giovedì 31 maggio 2012

"Conseguenze e interrogativi sulle trasformazioni del territorio a Pinerolo"


Sentinelle del territorio: "Conseguenze e interrogativi sulle trasformazioni del territorio a Pinerolo".
Fonte: Il Forum "Salviamo il Pesaggio" di Pinerolo e del Pinerolese nel suo blog "Osservatorio 0121" 
L'articolo che riportiamo interessa precisamente il presidio Libera "Rita Atria" Pinerolo, perchè quanto si propone il forum "Salviamo il paesaggio" può costituire un tassello di conoscenza e competenza importante nell'ambito di quell'Osservatorio della Legalità e della Giustizia di cui abbiamo parlato nelle settimane scorse: .http://liberapinerolo.blogspot.it/2012/04/esiste-la-societa-civile-sappiamo.html


scorcio di PINEROLO





"Le trasformazioni del territorio e il modo di gestirle (a Pinerolo e non solo) ci lasciano molto perplessi. Il “cemento” ha divorato ( e continua a divorare) terreni attorno alla città. Una sovraproduzione che ha sprecato risorse senza, per altro, risolvere il problema di chi non possiede i mezzi finanziari per accedere alla “merce casa”. A decidere dove costruire è l’interesse privato ( sia pur legittimato dall’inserimento delle aree all’interno del Piano regolatore). Certo, il Comune incassa denaro che la legge permette, in parte, di utilizzare per il proprio funzionamento, ma infrastrutture ed urbanizzazione comportano costi … e non c’è dubbio: il futuro presenterà il conto.
Problemi, veramente, ce ne sono già adesso.Ogni piovasco un po’ intenso ( e sono sempre più frequenti per cause di cui l’uomo non è incolpevole ) fa danni considerevoli. Sottopasso allagato, cantine allagate ( chiedete a quelli di Via Martiri …). La capacità di assorbimento di un terreno agricolo è venti volte quella di un terreno asfaltato.
Non c’è da stupirsi che le fognature, per la quantità d’acqua che si riversa in esse, entrino in crisi con una frequenza ben più alta di quella messa in conto nella fase di progetto. Un attento studio del territorio può dare preziose indicazioni sul da farsi. Anche in questo si può mettere a frutto l’esperienza di chi la città la abita. E’ vero che Pinerolo si sta dotando di un Piano di Assetto Idrogeologico (PAI) che costituisce, anche, una sorta di mappatura delle zone a rischio. Un documento tecnico ( per affrontare un problema che è, anche, politico) che ci lascia dubbi per la discrezionalità delle scelte. Abbiamo notato, esaminando le mappe riportate sul sito del Comune che alcune zone classificate come III ( quelle a maggior rischio) sono destinate ad essere edificate. La CP7 ( … la solita CP7) e la CE6.3 ad esempio.
E’ proprio necessario andare a costruire in zone non sicure?
Ma la cosa più strana (e su questo gradiremmo spiegazioni) è che queste aree, completamente prive di costruzioni, sono state classificate come edificate. Seguendo la legenda sono zone “III b “ invece che ”III a”. La cosa non è indifferente visto che, a seguito di opportuni interventi, le zone “ III b” possono continuare ad essere edificate mentre per, le “ III a” questa opportunità è esclusa dalle norme.
Una svista? una nostra interpretazione errata? Può darsi anche se, diceva Giulio Andreotti, “ a pensare male si fa peccato ma, spesso, ci si azzecca”.
Osservatorio 0121
Forum “Salviamo il Paesaggio” di Pinerolo

Ecco cosa si propone il Blog  http://www.osservatorio0121.it/ 
Il paesaggio, i beni culturali, il territorio rappresentano per Pinerolo e il suo intorno una vera emergenza. Nel tempo si è consolidato un blocco d’interessi, che ruota intorno all’edilizia che condiziona pesantemente il futuro della nostra zona e della città.
Di qui l’idea di costituire un gruppo di documentazione sulle trasformazioni territoriali allo scopo  di realizzare sulla base della molta documentazione che già esiste, una mappa aggiornata degli scempi, degli interventi di “mostrificazioine” e di cambiamento irreversibile della distinazione d’uso del suolo, che si sono fatti negli anni. 
Uno degli obiettivo dell’Osservatoro potrebbe essere anche quello di una azione  di carattere preventivo: tenere sotto controllo il territorio prima che gli interventi siano realizzati, anzi, prima che siano decisi.
Ciò richiede la capacità tecnico-disciplinare e una capacità militante di filtrare anzitempo tutte le decisioni dei Consigli comunali, provinciale e regionale. Strumento dell’Osservatorio è il blog utile per divulgare i risultati delle ricerche. Il gruppo è aperto alla partecipazione di tutti gli interessati a queste problematiche.
Per contattare il gruppo scrivere una mail a:  contatto@osservatorio0121.it

mercoledì 30 maggio 2012

Mafia: riecco i "tifosi" di Matteo Messina Denaro


"Qualcuno si ostina a credere che Castelvetrano sia una città tranquilla , bella e libera, dove ormai quella cultura mafiosa sembra quasi del tutto scomparsa, dove esistono centri commerciali e imprenditori onesti, dove la lotta alla mafia deve essere demandata soltanto alle forze dell'ordine. Stamattina invece la Castelvetrano sonnolenta e salottiera si é svegliata con un "bisogno di aiuto". L'anno scorso qualcun'altro lo voleva sindaco di Castelvetrano e qualcun'altro diceva che la sua grande aspirazione prima di morire era quella di " conoscerlo ". Stamattina qualcuno oltre al bisogno d'aiuto vuole che Matteo Messina denaro gli " illumini " il suo cammino. E' il momento di riflettere e di schierarsi, é il momento della responsabilità, é il momento della coscienza collettiva per decidere da che parte stare..."
Il presidio di Libera di Castelvetrano torna con queste parole a evidenziare l'allarme sociale che riguarda il paese del Belice, e "fotografando" (e non tanto per dire) con dati di fatto la situazione torna in buona sostanza a dirci che parlare di difesa della legalità senza molte specifiche produce non sempre gli effetti dovuti. Dire un "si" alla legalità senza accompagnarlo da un roboante "no" alla mafia, alle mafie, ai mafiosi ed ai complici dei boss, può fare accadere che qualche "disattento" speranzoso di risolvere qualche piccolo problemino usi un muro di Castelvetrano, come è successo, per mandare un messaggio di aiuto sociale a Matteo Messina Denaro il super latitante della mafia siciliana che è proprio di Castelvetrano. La foto è la prova di quello che è successo. Niente di nuovo e nulla di clamoroso verrebbe da dire, perché non è la prima volta che compaiono simili scritte. In periodo di campagna elettorale a Castelvetrano, molto di recente, è anche comparsa una foto del boss con scritta a margine eloquente, "tanto vinco io". La cosa non è perciò nuova e se è clamorosa lo è perché chi ha scritto lo fatto cosciente del rischio di essere scoperto, il punto non è nascosto, ed è clamorosa pur sapendo che attorno a Matteo Messina Denaro ruota una certa sorta di perbenismo e di fiducia ingiustificate e violentemente eccessive, come violento è il destinatario di queste scritte. "Adorato" come nessuno mai, la "testa dell'acqua", il "principio di ogni cosa", e tante altre affermazioni di questo genere lo hanno nel tempo riguardato.
Magari per qualche segno e parola ci sarà necessità di decifrare meglio, "illumina il mio cammino" potrebbe essere la richiesta di mettere luce in qualche strada (in quella strada'?) o potrebbe anche significare altro...il "bisogno" accorciato con un "bis" fa venire in mente anche altro, ma non siamo noi gli specialisti nel decifrare le frasi. Complessivamente c'è un brutto segnale che stamattina ha scosso la Castelvetrano, e non solo, delle tante persone oneste, dei giovani coraggiosi, che ha scosso chi pochi giorni addietro ha chiamato due illustre persone, un magistrato, Andrea Tarondo, e un poliziotto, Giuseppe Linares, a dire ai giovani i pericoli delle mafie, vecchie e nuove, e della mafia di Matteo Messina Denaro che con le mani sporche di tanti morti ammazzati oggi tiene le fila di vere e proprie holding imprenditoriali e non solo in Sicilia, i "casalesi" lo hanno portato con loro in Emilia Romagna e in Lombardia. La risposta a queste sollecitazioni non si è fatta attendere viene da dire leggendo ciò che oggi è comparso su questo muro di Castelvetrano e d'altra parte Matteo Messina Denaro lo ha scritto nei pizzini in cui ha aizzato gli animi contro i "Torquemada" che gli danno la "caccia", "sentirete parlare ancora di me". Speriamo che di lui si senta parlare presto nel senso che qualcuno riesca a catturarlo e quindi a dare la notizia che "i boss è stato preso", è così che molti vogliono sentire parlare del capo mafia volgare assassino. Per arrivare al boss però è vero che debbano cadere ancora altre teste, i complici, quelli che si nascondono nell'area grigia, quell'area che si può colpire solo con la contestazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, quel reato che qualche insensato pensa di volere/dovere cancellare.
fonte: corleonedialogos.it 

