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lunedì 12 marzo 2018

Giuseppe Costanza ha incontrato gli studenti delle classi seconde e terze della scuola Puccini di Pinerolo

Come abbiamo già scritto, grazie ai giovani del gruppo "Ok Parliamone" la città di Pinerolo ha potuto accogliere Giuseppe Costanza, l’autista di Giovanni Falcone, sopravvissuto alla strage di Capaci, vivendo così due giorni di riflessione sul tema delle mafie e del "pensiero mafioso".
Nella mattina del 9 marzo scorso, prima dell'incontro pubblico che si sarebbe svolto nella serata al Teatro Sociale, Giuseppe Costanza ha incontrato gli studenti delle classi seconde e terze della scuola secondaria Puccini di Pinerolo e i rappresentanti della scuola media di San Secondo di Pinerolo.
Riportiamo le parole e l'articolo pubblicato da Voce Pinerolese "(..) E’ stato un incontro emozionante per gli studenti e gli insegnanti. Per gli studenti, in particolare, è stata l’occasione per ascoltare dal “vivo” cos’é la mafia, comprendere e valorizzare il sacrificio dei servitori dello Stato e come proseguire nella lotta contro la criminalità organizzata.

Il primo incontro con Costanza è avvenuto nel cortile della scuola “Puccini” e “Lauro” dove nel 2016 è stato piantumato, grazie alla collaborazione della scuola con il Presidio di Pinerolo “Libera” intitolato alla memoria di Rita Atria (la giovane testimone di giustizia siciliana morta il 26 luglio 1992) un ulivo in ricordo del giudice Giovanni Falcone. (...)".
Giuseppe Costanza davanti all'Albero di Falcone
Giuseppe Costanza ha potuto così visitare i locali della scuola che aderisce a LIBERA. Accompagnato dalla dirigente scolastica dott.ssa Roberta Martinno e dalle professoresse Teresa Saieva e Daniela Carano, Giuseppe Costanza ha potuto rendersi conto della peculiarità della scuola: sulla porta di ogni aula è riportata una frase significativa di Vittime Innocenti delle mafie: fra le altre, le parole di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Peppino Impastato, Rita Atria, ricordano agli giovani studenti importanti figure di riferimento, esempi mirabili, di persone che hanno vissuto e lottato affinché i valori di Giustizia e Libertà fossero i valori concreti a fondamento della nostra italia.



Ritornando alla figura di Giuseppe Costanza il suo è uno di quei nomi che sono stati "messi da parte", sconosciuto ai più ("rottamati o scomodi testimoni?") così come lo sono i nomi degli altri tre agenti che viaggiavano sulla terza Croma, le auto della scorta di Giovanni Falcone: Paolo Capuzza, Gaspare Cervello, Angelo Corbo,
Ringraziamo infine I due giornali pinerolesi, "L'eco del Chisone" e "Voce Pinerolese", che hanno voluto seguire l'incontro di Giuseppe Costanza con gli studenti..
Riportiamo uno stralcio della testimonianza di Giuseppe Costanza pubblicato da "L'eco del Chisone" :

Qui anche il servizio di Voce Pinerolese di cui abbiamo riportato alcune fotografie dell'incontro.

martedì 29 luglio 2014

Fare Memoria: Rocco Chinnici, Mario Trapassi, Salvatore Bartolotta, Stefano Li Sacchi,

Quando la mafia uccideva d'estate: 29 luglio 1983. Un auto imbottita di esplosivo viene piazzata in via Pipitone Federico a Palermo, dinanzi all'abitazione del giudice Rocco Chinnici.  
da sinistra: Rocco Chinnici, Giovanni falcone, Ninni Cassara
il detonatore dell'esplosivo viene azionato quando  il giudice Chinnici compare sull'ingresso del portone.
Nella strage, oltre al giudice  vengono uccisi   il maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi e l'appuntato Salvatore Bartolotta e Stefano Li Sacchi,  il portiere dello stabile nel quale il giudice abitava,
Col giudice Rocco Chinnici, Procuratore Capo della Procura di Palermo, cambia l'atteggiamento tenuto sino ad allora da larga parte dalla magistratura siciliana nei confronti di "cosa nostra": sembrano lontane le dichiarazioni ufficiali nei quali si affermava che la mafia non esiste. Accanto a Chinnici alla Procura di palermo lavoravano due giovani, promettenti collaboratori. Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.
L'efficacia del lavoro svolto attraverso la sua direzione è testimoniata da una dichiarazione dell'epoca dello stesso Rocco Chinnici: "Un mio orgoglio particolare è la dichiarazione degli americani secondo cui l'Ufficio Istruzione di Palermo è diventato il centro pilota della lotta antimafia, un  esempio per le altre magistrature".
Ma la risposta violenta di cosa nostra aveva già provocato le prime cosiddette "vittime eccellenti". 
A tale proposito così ebbe a dire Rocco Chinnici: "(...) anche se cammino con la scorta, so che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. per un magistrato come me è normale consdiderarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non mpedisce, nè a me nè ad altri giudici, d continuare a lavorare". 

"Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai"

Rocco Chinnici
la strage

giovedì 3 aprile 2014

"Anche noi siamo con Nino Di Matteo". La fotografia, la nona

Al Liceo Scientifico "M. Curie" di Pinerolo  la nona fotografia a sostegno di Nino Di Matteo.

Anche agli studenti più giovani abbiamo fatto conoscere la lettera aperta con la quale  don Luigi Ciotti, lo scorso 14 novembre 2013,   ha espresso la vicinanza di Libera  al giudice Nino Di Matteo e agli altri giudici che conducono il processo sulla “trattativa”, minacciati di morte da Totò Riina. 
Anche noi del presidio Libera “Rita Atria” Pinerolo, accogliendo le parole di don Luigi Ciotti, vogliamo manifestare a favore Nino Di  Matteo e agli altri giudici. Pertanto,  dopo aver letto la lettera di don Ciotti,  chiediamo agli studenti che condividono quelle parole di scattare una fotografia. Questa è la nona fotografia



Lettera aperta di don Luigi Ciotti a Nino Di Matteo

CARO Nino Di Matteo, devi sapere che non sei solo, che tutti voi a Palermo, e in ogni angolo d`Italia, non sarete mai più soli. Dalla stagione delle stragi è cresciuta nel nostro paese la consapevolezza che la questione delle mafie non è solo di natura criminale. È un problema più profondo, anche culturale e sociale. Una questione che non sarebbe ancora cosi grave se a contrastare le mafie ci fossero stati, oltre alla magistratura e alle forze di polizia, la coscienza pulita e l`impegno della maggior parte degli italiani. Questa coscienza e questo impegno, lentamente e faticosamente si sono negli anni moltiplicati. 
Devi dunque sapere caro Nino, anche se qualcuno—mafiosi o complici dei mafiosi — continua a minacciare e lanciare messaggi inquietanti, che oggi tu e tutti gli altri magistrati siete meno soli. Che minacciare voi vuoi dire minacciare tanti di noi, tanti italiani, che nei più vari ambiti si sono messi in gioco. Cittadini che non si limitano a scendere in piazza, a indignarsi o commuoversi, ma che hanno scelto di muoversi, di trasformare il loro "no" alle mafie in un impegno quotidiano per la democrazia, per la libertà e la dignità di tutti. Le luci non nascondono però le molte ombre. In tanti ambiti prevale ancora l`indifferenza o una semplice e facile risposta emotiva. Anche la politica non sempre ha saputo affrontare la questione con la pulizia morale e il respiro necessario: pensiamo solo ai troppi compromessi che hanno impedito un`adeguata riforma della legge sulla corruzione e ai patti sottobanco. Lo Stato, tutto lo Stato, deve proteggere se stesso e i suoi cittadini. Ma negli ultimi tempi, come molti segnali lasciano intendere, le mafie — indisturbate nei suoi livelli più alti: economia, finanza, appalti, affari—hanno approfittato per organizzarsi in silenzio. 
Quelle minacce dall`interno di un carcere dicono perciò una verità imbarazzante: se nell`ambito repressivo e giudiziario importanti risultati sono stati ottenuti, sul versante del contrasto politico e sociale c`è ancora molta strada da fare. Perché di una cosa dobbiamo essere certi: sconfiggeremo le mafie solo quando sapremo colmare le disuguaglianze sociali che permettono il loro proliferare. Le mafie non vanno solo inseguite: vanno prevenute. Prevenzione vuoi dire anche realizzare la condizione di dignità e di libertà responsabile prevista dalla Costituzione, il primo e più formidabile dei testi antimafia.Altrimenti, nello scarto fra le parole e i fatti, continuerà a insinuarsi la più pericolosa e subdola delle mafie: quella della corruzione, del privilegio e dell`abuso di potere. A te un forte abbraccio da parte mia e dalle oltre 1600 realtà associate a Libera.
Luigi Ciotti

lunedì 17 marzo 2014

"Anche noi siamo con Nino Di Matteo". La fotografia, l'ottava

Proseguono gli incontri. Alla Scuola Media "F. Brignone", plesso Abbadia Alpina, l'ottava fotografia a sostegno di Nino Di Matteo.

