di pioggia intensa a far “saltare”, letteralmente, un tombino posto al centro della stessa via Martiri.
Gli studi idraulici redatti in questi ultimi anni a supporto degli strumenti urbanistici – lo studio di POLITHEMA (2008), studio GEO SINTESI per adeguamento del PAI al PRGC (2012), studio di fattibilita dell'ing. Ripamonti (2014)- concordano nel rilevare la carenza e il sottodimensionamento delle opere idrauliche esistenti, condizione aggravata dalla evidente cementificazione dell'area. In particolare, nella relazione idrogeologica allegata al PRGC redatta dallo studio POLITHEMA a proposito dell'area di Monte Oliveto così si leggeva:Questa porzione della collina esposta magnificamente a sud-est è stata oggetto di invasive urbanizzazioni. L'urbanizzazione del territorio si è spinta sino all'attaco della collina e gli impluvi che scendevano dalla stessa sono stati completamente cancellati.(...)”.
Lo studio di fattibilita di adeguamento del P.A.I., commissionato nel 2014 dall'Amministrazione Buttiero all'ing. Ripamonti, individuava pertanto come necessarie opere idrauliche importanti: il ripristino del reticolo idrografico di superficie, la realizzazione di opere dei deflusso e di opportune vasche di laminazione, la costruzione di un nuovo grande collettore dell'acqua piovana. E proprio sulla base di quello studio dell'ing. Ripamonti, ( nel quale tuttavia non sono considerate aree eventualmente edificate nella CP7) è stato già richiesto alla Regione Piemonte-Settore Difesa Assetto Idrogeologico un finanziamento delle opere ( importo di € 6.500.000,00). Ovviamente, una ulterione cementificazione determinerebbe un'alterazione sostanziale dei dati oggettivi su cui quello studio si fonda e da cui trae provvedimenti e misure conseguenti. Non solo: le opere individuate come utili ad impedire l'aggravamento della situazione esistente di certo si rivelerebbero insufficienti -se non addirittura inutili- di fronte ad una ulterione nuova edificazione nell'area della CP7. Verrebbe così mancato proprio l'obiettivo a cui tutto doveva tendere: la messa in sicurezza idraulica di un'area già fortemente compromessa. L'eventuale nuova edificazione nella CP7 avrebbe poi un'ulteriore conseguenza negativa: modificare il progetto presentato ed inserito nel R.E.N.D.I.S. (Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo) per l'ottenimento dei contributi da utilizzare per la messa in sicurezza dal richio idaulico l'area ed i suoi abitanti, il che potrebbe determinare l'esclusione dalla graduatoria relativa all'erogazione dei contributi stessi. Dal danno alla beffa! Stentiamo a credere che codesta Commissione voglia accollarsi la responsabilità di un tale risultato, accantonando l'interesse pubblico a vantaggio di un interesse meramente privato.
Alla luce di quanto detto, il vincolo di tutela espresso dai tecnici della Regione Piemonte sull'area ai piedi della collina di Monte Oliveto (CP7), acquista ancor più valore: davvero appare come azione volta a perseguire il “bene lungimirante della comunità” poiché si inquadra in una visione di insieme, complessiva, dove l'aspetto della tutela del bene primario Paesaggio si unisce alla tutela della Vita umana, bene altrettanto primario. Questi princìpi non possono trovare mediazioni “al ribasso”,“di compromesso”. Tali “soluzioni” sarebbero ancora più difficili da accettare, a nostro parere, qualora dovessero giungere proprio da coloro che adempiono -pro tempore- alla funzione di rappresentanti della comunità stessa, ponendosi palesemente in contraddizione con la tutela che i tecnici preposti hanno invece sentito di dover conferire all'area ai piedi di Monte Oliveto (CP7). Il Paesaggio -l'insieme dei valori inerenti il territorio”, le sue comunità, l’ambiente, l’eco-sistema- è bene primario assoluto!
Le sottoscritte associazioni chiedono al Presidente di codesta Commissione di poter essere ascoltate, per meglio esprimere quanto fin qui esposto.
Nell’attesa, porgono cordiali saluti.
Osservatorio 0121- Salviamo il Paesaggio
Italia Nostra
CeSMAP
Legambiente
presidio LIBERA “Rita Atria”- Pinerolo
Centro studi Silvio Pellico

lunedì 21 novembre 2016

Lettera aperta All'amministrazione di Pinerolo: Noi siamo con Nino Di Matteo e i giudici della "Trattativa"