Le mani della 'ndrangheta sulla Salerno-Reggio Calabria


Le mani delle cosche sulla Salerno-Reggio Calabria

La storia è sempre quella. Dodici fermi nella notte nei confronti di altrettanti esponenti del clan di Giuseppe Virgilio Nasone. Un "pizzo" del 3 per cento sull'importo degli appalti per i cantieri. Gli imprenditori che non pagavano avevano i mezzi danneggiati o subivano pesanti intimidazioni
Fonte La Repubblica


REGGIO CALABRIA - I carabinieri li hanno sentiti pianificare le incursioni notturne, organizzare i danneggiamenti. Stabilire quali mezzi dovevano saltare in aria e quali essere devastati a mazzate. Per lavorare sui cantieri della Salerno-Reggio Calabria, dovevano pagare tutti. E nella zona di Scilla-Villa San Giovanni, i soldi toccavano a loro. Il 3% dell’importo dell’appalto, e “non meno”, doveva andare ai “Nasone-Gaietti”. 
All’alba di oggi una decina di componenti della cosca sono finiti in manette su richiesta della Dda di Reggio Calabria, che ha deciso di affondare il colpo mentre la cosca era ancora pienamente operativa. I carabinieri del Comando provinciale hanno notificato dodici “fermi” nei confronti di altrettante persone ritenute legate al clan degli scillesi. Il procuratore aggiunto Michele Prestipino e i pm Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane, hanno firmato i provvedimenti nel tentativo di bloccare lo stillicidio di intimidazioni che negli ultimi mesi ha riguardato una serie di aziende impegnate nella fornitura di servizi e materiali o subappaltatori dell’A3 e non solo. 
la mapppa del racket sulle forniture del cemento. anno 2008
In questo senso, il boss Giuseppe Virgilio Nasone, e i suoi uomini erano determinati. Nonostante l’arresto di un picciotto della “famiglia” catturato nei mesi scorsi - quando si era presentato ad un imprenditore per chiedere una mazzetta da sei mila euro - il gruppo non aveva nessuna intenzione di fermarsi. Anzi. Le microspie dell’Arma li avevano sentiti ragionare: “Non è che le cose non si possono fare, basta stare attenti”.Le cose da fare erano gli attentati. E di soldi ne arrivavano tanti dalle ditte intimorite. Alcuni imprenditori pagavano per evitare che le attrezzature, in molti casi particolarmente costose, fossero danneggiate. Altri per paura o per evitare che gli operai subissero ritorsioni anche violente. “Dobbiamo fare come quelli di Gioia Tauro – dicevano – quelli che pagano sono apposto. Agli altri gli facciamo saltare i palazzi”.
L’inchiesta della Procura di Reggio Calabria ha preso il via dalla denuncia di un imprenditore che non si è voluto piegare. Così, a marzo del 2011 è finito in carcere Giuseppe Fulco, cugino dei Nasone. Gli inquirenti, incassato il risultato, tuttavia, non hanno mollato la presa ed hanno continuato ad ascoltare i suoi commenti in carcere. Ed è durante i colloqui con la madre e la sorella che sono venuti fuori una serie di elementi che hanno consentito di ricostruire la rete di rapporti interni alla cosca. Il clan infatti continuava a versargli “la mesata” ed a spartire con lui gli utili di altre estorsioni. Altre microspie e una serie di pedinamenti hanno fatto il resto, riuscendo a dare un volto ed un nome ad ogni componente del clan e a ricostruire i singoli episodi.  
GIUSEPPE BALDASSARRO

martedì 29 maggio 2012

Omaggio a Falcone sul sito FBI pioniere lotta globale al crimine


Il giudice Giovanni FalconeL'FBI rende omaggio a Giovanni Falcone, vent'anni dopo la sua morte. "Ben prima che la parola 'globalizzazione' entrasse nel nostro vocabolario, il giudice Falcone capì che nessun paese poteva combattere il crimine da solo", ha dichiarato il direttore dell'FBI Robert Mueller, sottolineando "gli stretti rapporti" di lavoro e "amicizia", che Falcone seppe costruire negli Stati Uniti e nel resto del mondo. L'omaggio a Falcone compare sul sito del Federal Bureau of investigation, dove viene ricordata l'inchiesta "pizza Connection" che segnò l'inizio della collaborazione fra il giudice palermitano e l'Fbi.
Il processo del 1985 cementò il rapporto personale e professionale fra Falcone e l'allora procuratore di New York Louis Freeh. Dopo l'assassinio di Falcone, la moglie e i tre agenti della scorta, l'allora capo dell'Fbi William Session propose di erigere un memoriale per il giudice all'Accademia dell'Fbi di Quantico. Due anni dopo, un busto in bronzo di Falcone fu inaugurato da Freeh, diventato capo dell'Fbi. Il Federal Bureau ha ricordato il giudice italiano a vent'anni dal suo assassinio da parte della mafia con una cerimonia che si è svolta il 18 maggio. 


Fonte: Libera Informazione

lunedì 28 maggio 2012

il dovere della memoria: Strage di Piazza della Loggia a Brescia - 28 maggio 1974

 Strage di Piazza della Loggia a Brescia . 28 maggio 1974





Lo abbiamo scritto solo pochi giorni orsono, commemorando Melissa Bassi, la studentessa uccisa nell'attentato di Brindisi:
"(...) Morti innocenti, delitti oscuri perpetrati da mani a cui abbiamo dato il nome di mafie, bande, terroristi, servizi segreti deviati, golpisti. E’successo e potrebbe succedere ancora: delitti commessi pensando che, in Italia, potesse servire “a qualcosa e a qualcuno” spargere sangue innocente, seminare paure e insicurezza per annientare persone, idee, valori.(...)"
Quel giorno , il 28 maggio 1974, in Piazza della Loggia era in corso una manifestazione indetta dai sindacati e dal  Comitato Antifascista come atto di protesta contro gli episodi di terrorismo neofascista che si erano manifestati nei mesi precedenti. Una bomba nascosta in un cestino porta-rifiuti fu fatta esplodere mentre la folla era accalcata sotto il palco ascoltando il comizio.
Il 14 aprile 2012 la Corte d'Appello conferma l'assoluzione per tutti gli imputati appartenenti all'area della estrema destra, condannando le parti civili al rimborso delle spese processuali. 
L'ennesima strage italiana, l'ennesima strage "senza colpevoli". 
Quel giorno, il 28 maggio 1974,  oltre ad un centinaio di feriti, morirono 8 innocenti. .

Giulietta Banzi Bazoli, anni 34, insegnante
Livia Bottardi Milani, anni 32, insegnante
Euplo Natali, anni 69, pensionato
Luigi Pinto, anni 25, insegnante
Bartolomeo Talenti, anni 56, operaio
Alberto Trebeschi, anni 37, insegnante
Clementina Calzari Trebeschi, anni 31, insegnante
Vittorio Zambarda, anni 60, operaio

domenica 27 maggio 2012

La lettera che Giovanna Maggiani Chelli scrisse nel 2009 all’”Egregio Signor Salvatore Riina”:”Desidero informarla che mia figlia si è laureata”!