Anche le professoresse con le quali abbiamo condotto il progetto didattico, all'interno della Scuola  media "F. Brignone"di Pinerolo, plesso dell'Abbadia Alpina , hanno voluto esprimerre la loro vicinanza  al giudice Nino Di Matteo e agli altri giudici che conducono il processo sulla “trattativa”, minacciati di morte da Totò Riina. 
Questa è l'ottava  fotografia

Lettera aperta di don Luigi Ciotti a Nino Di Matteo

CARO Nino Di Matteo, devi sapere che non sei solo, che tutti voi a Palermo, e in ogni angolo d`Italia, non sarete mai più soli. Dalla stagione delle stragi è cresciuta nel nostro paese la consapevolezza che la questione delle mafie non è solo di natura criminale. È un problema più profondo, anche culturale e sociale. Una questione che non sarebbe ancora cosi grave se a contrastare le mafie ci fossero stati, oltre alla magistratura e alle forze di polizia, la coscienza pulita e l`impegno della maggior parte degli italiani. Questa coscienza e questo impegno, lentamente e faticosamente si sono negli anni moltiplicati. 
Devi dunque sapere caro Nino, anche se qualcuno—mafiosi o complici dei mafiosi — continua a minacciare e lanciare messaggi inquietanti, che oggi tu e tutti gli altri magistrati siete meno soli. Che minacciare voi vuoi dire minacciare tanti di noi, tanti italiani, che nei più vari ambiti si sono messi in gioco. Cittadini che non si limitano a scendere in piazza, a indignarsi o commuoversi, ma che hanno scelto di muoversi, di trasformare il loro "no" alle mafie in un impegno quotidiano per la democrazia, per la libertà e la dignità di tutti. Le luci non nascondono però le molte ombre. In tanti ambiti prevale ancora l`indifferenza o una semplice e facile risposta emotiva. Anche la politica non sempre ha saputo affrontare la questione con la pulizia morale e il respiro necessario: pensiamo solo ai troppi compromessi che hanno impedito un`adeguata riforma della legge sulla corruzione e ai patti sottobanco. Lo Stato, tutto lo Stato, deve proteggere se stesso e i suoi cittadini. Ma negli ultimi tempi, come molti segnali lasciano intendere, le mafie — indisturbate nei suoi livelli più alti: economia, finanza, appalti, affari—hanno approfittato per organizzarsi in silenzio. 
Quelle minacce dall`interno di un carcere dicono perciò una verità imbarazzante: se nell`ambito repressivo e giudiziario importanti risultati sono stati ottenuti, sul versante del contrasto politico e sociale c`è ancora molta strada da fare. Perché di una cosa dobbiamo essere certi: sconfiggeremo le mafie solo quando sapremo colmare le disuguaglianze sociali che permettono il loro proliferare. Le mafie non vanno solo inseguite: vanno prevenute. Prevenzione vuoi dire anche realizzare la condizione di dignità e di libertà responsabile prevista dalla Costituzione, il primo e più formidabile dei testi antimafia.Altrimenti, nello scarto fra le parole e i fatti, continuerà a insinuarsi la più pericolosa e subdola delle mafie: quella della corruzione, del privilegio e dell`abuso di potere. A te un forte abbraccio da parte mia e dalle oltre 1600 realtà associate a Libera.
Luigi Ciotti

"Anche noi siamo con Nino Di Matteo" La fotografia, la settima.

Proseguono gli incontri. Alla Scuola Media "F. Brignone", plesso Abbadia Alpina, la settima fotografia a sostegno di Nino Di Matteo.