Così scriveva don Luigi Ciotti tre anni orsono, quando venne resa pubblica l'intercettazione ambientale nella quale Toto Riina minacciava di morte il giudice Nino Di Matteo: "Caro Nino Di Matteo, devi sapere che non sei solo, che tutti voi a Palermo, e in ogni angolo d`Italia, non sarete mai più soli. Dalla stagione delle stragi è cresciuta nel nostro paese la consapevolezza che la questione delle mafie non è solo di natura criminale. È un problema più profondo, anche culturale e sociale. Una questione che non sarebbe ancora cosi grave se a contrastare le mafie ci fossero stati, oltre alla magistratura e alle forze di polizia, la coscienza pulita e l`impegno della maggior parte degli italiani. Questa coscienza e questo impegno, lentamente e faticosamente si sono negli anni moltiplicati.(...)"  qui il testo integrale della lettera.
Pur tuttavia, la coscienza e l'impegno di molti non sono serviti a rompere l'isolamento nel quale paiono costretti il giudice Di Matteo ed i colleghi che portano avanti il processo sulla "trattativa".
Lo ripetiamo ancora una volta: mafie, corruzione, mala-politica, ingiustizia sociale, sono facce della stessa medaglia! Alla luce degli scandali gravissimi che emergono quasi quotidianamente, l’impegno di conoscenza e di riflessione su temi come quelli dovrebbe essere fra gli elementi costituenti il corpo centrale dell’agenda culturale di una amministrazione pubblica,  il fondamento etico di ogni comunità.
Persistendo quindi il pericolo sull'incolumità del giudice che conduce un processo  nel quale imbarazzanti silenzi, “non ricordo”, negazione di possibili elementi conoscitivi, sono elementi che hanno costellato la storia di quel dibattimento, chiediamo alla presente Amministrazione, al Consiglio Comunale, di considerare l'opportunità che, anche dalla comunità di Pinerolo, arrivi un atto di solidarietà al giudice Di Matteo e agli altri giudici che conducono il processo sulla “Trattativa”.
Riportiamo l'intervista al giudice Di Matteo, trasmessa su RAI UNO lo scorso 19 novembre


                                       Lettera aperta All'amministrazone di Pinerolo


                        "Noi siamo  con Nino Di Matteo e i giudici della "Trattativa"

- Alla c.a. Del Sindaco di Pinerolo
- Al Presidente del Consiglio Comunale
- Agli Assessori del Comune di Pinerolo: Politiche Culturali e di Cittadinanza Attiva, Istruzione, Politiche Sociali
- p.c. Al Consiglio Comunale di Pinerolo
Oggetto: atto di solidarietà nei confronti del giudice Nino Di Matteo e dei giudici del processo sulla “Trattativa
Il giudice Nino Di Di Matteo ha espresso pochi giorni orsono la volontà di restare a Palermo nonostante l'ennesima intercettazione abbia dimostrato come il progetto mafioso di eliminare fisicamente il giudice sia ancora in atto, concreto e persistente. Il Consiglio Superiore della Magistratura (C.S.M.) aveva proposto al giudice Di Matteo il trasferimento a Roma, a ricoprire un incarico presso la Direzione Nazionale Antimafia (D.I.A.).Le parole di Nino Di Matteo, rifiutando la proposta del C.S.M.: “Accettare un trasferimento d'ufficio connesso esclusivamente a ragioni di sicurezza sarebbe stato un segnale di resa personale e istituzionale che non intendo dare". Nino Di Matteo, lo ricordiamo, è pubblico ministero del processo cosiddetto “la Trattativa”, facendo in questo riferimento all'ipotesi che, nell'estate delle stragi siciliane del 1992, “pezzi” dello Stato abbiano “trattato” con cosa nostra per “salvare” dalla vendetta mafiosa esponenti della classe politica di allora.
Le preoccupazioni sull'incolumità del giudice Nino di Matteo nascono quando nel novembre 2013, nel carcere di Opera, Totò Riina viene intercettato durante una “chiacchierata” con un altro detenuto, Antonio Lorusso ( personaggio ambiguo, affiliato salla Sacra Corona Unita ma sospetato di appartenere ad apparati della polizia). In quella conversazione, Riina auspica l'uccisione del pubblico ministero Nino Di Matteo: "(…) deve fare la fine dei tonni". E continua: "E allora organizziamola questa cosa... Facciamola grossa e non ne parliamo più. (…) Perché questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta, e allora se fosse possibile ucciderlo, un'esecuzione come a quel tempo a Palermo, con i militari". La notizia delle minacce al giudice Di Matteo aveva suscitato lo sconcerto di quanti agognano la verità su quei mesi del 1992, fra i più oscuri della storia della Repubblica, nella quale vennero uccisi tanti fedeli servitori dello Stato, primi fra tutti i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Anche don Luigi Ciotti, a nome di Libera, aveva espresso solidarietà a Nino di Matteo in una accorata lettera aperta. Anche noi del presidio LIBERA “Rita Atria” eravamo stati colpiti dalla vicenda. Tanto che agli studenti che avevamo incontrati in quell'anno avevamo fatto conoscere la lettera di Luigi Ciotti chiedendo, nel caso avessero condiviso i contenuti della Lettera, di scattare una fotografia: “Anche Noi siamo con Nino Di Matteo e i giudici della trattativa”. Di seguito il collage di alcune fotografie fatte pervenire al giudice Di Matteo. Questo piccolo segno per continuare a ribadire -a Nino Di Matteo e agli altri giudici che svolgono il loro lavoro a servizio della Verità e della Giustizia- quanto scrive nella sua lettera Luigi Ciotti:”Non sarete mai più soli”.