 All’”Egregio Signor Salvatore Riina”: "Desidero informarla che mia figlia si è laureata”!
Fonte:  Bruna Italia Massara on lug 13th, 2009 archiviato in Cronaca, Lazio, Palermo, Regionale, Roma, Sicilia.
Roma, 13 luglio 2009.
Giovanna Maggiani Chelli
«Desidero informarla che mia figlia, colei alla quale i suoi uomini hanno rovinato la vita in via dei Georgofili il 27 Maggio 1993, si è questa mattina a Firenze presso la Facoltà di Architettura , con 110 e Lode». Così Giovanna Maggiani Chelli, mamma di Francesca,  la fidanzata di Dario Capolicchio, lo studente ucciso in Via dei Georgofili. Giovanna Maggiani Chelli è  presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di Via dei Georgofili, scrive pubblicamente in una drammatica lettera all’«Egregio Signor Salvatore Riina». 
Si tratta, come ricorda la stessa Giovanna Maggiani Chelli, della «terza volta che le scrivo pubblicamente nel corso di questi 16 anni». «Naturalmente -continua- tutte le mie lettere sono cadute nel vuoto: Lei non si pentirà mai. Questo ho sempre chiesto nelle mie lettere: il suo ‘pentimentò, ma lei mai e poi mai collaborerà con la giustizia perchè, ne sono certa, ritiene di non essere ‘un infamè. È una questione di punti di vista. Lei i collaboratori li chiama ‘infamì, io non li amo, ma li ritengo persone che hanno il coraggio di guardare in faccia la realtà, che hanno preso coscienza del fatto di aver ucciso tante persone e, con le loro azioni, di aver pesantemente condizionato la vita democratica del nostro Paese». 
Nella lettera, la Maggiani Chelli, che rivolgendosi a Riina scrive inoltre, «lei una coscienza non ce l’ha. Ma, se può consolarla, fra i politici, nelle Istituzioni, fra i dirigenti di aziende importanti e di finanziarie ancora più importanti, fra i direttori di banca come tra gli alti prelati, sono in tanti a non avere una coscienza, come lei», spiega di voler informare l’ex ‘capo dei capì della laurea della figlia, perchè «suo cognato Leoluca Bagarella brindò quando esplosero le bombe nel 1993. Oggi sappiamo che tutti brindaste perchè sapevate che vi avrebbero abolito il ’41 bis’, quel famigerato ’41 bis’ che tanto fa dannare la mafia perchè teme che chi non sopporta il carcere duro si faccia ‘sbirrò. Come Gaspare Spatuzza ultimamente o come Giovanni Brusca che, sia pure con difficoltà, ogni tanto qualcosa di buono dice. Io brinderò pubblicamente quando moriranno coloro che nel 1993 ci hanno messo nelle mani della mafia, ogni volta che ne morirà uno solleverò un calice e urlerò come fece Bagarella quando morirono i nostri figli». 
In un altro passaggio, dedicato alla laurea della figlia, che nell’attentato di via dei Georgofili rimase gravemente ferita, riportando in seguito alcune gravi malattie degenerative, la Maggiani Chelli scrive che, «pur fra mille difficoltà, con uno Stato spesso disattento, mia figlia ce l’ha fatta a raggiungere quell’obiettivo che si era prefissata. Posso oggi ben dirlo: quella mattina del 27 Maggio 1993, mia figlia doveva affrontare un importante esame di architettura. Il sistema marcio, colluso con ‘cosa nostra’, colluso con lei , ha cercato di fermarla, ma non ce l’avete fatta. (...) Non è una laurea in architettura che restituirà la vita rubata alla mia grandissima figlia ma lo sforzo compiuto per ottenere questa laurea in Architettura, per non darla vinta a Lei e ai suoi arroganti mafiosetti, per non darla vinta a quei politici che hanno fatto e fanno affari con lei comprandosi barche da mille metri e ville faraoniche in mezzo al verde, a quei banchieri che i soldi li hanno messi sul tavolo di trafficanti di armi che hanno le case piene di quadri preziosi, e ancora per non darla vinta a quei capi militari che giocano a chi compra il diamante più grosso alla propria moglie e a quegli uomini di Chiesa che si sono venduti per avere più oro sulle mitre e infine a quegli uomini delle Istituzioni che si sono venduti anche solo per risultare più importanti, ebbene quello sforzo compiuto è riuscitoQuesta laurea di mia figlia è la rivincita su quei 300 chili di tritolo usato sulla pelle di innocenti per nascondere ancora una volta le miserie di chi ha dato alla mafia la possibilità di andare in Parlamento. Ne approfitto mentre ho la penna in mano -conclude- dica a sua figlia di trovarlo lei il coraggio di raccontare tutto quello che sa, di dirci con chi il padre andava a braccetto e anche sua figlia ce l’avrà fatta, ce l’avrà fatta alla faccia di chi, ogni giorno, dice fra sè e sè ‘tanto i Riina non parlano, perchè sono mafiosi con la coppola e loro non tradiscono, noi invece con i colletti bianchi li sappiamo tradire eccome’. I politici ci hanno traditi, diceva spesso Leoluca Bagarella in aula a Firenze, durante i processi per le stragi del 1993. Io c’ero»  (Adnkronos)

Strage di Via dei Georgofili: Caterina Nencioni (50 giorni di vita), Nadia Nencioni (9 anni), Dario Capolicchio (22 anni), Angela Fiume (36 anni), Fabrizio Nencioni (39 anni);


Il dovere della memoria:

nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, a Firenze, viene fatta esplodere una Fiat Fiorino imbottita di esplosivo nei pressi della storica Torre dei Pulci, tra gli Uffizi e l'Arno, sede dell'Accademia dei Georgofili.
Nell'esplosione, perde la vita Caterina Nencioni (50 giorni di vita), Nadia Nencioni (9 anni), Angela Fiume (36 anni), Fabrizio Nencioni (39 anni), Dario Capolicchio (22 anni). Rimangono ferite 48 persone 



Fonte : LA Repubblica

LAURA MONTANARI
" Ricordare non è un esercizio di ripetizione perché nessun anniversario è uguale al precedente.(...) Stanotte ha un senso restare svegli, mescolarsi al corteo che partirà all’una da piazza della Signoria per arrivare sotto la torre de’ Pulci. Ha un senso ricordare l’esplosione, le sirene, il fuoco, il tappeto di vetri e calcinacci sulla strada. Ha senso tornare alla notte in cui abbiamo creduto che fosse «soltanto» una fuga di gas e ricordare invece la mattina dopo quando ci hanno detto che invece era una bomba. 
Morirono Angela e Fabrizio Nencioni, le loro figlie Nadia e Caterina e lo studente in architettura Dario Capolicchio. Quarantuno persone rimasero ferite. Furono danneggiati gli Uffizi, Palazzo Vecchio, la chiesa di Santo Stefano al Ponte Vecchio e tutte le abitazioni intorno. 
(...) "Le istituzioni dovrebbero cercare quello sviluppo e quella crescita che permettano ai giovani di inserirsi nel mondo del lavoro, senza dover ricorrere alla mafia." Lo ha detto il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, parlando con gli studenti nell'incontro a Firenze. Grasso ha ricordato di quando un boss gli raccontò di un padre di famiglia che, per sfamare la figlia, gli chiese un lavoro, finendo poi per prestarsi alle richieste della malavita. "Quel boss mi disse - ha ricordato Grasso - che la mafia sarà sconfitta quando, in quelle condizioni di difficoltà, ci si rivolgerà allo Stato e non alla criminalita".
"Come posso parlare di legalità - ha poi aggiunto - a chi non sa come sfamare la figlia? Poter avere un lavoro rende liberi". "La mafia è un fenomeno criminale - ha spiegato Grasso - ma c'è anche chi va chiedere un lavoro alla mafia, anche perchè a volte non ci sono alternative".
Sabato 26 maggio,(...)  i saluti delle Istituzioni con Giovanna Maggiani Chelli dell’Associazione dei familiari delle vittime, il procuratore antimafia Pietro Grasso e Alessio Mantellassi rappresentante delle Consulta provinciale studentesca di Firenze. A conclusione un concerto della Fanfara della scuola Marescialli e Brigadieri dei Carabinieri di Firenze. All’una quindi, da Palazzo Vecchio partirà il corteo silenzioso che arriverà alle 1.04 sul luogo dell'attentato, in via dei Georgofili appunto, dove verrà deposta una corona di alloro. 
Questa mattina mattina,, alle ore 8.00,  al Cimitero della Romola, verrà portato un cuscino di rose sulla tomba della famiglia Nencioni e un’ora dopo, al Cimitero Sarzanello di Sarzana, identica cerimonia sulla tomba di Dario Capolicchio. Alle 11, nella Chiesa di San Carlo in via Calzaiuoli, Santa Messa in suffragio delle vittime. Altre iniziative sono previste in Palazzo Vecchio e all’Accademia dei Georgofili.

