Una data lega l'assassinio di due uomini: Aldo Moro e Peppino Impastato: il primo ucciso per mano delle Brigate Rosse, il secondo ucciso da Cosa Nostra.
Aldo Moro e Peppino Impastato uccisi nella stessa "notte buia dello stato italiano", alle prime ore del 9 maggio 1978."
Da tempo ripetiamo che In Italia la ragnatela del potere lega vicende e trame di cui ancora oggi non siamo stati capaci di definire pienamente i contorni: morti innocenti, delitti oscuri, perpetrati da mani a cui abbiamo dato il nome di mafie, bande, terroristi, servizi segreti deviati, golpisti. Delitti e stragi commessi pensando che, in Italia, potesse servire spargere sangue innocente: per seminare paure e insicurezza per annientare persone, idee e valori, per impedire o indirizzare cambiamenti.
Oggi il "potere" ha imparato ad usare metodi differenti, più adatti al momento storico che viviamo, tanto che quotidianamente scopriamo che mafie e "pensiero mafioso", corruzione e mala-politica, sono fattori potenti e presenti come non mai, tanto da essere diventati "il cancro" che mina presente e futuro di questo Paese.
Facciamo nostre le parole di Alessia Candido: "Peppino Impastato era un rivoluzionario, un militante, un comunista senza "se, ma, forse". Uno che aveva capito che combattere le mafie significa combattere il sistema economico, politico e di potere di cui sono architrave. Significa lottare controle speculazioni edilizie, gli ostinati latifondi, contro le mega-opere inutili che a forza di varianti diventano sempiterni bancomat (...)".
Ancora più grave la situazione denunciata da Attilio Bolzoni nel suo ultimo libro "IMMORTALI": in Italia c’è sempre più mafia e ci sono sempre meno mafiosi. Non si spara più e ci dicono che lo Stato ha vinto. Catturati uno dopo l’altro i boss più importanti, sono rimasti liberi, spesso incensurati, coloro i quali li hanno sempre appoggiati dall’esterno: imprenditori, commercialisti, avvocati, notai, amministratori locali e alti burocrati, broker, negoziatori, esperti del lavaggio del denaro o di architetture finanziarie per nasconderlo. Insomma,la borghesia mafiosa.Ogni epoca ha la sua mafia e anche quella in cui viviamo ne ha una: è «la mafia degli incensurati». Attilio Bolzoni denuncia un’Italia che, ancora una volta, ha perso la memoria, conla giustizia e l’antimafia che sembrano tornate ai tempi prima del Maxiprocesso e di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino.
La mafia si è ripresa il potere (economico) ed è necessario un nuovo racconto per smascherarla.
Aldo Moro"
Non siamo in grado di parlare della figura di Aldo Moro e ce ne scusiamo. Quale potesse essere il contributo che come uomo, prima ancora che come statista, avrebbe potuto lasciare all'Italia, lo mostra la sua ultima lettera indirizzata alla moglie Noretta:
«Mia dolcissima Noretta, credo di essere giunto all’estremo delle mie possibilità e di essere sul punto di chiudere questa mia esperienza umana. Ho tentato di tutto.
Credo di tornare a voi in un’altra forma. Ci rivedremo. Ci ritroveremo. Ci riameremo.
A Te devo dire grazie, infinite grazie, per tutto l’amore che mi hai dato.
Ricordati che sei stata la cosa più importante della mia vita.
Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli.
A ciascuno la mia immensa tenerezza che passa per le tue mani.
Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile.
Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo.
Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo».
Peppino Impastato: "La mafia è una montagna di merda"
Qualcosa vorremmo dire invece di Peppino Impastato ."La mafia è una montagna di merda!" Sarebbe necessario trovare ancora oggi il coraggio di gridarlo a certe "facce", a chi si è abituato a quelle facce e al puzzo della "montagna di merda", al puzzo del compromesso morale, della convenienza , ai tanti misteri che soffocano la Giustizia di questo paese, misteri custoditi dal sigillo del Potere.
O ci basterà la vuota retorica della commemorazione, del ricordo?Ce la faremo bastare, quella retorica vuota, per giustificare la "legalità sostenibile" che abbiamo costruita a nostra misura affinché non ci faccia troppo male e non ci costringa troppo? Oppure cominceremo davvero a "fare memoria", ad avere il coraggio e la coerenza necessarie affinché le cose accadute non abbiano più a ripetersi, affinché si metta in atto l'insegnamento di coloro che, come in un triste rosario, continuiamo a snocciolarne nomi, date di nascita e di morte prematura?
Che non siano state morti inutili.