Riteniamo importante che anche oggi si voglia manifestare -con segni e azioni concrete- la volontà di Verità, fondamento della Giustizia. Lo ripetiamo ancora una volta: mafie, corruzione, mala-politica, ingiustizia sociale, sono facce della stessa medaglia! Alla luce degli scandali gravissimi che emergono quasi quotidianamente, l’impegno di conoscenza e di riflessione su temi come quelli dovrebbe essere fra gli elementi costituenti il corpo centrale dell’agenda culturale di una amministrazione pubblica. Il cammino intrapreso da codesta Amministrazione con l'adesione alla Carta di Avviso Pubblico, a nostro parere, percorre quel sentiero.
19-07-2012  insediamento Commissione Consiliare antimafia"
Riteniamo inoltre che alla formazione di una cultura della comunità contro “il pensiero mafioso” possa servire anche riprendere quanto avviato nel passato, sia pure con scarsa convinzione: l’azione conoscitiva, culturale, che doveva essere svolta dalla cosiddetta "Commissione Consiliare antimafia", formata dalla passata Amministrazione pinerolese. Insediata il 19 luglio 2012 proprio su proposta del presidio “Rita Atria”, nel ventennale della strage di Via D’Amelio, quella commissione si era poi  riunita in realtà una sola volta per poi “sparire”.
Per quanto esposto, persistendo il pericolo sull'incolumità del giudice che conduce un processo nel quale imbarazzanti silenzi, “non ricordo”, negazione di possibili elementi conoscitivi, sono elementi che hanno costellato la storia di quel dibattimento, chiediamo alla presente Amministrazione, al Consiglio Comunale, di considerare l'opportunità che, anche dalla comunità di Pinerolo, arrivi un atto di solidarietà al giudice Di Matteo e agli altri giudici che conducono il processo sulla “Trattativa”.
Auspicando l'attenzione sua, Signor Sindaco, della presente Amministrazione e del Consiglio Comunale, a quanto da noi presentato, cogliamo l'occasione per porgere cordiali saluti.  
Arturo Francesco Incurato
referente presidio LIBERA "Rita Atria" Pinerolo 

domenica 20 novembre 2016

Confronto del 17 novembre sul referendum Costituzionale. Riflettiamo!