Gli ultimi dieci minuti prima della bomba
fonte: Corriere della Sera

FIRENZE - Dario alza lo sguardo verso le lancette dell’orologio in cucina. Segna l’una meno cinque di notte. «Francesca, smettiamo un po’?». Lei accarezza le pagine del libro che sta studiando, sorride e lo guarda: «Dai, ancora una mezzora e poi ce ne andiamo a dormire». Hanno vent’anni, vengono da Sarzana, erano al liceo insieme e insieme si sono iscritti ad Architettura, a Firenze. Vivono in affitto in via dei Georgofili, all’ombra dei grandi finestroni degli Uffizi. Un piccolo appartamento al terzo piano, condiviso con un altro studente che stasera non c’è: il treno da Carrara è stato soppresso e lui non è riuscito a tornare a Firenze. Dario e Francesca non sono proprio partiti, la settimana prossima hanno un esame importante e hanno deciso di non perdere neanche un giorno. Quella casa è il loro sogno: le travi di legno, i quadri da appendere alle pareti, la vita quotidiana passata tra una colazione veloce, i quaderni degli appunti, l’armadio troppo piccolo per due, le cene con gli amici dell’università. «Va bene Frà, facciamo un altro quarto d’ora, dai».
La signora Giovannella ha 84 anni. È la direttrice della pensione «Quisisana», a due passi da Ponte Vecchio. Quella che ha ispirato lo scrittore Edward Morgan Foster per il romanzo «Camera con vista» e poi il celebre film di James Ivory. Ormai tutti i turisti vogliono passare almeno una notte nella «camera 22», proprio davanti al Corridoio Vasariano. Stasera ci dorme una coppia di americani, la ragazza è incinta di sei mesi. Per prendere la stanza ripetevano insistentemente «Ivory, Ivory». Giovannella non ha sonno. Apre una finestra e guarda San Miniato al Monte, respira l’aria di primavera che sembra ancora più bella a Firenze. Passeggia nel corridoio, butta un occhio sulle camere. Stanotte ci sono sessanta ospiti. Il latte, ci sarà il latte? Scappa in cucina, apre il frigo. Sì, c’è latte per tutti. Giovannella ha già apparecchiato la stanza delle colazioni. Poi si siede ad uno dei tavoli. Apre una rivista di enigmistica e comincia a fare due parole crociate. Così, per ingannare il tempo, che stanotte non la fa dormire.
Nadia invece a letto c’è da un po’. È la figlia di Angela, la custode dell’Accademia dei Georgofili. Vive nella Torre dei Pulci, ha nove anni. Suo papà Fabrizio è un vigile. L’ha sentito che si svegliava perchè Caterina piangeva. I bimbi così piccoli, pensa Nadia nel dormiveglia, piangono sempre e che urla che tirano. Oggi la mamma le ha detto che è stata brava: oltre a guardare la sorellina nata da due mesi, ha scritto anche una poesia. La recita al suo orsacchiotto: «Il pomeriggio se ne va/ il tramonto si avvicina/un momento stupendo/il sole sta andando via (a letto)/è già sera/tutto è finito».
All’Accademia regna un gran silenzio. È quello dei libri, più di 70mila volumi e dodicimila manoscritti dal 1700 ad oggi. Stanno lì e aspettano gli studiosi che domani verranno. Il Corridoio Vasariano invece, aspetta i suoi turisti. Pochi, scelti, perché lì si va solo per appuntamento. Da lì i granduchi si muovevano liberamente tra un palazzo e l’altro.
L’orologio della notte si ferma alle 1.04. Marco, da piazzale Michelangelo vede due lampi bianchi e una fiamma. Poi, Firenze muore.
Alessandra Bravi

sabato 26 maggio 2012

Pino Masciari è tornato a casa


Pino Masciari  torna a casa . Ma resta il giallo sulla scorta dopo oltre 36 ore di silenzio

26 marzo 2008: Pino Masciari  riceve la Cittadinanza Onoraria della Città di Pinerolo
di Roberto Galullo
Fonte: Sole 24 Ore

Il suo telefono cellulare risulta ancora irraggiungibile ma i ragazzi che da anni lo accompagnano quando la scorta del Viminale latita o comunque è insufficiente, hanno telefonato alla moglie Marisa: Pino Masciari, di cui si erano perse le tracce a Cosenza dalla mattina di ieri, sta tornando a casa a Torino.
A dirlo al Sole-24 Ore è la moglie che ancora non ha parlato direttamente con il marito ma è stata rassicurata dai ragazzi e dalla ragazze che lo hanno incontrato. «Pino sta raggiungendo la prefettura – dice Marisa Masciari – e del resto il prefetto del capoluogo piemontese è stato l'unico che ci ha testimoniato presenza e affetto. Dalla Calabria, invece, nessuna voce. Solo silenzio».

venerdì 25 maggio 2012

La moglie racconta la scomparsa del testimone di giustizia Pino Masciari – Rapito o rifugiato per paura?


Marisa non mi piace quel che sta accadendo, c’è un vuoto. La scorta mi ha girato le spalle e se ne è andata”. Ecco le ultime frasi dette ieri mattina alla moglie, Marisa, dal testimone di giustizia calabrese Pino Masciari.
Marisa non sa darsi pace al telefono per la scomparsa di suo marito ma resta lucida al punto da non abbandonarsi a facili ipotesi. “Non so se sia scomparso, se l’abbiano preso, se impaurito si sia rifugiato da quale che parte in Calabria – dice - non so ancora nulla. So solo che la scorta che avrebbe dovuto riportarlo a casa, qui al Nord, è arrivata sotto l’albergo di Cosenza dove risiedeva da due notti, gli ha comunicato che non poteva accompagnarlo e se ne è andata”.
Già in Calabria. Per la precisione era a Cosenza, dove il giorno prima, il 23 maggio, Pino Masciari - ricco costruttore edile che nella sua regione denunciò usurai e cosche e per questo non solo ha perso tutto ma da quel momento la sua vita è a rischio – aveva partecipato a dibattiti sulla legalità all’Università e a una rappresentazione teatrale tratta dal libro che ha scritto con la moglie. E’ stato fino a sera con gli attori, ha incontrato gente, ha stretto mani, ha gridato la forza dello Stato e lo squallore della violenza ‘ndranghetista ed è andato in albergo.
Ieri, la mattina presto, ha chiamato la moglie per rassicurarsi che tutto procedesse bene a casa e poi l’ha richiamata tra le 8 e le 8.30 per dirgli – terrorizzato – che la scorta non lo avrebbe riaccompagnato dalla famiglia al Nord. “Pino – racconta la moglie – e questo me lo hanno testimoniato anche persone che erano in quel momento con lui, tra le quali alcuni attori della compagnia, ha cercato di mettersi in contatto con il comandante del reparto scorte della città in cui viviamo per sapere che cosa stesse succedendo ma non è riuscito a parlargli”.
Tutte le ipotesi restano aperte e affrettare le conclusioni sarebbe sbagliato, sbagliatissimo. Per restare – dunque – ai fatti, va rilevato che ieri sera Marisa Masciari ha incontrato un maresciallo del reparto scorte della città in cui vivono. “La cosa incredibile – racconta Marisaè che lui chiedeva a me dove fosse mio marito. Deve essere lui, deve essere lo Stato a dirmelo”.
Una cosa che appare strana è che Pino Masciari si muove – oltre che con una scorta - anche con un “codazzo” di persone che lo accompagnano per fargli, pomposamente, da “scudi umani”: possibile che nessuno si sia accorto della sua scomparsa? “Conosco mio marito – dice Marisae so che quando è terrorizzato e ieri al telefono lo era più del solito, non si fida di nessuno, neppure di se stesso”.
Dunque scomparso o fuggito per ripararsi in attesa che lo Stato si rifaccia vivo per assicurargli protezione vera? “Ma quale protezione – si sfoga Marisain Calabria è un disastro. Lo scorso anno fu lasciato per ore a Vibo solo e con una valigia in mano”.
Meglio erano andate le cose nei giorni scorsi. Lunedi i coniugi Masciari erano partiti per Bologna dove Pino è stato insignito della cittadinanza onoraria. La moglie è tornata a casa e il marito ha proseguito per Corigliano (Cosenza), comune già sciolto per mafia, dove ha incontrato i ragazzi di una scuola elementare e la cittadinanza. Sempre – nei movimenti – accompagnato da una macchina del servizio protezione con due persone a bordo.
Terminato l’incontro ed è andato a Cosenza, dando sempre riferimenti degli spostamenti al reparto scorte delle località attraversate.
La sua testimonianza di legalità vera, forte – conclude Marisa che è in casa sola con i figli – da fastidio. Di fatto noi siamo esiliati. Mai ci è stato proposto dai calabresi di tornare a vivere in Calabria sicuri, protetti. Si naviga a vista”.
Non resta che sperare che il radar intercetti presto Pino e che possa raccontare cosa è accaduto da ieri mattina. Ogni ipotesi – anche le più assurde e impensabili – restano aperte.