Anche agli studenti più giovani abbiamo fatto conoscere la lettera aperta con la quale  don Luigi Ciotti, lo scorso 14 novembre 2013,   ha espresso la vicinanza di Libera  al giudice Nino Di Matteo e agli altri giudici che conducono il processo sulla “trattativa”, minacciati di morte da Totò Riina. Anche noi del presidio Libera “Rita Atria” Pinerolo, accogliendo le parole di don Luigi Ciotti, vogliamo manifestare a favore Nino Di  Matteo e agli altri giudici. Pertanto,  dopo aver letto la lettera di don Ciotti,  chiediamo agli studenti che condividono quelle parole  di scattare una fotografia. Questa è la settima fotografia

Lettera aperta di don Luigi Ciotti a Nino Di Matteo

CARO Nino Di Matteo, devi sapere che non sei solo, che tutti voi a Palermo, e in ogni angolo d`Italia, non sarete mai più soli. Dalla stagione delle stragi è cresciuta nel nostro paese la consapevolezza che la questione delle mafie non è solo di natura criminale. È un problema più profondo, anche culturale e sociale. Una questione che non sarebbe ancora cosi grave se a contrastare le mafie ci fossero stati, oltre alla magistratura e alle forze di polizia, la coscienza pulita e l`impegno della maggior parte degli italiani. Questa coscienza e questo impegno, lentamente e faticosamente si sono negli anni moltiplicati. 
Devi dunque sapere caro Nino, anche se qualcuno—mafiosi o complici dei mafiosi — continua a minacciare e lanciare messaggi inquietanti, che oggi tu e tutti gli altri magistrati siete meno soli. Che minacciare voi vuoi dire minacciare tanti di noi, tanti italiani, che nei più vari ambiti si sono messi in gioco. Cittadini che non si limitano a scendere in piazza, a indignarsi o commuoversi, ma che hanno scelto di muoversi, di trasformare il loro "no" alle mafie in un impegno quotidiano per la democrazia, per la libertà e la dignità di tutti. Le luci non nascondono però le molte ombre. In tanti ambiti prevale ancora l`indifferenza o una semplice e facile risposta emotiva. Anche la politica non sempre ha saputo affrontare la questione con la pulizia morale e il respiro necessario: pensiamo solo ai troppi compromessi che hanno impedito un`adeguata riforma della legge sulla corruzione e ai patti sottobanco. Lo Stato, tutto lo Stato, deve proteggere se stesso e i suoi cittadini. Ma negli ultimi tempi, come molti segnali lasciano intendere, le mafie — indisturbate nei suoi livelli più alti: economia, finanza, appalti, affari—hanno approfittato per organizzarsi in silenzio. 
Quelle minacce dall`interno di un carcere dicono perciò una verità imbarazzante: se nell`ambito repressivo e giudiziario importanti risultati sono stati ottenuti, sul versante del contrasto politico e sociale c`è ancora molta strada da fare. Perché di una cosa dobbiamo essere certi: sconfiggeremo le mafie solo quando sapremo colmare le disuguaglianze sociali che permettono il loro proliferare. Le mafie non vanno solo inseguite: vanno prevenute. Prevenzione vuoi dire anche realizzare la condizione di dignità e di libertà responsabile prevista dalla Costituzione, il primo e più formidabile dei testi antimafia.Altrimenti, nello scarto fra le parole e i fatti, continuerà a insinuarsi la più pericolosa e subdola delle mafie: quella della corruzione, del privilegio e dell`abuso di potere. A te un forte abbraccio da parte mia e dalle oltre 1600 realtà associate a Libera.
Luigi Ciotti

"Anche noi siamo con Nino Di Matteo". La fotografia, la sesta.

Proseguono gli incontri. Alla Scuola Media "F. Brignone", plesso Abbadia Alpina, la sesta fotografia a sostegno di Nino Di Matteo.

Anche agli studenti più giovani abbiamo fatto conoscere la lettera aperta con la quale  don Luigi Ciotti, lo scorso 14 novembre 2013,   ha espresso la vicinanza di Libera  al giudice Nino Di Matteo e agli altri giudici che conducono il processo sulla “trattativa”, minacciati di morte da Totò Riina. Anche noi del presidio Libera “Rita Atria” Pinerolo, accogliendo le parole di don Luigi Ciotti, vogliamo manifestare a favore Nino Di  Matteo e agli altri giudici. Pertanto,  dopo aver letto la lettera di don Ciotti,  chiediamo agli studenti che condividono quelle parole  di scattare una fotografia. Questa è la sesta fotografia