Il confronto proposto da "Officina Pinerolese" e presidio LIBERA "Rita Atria"- Pinerolo sul tema del Referendum Costituzionale si è svolto in una cornice di pubblico davvero lusinghiera: tanta è stata la partecipazione del pubblico che Il Salone dei Cavalieri non ha potuto accogliere tutti coloro che avrebbero voluto assistere alla riflesione offerta dai relatori. Ringraziamenti doverosi quindi al sen. Elvio Fassone ( relatore per le ragion del Sì), al prof. Ermanno Vitale ( relatore per le ragioni del No), al dott. Giancarlo Chiapello che ha moderato il confronto, al pubblico che ha partecipato attento, rivolgendo poi numerose domande ai relatori.
La significativa presenza del pubblico giovanile ha mostrato chiaramente come il tema referendario susciti interesse anche nelle nuove generazioni. Non potrebbe essere altrimenti giacchè quello su cui saremo chiamati ad esprimerci il prossimo 4 dicembre, le modifiche proposte alla Carta Costituzionale, riguarda proprio il documento fondamentale, "la regola delle regole" in cui tutti dovremmo riconoscervi il fondamento della convivenza civile e democratica nel nostro Paese. 
E il difficile momento storico che viviamo, una crisi sociale ed economica che rende precario e problematico il presente ed il futuro di larghe fasce della comunità italiana (e dei giovani in particolare) non può non richiamare alla nostra memoria le parole, il monito, di uno dei padri della nostra repubblica, Piero Calamandrei.  
Nel suo celebre discorso sulla Costituzione rivolto a giovani studenti Calamandrei così dichiarava: "(...) dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’art. primo- “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro “- corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità (...) non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società(...) la nostra costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi (...) Però, vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse (...)". qui il testo integrale di quel discorso, fondamentale nella storia della nostra Repubblica
Quante volte, alla luce di queste parole, diciamo che la Costituzione prima di pensare a come modificarla occorrebbe forse pensare a come (finalmente!) attuarla, tanto sono "all'ordine del giorno" i diritti concreti -e non rispettati- che la nostra Costituzione pone a fondamento della stessa Democrazia: lavoro, istruzione, uguaglianza, dignità delle persone.
Principi bellissimi, mirabilmente sottolineati da Piero Calamandrei come principi ineludibili  della Democrazia ma, sino ad oggi, non siamo ancora stati capaci di attuarli; anzi, in questi anni le diseguaglianze e le ingiustizie sociali sono evidentemente aumentate. Allora, proprio facendo memoria alle parole di Calamandrei, noi pensiamo che le azioni che si compiono sulla nostra Costituzione non debbano avere altro scopo se non quello di rendere evidente, concreta, la volontà di mantenere "le promesse" contenute nella Costituzione. Questa la discriminante, questo il metro di giudizio che ci pare si debba considerare riflettendo, esprimendosi,  su quanto il quesito referendario propone.

domenica 13 novembre 2016

Confronto sul tema del Referendum Costituzionale: "Sì, No, Perchè?"


L'associazione culturale "Officina Pinerolese" ed il presidio LIBERA "Rita Atria”- Pinerolo propongono un incontro pubblico sul tema del Referendum Costituzionale a cui saremo chiamati il prossimo 4 dicembre 2016.
L'incontro si terrà il prossimo 17 novembre a Pinerolo presso il "Salone dei Cavalieri" in via Giolitti n. 7, a partire dalle ore 21.00
L'incontro si svolgerà nella forma del confronto fra due relatori dei Comitati pinerolesi che sostengono le due differenti posizioni: le ragioni del SI’ saranno sostenute dal sen. Elvio Fassone mentre le ragioni del NO dal prof. Ermanno Vitale. Modera ii confronto il dott. Giancarlo Chiapello.
Auspichiamo che i due relatori, presentando le ragioni delle due parti e superando lo scoglio di una materia giuridica complessa, aiutino la comunità a considerare e a riflettere, entrando nel concreto dei cambiamenti-conseguenze derivanti dalle modifiche che il referendum propone.


venerdì 4 novembre 2016

Samia Umar e Fatim Jawara: vittime innocenti del buio delle coscienze dell'Occidente

"(...) bambine e bambini , ragazze eragazzi , donne e uomini che raccolgono le loro speranze per deporle su una barca che viaggia nel buio delle coscienze dell'occidente.Vergogna!"  Così avevamo scritto nell'ottotbre del 2013, quando la strage dei migranti aveva scosso per un attimo le nostre coscienze.
Roberto Saviano, poche ore fa, scrive di due "vite perdute". Due vite perdute, fra le migliaia di vite perdute, che per una piccola particolarità emergono, per un attimo, dalle acque di quel cimitero senza croci che è diventato il Mediterraneo. Due "vite perdute" riemergono ai nostri occhi,per un attimo,  per "il merito" di essere state illuminate (per un attimo) dalle luci di uno degli "spettacoli" dellOccidente: le Olimpiadi. Samia e Fatim avevano sognato, sorriso e gareggiato per i rispettivi paese nelle Olompiadi. Adesso sono morte, entrambe, cancellate dal buio delle coscienze ottenebrate dell'Occidente.
Samia e Fatim
Roberto Saviano: "Samia Umar gareggiò alle Olimpiadi di Pechino 2008. Nel 2012, quattro anni dopo, quando lei di anni ne aveva solo 21, il suo corpo riemerse dalle acque di Lampedusa. Samia perse la vita su un barcone mentre tentava di raggiungere l'Europa. 
Fatim Jawara, 19 anni, portiera del Gambia, è tra i 97 cadaveri ritrovati al largo della Libia lo scorso 27 ottobre. Samia ha gareggiato a Pechino, Fatim ha difeso la porta della nazionale del Gambia. 
Samia e Fatim erano giovani, piene di sogni, di speranze. Avevano talento, un talento sportivo che, se fossero nate altrove, avrebbe permesso loro di realizzarsi. Ma erano nate nel posto sbagliato e per questo decidono di partire. 
Samia e Fatim sono morte perché in Somalia e in Gambia per loro non c'era spazio. Ma forse nemmeno qui da noi di spazio ne avrebbero trovato. 
Forse anche a loro sarebbero state chiuse porte in faccia. 
Non lo sapremo mai, perché il loro talento e i loro occhi, ora li custodisce il mare." 