Due testimoniane a memoria di Peppino Impastato
Salvo Vitale, amico fraterno di Peppino Impastato (fonte Antimafiaduemila): "(...)sembra ieri. Che cosa rende Peppino sempre attuale e degno di interesse? Indubbiamente la sua giovane età: è morto a 30 anni e quindi non ha avuto il tempo di invecchiare o di lasciare invecchiare le sue idee e tutto ciò in cui credeva. Altro elemento che lo rende vivo e presente è la radicalità delle sue scelte, il rifiuto del compromesso, la scelta senza discussioni delle proprie idee come base per costruire una società nuova e quindi la contestazione delle strutture autoritarie della società borghese, dalla chiesa, alla famiglia, alla scuola, alle istituzioni in genere. E poi la sua attualità è nella scelta degli strumenti di comunicazione, ultimo dei quali la Radio.Peppino progettava un’informazione veramente libera, non soggetta a censure, formativa e informativa dove la notizia era la narrazione del vissuto che ci circonda, dei drammi quotidiani dell’esistenza e non le vicende dei personaggi importanti, l’ufficialità dell’avvenimento, l’informazione istituzionalizzata. Peppino era un giornalista purosangue, anche se non ha mai avuto il tesserino, anzi gli è stato dato ad honorem nel 1996, così come, sempre, nello stesso anno, la laurea.In questo contesto assume particolare importanza la satira e il dileggio di atteggiamenti, di idee, di manovre, di speculazioni, che “le persone che contano” ritengono intoccabili e sacrosante e di cui giornalmente si nutrono. In prima fila, tra queste persone, mafiosi e politici, ma anche preti, medici, avvocati, affaristi, in pratica quella che una volta si definiva “classe dominante”.
Una delle canzoni da lui preferite era “Vecchia piccola borghesia”, di Claudio Lolli, “Vecchia piccola borghesia, per piccina che tu sia, non so dirti se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia”. Dall’altro lato della barricata c’erano le persone più deboli e indifese, i lavoratori, gli edili, i contadini di Punta Raisi, gli stagionali di Città del mare, i disoccupati, i pescatori di Terrasini, coloro a cui Peppino aveva dedicato la vita e per i quali sognava di costruire una società diversa, dove tutti fossero uguali e senza privilegi.
E’ chiaro che una persona del genere che voleva cambiare il contesto sociale in cui era nato e che tutti invece accettavano, non poteva che essere considerata scomoda e, alla fine, la sua morte ha rappresentato una sorta di liberazione. Ma naturalmente resta il fascino delle sue idee, ed è per questo che ogni anno ci si ricorda del suo barbaro omicidio, del tentativo di depistaggio che voleva farlo passare per un attentato terroristico, dell’impegno della famiglia e dei compagni per ottenere giustizia e verità e della lunga strada durata 22 anni, prima di riuscirci.
Nel vuoto culturale che ci circonda Peppino è sempre un punto di riferimento".
Alessia Candito, giornalista de La Repubblica: "Peppino Impastato era un rivoluzionario, un militante, un comunista senza "se, ma, forse". Uno che aveva capito che combattere le mafie significa combattere il sistema economico, politico e di potere di cui sono architrave. Significa lottare controle speculazioni edilizie, gli ostinati latifondi, contro le mega-opere inutili che a forza di varianti diventano sempiterni bancomat come la terza pista dell’aeroporto di Cinisi, contro gli impasti massonico-mafiosi che permettono il perpetuarsi del sistema. Peppino era uno che aveva capito che la lotta alla mafia è lotta per i diritti di tutti contro i privilegi di pochi, per questo organizzava le lotte dei manovali contro i caporali, quelle dei braccianti e dei coloni contro il barone e padrone di turno.
Oggi i latifondi ci sono ancora, l'A3 è diventata A2 ma continua a far mangiare i clan, si torna a parlare di ponte sullo Stretto e Peppino Impastato è diventato "quello di Radio Aut".
La memoria o è vera, reale e completa o rimane esercizio buono per comodissime passerelle. "Cuntra mafia e putiri, c'è sulu rivoluzioni"
Una data lega l'assassinio di due uomini: Aldo Moro e Peppino Impastato: il primo ucciso per mano delle Brigate Rosse, il secondo ucciso da Cosa Nostra.
Aldo Moro e Peppino Impastato uccisi nella stessa "notte buia dello stato italiano", alle prime ore del 9 maggio 1978."
E da tempo ripetiamo che In Italia la ragnatela del potere lega vicende e trame di cui ancora oggi non siamo stati capaci di definire pienamente i contorni: morti innocenti, delitti oscuri, perpetrati da mani a cui abbiamo dato il nome di mafie, bande, terroristi, servizi segreti deviati, golpisti. Delitti e stragi commessi pensando che, in Italia, potesse servire spargere sangue innocente: per seminare paure e insicurezza per annientare persone, idee e valori, per impedire o indirizzare cambiamenti.
Oggi il "potere" ha imparato ad usare metodi differenti, più adatti al momento storico che viviamo, tanto che quotidianamente scopriamo che mafie e "pensiero mafioso", corruzione e mala-politica, sono fattori potenti e presenti come non mai, tanto da essere diventati "il cancro" che mina presente e futuro di questo Paese.
Facciamo nostre le parole di Alessia Candido: "Peppino Impastato era un rivoluzionario, un militante, un comunista senza "se, ma, forse". Uno che aveva capito che combattere le mafie significa combattere il sistema economico, politico e di potere di cui sono architrave. Significa lottare controle speculazioni edilizie, gli ostinati latifondi, contro le mega-opere inutili che a forza di varianti diventano sempiterni bancomat (...)"
"La mafia è una montagna di merda"
Non siamo in grado di parlare della figura di Aldo Moro e ce ne scusiamo. Quale potesse essere il contributo che come uomo, prima ancora che come statista, avrebbe potuto lasciare all'Italia, lo mostra la sua ultima lettera indirizzata alla moglie Noretta:
«Mia dolcissima Noretta, credo di essere giunto all’estremo delle mie possibilità e di essere sul punto di chiudere questa mia esperienza umana. Ho tentato di tutto.