Fonte: http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com

giovedì 24 maggio 2012



PLACIDO RIZZOTTO:  DOPO 64 ANNI L'ESTREMO SALUTO


Fonte: CorleoneDialogos

 "Dopo 64 anni finalmente Corleone potrà rendere l'estremo saluto al proprio concittadino, Placido Rizzotto, sindacalista e partigiano assassinato e fatto sparire dalla mafia perché di lui e delle sue idee non restasse memoria".
E' quanto afferma David Sassòli, capodelegazione Pd in Europa che per primo, all'indomani dell'identificazione dei resti di Rizzotto, avanzò su Twitter la richiesta dei funerali di Stato e che, domani mattina, parteciperà alla solenne cerimonia di Corleone. "Placido Rizzotto, Peppino Impastato, Nando Dalla Chiesa, Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, di cui oggi ricorre il ventennale dalla morte – aggiunge - sono, insieme a tanti altri caduti, gli eroi di una guerra che continua e che impegna l'intera collettività nella difesa strenua e costante della legalità e della democrazia. I funerali di Stato che domani che si svolgeranno alla presenza del Presidente Napolitano – conclude Sassòli - sono il doveroso omaggio ad un uomo che ha combattuto ed è morto nel nome della libertà da tutte le mafie e la dimostrazione che la lotta dello Stato contro la criminalità organizzata non conosce oblio né resa".

"SONO MORTI PER NOI..."


Ad un mese dalla morte del giudice Giovanni Falcone, a Capaci, il 23 giugno 1992i boyscouts organizzano un raduno a piazza Magione, nel cuore del quartiere della Kalsa di Palermo. 
Paolo Borsellino pur arrivando in ritardo riesce ad essere presente e viene invitato a prendere la parola, per ricordare l’amico. Tra fiaccole accese, le parole di Paolo Borsellino:



  “(…)  Sono morti per noi e abbiamo un grosso debito verso di loro. Questo debito dobbiamo pagarlo, gioiosamente, continuando la loro opera, facendo il nostro dovere. Rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici. Rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che possiamo trarne, anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro. (…)
La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le nostre giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. 
Ricordo la felicità di Falcone quando in un breve periodo di entusiasmo egli mi disse: "La gente fa il tifo per noi." E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l'appoggio morale della popolazione dava al lavoro del giudice, significava qualcosa di più: significava soprattutto che il nostro lavoro stava anche smuovendo le coscienze." 
Paolo Borsellino


mercoledì 23 maggio 2012

CAPACI: 23 MAGGIO 1992 - ore 17.58


"Gli uomini passano, le idee restano. 
Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini". GIOVANNI FALCONE

FRANCESCA MORVILLO -  GIOVANNI FALCONE  
ANTONIO MONTINARO - ROCCO DICILLO - VITO SCHIFANI


martedì 22 maggio 2012

Mafia, sciolto il Comune di Rivarolo Canavese


Il cdm azzera la giunta a pochi mesi dall'arresto del segretario comunale Antonino Battaglia Nelle carte di Dda e carabinieri i legami tra i politici e le 'ndrine  

Giunta azzerata. Il Consiglio dei ministri, previa relazione del ministro dell’Interno, ha sciolto il consiglio comunale di Rivarolo Canavese, in provincia di Torino. Qui, pochi mesi fa, l'operazione anti-'ndrangheta denominata «Minotauro», aveva portato all'estero, tra gli altri, anche del segretario comunale Antonino Battaglia.
Nei documenti e nelle intercettazioni in mano alla Dda e ai carabinieri risultava che Battaglia aveva fatto da tramite tra il sindaco Fabrizio Bertot, candidato alle Europee nel 2009 e alcuni esponenti delle ndrine locali per raccogliere voti e far eleggere l'esponente di An. Bertot, imprenditore e consigliere provinciale, non è mai stato indagato per questa vicenda. Lo scioglimento di Rivarolo arriva pochi mesi dopo quello disposto dal Viminale per il comune di Leini.
La Commissione Antimafia è ancora al lavoro nel comune di Chivasso dove ha chiesto una proroga dei tempi di indagine che scadrà a luglio. Il ministro Cancellieri qualche settimana fa, prima delle elezioni amministrative, aveva rassicurato la politica locale spiegando che il consiglio eletto col ballottaggio di ieri non rischiava lo scioglimento.


LODOVICO POLETTO
fonTE LA STAMPA

Manifestazione in memoria di Melissa Bassi - Pinerolo 21 maggio 2012


In memoria di Melissa Bassi 


Nel pomeriggio di sabato 19 maggio il Coordinamento Regionale di Libera, aveva diramato un comunicato nel quale si diceva: “(…) Qualunque sia la matrice del gesto inaudito che è costato la vita a Melissa Bassi non possiamo che fermarci a riflettere su ciò che è avvenuto e far sentire la nostra vicinanza alle vittime dell'attentato e alle loro famiglie, tenendo alta l'attenzione sulle indagini e in attesa di capire chi possa avere interesse a seminare terrore e a mietere vittime innocenti.(...)
Siamo qui questa sera perché, in nome di quei giovani, vogliamo ribadire la nostra volontà a voler difendere i principi della Legalità e della Giustizia: principi fondamentali e su cui regge la stessa Costituzione Italiana, una carta a cui tante volte viene recata offesa. Quanto avvenuto a Brindisi mina addirittura le regole etiche basilari di convivenza di una comunità che voglia dirsi civile e democratica: si distrugge la vita di una giovane innocente e proprio dinanzi ad una scuola, luogo-simbolo della apprendimento, della conoscenza, del sapere da cui si deve attingere per poter costruire un futuro possibile, migliore. “Nessuno tocchi la scuola”, abbiamo detto. 
Allora, siamo qui anche per ricordarci che le parole pronunciate da Piero Calamandrei il 26 gennaio 1955 a Milano, a difesa dei principi della costituzione, costituiscono un monito valido oggi più che mai. Diceva Calamandrei: “(…) la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la propria responsabilità, la volontà di mantenere queste promesse, …”.  E le promesse a cui faceva riferimento Calamandrei sono che l’Italia è fondata sul lavoro; che lo stato tutela la salute e la sicurezza dei cittadini; che premia il merito; che  rimuove gli ostacoli economici che i capaci e i meritevoli possono incontrare…
Quante promesse sono state mantenute? Anche per questo che siamo qui stasera.
Ancora non conosciamo gli autori e le motivazioni di quel gesto. Ma siamo qui anche perchè dobbiamo avere il coraggio di dire che occorre un cambiamento profondo: va ricostruita “l’innocenza” e “la speranza” di questo paese. Dobbiamo avere il coraggio di dire ai giovani che sono presenti questa sera, e a noi stessi, che sabato mattina , quando abbiamo appreso quanto era avvenuto a Brindisi, abbiamo avuto tutti lo stesso pensiero: che potesse essere l’ultimo atto della lunga catena di morti innocenti che hanno travagliato la storia dell’Italia negli ultimi decenni. Morti innocenti, delitti oscuri perpetrati da mani a cui abbiamo dato il nome di mafie, bande, terroristi, servizi segreti deviati, golpisti. E’successo e potrebbe succedere ancora: delitti commessi pensando che, in Italia, potesse servire “a qualcosa e a qualcuno” spargere sangue innocente, seminare paure e insicurezza per annientare persone, idee, valori. 
Erano innocenti i contadini che festeggiavano il primo maggio del 1947 a Portella delle Ginestre; erano innocenti le persone che il 13 dicembre del 1969 erano nella sala della Banca dell’Agricoltura a Milano; erano innocenti coloro che, il 1 agosto del 1980 erano alla Stazione di Bologna; erano innocenti, solo per citarne alcuni, uomini come Massimo D’Antona; Vittorio Bachelet, Giorgio Ambrosoli; erano innocenti i due degli eroi italiani, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, di cui ci apprestiamo a celebrare il ventennale della morte e di cui ripeteremo: "Non li avete uccisi. Le loro idee camminano sulle nostre gambe” 
Siamo qui  questa sera perché vogliamo dire che morti come quelle non devono più ripetersi; Come ha detto don Luigi Ciotti, noi siamo qui perché «È ora di trasformare le paure in speranza.”  Certezze di  lavoro e  sostegno alle famiglie; certezza di futuro per i giovani affinché possano realizzare i loro progetti e costruire a loro volta famiglie che diano futuro a questo paese; alla convivenza civile di questo paese,  futuro alla stessa democrazia  .
E allora noi siamo qui perché, nel ricordo di Melissa Bassi e dei tanti morti innocenti di questa Italia, dovremmo anche riconquistare l’etica di essere comunità: dovremmo riconquistare il pensiero di sentirci, tutti quanti e tutti insieme, responsabili in piccola parte del destino e della vita di chi ci sta accanto. Dovremmo imparare di nuovo ad avere cura e interesse per chi vive intorno a noi. L’innocenza che abbiamo perduto in questi anni ha portato egoismi, solitudini, insicurezze, paure. Invece dobbiamo fare come questa sera: tornare a riempire le piazze per esprimere le nostre opinioni; tornare ad affollare le assemblee pubbliche, i dibattiti, i circoli nei quali discutere e confrontare idee. E tanto meglio se queste idee sono differenti perché proprio da un confronto onesto di idee oneste e differenti che possono scaturire visioni nuove e di progresso.  
 Aveva ragione Peppino Impastato quando diceva dell’importanza di saper riconoscere e difendere la Bellezza. Perché difendere la Legalità e la Giustizia significa anche imparare a riconoscere e a difendere la Bellezza: la bellezza di vivere in una comunità fondata su principi della nostra costituzione; la bellezza di avere rapporti sinceri e onesti; la bellezza di vivere in luoghi sicuri e sani; la bellezza di vivere in luoghi nei quali siano difesi i valori inestimabili del paesaggio che la natura ci ha offerto; la bellezza di saper riconoscere e difendere i valori  che ci vengono dalla storia e dalla cultura, costruita e tramandata dagli italiani che ci hanno preceduto. 
Noi siamo qui questa sera per ribadire tutte queste cose, in memoria della bellezza negata a Melissa Bassi e addolorati per l'offesa arrecata alla Bellezza degli studenti di Brindisi: che non abbiamo paura; che non ci sentiamo soli; che vogliamo difendere la Legalità e la Giustizia della nostra Italia; che vogliamo riconquistare la Bellezza della nostra vita.  
Arturo Francesco Incurato
Presidio Libera “Rita Atria “ Pinerolo