mercoledì 2 novembre 2016

Pier Paolo Pasolini: "...siamo tutti in pericolo"

Pier Paolo Pasolini: "Perché siamo tutti in pericolo"

Il dovere della Memoria impone la filessione su un uomo come Pier Paolo Pasolini, ucciso la notte del 2 novembre 1975 sulla spiaggia dell'Idroscalo di Ostia.
"L'intellettuale scomodo", dalle mille contradizioni, pure colui che in maniera "eretica" analizza e predice la condizione di degrado -civile e morale- a cui la società italiana si andava incamminando. Ancora oggi  appaiono drammaticamente profetiche le sue analisi: sui falsi miti della modernità; sul nascente fenomeno del "consumismo"; sul decadimento dei valori e dei legami affettivi delle comunità; sulla trasformazione “antropologica” che gli italiani parevano subire, aderendo a modelli di cui oggi avvertiamo -con colpevole ritardo- la vacuità e la insostenibilità.  
Riproponiamo il ricordo di Nanni Moretti e l'ultima intervista di Pier Paolo Pasolini rilasciata a Furio Colombo. Fra le tante cose su cui Pasolini rilfette in quella intervista ci colpisce una, che di certo non è la più importante: "(...)Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone. 
Ancora una volta, per l'ultima volta,  Pasolini appare "profetico" quando oggi vediamo coloro che hanno costruito carriere e privilegi personali ( o di casta) fingendosi difensori dei deboli, paladini di legalità o di buona politica.
Ancora una volta, per l'ultima volta,  Pasolini appare "profetico" anche con se stesso: "(...) Lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci sono anche i miei libri e i miei film. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo".
il ricordo di Nanni Moretti



Per lui, a noi,  parlano ancora i suoi libri, i sui film, le sue parole. 

Furio Colombo: "Questa intervista ha avuto luogo sabato 1° novembre (1975), fra le 4 e le 6 del pomeriggio, poche ore prima che Pasolini venisse assassinato. Voglio precisare che il titolo dell’incontro che appare in questa pagina è suo, non mio. Infatti alla fine della conversazione che spesso, come in passato, ci ha trovati con persuasioni e punti di vista diversi, gli ho chiesto se voleva dare un titolo alla sua intervista.
Ci ha pensato un po’, ha detto che non aveva importanza, ha cambiato discorso, poi qualcosa ci ha riportati sull’argomento di fondo che appare continuamente nelle risposte che seguono. «Ecco il seme, il senso di tutto – ha detto – Tu non sai neanche chi adesso sta pensando di ucciderti. Metti questo titolo, se vuoi: “Perché siamo tutti in pericolo». 
 "Perché siamo tutti in pericolo"
Pasolini, tu hai dato nei tuoi articoli e nei tuoi scritti, molte versioni di ciò che detesti. Hai aperto una lotta, da solo, contro tante cose, istituzioni, persuasioni, persone, poteri. Per rendere meno complicato il discorso io dirò «la situazione», e tu sai che intendo parlare della scena contro cui, in generale ti batti. Ora ti faccio questa obiezione. La «situazione» con tutti i mali che tu dici, contiene tutto ciò che ti consente di essere Pasolini. Voglio dire: tuo è il merito e il talento. Ma gli strumenti? Gli strumenti sono della «situazione». Editoria, cinema, organizzazione, persino gli oggetti. Mettiamo che il tuo sia un pensiero magico. Fai un gesto e tutto scompare. Tutto ciò che detesti. E tu? Tu non resteresti solo e senza mezzi? Intendo mezzi espressivi, intendo…
Sì, ho capito. Ma io non solo lo tento, quel pensiero magico, ma ci credo. Non in senso medianico. Ma perché so che battendo sempre sullo stesso chiodo può persino crollare una casa. In piccolo un buon esempio ce lo danno i radicali, quattro gatti che arrivano a smuovere la coscienza di un Paese (e tu sai che non sono sempre d’accordo con loro, ma proprio adesso sto per partire, per andare al loro congresso). In grande l’esempio ce lo dà la storia. Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali. I pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzionare deve essere grande, non piccolo, totale, non su questo o quel punto, «assurdo» non di buon senso. Eichmann, caro mio, aveva una quantità di buon senso. Che cosa gli è mancato? Gli è mancato di dire no su, in cima, al principio, quando quel che faceva era solo ordinaria amministrazione, burocrazia. Magari avrà anche detto agli amici, a me quell’Himmler non mi piace mica tanto. Avrà mormorato, come si mormora nelle case editrici, nei giornali, nel sottogoverno e alla televisione. Oppure si sarà anche ribellato perché questo o quel treno si fermava, una volta al giorno per i bisogni e il pane e acqua dei deportati quando sarebbero state più funzionali o più economiche due fermate. Ma non ha mai inceppato la macchina. Allora i discorsi sono tre. Qual è, come tu dici, «la situazione», e perché si dovrebbe fermarla o distruggerla. E in che modo.