Credo di tornare a voi in un’altra forma. Ci rivedremo. Ci ritroveremo. Ci riameremo.
A Te devo dire grazie, infinite grazie, per tutto l’amore che mi hai dato.
Ricordati che sei stata la cosa più importante della mia vita.
Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli.
A ciascuno la mia immensa tenerezza che passa per le tue mani.
Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile.
Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo.
Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo».
Qualcosa vorremmo dire invece di Peppino Impastato ."La mafia è una montagna di merda!" Sarebbe necessario trovare ancora oggi il coraggio di gridarlo a certe "facce", a chi si è abituato a quelle facce e al puzzo della "montagna di merda", al puzzo del compromesso morale, della convenienza , ai tanti misteri che soffocano la Giustizia di questo paese, misteri custoditi dal sigillo del Potere.
O ci basterà la vuota retorica della commemorazione, del ricordo?Ce la faremo bastare, quella retorica vuota, per giustificare la "legalità sostenibile" che abbiamo costruita a nostra misura affinchè non ci faccia troppo male e non ci costringa troppo? Oppure cominceremo davvero a "fare memoria", ad avere il coraggio e la coerenza necessarie affinché le cose accadute non abbiano più a ripetersi, affinché si metta in atto l'insegnamento di coloro che, come in un triste rosario, continuiamo a snocciolarne nomi, date di nascita e di morte prematura?
Che non siano state morti inutili.
Due testimoniane a memoria di Peppino Impastato
Salvo Vitale, amico fraterno di Peppino Impastato (fonte Antimafiaduemila): "(...)sembra ieri. Che cosa rende Peppino sempre attuale e degno di interesse? Indubbiamente la sua giovane età: è morto a 30 anni e quindi non ha avuto il tempo di invecchiare o di lasciare invecchiare le sue idee e tutto ciò in cui credeva. Altro elemento che lo rende vivo e presente è la radicalità delle sue scelte, il rifiuto del compromesso, la scelta senza discussioni delle proprie idee come base per costruire una società nuova e quindi la contestazione delle strutture autoritarie della società borghese, dalla chiesa, alla famiglia, alla scuola, alle istituzioni in genere. E poi la sua attualità è nella scelta degli strumenti di comunicazione, ultimo dei quali la Radio.Peppino progettava un’informazione veramente libera, non soggetta a censure, formativa e informativa dove la notizia era la narrazione del vissuto che ci circonda, dei drammi quotidiani dell’esistenza e non le vicende dei personaggi importanti, l’ufficialità dell’avvenimento, l’informazione istituzionalizzata. Peppino era un giornalista purosangue, anche se non ha mai avuto il tesserino, anzi gli è stato dato ad honorem nel 1996, così come, sempre, nello stesso anno, la laurea.In questo contesto assume particolare importanza la satira e il dileggio di atteggiamenti, di idee, di manovre, di speculazioni, che “le persone che contano” ritengono intoccabili e sacrosante e di cui giornalmente si nutrono. In prima fila, tra queste persone, mafiosi e politici, ma anche preti, medici, avvocati, affaristi, in pratica quella che una volta si definiva “classe dominante”.
Una delle canzoni da lui preferite era “Vecchia piccola borghesia”, di Claudio Lolli, “Vecchia piccola borghesia, per piccina che tu sia, non so dirti se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia”. Dall’altro lato della barricata c’erano le persone più deboli e indifese, i lavoratori, gli edili, i contadini di Punta Raisi, gli stagionali di Città del mare, i disoccupati, i pescatori di Terrasini, coloro a cui Peppino aveva dedicato la vita e per i quali sognava di costruire una società diversa, dove tutti fossero uguali e senza privilegi.
E’ chiaro che una persona del genere che voleva cambiare il contesto sociale in cui era nato e che tutti invece accettavano, non poteva che essere considerata scomoda e, alla fine, la sua morte ha rappresentato una sorta di liberazione. Ma naturalmente resta il fascino delle sue idee, ed è per questo che ogni anno ci si ricorda del suo barbaro omicidio, del tentativo di depistaggio che voleva farlo passare per un attentato terroristico, dell’impegno della famiglia e dei compagni per ottenere giustizia e verità e della lunga strada durata 22 anni, prima di riuscirci.
Nel vuoto culturale che ci circonda Peppino è sempre un punto di riferimento".
Alessia Candito, giornalista de La Repubblica: "Peppino Impastato era un rivoluzionario, un militante, un comunista senza "se, ma, forse". Uno che aveva capito che combattere le mafie significa combattere il sistema economico, politico e di potere di cui sono architrave. Significa lottare controle speculazioni edilizie, gli ostinati latifondi, contro le mega-opere inutili che a forza di varianti diventano sempiterni bancomat come la terza pista dell’aeroporto di Cinisi, contro gli impasti massonico-mafiosi che permettono il perpetuarsi del sistema. Peppino era uno che aveva capito che la lotta alla mafia è lotta per i diritti di tutti contro i privilegi di pochi, per questo organizzava le lotte dei manovali contro i caporali, quelle dei braccianti e dei coloni contro il barone e padrone di turno.
