giovedì 21 novembre 2013

I magistrati del processo per la trattativa tra Stato e mafia non sono soli

anche DON LUIGI CIOTTI AL PROCESSO SULLA TRATTATIVA STATO E MAFIA

Palermo, 21 nov.- (Adnkronos) - "Sono venuto qui per dire ai magistrati del processo per la trattativa tra Stato e mafia che non sono soli". Lo ha detto all'Adnkronos don Luigi Ciotti, il Presidente di Libera arrivata pochi minuti fa al bunker del carcere Ucciardone di Palermo per partecipare all'udienza del processo che oggi vedra' l'audizione del pentito Antonino Giuffre'. "Libera si e' costituita parte civile del processo e segue tutte le udienza - dice don Ciotti - tutta la societa' civile deve sentire la responsabilita' di sostenere tutti i magistrati impegnati nella ricerca della verita'". "Alcuni segnali giunti negli ultimi tempi - dice ancora don Ciotti - impongono di vivere questa corresponsabilita' non solo a parole ma anche nei fatti. Per dare uns egnale forte, dire che i magistrati non sono soli. Non si costruisce giustizia senza la ricerca della verita'. Non lasciamoli soli".

Il Paese è cambiato, caro Nino non sei solo

CARO Nino Di Matteo, devi sapere che non sei solo, che tutti voi a Palermo, e in ogni angolo d`Italia, non sarete mai più soli. Dalla stagione delle stragi è cresciuta nel nostro paese la consapevolezza che la questione delle mafie non è solo di natura criminale. È un problema più profondo, anche culturale e sociale. Una questione che non sarebbe ancora cosi grave se a contrastare le mafie ci fossero stati, oltre alla magistratura e alle forze di polizia, la coscienza pulita e l`impegno della maggior parte degli italiani. Questa coscienza e questo impegno, lentamente e faticosamente si sono negli anmmoltiplicati. Devi dunque sapere caro Nino, anche se qualcuno—mafiosi o complici dei mafiosi — continua a minacciare e lanciare messaggi inquietanti, che oggi tu e tutti gli altri magistrati siete meno soli. Che minacciare voi vuoi dire minacciare tanti di noi, tanti italiani, che nei più vari ambiti si sono messi in gioco. Cittadini che non si limitano a scendere in piazza, a indignarsi o commuoversi, ma che hanno scelto di muoversi, di trasformare il loro "no" alle mafie in un impegno quotidiano per la democrazia, per la libertà e la dignità di tutti. Le luci non nascondono però le molte ombre. In tanti ambiti prevale ancora l`indifferenza o una semplice e facile risposta emotiva. Anche la politica non sempre ha saputo affrontare la questione con la pulizia morale e il respiro necessario: pensiamo solo ai troppi compromessi che hanno impedito un`adeguata riforma della legge sulla corruzione e ai patti sottobanco. Lo Stato, tutto lo Stato, deve proteggere se stesso e i suoi cittadini. Ma negli ultimi tempi, come molti segnali lasciano intendere, le mafie — indisturbate nei suoi livelli più alti: economia, finanza, appalti, affari—hanno approfittato per organizzarsii n silenzio. Quelle minacce dall`interno di un carcere dicono perciò una verità imbarazzante: se nell`ambito repressivo e giudiziario importanti risultati sono stati ottenuti, sul versante del contrasto politico e sociale c`è ancora molta strada da fare. Perché di una cosa dobbiamo essere certi:
sconfiggeremo le mafie solo quando sapremo colmare le disuguaglianze sociali che permettono il loro proliferare. Le mafie non vanno solo inseguite: vanno prevenute. Prevenzione vuoi dire anche realizzare la condizione di dignità e di libertà responsabile prevista dalla Costituzione, il primo e più formidabile dei testi antimafia. Altrimenti, nello scarto fra le parole e i fatti, continuerà a insinuarsi la più pericolosa e subdola delle mafie: quella della corruzione, del privilegio e dell`abuso di potere. A te un forte abbraccio da parte mia e dalle oltre 1600 realtà associate a Libera.

Don Luigi Ciotti su Repubblica | 14 nov 2013

venerdì 15 novembre 2013

Combattere la culture della mafie significa davvero essere "sentinelle del territorio" per difendere la Bellezza delle nostre vite.

Lo sappiamo. Combattere la culture della mafie significa davvero essere "sentinelle del territorio" per difendere la Bellezza delle nostre vite.