Ecco, descrivi allora la «situazione». Tu sai benissimo che i tuoi interventi e il tuo linguaggio hanno un po’ l’effetto del sole che attraversa la polvere. È un’immagine bella ma si può anche vedere (o capire) poco.
Grazie per l’immagine del sole, ma io pretendo molto di meno. Pretendo che tu ti guardi intorno e ti accorga della tragedia. Qual è la tragedia? La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra. E noi, gli intellettuali, prendiamo l’orario ferroviario dell’anno scorso, o di dieci anni prima e poi diciamo: ma strano, ma questi due treni non passano di li, e come mai sono andati a fracassarsi in quel modo? O il macchinista è impazzito o è un criminale isolato o c’è un complotto. Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità. Che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori. E facile, è semplice, è la resistenza. Noi perderemo alcuni compagni e poi ci organizzeremo e faremo fuori loro, o un po’ per uno, ti pare? Eh lo so che quando trasmettono in televisione Parigi brucia tutti sono lì con le lacrime agli occhi e una voglia matta che la storia si ripeta, bella, pulita (un frutto del tempo è che «lava» le cose, come la facciata delle case). Semplice, io di qua, tu di là. Non scherziamo sul sangue, il dolore, la fatica che anche allora la gente ha pagato per «scegliere». Quando stai con la faccia schiacciata contro quell’ora, quel minuto della storia, scegliere è sempre una tragedia. Però, ammettiamolo, era più semplice. Il fascista di Salò, il nazista delle SS, l’uomo normale, con l’aiuto del coraggio e della coscienza, riesce a respingerlo, anche dalla sua vita interiore (dove la rivoluzione sempre comincia). 
Ma adesso no. Uno ti viene incontro vestito da amico, è gentile, garbato, e «collabora»(mettiamo alla televisione) sia per campare sia perché non è mica un delitto. L’altro – o gli altri, i gruppi – ti vengono incontro o addosso – con i loro ricatti ideologici, con le loro ammonizioni, le loro prediche, i loro anatemi e tu senti che sono anche minacce. Sfilano con bandiere e con slogan, ma che cosa li separa dal «potere»?

 Che cos’è il potere, secondo te, dove è, dove sta, come lo stani?
Il potere è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri.Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra di Borsa uso quella. Altrimenti una spranga. E quando uso una spranga faccio la mia violenza per ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? Perché mi hanno detto che è una virtù volerlo. Io esercito il mio diritto-virtù. Sono assassino e sono buono.