Oggi i latifondi ci sono ancora, l'A3 è diventata A2 ma continua a far mangiare i clan, si torna a parlare di ponte sullo Stretto e Peppino Impastato è diventato "quello di Radio Aut".
La memoria o è vera, reale e completa o rimane esercizio buono per comodissime passerelle. "Cuntra mafia e putiri, c'è sulu rivoluzioni"
Come gruppo "Associazione Rita Atria Pinerolo" continuiamo ad occuparci di gestione del territorio poiché, a nostro parere, questo può rappresentare un indicatore utile ad individuare gli scopi, gli indirizzi, il “progetto generale” che guida e determina il carattere di una amministrazione locale e, di conseguenza, quello della sua comunità. Non solo: avere cura e amore per i territori è un primo fondamentale strumento per opporsi a "mafie e pensiero mafioso".
Cosicché, a pochi giorni dalla
celebrazione della "Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle
vittime innocenti delle mafie", anche a Pinerolo bisognerebbe ricordare "la
lezione" attribuita a Peppino Impastato a coloro che, con rozzezza culturale che si vorrebbe superata e cancellata, vogliono distruggere quanto resta
della bellezza della città:«Se si insegnasse la bellezza
alla gente, la si fornirebbe di un'arma contro la rassegnazione, la paura e
l'omertà. All'esistenza di orrendi palazzi sorti all'improvviso, con tutto il
loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si
mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si
dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che
è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. E per questo che
bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si
insinui più l'abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la
curiosità e lo stupore».
Ringraziamo pertanto Patrizio Righero, direttore di Vita Diocesana, per aver voluto dare voce a Marco Calliero, autorevole esponente della cultura pinerolese, "una voce" ancora una volte levatasi a difesa di quel che resta della memoria storica-architettonica-urbanistica della città di Pinerolo, dell'ex-merlettificio TURK. Nell'intervista "Ultima chiamata per il Turk", Marco Calliero ribadisce ancora una volta "di cosa stiamo parlando" quando si parla dell'ex merlettificio Turk: "(...) un importante esempio di archeologia industriale e una testimonianza dell’antico legame tra la città di Pinerolo e l’industria tessile.L’intero stabilimento è meritevole di essere salvato, e non solo una sua parte, rivestendo quell’interesse particolarmente importante, così come previsto dalla normativa vigente in materia di tutela storico/architettonica.".
Marco Calliero “(…) Non si può più tollerare l'arroganza di coloro che, giustificandosi con la necessità di applicare una normativa, oppure di rispettare bilanci economici, oppure ancora sventolando false urgenze igieniche, hanno deciso e decidono che un luogo giunto a noi dopo secoli non valga più nulla.Questo èun autentico crimine legalizzato ai danni dell'identità del territorio, poiché l'identità è la più preziosa delle eredità tramandate da chi ci ha preceduto(…)”.
Ultima chiamata per salvare il TURK
riportiamo il testo de "Ultima chiamata per salvare il TURK"
Le condizioni dello stabilimento Türck di
Pinerolo, nella sua parte visibile, sono sotto gli occhi di tutti. Il suo
destino ora sembra segnato. Ma in molti non si rassegnano a perdere per sempre
questo edificio, simbolo della storia industriale della città. Tra loro Marco Calliero,
autore del libro “Ruote sull’acqua. Storia e localizzazione dei siti
industriali lungo il Rio Moirano a Pinerolo” e collaboratore dell’Archivio
Diocesano.
Partiamo dall’inizio. Che cosa intendiamo quando parliamo dell’area
Türck? Qual è la sua storia?
Il paratore di panni comunale,
poi ribattezzato Follone, infine evoluto in merlettificio (noto col nome degli
ultimi proprietari, i Türck), per secoli è stato l’ammiraglia della batteria di
officine industriali poste lungo il rio Moirano. L’archivio storico del Comune
conserva numerosi documenti che ne descrivono lo sviluppo architettonico e
tecnologico, le dinamiche imprenditoriali e la produzione. Nacque nel Medioevo,
per iniziativa del Comune, nel contesto dell’arte della lana. I pinerolesi
andavano fieri di questo edificio, tanto da coinvolgere a inizio Settecento il
famoso architetto sabaudo Buniva per i lavori del suo ampliamento; invitando
successivamente i reali per celebrarne i tessuti che vi si producevano per
vestire l’esercito. I Türck a fine Ottocento ne raccolsero l’eredità e la
difesero, fino agli anni Settanta dello scorso secolo. Poi l’aria è cambiata,
ed è iniziata l’era degli individui che gli hanno voluto male.
Dopo il fallimento, com’è stato gestito questo patrimonio immobiliare?
Qual è stato il ruolo delle diverse Amministrazioni comunali nel tempo?