 Dopo 16 anni, sono diventate pubbliche le dichiarazioni sconvolgenti che l’ex boss del clan dei casalesi, Carmine Schiavone, aveva reso alla commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Solventi, scarti industriali, edili, ospedalieri, fusti tossici che valevano due milioni e mezzo di lire a pezzo, venivano nascosti a 25 metri di profondità in queste terre della zona tra Caserta e Napoli nord, per volontà dei boss e con la complicità "dei soliti ignoti", tutti consapevoli del rischio di avvelenare  la loro stessa  terra e le loro stesse comunità. 

Nel ‘97 il pentito annunciava, una sorta di crudele profezia, che tra vent’anni  tutti gli abitanti di quella zona sarebbero morti per i tumori provocati dalle sostanze tossiche che avvelenavano le falde acquifere, o per diossine sviluppate dagli incendi appiccate ai rifiuti. Così è nata quella che ora chiamiamo "Terra dei Fuochi".
Non basta. Ancora più sconvolgente è la constatazione dell'immobilismo, del sostanziale occultamento della verità,  perpetrato da ha conosceva fatti, luoghi e circostanze e le ha taciute più di un decennio.
Ora Legambiente ricostruisce le inchieste sul traffico dei rifiuti condotte dalla magistratura nel periodo 1991-2013 nel  "Dizionario dell'ecocidio nella Terra dei Fuochi",  alla vigilia della manifestazione promossa da comitati, associazioni, studenti che si svolgerà domani a Napoli per chiedere il ritorno della legalità e della sicurezza nelle zone devastate dai clan.
Fonte LA REPUBBLICA

Legambiente, le inchieste tracciano le rotte dei rifiuti in Campania

Sono 83 indagini - nel periodo 1991-2013 - sul traffico che ha determinato l'ecocidio nella Terra dei fuochi. L'associazione ambientalista ha ricostruito questa rete. E domani a Napoli chiederà il ritorno alla legalità nelle zone devastate dai clamdi ANTONIO CIANCIULLO
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IN 82 INCHIESTE sul traffico dei rifiuti condotte dalla magistratura nel periodo 1991-2013 sono racchiusi i dati e i nomi che compongono il "Dizionario dell'ecocidio nella Terra dei Fuochi". Lo ha ricostruito laLegambiente alla vigilia della manifestazione promossa da comitati, associazioni, studenti che si svolgerà domani a Napoli per chiedere il ritorno della legalità e della sicurezza nelle zone devastate dai clan.

Queste inchieste (tra le altre Adelphi, Black Hole, Caronte, Cassiopea, Chernobyl, Dirty Pack, Ecoboss, Falena, Giudizio Finale, Houdinì,  Madre Terra)  si sono concluse con 915 ordinanze di custodia cautelare, 1.806 denunce, 443 aziende coinvolte. Per un quarto di secolo lungo le rotte dei traffici  illeciti, è viaggiato di tutto: polveri di abbattimento dei fumi, morchia di verniciatura, reflui liquidi contaminati da metalli pesanti, amianto, terre inquinate provenienti da attività di bonifica. Nel complesso 10 milioni di tonnellate di rifiuti di ogni specie. Il che vuol dire, visto che un tir trasporta in media 25 tonnellate, circa 411 mila camion carichi di rifiuti che hanno attraversato mezza Italia. Camion che per lo più sono risultati invisibili ai controlli, ma ben presenti ai cancelli delle industrie intenzionate a scaricare sulla collettività  -  con danni gravissimi  -  costi che avrebbero dovuto essere iscritti ai bilanci aziendali.
"Queste aziende sono fisicamente situate, in larghissima maggioranza, nelle regioni settentrionali e centrali del nostro paese", ricorda Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente. "E' un dato da tener presente mentre sta partendo una campagna che tende a criminalizzare l'intera Campania dimenticando che la zona a rischio è solo una piccola parte del Casertano e del Napoletano. La stagione drammatica dell'illegalità va archiviata senza sconti, ma anche senza forzature comunicative che mettano in pericolo l'economia di un'intera regione".
Legambiente avanza anche alcune proposte: rendere pubblica e aggiornare la mappatura dei siti contaminati; avviare una sistematica attività di campionamento e analisi dei prodotti ortofrutticoli e alimentari; individuare strumenti efficaci per la messa in sicurezza e la bonifica delle aree inquinate; sostenere una rete di aziende e soggetti pubblici che promuovano e difendano la Campania pulita; predisporre un piano di riconversione delle aree contaminate basato sulle tecniche no food e sulla fitodepurazione; introdurre nel codice penale i delitti contro l'ambiente. 

giovedì 14 novembre 2013

Di Matteo deve morire.L’ULTIMO RICATTO DEL BOSS STANCO?