Ti hanno accusato di non distinguere politicamente e ideologicamente, di avere perso il segno della differenza profonda che deve pur esserci fra fascisti e non fascisti, per esempio fra i giovani.
Per questo ti parlavo dell’orario ferroviario dell’anno prima. Hai mai visto quelle marionette che fanno tanto ridere i bambini perché hanno il corpo voltato da una parte e la testa dalla parte opposta? Mi pare che Totò riuscisse in un trucco del genere. Ecco io vedo così la bella truppa di intellettuali, sociologi, esperti e giornalisti delle intenzioni più nobili, le cose succedono qui e la testa guarda di là. Non dico che non c’è il fascismo. Dico: smettete di parlarmi del mare mentre siamo in montagna. Questo è un paesaggio diverso. Qui c’è la voglia di uccidere. E questa voglia ci lega come fratelli sinistri di un fallimento sinistro di un intero sistema sociale. Piacerebbe anche a me se tutto si risolvesse nell’isolare la pecora nera. Le vedo anch’io le pecore nere. Ne vedo tante. Le vedo tutte. Ecco il guaio, ho già detto a Moravia: con la vita che faccio io pago un prezzo… È come uno che scende all’inferno. Ma quando torno – se torno – ho visto altre cose, più cose. Non dico che dovete credermi. Dico che dovete sempre cambiare discorso per non affrontare la verità.

E qual è la verità?
Mi dispiace avere usato questa parolaVolevo dire «evidenza». Fammi rimettere le cose in ordine. Prima tragedia: una educazione comune, obbligatoria e sbagliata che ci spinge tutti dentro l’arena dell’avere tutto a tutti i costi. In questa arena siamo spinti come una strana e cupa armata in cui qualcuno ha i cannoni e qualcuno ha le spranghe. Allora una prima divisione, classica, è «stare con i deboli». Ma io dico che, in un certo senso tutti sono i deboli, perché tutti sono vittime. E tutti sono i colpevoli, perché tutti sono pronti al gioco del massacro. Pur di avere.L’educazione ricevuta è stata: avere, possedere, distruggere.

Allora fammi tornare alla domanda iniziale. Tu, magicamente abolisci tutto. Ma tu vivi di libri, e hai bisogno di intelligenze che leggono. Dunque, consumatori educati del prodotto intellettuale. Tu fai del cinema e hai bisogno non solo di grandi platee disponibili (infatti hai in genere molto successo popolare, cioè sei «consumato» avidamente dal tuo pubblico) ma anche di una grande macchina tecnica, organizzativa, industriale, che sta in mezzo. Se togli tutto questo, con una specie di magico monachesimo di tipo paleo-cattolico e neo-cinese, che cosa ti resta?
A me resta tutto, cioè me stesso, essere vivo, essere al mondo, vedere, lavorare, capire. Ci sono cento modi di raccontare le storie, di ascoltare le lingue, di riprodurre i dialetti, di fare il teatro dei burattini. Agli altri resta molto di più. Possono tenermi testa, colti come me o ignoranti come me. Il mondo diventa grande, tutto diventa nostro e non dobbiamo usare né la Borsa, né il consiglio di amministrazione, né la spranga, per depredarci. Vedi, nel mondo che molti di noi sognavano (ripeto: leggere l’orario ferroviario dell’anno prima, ma in questo caso diciamo pure di tanti anni prima) c’era il padrone turpe con il cilindro e i dollari che gli colavano dalle tasche e la vedova emaciata che chiedeva giustizia con i suoi pargoli. Il bel mondo di Brecht, insomma.

Come dire che hai nostalgia di quel mondo.
No! Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone. Poiché erano esclusi da tutto nessuno li aveva colonizzati. Io ho paura di questi negri in rivolta, uguali al padrone, altrettanti predoni, che vogliono tutto a qualunque costo. Questa cupa ostinazione alla violenza totale non lascia più vedere «di che segno sei». Chiunque sia portato in fin di vita all’ospedale ha più interesse – se ha ancora un soffio di vita – in quel che gli diranno i dottori sulla sua possibilità di vivere che in quel che gli diranno i poliziotti sulla meccanica del delitto. Bada bene che io non faccio né un processo alle intenzioni né mi interessa ormai la catena causa effetto, prima loro, prima lui, o chi è il capo-colpevole. Mi sembra che abbiamo definito quella che tu chiami la «situazione». È come quando in una città piove e si sono ingorgati i tombini. l’acqua sale, è un’acqua innocente, acqua piovana, non ha né la furia del mare né la cattiveria delle correnti di un fiume. Però, per una ragione qualsiasi non scende ma sale. È la stessa acqua piovana di tante poesiole infantili e delle musichette del «cantando sotto la pioggia». Ma sale e ti annega? Se siamo a questo punto io dico: non perdiamo tutto il tempo a mettere una etichetta qui e una là. Vediamo dove si sgorga questa maledetta vasca, prima che restiamo tutti annegati.

