Il ruolo del
sottoscritto all’interno del gruppo denominato Associazione “Rita Atria”
Pinerolo, già presidio “Rita Atria” Pinerolo dell’associazione LIBERA, è quello
di referente: una sorta di “portavoce- raccoglitore” delle riflessioni e delle
attività nate in questi dieci anni di attività attorno al tema delle”mafie”,
tema che -anche a nostro parere- riveste un carattere eminentemente
“culturale”. Da questa considerazione preliminare sono derivate le linee
di impegno che si sono succedute in
questo decennio della nostra attività: gli incontri nelle scuole; l’attenzione
verso la gestione del bene pubblico territorio-paesaggio; l’attenzione verso le
crescenti ingiustizie e diseguaglianze all’interno di una società in cui il
decadimento dei valori fondanti la nostra Democrazia appare preoccupante.
Le varie relazioni della Direzione investigativa antimafia da anni lanciano l'allarme sulla pervasiva presenza mafiosa in Piemonte come sancito dai noti processi di queste stagioni, e al contempo sottolineano una certa indole a non volere vedere, a non capire o meglio a fingere di non capire. Nel Pinerolese questa tendenza a una certa sottovalutazione pare addirittura ampliarsi: pochi casi di cronaca, poche denunce. Ma siamo un'isola felice ? O la realtà è un'altra? Eppure casi di cronaca qua e là nel tempo (estorsioni, sequestri) dovrebbero destare attenzione.
Se il Pinerolese fosse davvero “un’isola felice”, libera da presenze
mafiose, ovviamente non ci sarebbe che godere e gioire di questo privilegio.
Tuttavia quanto accaduto nella nostra regione, in comunità a noi assai vicine,
dovrebbe non solo destare attenzione ma pure stimolare ad una maggiore
conoscenza del fenomeno mafioso e delle sue dinamiche, affinché non si riproducano
condizioni che favoriscano la sua eventuale presenza e accrescenza. Il
“sabaudo orgoglio” ostentato dalle comunità e dagli amministratori piemontesi
nel recente passato, nei confronti della supposta estraneità della regione al
fenomeno mafioso, è del resto miseramente crollato dinanzi alle risultanze
dell’operazione “Minotauro” (giugno 2011) e del processo che ne è poi seguito.
Gian Carlo Caselli , allora Procuratore capo di Torino, nel 2013 riserva a se
stesso la relazione sui rapporti dei
mafiosi con la cosiddetta “zona grigia”, requisitoria che si trasforma in una
“lezione” che non si deve dimenticare: “Perché la magistratura è stata lasciata sola? (…) La
mafia c’è perché c’è mercato
per i suoi servizi: ci
sono tante persone che traggono vantaggio dall’esistenza della mafia, persone
che non hanno nessun interesse a denunciarla. Persone, politici e amministratori, che la legge penale non può punire
perché la loro colpa è l’opportunismo”.
Scopi primari della costituzione della vostra associazione: sono
cambiati nel tempo rispetto a quanto vi aspettavate?
Come abbiamo detto più volte detto,l’intento che ci eravamo posti era quello di provare ad essere “sentinelle del territorio” attraverso un’attività di contrasto culturale conto mafie e “pensiero mafioso”. Il “pensiero mafioso”: così abbiamo definito il pericolo da cui dobbiamo tutti difenderci: “cercare di ottenere quel che non ci meritiamo”, pensiero che può albergare in ciascunno di noi, anche in coloro che “mafiosi” non possono essere propriamente detti. “Pensiero pericoloso” perché può indurre ad avvalersi sinanco dei “servizi” che le mafie possono offrire, a conferma della frase scritta da Rita Atria all’indomani dell’uccisione di Paolo Borsellino:“(…) La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci”.
Pnrr, una pioggia di miliardi sui territori, compreso il nostro: avete già segnali di un'attenzione particolare rivolta a queste ampie possibilità imprenditoriale?
Auspichiamo e ci auguriamo che le nostre amministrazioni siano in grado di utilizzare le risorse che arriveranno dall’Europa con consapevolezza, capaci di eleborarare progetti e strategie coordinate e complessive, strategie che -per una volta- non si riducano a “grandi opere” a vantaggio di “soliti noti” quanto piuttosto si realizzino “opere grandi” a vantaggio del bene lungimirante delle comunità. Le recenti dichiarazioni di Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaroe e uno dei magistrati cardine nella lotta alla’ndrangheta e ai suoi “opportunisti”, rilanciano l’allarme: “Questo per le cosche è un momento magico. Punta ai soldi del Recovery, mentre dall’agenda del governo scompare l’antimafia..(…) Oggi hanno una nuova arma: la corruzione.(…)”. Insomma, le parole di Gratteri non fanno che richiamare la storica “regola”: quando le mafie non fanno parlare di sé significa che godono di ottima salute e conducono ottimi affari!
Credete che le amministrazioni locali, la società civile, parlo sempre
delle nostre aree di riferimento, abbiano strumenti per contrastare la presenza
di malavita organizzata sui propri territori.
Il primo baluardo contro le mafie è da molti considerato la nostra stessa Carta Costituzionale. A nostro parere, proprio nei suoi Principi Fondamentali si ritrovano tutti gli stimoli e le indicazioni a cui debbono fare riferimento comunità e amministrazioni che vogliano impegnarsi responsabilmente per costituire una baluardo culturale contro le mafie: la difesa della dignità dell’uomo, il diritto al lavoro, allo studio, alla salute; la tutela del territorio e della cultura; l’importanza della ricerca; i diritti riconosciuti agli stranieri, ai migranti. Pertanto, facile comprendere quanto sia lungo il cammino ancora da compiere per costruire “anticorpi” efficaci che che pongano le comunità al riparo dalle lusinghe devastanti delle mafie.