"Di Matteo deve morire. E con lui tutti i pm della trattativa, mi stanno facendo impazzire", avrebbe detto Totò Riina  dopo l’ultima udienza del processo che sta cercando di indagare i segreti della trattativa (oscena)  fra Stato e mafia ai tempi delle stragi del 1992-93. 
"Quelli lì devono morire, fosse l’ultima cosa che faccio", ha urlato a un compagno di carcere. 


Nino Di Matteo nel giorno della commemorazione della strage di Via D'Amelio


don Luigi Ciotti
Di oggi la dichiarazione di don Ciotti: "Caro Nino Di Matteo, devi sapere che non sei solo, che tutti voi a Palermo, e in ogni angolo d`Italia, non sarete mai più soli. Dalla stagione delle stragi è cresciuta nel nostro paese la consapevolezza che la questione delle mafie non è solo di natura criminale."
Ma le parole di Riina, come sempre accade nelle parole di mafioso, nascondono e celano un messaggio criptato, un messaggio celato e indirizzato a qualcuno. E' quanto prova s spiegare Attilio Bolzoni nel suo articolo riportato sotto





L’ULTIMO RICATTO DEL BOSS STANCO (Attilio Bolzoni) 

La furia di Totò Riina non è soltanto furia. Sono parole che trasportano un messaggio disperato, molto obliquo. Apparentemente il suo bersaglio è il magistrato Nino Di Matteo, in realtà sta “parlando” con altri e per conto di altri. I suoi complici nelle stragi del 1992. Ha scaricato la sua rabbia contro il pubblico ministero del processo sulla trattativa fra Stato e mafia ma il vecchio boss di Corleone, che farà ottantatré anni sabato, tenta di giocare la sua ultima carta per non restare incastrato come unico responsabile delle bombe che hanno ucciso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Avvisa, esplode in modo inusuale per un capo della sua levatura, si scompone, si sfoga per avvertire che «ucciderà ancora», nella sostanza però si rivolge a chi l’ha trascinato nella tragica stagione stragista per poi seppellirlo per sempre in una tomba carceraria.


È forse il grido finale di Totò Riina, una sorta di estremo appello per condividere passato e responsabilità o — come sostiene qualcuno — per fermare chi sta facendo affiorare frammenti di verità su quei delitti eccellenti. Non è mai semplice decifrare i “ragionamenti” di un capo mafioso. Ma questa volta Totò Riina è rimasto nudo, si è scoperto fragile come mai prima — nei 21 anni di detenzione è stato un detenuto modello — proprio sul processo sulla cosiddetta trattativa, il suo nervo scoperto, la vicenda dove ha perso la faccia e il suo onore davanti al popolo mafioso.



Cosa voleva dire il boss di Corleone minacciando l’uccisione di Di Matteo e degli altri magistrati siciliani? Quale era il suo obiettivo, ben sapendo che ogni suo sospiro sarebbe stato intercettato dalle microspie che gli hanno inserito probabilmente anche fra i capelli? Voleva trasmettere coscientemente qualcosa fuori, all’esterno. Voleva far sapere che lui non vuole più “accollarsi” tutto il peso dei massacri di Capaci e di via D’Amelio. Questa è la prima ipotesi che si può avanzare sulla sceneggiata che è andata in onda in un braccio del carcere milanese di Opera.



L’altra ipotesi, molto più inquietante, la rilancia — con un linguaggio contorto — il solitamente prudente procuratore capo di Palermo Francesco Messineo che spiega: «Se così fosse nelle minacce di Totò Riina c’è una specie di copertura ideale per le azioni violente fatte da soggetti diversi da Cosa Nostra». Una «chiamata alle armi », dice poi il procuratore. Indirizzata a chi? Chi sono questi «soggetti diversi» o le «entità esterne» a Cosa Nostra cui allude il procuratore di Palermo?