Complice la generale recessione
industriale del tessile, i Türck erano in difficoltà. Nel 1975 il comune di
Pinerolo vincolò tutta l’area fino al Lemina a verde pubblico, impedendo loro di
vendere alcuni lotti di terreni al fine di risanare le loro finanze. Un vincolo
durato due anni, giusto il tempo per condurre al fallimento i Türck. La vasta
area fu messa all’asta e acquisita nel 1979 dalla Società Moirano intenzionata
a costruirvi sopra un nuovo quartiere senza mostrare interesse nella
conservazione della preesistenza. Negli anni Ottanta e Novanta furono prodotte
diverse ipotesi, le quali, oltre l’equilibrio tra strutture residenziali e
servizi, prospettavano il recupero dell’opificio o parte di esso. Tutte furono
scartate: centro culturale, sede universitaria, nuova biblioteca civica, nuovo
tribunale, sede dell’Agenzia delle Entrate. Neppure la buona volontà
dell’assessore Fantone, fautore di una “Variante di qualità”, calmierante le
altezze degli edifici, e di una proposta per il salvataggio dell’involucro
dell’intero edificio sulle orme del progetto Eridania di Parma firmato da Renzo
Piano, avranno buon fine. Già negli anni 1996-1997 la Soprintendenza aveva
chiesto all’Amministrazione comunale che qualsiasi progetto presentato non
compromettesse i volumi e le facciate dell’ex Merlettificio, senza tuttavia
porre alcun vincolo di tutela. L’Università di Torino, rimarcando il valore
assoluto di questa testimonianza della proto industria della lana, a sua volta
assegnò numerose tesi di laurea, senza però ottenere alcun riscontro da parte
del Comune e dei proprietari. Neanche il concorso di idee Lyda Türck, promosso
da Italia Nostra in collaborazione con l’Ordine degli Architetti di Torino e
finanziato dagli eredi Türck negli anni 2014-2015, riuscì a mutare gli intenti
dei proprietari. Tutte queste iniziative solo nel 2021 hanno convinto la
Soprintendenza a porre un vincolo su minime parti del fabbricato. Nel 2008 il
Consiglio comunale ha inserito il Merlettificio in un “Piano di recupero” che
ha aggirato la normativa vincolante del restauro. Il 13 ottobre 2013 un
incendio interessò la porzione ovest dell’edificio. L’incendio venne imputato
alla disattenzione di alcuni occupanti abusivi. L’allora sindaco Buttiero si
affrettò subito dopo a dichiarare che, vista la pericolosità del sito, «è
auspicabile la sua demolizione». A partire dal 2016 la nuova Amministrazione
del sindaco Luca Salvai si è dimostrata in linea con le precedenti, reputando
prioritario porre rimedio alle questioni di degrado, anche a discapito della
conservazione del Merlettificio. Nel settembre 2018 è stato presentato
pubblicamente il progetto dell’arch. Bardini di Asti, che prevede la
costruzione di 869 nuovi vani. A distanza di sessant’anni siamo così di fronte
al rischio che un nuovo scempio venga compiuto. Nel 1960 il sindaco di Pinerolo
Bona passò alla storia (solo per questo, altrimenti nessuno lo ricorderebbe
più) per aver fatto abbattere il seicentesco Hotel di Cavalleria. Un evento
sconcertante, che si stentava a credere che si potesse ripetere.
Per quale motivo il Türck merita di essere tutelato? Quale il suo
significato per la città di Pinerolo?
L’ex Merlettificio è il più
antico opificio di pannolana, tutt’ora esistente, insediato in Piemonte, mentre
gli ampliamenti settecenteschi lo hanno reso il primo lanificio modernamente
inteso dello Stato sabaudo. Allo stato attuale l’edificio si presenta
visivamente integro nella sua mole, comprese le strutture della parte bruciata.
Conserva, in adiacenza alla porzione settecentesca del Follone, gli antichi
macchinari idraulici costruiti sul Moirano, testimoni della trasformazione del
sistema di produzione di energia da idroelettrico in elettrico. L’intero
edificio rappresenta, nella sua integrità e totalità tutt’ora in essere, e
proprio per questa sua conservazione complessiva e per la stratificazione
plurisecolare derivante dalle funzioni proto-industriali ospitate, un
importante esempio di archeologia industriale e una testimonianza dell’antico
legame tra la città di Pinerolo e l’industria tessile.L’intero stabilimento è meritevole di essere salvato, e
non solo una sua parte, rivestendo
quell’interesse particolarmente importante, così come previsto dalla normativa vigente
in materia di tutela storico/architettonica.
A tuo avviso, a quali rischi va incontro
quest’area paleo-industriale?
Le intenzioni
dell’Amministrazione e dei proprietari si espliciteranno nella quasi totale
demolizione di questo simbolo identitario, eccetto una quinta di muro, un
minimo suo segmento che - c’è da scommettere - verrà buttato giù e ricostruito
e che, assieme a un parco pubblico, costituiscono il “regalo” promesso alla
popolazione. Tutto segue il copione tipico dell’ideologia e prassi di chi, con
disinvoltura, per decenni ha distrutto l’immagine e la bellezza del nostro
Paese. Anche molti cittadini hanno imparato ad argomentare che «non si può fare nulla perché si tratta di un
immobile privato», mentre il basilare principio secondo cui proprio il
privato deve chiedere una concessione -ossia un permesso per fare qualsiasi
cosa- implica che a decidere, almeno sulla carta, sia l’istituzione pubblica. A
meno che quest’ultima predisponga strumenti urbanistici fatti in modo da
lasciare libertà al privato di decidere. Come è successo. E dire che
l’opportunità di mettere mano al Piano regolatore, concretamente e su basi
nuove, c’era. A conti fatti rimane sul
campo un’Amministrazione, competente o incompetente che sia, debole nel
ricoprire la funzione pubblica a cui è stata chiamata.Nel caso del Türck,
l’esecutivo ha gestito talmente bene o male l’affare, a seconda del punto di
vista rispetto l’incolumità del bene maneggiato, che ad averne il potere
sarebbe da chiederne le dimissioni. Purtroppo si può solamente scriverlo.