Lettera aperta di don Luigi Ciotti a Nino Di Matteo

CARO Nino Di Matteo, devi sapere che non sei solo, che tutti voi a Palermo, e in ogni angolo d`Italia, non sarete mai più soli. Dalla stagione delle stragi è cresciuta nel nostro paese la consapevolezza che la questione delle mafie non è solo di natura criminale. È un problema più profondo, anche culturale e sociale. Una questione che non sarebbe ancora cosi grave se a contrastare le mafie ci fossero stati, oltre alla magistratura e alle forze di polizia, la coscienza pulita e l`impegno della maggior parte degli italiani. Questa coscienza e questo impegno, lentamente e faticosamente si sono negli anni moltiplicati. 
Devi dunque sapere caro Nino, anche se qualcuno—mafiosi o complici dei mafiosi — continua a minacciare e lanciare messaggi inquietanti, che oggi tu e tutti gli altri magistrati siete meno soli. Che minacciare voi vuoi dire minacciare tanti di noi, tanti italiani, che nei più vari ambiti si sono messi in gioco. Cittadini che non si limitano a scendere in piazza, a indignarsi o commuoversi, ma che hanno scelto di muoversi, di trasformare il loro "no" alle mafie in un impegno quotidiano per la democrazia, per la libertà e la dignità di tutti. Le luci non nascondono però le molte ombre. In tanti ambiti prevale ancora l`indifferenza o una semplice e facile risposta emotiva. Anche la politica non sempre ha saputo affrontare la questione con la pulizia morale e il respiro necessario: pensiamo solo ai troppi compromessi che hanno impedito un`adeguata riforma della legge sulla corruzione e ai patti sottobanco. Lo Stato, tutto lo Stato, deve proteggere se stesso e i suoi cittadini. Ma negli ultimi tempi, come molti segnali lasciano intendere, le mafie — indisturbate nei suoi livelli più alti: economia, finanza, appalti, affari—hanno approfittato per organizzarsi in silenzio. 
Quelle minacce dall`interno di un carcere dicono perciò una verità imbarazzante: se nell`ambito repressivo e giudiziario importanti risultati sono stati ottenuti, sul versante del contrasto politico e sociale c`è ancora molta strada da fare. Perché di una cosa dobbiamo essere certi: sconfiggeremo le mafie solo quando sapremo colmare le disuguaglianze sociali che permettono il loro proliferare. Le mafie non vanno solo inseguite: vanno prevenute. Prevenzione vuoi dire anche realizzare la condizione di dignità e di libertà responsabile prevista dalla Costituzione, il primo e più formidabile dei testi antimafia.Altrimenti, nello scarto fra le parole e i fatti, continuerà a insinuarsi la più pericolosa e subdola delle mafie: quella della corruzione, del privilegio e dell`abuso di potere. A te un forte abbraccio da parte mia e dalle oltre 1600 realtà associate a Libera.
Luigi Ciotti

giovedì 14 novembre 2013

Di Matteo deve morire.L’ULTIMO RICATTO DEL BOSS STANCO?

"Di Matteo deve morire. E con lui tutti i pm della trattativa, mi stanno facendo impazzire", avrebbe detto Totò Riina  dopo l’ultima udienza del processo che sta cercando di indagare i segreti della trattativa (oscena)  fra Stato e mafia ai tempi delle stragi del 1992-93. 
"Quelli lì devono morire, fosse l’ultima cosa che faccio", ha urlato a un compagno di carcere. 


Nino Di Matteo nel giorno della commemorazione della strage di Via D'Amelio


don Luigi Ciotti
Di oggi la dichiarazione di don Ciotti: "Caro Nino Di Matteo, devi sapere che non sei solo, che tutti voi a Palermo, e in ogni angolo d`Italia, non sarete mai più soli. Dalla stagione delle stragi è cresciuta nel nostro paese la consapevolezza che la questione delle mafie non è solo di natura criminale."
Ma le parole di Riina, come sempre accade nelle parole di mafioso, nascondono e celano un messaggio criptato, un messaggio celato e indirizzato a qualcuno. E' quanto prova s spiegare Attilio Bolzoni nel suo articolo riportato sotto





L’ULTIMO RICATTO DEL BOSS STANCO (Attilio Bolzoni) 

La furia di Totò Riina non è soltanto furia. Sono parole che trasportano un messaggio disperato, molto obliquo. Apparentemente il suo bersaglio è il magistrato Nino Di Matteo, in realtà sta “parlando” con altri e per conto di altri. I suoi complici nelle stragi del 1992. Ha scaricato la sua rabbia contro il pubblico ministero del processo sulla trattativa fra Stato e mafia ma il vecchio boss di Corleone, che farà ottantatré anni sabato, tenta di giocare la sua ultima carta per non restare incastrato come unico responsabile delle bombe che hanno ucciso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Avvisa, esplode in modo inusuale per un capo della sua levatura, si scompone, si sfoga per avvertire che «ucciderà ancora», nella sostanza però si rivolge a chi l’ha trascinato nella tragica stagione stragista per poi seppellirlo per sempre in una tomba carceraria.