Il punto centrale dello sfogo di Riina è proprio questo: a chi e perché sta mandando le sue minacce. Ha preso di mira un magistrato che da molti anni è immerso a indagare fra trame di mafia e di Stato. Un magistrato che dalla fine del 2010 è pedinato, spiato, intercettato, minacciato. Un magistrato che la scorsa estate è entrato nei santuari dei servizi segreti per cercare indizi su quel negoziato fra apparati e fazioni di Cosa Nostra al tempo delle stragi. È un caso, solo un caso che il boss abbia scelto lui come personaggio da colpire con le sue invettive? È un caso che abbia citato nel suo sproloquio — ben sapendo che sarebbe stato ascoltato — il pm della trattative? È un caso che abbia speso qualche parola anche per quell’altro magistrato — Roberto Scarpinato, il procuratore generale di Palermo, «che prima era a Caltanissetta e ora è tornato a Palermo e si dà troppo da fare» — che è uno di quei pubblici ministeri che fin dal 1992 insegue i fili delle contiguità tra «sistemi criminali italiani» e la mafia?

La sfuriata di Totò Riina è la lucida conseguenza di una tormentata riflessione su se stesso e sulla sua organizzazione criminale. Si è sentito fottuto per sempre. E ora lancia fuoco e fiamme. Per ricostruire questa vicenda dove Stato e mafia sono legati da indicibili accordi, dimentichiamo lo scontro dei pm di Palermo con il presidente della Repubblica su quelle quattro telefonate intercettate con l’ex presidente del Senato Nicola Mancino (sono state distrutte), dimentichiamo i contrasti istituzionali che ne sono seguiti. È tutto contorno, fuffa per non affrontare seriamente cosa è accaduto 21 anni fa giù in Sicilia. Chi alimenta quelle polemiche non vuole andare sino in fondo alla questione, chi ancora rivanga il duello Napolitano-pm di Palermo perde di vista il cuore del problema: la trattativa che c’è stata, le «convergenze di interessi» che hanno portato alle uccisioni di Falcone e Borsellino. Ma c’è chi fa ancora resistenza, chi ha interesse a confondere, a far finire nomi grossi a tutti i costi nell’arena.
Ma non è così. Non sono i nomi di “grido” quelli che richiama Totò Riina, non sono capi di Stato o fantomatiche potenze straniere quelle che vuole coinvolgere. Sono nomi più nascosti. E lui si è rivolto a loro. Solo a loro. Mettendo in un tritacarne un magistrato di Palermo che non sa più chi sono gli amici e chi sono i nemici, chi è che con lui e chi è contro di lui. 
La furia di Totò Riina è un ricatto, l’ultimo.

martedì 12 novembre 2013

AUGURI DI BUON COMPLEANNO!'


Il presidio Libera "Rita Atria"  Pinerolo compie due anni! 

Dovremmo, vorremmo, fare un bilancio di un altro anno trascorso. 
Un altro anno denso di attività. Dovremmo aggiungere altri fotogrammi al collage di immagini che riportiamo sotto, un collage "fermo" in realtà a iniziative e momenti del nostro primo anno di vita. Dovremmo ricordare coloro che hanno fatto sì che il presidio "Rita Atria"  si formasse. Dovremmo riicordare i tanti volti incontrati nelle scuole pinerolesi; le loro parole; il flash-mob della Giornata della Memoria; lo spettacolo teatrale che ci hanno dedicato gli studenti di una scuola media di Pinerolo alla fine dell'anno scolastico. Dovremmo ricordare il nostro impegno come sentinelle del territorio per difendere la Bellezza" della nostra città, Pinerolo. Dovremmo ricordare la nascita di Rachele, nata il 23 maggio di questo anno, e salutare -ringraziadoli- Angela e Francesco per l'impegno e la passione che ci hanno regalato in questi mesi. Dovremmo ricordare il nostro impegno nel provare a costruire "reti ed esperienze" per rendere più efficace l'impegno di coloro che agiscono nella nostra comunità. 
Dovremmo ricordare tante cose, e parlare di tante altre che si approssimano, proprio a partire dai prossimi giorni. me parleremo
Oggi, 12 novembre 2013,  non abbiamo il tempo per fare tutto quello che vorremmo. Ma ci facciamo ugualmente gli auguri, regalandoci le parole scritte da Rita Atria nella conclusione del suo tema di maturità
"(...) L'unica speranza è non arrendersi mai. Finché giudici come Falcone, Paolo Borsellino e tanti come loro vivranno, non bisogna arrendersi mai, e la giustizia e la verità vivrà contro tutto e tutti. 
L'unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c'è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo."    
Rita Atria - Erice 5 giugno 1992

i rappresentanti del  del presidio "Rita Atria" nel momento del "battesimo del presidio" .
Torino , Fabbrica delle E,  12 novembre 2011)