Lo scriviamo oramai da anni: "Una data lega l'assassinio di due uomini: Aldo Moro e Peppino Impastato. Il primo ucciso per mano delle Brigate Rosse, il secondo ucciso da Cosa Nostra. Uccisi nella stessa "notte buia dello stato italiano" alle prime ore del 9 maggio 1978."
E da tempo ripetiamo che In Italia la ragnatela del potere lega vicende e trame di cui ancora oggi non siamo stati capaci di definire pienamente i contorni: morti innocenti, delitti oscuri, perpetrati da mani a cui abbiamo dato il nome di mafie, bande, terroristi, servizi segreti deviati, golpisti. Delitti e stragi commessi pensando che, in Italia, potesse servire spargere sangue innocente: per seminare paure e insicurezza per annientare persone, idee e valori, per impedire o indirizzare cambiamenti.
Oggi il "potere" ha imparato ad usare metodi differenti, più adatti al momento storico che viviamo, tanto che quotidianamente scopriamo che mafie e "pensiero mafioso", corruzione e mala-politica, sono fattori potenti e presenti come non mai, tanto da essere diventati "il cancro" che mina presente e futuro di questo Paese.
Facciamo nostre le parole di Alessia Candido: "Peppino Impastato era un rivoluzionario, un militante, un comunista senza "se, ma, forse". Uno che aveva capito che combattere le mafie significa combattere il sistema economico, politico e di potere di cui sono architrave. Significa lottare controle speculazioni edilizie, gli ostinati latifondi, contro le mega-opere inutili che a forza di varianti diventano sempiterni bancomat (...)"
"La mafia è una montagna di merda"
Non siamo in grado di parlare della figura di Aldo Moro e ce ne scusiamo. Quale potesse essere il contributo che come uomo, prima ancora che come statista, avrebbe potuto lasciare all'Italia, lo mostra la sua ultima lettera indirizzata alla moglie Noretta:
«Mia dolcissima Noretta, credo di essere giunto all’estremo delle mie possibilità e di essere sul punto di chiudere questa mia esperienza umana. Ho tentato di tutto.
Credo di tornare a voi in un’altra forma. Ci rivedremo. Ci ritroveremo. Ci riameremo.
A Te devo dire grazie, infinite grazie, per tutto l’amore che mi hai dato.
Ricordati che sei stata la cosa più importante della mia vita.
Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli.
A ciascuno la mia immensa tenerezza che passa per le tue mani.
Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile.
Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo.
Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo».
Qualcosa vorremmo dire invece di Peppino Impastato ."La mafia è una montagna di merda!" Sarebbe necessario trovare ancora oggi il coraggio di gridarlo a certe "facce", a chi si è abituato a quelle facce e al puzzo della "montagna di merda", al puzzo del compromesso morale, della convenienza , ai tanti misteri che soffocano la Giustizia di questo paese, misteri custoditi dal sigillo del Potere.
O ci basterà la vuota retorica della commemorazione, del ricordo?Ce la faremo bastare, quella retorica vuota, per giustificare la "legalità sostenibile" che abbiamo costruita a nostra misura affinchè non ci faccia troppo male e non ci costringa troppo? Oppure cominceremo davvero a "fare memoria", ad avere il coraggio e la coerenza necessarie affinché le cose accadute non abbiano più a ripetersi, affinché si metta in atto l'insegnamento di coloro che, come in un triste rosario, continuiamo a snocciolarne nomi, date di nascita e di morte prematura?
Che non siano state morti inutili.
Due testimoniane a memoria di Peppino Impastato
Salvo Vitale, amico fraterno di Peppino Impastato (fonte Antimafiaduemila): "(...)sembra ieri. Che cosa rende Peppino sempre attuale e degno di interesse? Indubbiamente la sua giovane età: è morto a 30 anni e quindi non ha avuto il tempo di invecchiare o di lasciare invecchiare le sue idee e tutto ciò in cui credeva. Altro elemento che lo rende vivo e presente è la radicalità delle sue scelte, il rifiuto del compromesso, la scelta senza discussioni delle proprie idee come base per costruire una società nuova e quindi la contestazione delle strutture autoritarie della società borghese, dalla chiesa, alla famiglia, alla scuola, alle istituzioni in genere. E poi la sua attualità è nella scelta degli strumenti di comunicazione, ultimo dei quali la Radio.Peppino progettava un’informazione veramente libera, non soggetta a censure, formativa e informativa dove la notizia era la narrazione del vissuto che ci circonda, dei drammi quotidiani dell’esistenza e non le vicende dei personaggi importanti, l’ufficialità dell’avvenimento, l’informazione istituzionalizzata. Peppino era un giornalista purosangue, anche se non ha mai avuto il tesserino, anzi gli è stato dato ad honorem nel 1996, così come, sempre, nello stesso anno, la laurea.In questo contesto assume particolare importanza la satira e il dileggio di atteggiamenti, di idee, di manovre, di speculazioni, che “le persone che contano” ritengono intoccabili e sacrosante e di cui giornalmente si nutrono. In prima fila, tra queste persone, mafiosi e politici, ma anche preti, medici, avvocati, affaristi, in pratica quella che una volta si definiva “classe dominante”.