È forse il grido finale di Totò Riina, una sorta di estremo appello per condividere passato e responsabilità o — come sostiene qualcuno — per fermare chi sta facendo affiorare frammenti di verità su quei delitti eccellenti. Non è mai semplice decifrare i “ragionamenti” di un capo mafioso. Ma questa volta Totò Riina è rimasto nudo, si è scoperto fragile come mai prima — nei 21 anni di detenzione è stato un detenuto modello — proprio sul processo sulla cosiddetta trattativa, il suo nervo scoperto, la vicenda dove ha perso la faccia e il suo onore davanti al popolo mafioso.



Cosa voleva dire il boss di Corleone minacciando l’uccisione di Di Matteo e degli altri magistrati siciliani? Quale era il suo obiettivo, ben sapendo che ogni suo sospiro sarebbe stato intercettato dalle microspie che gli hanno inserito probabilmente anche fra i capelli? Voleva trasmettere coscientemente qualcosa fuori, all’esterno. Voleva far sapere che lui non vuole più “accollarsi” tutto il peso dei massacri di Capaci e di via D’Amelio. Questa è la prima ipotesi che si può avanzare sulla sceneggiata che è andata in onda in un braccio del carcere milanese di Opera.



L’altra ipotesi, molto più inquietante, la rilancia — con un linguaggio contorto — il solitamente prudente procuratore capo di Palermo Francesco Messineo che spiega: «Se così fosse nelle minacce di Totò Riina c’è una specie di copertura ideale per le azioni violente fatte da soggetti diversi da Cosa Nostra». Una «chiamata alle armi », dice poi il procuratore. Indirizzata a chi? Chi sono questi «soggetti diversi» o le «entità esterne» a Cosa Nostra cui allude il procuratore di Palermo?



Il punto centrale dello sfogo di Riina è proprio questo: a chi e perché sta mandando le sue minacce. Ha preso di mira un magistrato che da molti anni è immerso a indagare fra trame di mafia e di Stato. Un magistrato che dalla fine del 2010 è pedinato, spiato, intercettato, minacciato. Un magistrato che la scorsa estate è entrato nei santuari dei servizi segreti per cercare indizi su quel negoziato fra apparati e fazioni di Cosa Nostra al tempo delle stragi. È un caso, solo un caso che il boss abbia scelto lui come personaggio da colpire con le sue invettive? È un caso che abbia citato nel suo sproloquio — ben sapendo che sarebbe stato ascoltato — il pm della trattative? È un caso che abbia speso qualche parola anche per quell’altro magistrato — Roberto Scarpinato, il procuratore generale di Palermo, «che prima era a Caltanissetta e ora è tornato a Palermo e si dà troppo da fare» — che è uno di quei pubblici ministeri che fin dal 1992 insegue i fili delle contiguità tra «sistemi criminali italiani» e la mafia?

La sfuriata di Totò Riina è la lucida conseguenza di una tormentata riflessione su se stesso e sulla sua organizzazione criminale. Si è sentito fottuto per sempre. E ora lancia fuoco e fiamme. Per ricostruire questa vicenda dove Stato e mafia sono legati da indicibili accordi, dimentichiamo lo scontro dei pm di Palermo con il presidente della Repubblica su quelle quattro telefonate intercettate con l’ex presidente del Senato Nicola Mancino (sono state distrutte), dimentichiamo i contrasti istituzionali che ne sono seguiti. È tutto contorno, fuffa per non affrontare seriamente cosa è accaduto 21 anni fa giù in Sicilia. Chi alimenta quelle polemiche non vuole andare sino in fondo alla questione, chi ancora rivanga il duello Napolitano-pm di Palermo perde di vista il cuore del problema: la trattativa che c’è stata, le «convergenze di interessi» che hanno portato alle uccisioni di Falcone e Borsellino. Ma c’è chi fa ancora resistenza, chi ha interesse a confondere, a far finire nomi grossi a tutti i costi nell’arena.
Ma non è così. Non sono i nomi di “grido” quelli che richiama Totò Riina, non sono capi di Stato o fantomatiche potenze straniere quelle che vuole coinvolgere. Sono nomi più nascosti. E lui si è rivolto a loro. Solo a loro. Mettendo in un tritacarne un magistrato di Palermo che non sa più chi sono gli amici e chi sono i nemici, chi è che con lui e chi è contro di lui. 
La furia di Totò Riina è un ricatto, l’ultimo.

martedì 6 agosto 2013

Ninì Cassarà e Roberto Antiochia 6 agosto 1985. Gaetano Costa, 6 agosto 1980.