domenica 20 maggio 2012

In ricordo di Melissa e contro l'assurda violenza perpetrata verso gli studenti della scuola Francesca Morvillo di Brindisi.


Pinerolo, lunedì 21 maggio, ore 21.00 PIAZZA FACTA: manifestazione in ricordo di  MELISSA BASSI e contro l'assurda violenza perpetrata verso gli studenti della scuola Francesca Morvillo Falcone di Brindisi.


Estratto dal Comunicato della rete regionale di Libera: "Il Coordinamento Regionale di Libera Piemonte si è unito alla manifestazione tenutasi alle 18.30 in piazza San Carlo a Torino e  in tante altre piazze del Piemonte. Qualunque sia la matrice di questo inaudito gesto, non possiamo che fermarci a riflettere su ciò che è avvenuto e far sentire la nostra vicinanza alle vittime dell'attentato e alle loro famiglie, tenendo alta l'attenzione sulle indagini e in attesa di capire chi possa avere interesse a seminare terrore e a mietere vittime innocenti.(...)".
Pertanto, il presidio di Libera "Rita Atria"- Pinerolo invita i cittadini pinerolesi, gli studenti, le associazioni di volontariato, le rappresentanze sindacali, le forze politiche, a partecipare - tutti insieme e per la difesa dei principi di Legalità e Giustizia- alla manifestazione indetta per domani, lunedì 21 maggio 2012 ore 21.00, con ritrovo in Piazza Facta: una candela accesa, un segno di vicinanza e di impegno in memoria di chi è stato ucciso, vittima innocente della barbarie criminale.

presidio Libera "Rita Atria" Pinerolo

sabato 19 maggio 2012

ORE 8.00 - A BRINDISI: MUORE UNA RAGAZZA PER ESPLOSIONI DAVANTI ALLA SCUOLA


ORE 8.00 - ESPLOSIONI DAVANTI ALLA SCUOLA
Fonte : La Repubblica

Questa mattina , due esplosioni di fronte all’istituto professionale Morvillo Falcone di Brindisi. Una studentessa è morta e altri sette ragazzi sono rimasti feriti - un altro sarebbe in pericolo di vita -, immediatamente trasferiti nell’ospedale Perrino. L'attentato si è scatenato poco prima delle otto. Il nome della ragazza uccisa dall'esplosione è Melissa Bassi di 16 anni. L'edificio, a trenta metri dal tribunale, è stato immediatamente sgomberato, e il Palazzo di giustizia è circondato da forze dell’ordine e artificieri di carabinieri e polizia. Le schegge prodotte dalle esplosioni hanno raggiunto negozi a duecento metri di distanza, scardinando addirittura una saracinesca, al di là del vialone, a trenta metri dal tribunale. A quanto pare gli ordigni - sarebbero tre - sono stati collocati su un muretto vicino a una scuola. I ragazzi sarebbero rimasti feriti mentre passavano di lì e stavano entrando per le lezioni. Dopo le deflagrazioni, in rapida successione, scene di panico e disperazione di fronte all’edificio, rimasto intatto. Non si capisce ancora a chi possa essere addebitato l’incredibile gesto. Ma colpisce una coincidenza: oggi a Brindisi farà tappa la Carovana della legalità. "Le ipotesi sono tutte aperte e occorre vagliare tutti gli elementi per verificare se si tratta del gesto di un folle.... Ma quella scuola ha un nome importante...". E' il commento a caldo del fondatore di Libera Don Ciotti, dai microfoni di SkyTg24, al sanguinoso attentato all'Istituto professionale Morvillo Falcone di Brindisi.



(19 maggio 2012)

venerdì 18 maggio 2012

Ricevere voti da mafiosi? In Italia non sempre è reato. A San Marino adesso sì



Ricevere voti da mafiosi? In Italia non sempre è reato. A San Marino adesso sì
Fonte: Corriere della Sera 
Vent'anni dopo le stragi siciliane, l'Italia non ha ancora affrontato il rapporto tra mafia e politica
Chiedere e ottenere voti da un mafioso senza essere condannati? In Italia è possibile, a San Marino da pochi giorni no. La Fondazione che ricorda il giudice Antonino Caponnetto ha lavorato all'emanazione del primo testo di legge antimafia nel piccolo staterello dove entrano ed escono miliardi di euro provenienti dalla criminalità organizzata e non solo.
Reportime ha intervistato l'Avvocato Mario Giarrusso della Fondazione Caponnetto che ha lavorato al progetto di legge prestando grande attenzione ai rapporti tra mafia e politica. «A San Marino - spiega Giarrusso - il semplice fatto di chiedere a soggetti mafiosi voti o di ottenere da soggetti mafiosi sostegno elettorale è un reato. In Italia non è così semplice, è richiesta la prova di un vantaggio economico per la mafia in mancanza della quale anche il palese appoggio potrebbe non configurare un reato».
Antonio Condorelli


http://www.corriere.it/inchieste/reportime/interviste/ricevere-voti-mafiosi-italia-non-sempre-reato-san-marino-adesso-si/dbdc622e-a04c-11e1-bef4-97346b368e73.shtml


giovedì 17 maggio 2012

Falcone e Borsellino : "(...) Sono stati la parte più importante della mia vita". Antonino Caponnetto


A 20 anni dalle stragi di Capaci e via d'Amelio
A 20 anni dalle stragi di Capaci e via d'Amelio, nel corso dell'ultima puntata di "Quello che (non) ho" in diretta su La7 Roberto Saviano ha voluto rendere omaggio a Falcone e Borsellino. Un ricordo affidato a un passo dell'intervista che fece Gianni Minà il 23 maggio 1996 al giudice Antonino Caponnetto. "Non so cosa siano stati per me Falcone e Borsellino - dice Caponnetto - Sono stati la parte più importante della mia vita, sono stati tutte queste cose insieme: amici, colleghi di lavoro, figli, fratelli. Sono stati un punto di riferimento insostituibile nella mia vita"

mercoledì 16 maggio 2012

il presidio di Libera "Rita Atria" incontra gli studenti del Liceo Scientifico Marie Curie di Pinerolo


Lunedì 14 maggio 2012: il presidio Libera "Rita Atria" Pinerolo incontra alcuni studenti del Liceo Scientifico Marie Curie di Pinerolo. 
In questo primo appuntamento, il tema dell'incontro è stato l'origine della mafia per arrivare alla rievocazione delle stragi siciliane del 1992. 
Lo ricordiamo. Il 23 maggio 1992,  a Capaci, la mafia siciliana uccide il giudice Giovanni Falconela moglie del giudice Falcone  Francesco Morvillo, e tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Dicillo.
Il 19 luglio 1992, in via d'Amelio a Palermo, la mafia siciliana uccide il giudice Paolo Borsellino e quattro agenti della scorta: Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. 
Abbiano provato a spiegare ai ragazzi che, come ci ha insegnato Peppino Impastato, bisogna saper riconoscere e difendere la Bellezza nelle nostre vite ai ragazzi.  
Perchè  le mafie sono la Bellezza negata.
Le mafie sono la Bellezza negata ai territori italiani, stuprati dalla devastazione  del paesaggio; un devastazione cieca, quotidiana, che non sembra vedere fine.
Le mafie sono la Bellezza negata ad intere comunità del nostro paese, laddove territori e mari sono stati usati e ridotti a pattumiera di rifiuti tossici.
Le mafie sono la Bellezza negata ai cittadini costretti a pensare di dover ottenere come "favore" quello che invece è deve essere "diritto" acquisito dopo che si è compiuto il proprio dovere.
Le mafie sono la Bellezza negata a coloro ai quali è negata la libertà di sceglier liberamente i propri rappresentati e le guide delle comunità.
Le mafie sono la Bellezza negata all'Italia, uccidendo uomini e donne che, come Giovani Falcone e Paolo Borsellino,  era servitori fedeli dello Stato, cittadini onesti.
Laddove viene negata la Bellezza, là spesso si viola il principio della Legalità e della Giustizia.
presidio Libera "Rita Atria"  Pinerolo