Una delle canzoni da lui preferite era “Vecchia piccola borghesia”, di Claudio Lolli, “Vecchia piccola borghesia, per piccina che tu sia, non so dirti se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia”. Dall’altro lato della barricata c’erano le persone più deboli e indifese, i lavoratori, gli edili, i contadini di Punta Raisi, gli stagionali di Città del mare, i disoccupati, i pescatori di Terrasini, coloro a cui Peppino aveva dedicato la vita e per i quali sognava di costruire una società diversa, dove tutti fossero uguali e senza privilegi.
E’ chiaro che una persona del genere che voleva cambiare il contesto sociale in cui era nato e che tutti invece accettavano, non poteva che essere considerata scomoda e, alla fine, la sua morte ha rappresentato una sorta di liberazione. Ma naturalmente resta il fascino delle sue idee, ed è per questo che ogni anno ci si ricorda del suo barbaro omicidio, del tentativo di depistaggio che voleva farlo passare per un attentato terroristico, dell’impegno della famiglia e dei compagni per ottenere giustizia e verità e della lunga strada durata 22 anni, prima di riuscirci.
Nel vuoto culturale che ci circonda Peppino è sempre un punto di riferimento".
Alessia Candito, giornalista de La Repubblica: "Peppino Impastato era un rivoluzionario, un militante, un comunista senza "se, ma, forse". Uno che aveva capito che combattere le mafie significa combattere il sistema economico, politico e di potere di cui sono architrave. Significa lottare controle speculazioni edilizie, gli ostinati latifondi, contro le mega-opere inutili che a forza di varianti diventano sempiterni bancomat come la terza pista dell’aeroporto di Cinisi, contro gli impasti massonico-mafiosi che permettono il perpetuarsi del sistema. Peppino era uno che aveva capito che la lotta alla mafia è lotta per i diritti di tutti contro i privilegi di pochi, per questo organizzava le lotte dei manovali contro i caporali, quelle dei braccianti e dei coloni contro il barone e padrone di turno.
Oggi i latifondi ci sono ancora, l'A3 è diventata A2 ma continua a far mangiare i clan, si torna a parlare di ponte sullo Stretto e Peppino Impastato è diventato "quello di Radio Aut".
La memoria o è vera, reale e completa o rimane esercizio buono per comodissime passerelle. "Cuntra mafia e putiri, c'è sulu rivoluzioni"
Siamo giunti alla seconda "notte prima degli esami" nel tempo della pandemia. Che sia l'ultima! Per coloro che sono giunti alla soglia delle sessanta primavere, vi sono prossimi o l'hanno da poco superata, queste notti continuano ad avere il sapore lontano de "la notte prima degli esame" descritta nella celebre canzone di Antonello Venditti. Inutilmente, anche "sessantenni", proviamo ad immaginare le notti delle giovani e dei giovani d'oggi, forse trincerandoci dietro la comoda scusa che tanto "sono così diversi da noi". Che la pandemia non sia servita a migliorare le comunità, quanto piuttosto a fortificare egoismi ed aumentare diseguaglianze, è un dato di fatto su cui la Storia forse interrogherà le classi dirigenti dei nostri giorni. Dal mondo della Scuola, uno dei gangli essenziali di una comunità, dai giovani protagonisti di quel mondo, giungono due notizie che a nostro parere dovrebbero far riflettere su cosa significhi veramente Scuola: su cosa deve essere "scuola", su cosa deve insegnare, sui valori che la Scuola deve esprimere e trasmettere, del bisogno ancora impellente -anche in alcuni giovani- di dover fare memoria di quei "cento passi" che un giovane siciliano, Peppino Impastato, giovane per sempre, ha provato a fare per costruire una vita diversa, migliore, per se stesso e per la comunità.
La prima notizia: Giorgia Lo Schiavo, diciottenne studentessa di Bari, di cui L'ESPRESSO n. pubblica una sua riflessione sulla maturità.E in quella riflessione come non cogliere il nesso con la "maturità" a cui tutti saremmo chiamati ad affrontare, come cittadine e cittadine, come parti di una comunità: "(...)siamo Scuola quando e dove siamo insieme e insieme costruiamo, ragioniamo, pensiamo il futuro, accudendo i nostri sogni e coltiviamo i nostri sogni e coltivando la speranza; siamo Scuola quando capiamo che responsabilità è prendersi cura gli uni degli altri, e lottare, tenaci, per cambiare il presente (aveva ragione la mia professoressa che, mentre spiegava gli anni '70, ha detto: la storia di uno Stato è la storia dei cittadini e l'unico modo per cambiarla è il loro impegno).