Fare Memoria. "Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano". Erano state queste le parole di Ninì Cassarà pronunciate durante i funerali del commissario  Beppe Montana ucciso pochi giorni prima, il 28 luglio 1985., nell'estate in cui la mafia decapitò il vertice della Squadra Mobile palermitana. Quelle parole, una tragica profezia, vennero  ricordate anni dopo dallo stesso Paolo Borsellino nella sua ultima intervista rilasciata nel luglio 1992, pochi giorni prima di essere a sua volta ucciso. 
Paolo Borsellino e Ninì Cassarà

Ninì Cassarà non doveva avere scampo: tre killer, protetti da altri uomini nella strada, si erano appostati nei mezzani di tre piani della palazzina dove Cassarà viveva insieme alla moglie Laura e ai due figli: Cassarà aveva avvertito del suo arrivo sua moglie che, come sempre, era affacciata al baloce per controllare che nella strada tutto fosse tranquillo. Un traditore celato fra gli uomini della Questura, e mai scoperto,rinforò i killer dell'arrivo di Cassarà: 9 uomini e 200 pallottole di kalashnikov fecero a brandelli l'Alfetta del Commissario Cassarà che riuscì solo a lanciarsi verso l'ingresso della palazzina, invano. Il poliziotto Roberto Antiochia, 23enne, fece da scudo con il suo corpo a Ninni e morì subito. Solo l'agente Natale Mondo restò illeso ma sarebbe stato ucciso anch'egli il 14 gennaio 1988 davanti al negozio gestito dalla moglie.
Saveria Antiochia, madre di Roberto ucciso insieme a Ninni Cassarà il 6 agosto 1985, dopo i funerali scrisse una lettera aperta di denuncia al ministro dell'Interno Scalfaro, che la Repubblica pubblicò sotto il titolo "Li avete abbandonati"Gli occhi di quella madre, che successivamente avrebbe girato instancabilmente tutta l'Italia, furono sempre presenti ai processi, e quando toccò lei testimoniare, senza un attimo di esitazione, guardarono dritto quelli degli esecutori e dei mandanti.
In questo video, l'intervista di Mauro Rostagno.



Gaetano Costa

fonte Wikipedia
Di lui scrisse un suo sostituto che era un uomo “di cui si poteva comperare solo la morte”.
Alle 19:30 del 6 agosto 1980, mentre passeggiava da solo ed a piedi, morì dissanguato sul marciapiede di via Cavour a Palermo. Al funerale parteciparono poche persone soprattutto pochi magistrati.[
Non va dimenticato che, pur essendo l'unico magistrato a Palermo al quale, in quel momento, erano state assegnate un'auto blindata ed una scorta, non ne usufruiva ritenendo che la sua protezione avrebbe messo in pericolo altri e che lui era uno di quelli che “aveva il dovere di avere coraggio”.
Nessuno è stato condannato per la sua morte ancorché la Corte di assise di Catania ne abbia accertato il contesto individuandolo nella zona grigia tra affari, politica e crimine organizzato.
Da molti settori, compresa la Magistratura, si è cercato di farlo dimenticare anche, forse, per nascondere le colpe di coloro che lo lasciarono solo e, come disse Sciascia, lo additarono alla vendetta mafiosa.
Il suo impegno fu continuato da Rocco Chinnici, allora tra i pochi che lo capirono e ne condivisero gli intenti e l'azione. E a cui, per questo, toccò la stessa sorte.

giovedì 9 maggio 2013

"Sai contare?... E allora conta e cammina!

"Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà... 
Felicia Impastato, la mamma, e la foto di Peppino

... All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore ". Peppino Impastato

Peppino non si arrese mai, nè all'omertà nè alla rassegnazione. 
"Sai contare? E allora conta e cammina!"