martedì 15 maggio 2012

STRAGE DI VIA D'AMELIO. Nuova inchiesta



Sì alla deposizione di 4 pentiti
Fonte : La Repubblica

Il Gip del Tribunale di Caltanissetta, Alessandra Giunta, ha ammesso l'incidente probatorio per sentire quattro collaboratori di giustizia, tra cui Gaspare Spatuzza, nell'ambito del nuovo filone d'inchiesta sulla strage mafiosa di via D'Amelio. La richiesta era stata avanzata lo scorso aprile dall'avvocato Flavio Sinatra, legale del boss palermitano Salvuccio Madonia e di Vittorio Tutino, che il mese scorso hanno ricevuto un ordine di custodia per l'attentato contro il giudice Paolo Borsellino. 
Alla richiesta si era opposta la Procura di Caltanissetta. 

L'incidente probatorio si terrà a Roma dal 5 al 9 giugno. Saranno sentiti in quelle date i pentiti Giovanni Brusca, Antonio Giuffrè, Tullio Cannella e Gaspare Spatuzza. Lo scorso marzo erano state emesse quattro ordinanze di custodia cautelare nei confronti del capomafia palermitano Salvatore Madonia, 51 anni , di Vittorio Tutino, 41 anni, ei Salvatore Vitale, 61 anni e dell'ex pentito di Sommatino (Caltanissetta), Calogero Pulci, 52 anni che risponde solo di calunnia aggravata.
Salvatore Madonia, detto Salvuccio, è considerato uno dei mandanti, mentre Tutino è accusato di aver rubato, assieme a Spatuzza, la Fiat 126 usata poi come autobomba nella strage.
Salvatore Vitale, già condannato per il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, avrebbe procurato l' esplosivo i congegni elettronici per l'autobomba, e sarebbe stato la "talpa" degli attentatori in via D'Amelio

mercoledì 9 maggio 2012

Peppino Impastato: la Bellezza negata. Cinisi 9 maggio 1978

La notte del 9 maggio 1978 Peppino Impastato veniva assassinato dalla mafia



Lo ha insegnato Peppino Impastato:
Le mafie sono la Bellezza negata.
Le mafie sono la Bellezza negata ai cittadini costretti a pensare di dover ottenere come "favore" quello che invece è "diritto" acquisito dopo che si è compiuto il proprio dovere.
Le mafie sono la Bellezza negata a coloro ai quali è negata la libertà di sceglier liberamente i propri rappresentati e le guide delle comunità.
Le mafie sono la Bellezza negata ai territori italiani stuprati dalla devastazione  del paesaggio; un devastazione cieca, quotidiana,  che non sembra vedere fine.
Le mafie sono la Bellezza negata all'Italia
Laddove viene negata la bellezza, là spesso si viola il principio della Legalità e della Giustizia.

presidio Libera "Rita Atria"  Pinerolo


Il  Discorso di Salvo Vitale fatto alla Radio Aut la notte della morte di Peppino Impastato
9 maggio 1978. Terrasini (Pa)


" Stamattina Peppino avrebbe dovuto tenere il comizio conclusivo della sua campagna elettorale.
Non ci sarà nessun comizio e non ci saranno più altre trasmissioni. 
Peppino non c'è più, è morto, si è suicidato. 
No, non sorprendetevi perché le cose sono andate veramente così. Lo dicono i carabinieri, il magistrato lo dice. Dice che hanno trovato un biglietto: "voglio abbandonare la politica e la vita".
Ecco questa sarebbe la prova del suicidio, la dimostrazione. 
E lui, per abbandonare la politica e la vita, che cosa fa: se ne va alla ferrovia, comincia a sbattersi la testa contro un sasso, comincia a sporcare di sangue tutto intorno, poi si fascia il corpo con il tritolo e salta in aria sui binari. Suicidio.
Come l'anarchico Pinelli che vola dalle finestre della questura di Milano oppure come l'editore Feltrinelli che salta in aria sui tralicci dell'Enel. Tutti suicidi. 
Questo leggerete domani sui giornali, questo vedrete alla televisione. 
Anzi non leggerete proprio niente, perché domani stampa e televisione si occuperanno di un caso molto importante: il ritrovamento a Roma dell'onorevole Aldo Moro, ammazzato come un cane dalle brigate rosse. E questa è una notizia che naturalmente fa impallidire tutto il resto. 
Per cui chi se ne frega del piccolo siciliano di provincia, ma chi se ne fotte di questo Peppino Impastato. 
Adesso fate una cosa: spegnetela questa radio, voltatevi pure dall'altra parte, tanto si sa come vanno a finire queste cose, si sa che niente può cambiare. Voi avete dalla vostra la forza del buonsenso, quella che non aveva Peppino.
Domani ci saranno i funerali. 
Voi non andateci, lasciamolo solo. E diciamolo una volta per tutte che noi siciliani la mafia la vogliamo. Ma non perché ci fa paura, perché ci dà sicurezza, perché ci identifica, perché ci piace. Noi siamo la mafia. E tu Peppino non sei stato altro che un povero illuso, tu sei stato un ingenuo, sei stato un nuddu miscato cu niente". 
Salvo Vitale




martedì 8 maggio 2012

VENITE A TROVARCI DOMENICA 13 MAGGIO!! TROVATE IL NOSTRO STAND A "SAPORI DI VINI"


Si terrà sotto i portici di Pinerolo la Mostra Mercato che conclude la rassegna 2012. Il programma dettagiato dell'ultima settimana con degustazioni e concerti su: www.scopripinerolo.it

Domenica 13 maggio saranno presenti oltre trenta espositori alla riscoperta dei prodotti tipici del territorio. Ospite: la regione Sardegna in occasione del trentennale del cricolo Grazia Deledda. 

Ospite speciale: il Presidio Libera di Pinerolo intitolato a Rita Atria che porterà vino, olio, pasta ed altri prodotti provenienti dalle cooperative che aderiscono al progetto "Libera Terra".  Un machio che contraddistingue le produzioni biologiche realizzate dalle cooperative di lavoratori che gestiscono le terre confiscate alle mafie. Oggi in Italia sono attive 8 cooperative, tutte nel sud Italia (Sicilia, Calabria, Puglia, Campania e Lazio), che grazie alla Legge 109/1196, gestiscono strutture produttive e terreni confiscati alle organizzazioni mafiose. 
Ogni anno su questi terreni si svolgono inoltre campi di volontariato internazionale con giovani provenienti da ogni parte del mondo. 
L'associazione Libera nasce nel 1995 su iniziativa di Don Luigi Ciotti e per non disperdere la mobilitazione della società civile manifestatesi all'indomani delle stragi mafiose dei primi anni '90. Scopo del presidio è quello di voler dare continuità ed efficacia all'azione di conoscenza e contrasto culturale alle mafie proprio sul territorio nel quale si vive, di custodire e vivificare il ricordo delle vittime delle mafie.

Venite a trovarci!!


sabato 5 maggio 2012

Mafia: la lezione del questore di Piacenza Rino Germanà, il poliziotto che doveva morire