E tu, per questo, vorresti tutti pastorelli senza scuola dell’obbligo, ignoranti e felici.
Detta così sarebbe una stupidaggine. Ma la cosiddetta scuola dell’obbligo fabbrica per forza gladiatori disperati. La massa si fa più grande, come la disperazione, come la rabbia. Mettiamo che io abbia lanciato una boutade (eppure non credo) Ditemi voi una altra cosa. S’intende che rimpiango la rivoluzione pura e diretta della gente oppressa che ha il solo scopo di farsi libera e padrona di se stessa. S’intende che mi immagino che possa ancora venire un momento così nella storia italiana e in quella del mondo. Il meglio di quello che penso potrà anche ispirarmi una delle mie prossime poesie. Ma non quello che so e quello che vedo. Voglio dire fuori dai denti: io scendo all’inferno e so cose che non disturbano la pace di altri. Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi. È vero che sogna la sua uniforme e la sua giustificazione (qualche volta). Ma è anche vero che la sua voglia, il suo bisogno di dare la sprangata, di aggredire, di uccidere, è forte ed è generale. Non resterà per tanto tempo l’esperienza privata e rischiosa di chi ha, come dire, toccato «la vita violenta». Non vi illudete. E voi siete, con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la sua bella etichetta. A me questa sembra un’altra, delle tante operazioni della cultura di massa. Non potendo impedire che accadano certe cose, si trova pace fabbricando scaffali.

Ma abolire deve per forza dire creare, se non sei un distruttore anche tu. I libri per esempio, che fine fanno? Non voglio fare la parte di chi si angoscia più per la cultura che per la gente. Ma questa gente salvata, nella tua visione di un mondo diverso, non può essere più primitiva (questa è un’accusa frequente che ti viene rivolta) e se non vogliamo usare la repressione «più avanzata»…
Che mi fa rabbrividire.

Se non vogliamo usare frasi fatte, una indicazione ci deve pur essere. Per esempio, nella fantascienza, come nel nazismo, si bruciano sempre i libri come gesto iniziale di sterminio. Chiuse le scuole, chiusa la televisione, come animi il tuo presepio?
Credo di essermi già spiegato con Moravia. Chiudere, nel mio linguaggio, vuol dire cambiare. Cambiare però in modo tanto drastico e disperato quanto drastica e disperata è la situazione. Quello che impedisce un vero dibattito con Moravia ma soprattutto con Firpo, per esempio, è che sembriamo persone che non vedono la stessa scena, che non conoscono la stessa gente, che non ascoltavano le stesse voci. Per voi una cosa accade quando è cronaca, bella, fatta, impaginata, tagliata e intitolata. Ma cosa c’è sotto? Qui manca il chirurgo che ha il coraggio di esaminare il tessuto e di dire: signori, questo è cancro, non è un fatterello benigno. Cos’è il cancro? È una cosa che cambia tutte le cellule, che le fa crescere tutte in modo pazzesco, fuori da qualsiasi logica precedente. È un nostalgico il malato che sogna la salute che aveva prima, anche se prima era uno stupido e un disgraziato? Prima del cancro, dico. Ecco prima di tutto bisognerà fare non solo quale sforzo per avere la stessa immagine. Io ascolto i politici con le loro formulette, tutti i politici e divento pazzo. Non sanno di che Paese stanno parlando, sono lontani come la Luna. E i letterati. E i sociologi. E gli esperti di tutti i generi.

Perché pensi che per te certe cose siano talmente più chiare?
Non vorrei parlare più di me, forse ho detto fin troppo. Lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci sono anche i miei libri e i miei film. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo.
Pasolini, se tu vedi la vita così – non so se accetti questa domanda – come pensi di evitare il pericolo e il rischio?
È diventato tardi, Pasolini non ha acceso la luce e diventa difficile prendere appunti. Rivediamo insieme i miei. Poi lui mi chiede di lasciargli le domande. «Ci sono punti che mi sembrano un po’ troppo assoluti. Fammi pensare, fammeli rivedere. E poi dammi il tempo di trovare una conclusione. Ho una cosa in mente per rispondere alla tua domanda. Per me è più facile scrivere che parlare. Ti lascio le note che aggiungo per domani mattina».

Il giorno dopo, domenica, il corpo senza vita di Pier Paolo Pasolini era all’obitorio della polizia.