Sono passati 35 anni dalla notte del 9 maggio 1978, la notte in cui Peppino Impastato venne ucciso, fatto a pezzi dalla "montagna di merda". 
Ma il suo invito risuona ancora. Oggi più che mai, l'invito di Peppino Impastato a difendere la Bellezza è diventato l'imperativo per chi vuole cambiare le sorti di questo paese, un paese devastato nella sua Bellezza così come nella sua Etica. Ma la storia di Peppino Impastato e di mamma Felicia non è morta. La storia di Peppino, così come altre storie, continueranno a camminare con le nostre gambe se avremo il coraggio "di cambiare". 



fonte: La Repubblica

Ma il "caso Impastato" non è chiuso

S'indaga ancora, dopo trentacinque anni. Su depistaggi, carte sparite, testimoni scomparsi. Quello che sembrava un esemplare delitto di mafia, forse nasconde qualche altro movente e qualche altro mandante. Il "caso Impastato" non è chiuso, destinato per sempre agli archivi. Ci sono troppo indizi che raccontano un'altra storia sull'uccisione di Peppino.
Basta cominciare da ciò che abbiamo sempre avuto sotto gli occhi: la scena del crimine. I binari, il "terrorista" steso in mezzo al sua sangue e ai frammenti della sua bomba. Quando avevano ucciso così i boss, in Sicilia? Mai. La scena del crimine  -  decisamente inconsueta per un omicidio di mafia  -  a rivederla anche dopo tanto tempo sembra più un'"operazione" di tipo militare che una vendetta di Cosa Nostra. 
E poi l'inchiesta contraffatta, fin dalle prime battute, per sostenere la tesi dell'attentato finito male. Una sentenza scritta in fretta: Peppino Impastato "morto sul lavoro", mentre metteva bombe. L'hanno "suicidato" tutti già quella notte il ragazzo di Cinisi. Tutti. Magistrati. Carabinieri. Testi mendaci. Un inquinamento investigativo così imponente (e sincronizzato) che non sembra giustificare  -  ora come allora - la copertura di un mafioso così importante come era Tano Badalamenti, il re della droga, un bovaro diventato ricco come un creso con l'eroina mandata in America.
Come è finita, si sa: don Tano è stato condannato all'ergastolo per l'uccisione di Peppino Impastato moltissimi anni dopo. Ma forse, forse è stata fatta giustizia solo a metà. Forse in quel delitto di Cinisi, fra la notte dell'8 e del 9 maggio 1978, si può scorgere adesso una di quelle "convergenze di interessi" fra Cosa Nostra e altri poteri che hanno segnato tante altre vicende siciliane. S'indaga ancora su Peppino, dopo trentacinque anni.






lunedì 6 maggio 2013

IL TESTAMENTO DI AGNESE BORSELLINO AI GIOVANI


"Carissimi giovani, mi rivolgo a voi come ai soli in grado di raccogliere davvero il messaggio che mio marito ha lasciato, un`eredità che oggi, malgrado le terribili verità che stanno mano a mano affiorando sulla morte di mio marito, hanno raccolto i miei tre figli, di cui non posso che andare orgogliosa soprattutto perché servono quello stesso Stato che non pare avere avuto la sola colpa di non avere fatto tutto quanto era in suo potere per impedire la morte del padre.

Leggendo con i miei figli (qui in ospedale dove purtroppo affronto una malattia incurabile con la dignità che la moglie di un grande uomo deve sempre avere) le notizie che si susseguono sui giornali, dopo alcuni momenti di sconforto ho continuato e continuerò a credere e rispettare le istituzioni di questo Paese, perché mi rendo conto che abbiamo il dovere di rispettarle e servirle come mio marito sino all`ultimo ci ha insegnato, non indietreggiando nemmeno un passo di fronte anche al solo sospetto di essere stato tradito da chi invece avrebbe dovuto fare quadrato attorno a lui.
Io e i miei figli non ci sentiamo persone speciali, non lo saremo mai, piuttosto siamo piccolissimi dinanzi la figura di un uomo che non è voluto sfuggire alla sua condanna a morte, che ha donato davvero consapevolmente il dono più grande che Dio ci ha dato, la vita.
Io non perdo la speranza in una società più giusta ed onesta, sono anzi convinta che sarete capaci di rinnovare l’attuale classe dirigente e costruire una nuova Italia, l’Italia del domani.
Un caloroso abbraccio a voi tutti
Agnese Borsellino