fonte: corleonedialogos.it, di Rino Giacalone - Istituto Mattei di Fiorenzuola, provincia di Piacenza. Aula magna gremita. Occasione un incontro, promosso da Libera Piacenza, con testimoni importanti della lotta alla mafia, il poliziotto e la familiare di alcune delle tante vittime. Anche il poliziotto doveva essere una vittima di Cosa nostra in quel terribile 1992. Anche per lui quest’anno ricorre un ventennale, i 20 anni trascorsi da quando il 14 settembre del 1992 Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano e Leoluca Bagarella tentarono in tutti i modi di ucciderlo. Si tratta dell’oggi questore di Forlì, Rino Germanà. All’epoca dirigeva il commissariato di Polizia di Mazara del Vallo.
C’era tornato da pochissimo tempo, quasi che una mano ignota aveva voluto fargli fare un passo indietro nella sua carriera. Era stato infatti già commissario a Mazara, poi aveva fatto il salto diventando dirigente della Squadra Mobile, da lì ulteriore passo in avanti, la Criminalpol, poi d’improvviso il ritorno da commissario a Mazara. Non doveva andare a Mazara Rino Germanà. Il procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Borsellino, lo voleva con lui a Palermo, riprendendo quel lavoro a due mani che loro si può dire da sempre sapevano svolgere. Borsellino lo aveva detto che Germanà doveva seguirlo a Palermo, forse pensava già a chiedere al Viminale per Germanà il posto di dirigente della Squadra Mobile del capoluogo dell’isola. Il 4 luglio quando Paolo Borsellino andò a Marsala a fare quel saluto che da Procuratore (uscente) non aveva potuto fare perché travolto dalla strage di maggio, quella del 23 maggio, in cui furono uccisi Giovanni Falcone, la moglie, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, non fece mistero che rivoleva Germanà con lui. Non ebbe il tempo, 15 giorni dopo arrivò per lui l’autobomba di via d’Amelio. Ucciso Borsellino, Rino Germanà si ritrovò catapultato nel passato, al processo per il suo tentato omicidio il pm Andrea Tarondo, che chiese e ottenne le condanne per mandanti ed esecutori di quell’agguato, non fece mistero di una sua convinzione e che cioè una “manina” aveva scritto quel trasferimento di Germanà a Mazara, quasi a portarlo a pochi metri dagli assassini più spietati di Cosa nostra. In quel 1992 Rino Germanà era finito nell’elenco delle persone che perché avevano dato fastidio alla mafia o potevano darne ancora, andavano eliminate, questo era l’ordine di Totò Riina. Oggi quello scenario si è fatto poco poco più chiaro: all’epoca di quell’agguato, Rino Germanà si stava occupando di indagini sul rapporto mafia e politica, andava fiutando ciò che succedeva attorno ad un potente politico, il ministro Calogero Mannino, sentito dai pm di Palermo, Germanà ha detto che si sentì chiedere dal vice capo della Polizia, prefetto Luigi Rossi, del perchè di quelle indagini, poi si sentì chiamare addirittura dal ministro Mannino, incontro rifiutato. Passò poco tempo e trovò il trasferimento a Mazara ad attenderlo, e quindi niente più indagini su Mannino. Sul tavolo di Rino Germanà però c’era un altro faldone, quello delle indagini sul rapporto tra mafia e banche, Cosa nostra da una parte, la importante Banca Sicula dall’altra parte, la banca dei banchieri per eccellenza di Trapani, i D’Alì. Anche quella non era una inchiesta di poco conto. La cronaca di quell’agguato sul lungomare Tonnarella di Mazara è da film, ma non fu un film. Germanà era in auto e si accorse di essere seguito, dietro un’auto che gli chiedeva spazio per il sorpasso, con la coda dell’occhio vede la canna di un fucile puntare contro di lui, la frenata, i colpi che cominciano a sentirsi, lui che scende dall’auto e fugge tra i bagnanti, si getta in auto, mentre dall’auto che lo seguiva si continua a sparare, l’auto percorre per un paio di volte la strada costiera, poi il commando capisce che non ha più nulla da fare e scappa via. Pochissime ore dopo Rino Germanà e la sua famiglia non si troveranno più a Mazara, portati lontani dalla Sicilia, dove non tornerà più per moltissimi anni. Nel frattempo non troverà importanti scrivanie ad attenderlo, addirittura per un periodo sarà il dirigente del commissariato di Polizia presso l’aeroporto di Bologna. Lo Stato sa piangere i suoi morti, i funzionari e gli investigatori fedeli, bravi e sopravvissuti spesso finiscono con l’essere dimenticati ancora prima dei morti. Ci vorranno anni perché Germanà torni in carriera, prima questore a Forlì, oggi a Piacenza.
Davanti agli studenti del Mattei di Fiorenzuola esordisce dicendo che non ha di che raccontare a proposito della sua storia. Nessuno mugugna, era quello che gli studenti volevano sentirsi dire.
E con il solito, simpatico, dialetto siciliano, inizia a fare la “sua” lezione. “Sapete – domanda ai ragazzi – cosa ci differenzia dai mafiosi? E sapete cosa unisce me, poliziotto, e voi studenti, contro la mafia?”. Non si sente parlare nessuno, non è imbarazzo, c’è semmai la voglia di sapere quale sono le risposte. E Germanà la fornisce subito la risposta, perché alle due domande è la stessa: "E’ il sorriso!”. Una consapevole risata rompe il ghiaccio. E il questore di Piacenza spiega: “Noi sorridiamo, i mafiosi no, noi siamo uniti dal sapere sorridere”. E continua: “E sapete cosa testimonia un sorriso?”. “Il sorriso è la prova che noi abbiamo dei sentimenti, i mafiosi non hanno il sorriso e non hanno i sentimenti”. Ma è solo il sorriso che ci differenzia dai mafiosi, continua a chiedere Germanà: “Noi abbiamo il desiderio di vivere, la mafia no, la mafia parla solo di morte, noi abbiamo il desiderio della conoscenza, la mafia è contro la conoscenza dei fatti, e la conoscenza è importante, perché se conosciamo siamo liberi, la conoscenza libera e ci…libera”.
La lezione di Rino Germanà va avanti in questa maniera, c’è il richiamo allo Stato che non è fatto di poltrone e potere ma “è fatto dai cittadini”, c’è il richiamo a quel dato che distingue i cittadini onesti dalla mafia, “la mafia pensa solo a provocare sofferenze, i cittadini che conoscono bene i diritti e i doveri sanno che è contro la sofferenza che bisogna impegnarsi”.
Con Rino Germanà c’è anche Margherita Asta, figlia e sorella delle vittime della strage di Pizzolungo del 2 aprile 1985: “C’è la mafia e ci sono i cittadini onesti – dice – non possono esistere tre fasce sociali, i mafiosi, gli antimafiosi e i cittadini che non si schierano né per una parte né per l’altra, l’antimafia non può essere una parte, è l’altra parte che si contrappone ai mafiosi insieme ai cittadini che vogliono essere liberi, non può esserci qualcuno che può dire di non essere né mafioso né antimafioso, chi dice una cosa di questo genere rende un favore alle mafie. Per essere contro la mafia basta solo una cosa, non bisogna essere – prosegue Margherita – per forza eroi o donne e uomini coraggiosi, basta sapere dire anche no”. Il pericolo di questi giorni Margherita Asta lo individua con precisione: “Sono la mafia e la corruzione, la politica oggi ha il dovere di portare in Parlamento proposte di legge utili a contrastare questo sistema criminale, Libera ha raccolto 1 milione di firme per avere più norme severe contro la corruzione e per vedere confiscati i beni a chi è corrotto”.
Applaudono alla fine gli studenti del Mattei. Un paio di ore di una lezione importante. Qui tra loro c’è chi racconta che le mafie non ci sono, non esistono, la stessa cosa accadeva a Trapani in quel 1985 mentre la mafia ammazzava. 
Qui, in Emilia Romagna la mafia non uccide, ci prova però a farlo, qui le mafie ci sono da tempo e le si trovano dentro le imprese, l’economia, ma c’è chi nega l’evidenza. C’è anche chi come Giovanni Tizian, giornalista di frontiera, ha raccontato di mafie e ndragheta, e si è trovato presto presto nel mirino dei sicari, gli stessi che tempo addietro gli hanno ucciso il padre in Calabria. Tizian oggi giovanissimo vive sotto scorta, e, al solito, quando scoppiano storie come la sua, tutti si ricordano, per dimenticarsene molto presto dei cronisti di periferia, quelli che più di altri giornalisti sono a pochi passi dai boss e ne raccontano le gesta di morte. Come accade in Sicilia, in ognuna delle nove province siciliane ci sono storie di cronisti da raccontarsi come quella di Tizian, e storie di studenti, come quelli di Fiorenzuola, ai quali c’è sempre pronto qualcuno che racconta loro che le mafie non ci sono. E invece non è così. A Trapani comanda quel gran pezzo di assassino che si chiama Matteo Messina Denaro uno che il cuore non l’ha nemmeno ammorbidito in nome della figlia che oggi frequenta un liceo di Castelvetrano e che non ha mai conosciuto il padre e che soprattutto non deve conoscere delle gesta criminali del genitore che quel giorno di 20 anni addietro a Mazara voleva uccidere un poliziotto che aveva fatto solo il suo dovere e che l’anno appresso si mosse in giro per l’Italia a piazzare bombe, a Roma, Milano e Firenze, per costringere lo Stato alla trattativa. Matteo Messina Denaro è questo e ancora peggio di tutto questo. 
Rino Germanà e Margherita Asta restano invece testimoni di storie amare, ma rappresentano loro, assieme ad altri, la storia bella di questa nostra Sicilia e di questa nostra Italia. Vent’anni dopo dalle stragi dovremmo ricominciare proprio da loro due, con loro due e con tutti quelli che sono come Rino e Margherita.