La seconda notizia:i "centopassi del Maurolico". Il coro del liceo classico di Messina offre un segno tangibile di memoria viva, interpretando in maniera originale ed emozionante la canzone composta dai Modena City Ramblers per il film che ebbe il grande merito di far scoprire la figura di peppino Impastato. "L'emozione più grande è stato il messaggio della nipote di Peppino Impastato. Ci ha chiesto di poter condividere il video e di andare a ripetere la canzone nella casa di Cinisi dedicata alla memoria di Impastato. Un ringraziamento ai ragazzi del Maurolico è giunto anche da parte di Claudio Fava (figlio di Beppe Fava) fra gli sceneggiatori del film ed ora è presidente della Commissione antimafia della regione Sicilia: "(...) un grazie a tutti coloro che si impegnano lontani dalla solita retorica dell'antimafia a mantenere vivo il ricordo di chi la mafia l'ha combattuta sul serio. (...) Troppe volte, infatti, nel ricordo delle tante- troppe- vittime della mafia tendiamo a focalizzarci sull’atto finale. Sulle efferate dinamiche degli omicidi e degli attentati. Io credo, invece, che occorra sempre di più ricordarne la vita. Ricordare l’impegno e le azioni. Perchè queste sono il lascito più importante che abbiamo. Il vostro lavoro, la gioia nel realizzarlo che traspare, è qualcosa di più di un semplice tributo.(....)".
Giorgia Lo Schiavo, 18 anni, studentessa del liceo Gaetano Salvemini di Bari. Fonte: Blog
ilgranteatrodelmondo2.weebly.com ORIPRODUZIONE, articolo pubblicato su L'ESPRESSO
La nostra maturità in questo anno senza"
"Non voglio sapere che
giorno è: il tempo corre e io non so fermarlo. Manca poco alla
maturità, di questo sono certa: lo dicono i libri aperti davanti ai
miei occhi, spalmati sulla scrivania fra le bozze dell'elaborato che
ho preparato per la prova orale. Il ruolo della scienza nella
costruzione della pace, con uno sguardo al Cern di Ginevra. E Daniele
Del Giudice, autore di un romanzo straordinario ambientato proprio
nei laboratori scientifici di Ginevra, l'atlante che Italo Calvino
avrebbe sicuramente amato, un romanzo portatore di una nuova poetica
dello sguardo (c'est le regard qui fait le monde) e del rispetto
per le cose. Un testo che racconta una sfida meravigliosa: sforzarsi
di vedere in un tempo in cui le cose stanno scomparendo, non troppo
diverso da questo nostro presente (passato, speriamo) impazzito fatto
di non luoghi virtuali. È un esperimento che forse un po' assomiglia
al modo in cui abbiamo fatto scuola in questo nostro ultimo anno,
impegnandoci ad esserci in assenza di corpi, banchi, sedie, baci,
corridoi, gite, abbracci, panini mangiati di nascosto mentre la prof
disperata spiega Seneca.
Di quest'anno difficile
costruito con molti “senza” non voglio dimenticare nulla, perché
tutto è stato prezioso, persino il buio (è dal buio che dobbiamo
ripartire per ricostruire cosa si è spezzato, cosa non ha funzionato). Mentre la politica metteva la scuola (e l'università)
all'ultimo posto del la lista delle priorità, noi abbiamo continuato
a camminare: si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con
tutte le sue difficoltà, ha scritto Aldo Moro.
Porto via con me una
lezione importante, forse la più preziosa di tutte:siamo Scuola
quando e dove siamo insieme e insieme costruiamo, ragioniamo,
pensiamo il futuro, accudendo i nostri sogni e coltivando nostri sogni
e coltivando la speranza; siamo Scuola quando capiamo che
responsabilità è prendersi cura gli uni degli altri, e lottare,
tenaci, per cambiare il presente (aveva ragione la mia professoressa che, mentre spiegava gli anni '70, ha detto: la storia di
uno Stato è la storia dei cittadini e l'unico modo per cambiarla è
il loro impegno).
E poi porto via anche con
me il senso di smarrimento, la paura, la rabbia e la tristezza. La
difficoltà di provare a progettare il domani quando pensi che ti sia
stato tolto tutto e non esiste un colpevole, l'affetto inestimabile
nascosto nei «Ti capisco», «Mi sento proprio così», il tentativo
di esercita re la prossimità nella lontananza. I quattro
ultimi-primi giorni di scuola che ci sono stati concessi, tutti i
momenti nostri in cui ci siamo riconosciuti dietro le mascherine, col
nostro bagaglio di speranze e timori.
Ma finirà, e noi
andremo. Guarderemo questo groviglio di emozioni con un po' di
tenerezza e lo metteremo in tasca. Piange remo un po', perché
salutare i ricordi fa questo effetto. E poi lì, sulla soglia, ci
guarderemo negli occhi, compagni per l'ultima volta e per sempre, col
mondo fra le dita. C'è una poesia di Apollinaire che parla
della paura di volare, del momento prima della partenza in cui il
nodo in gola appesantisce il corpo. È l'attimo prima di crescere,
credo: "Avvicinatevi all'orlo", disse. / "Non
possiamo, abbiamo paura." / "Avvicinatevi all'orlo." /
"Non possiamo, cadremo giù." / "Avvicinatevi
all'orlo." / Si avvicinarono... lui li spinse. E volarono».
Non voglio dimenticare
nemmeno questa paura qui, il momento in cui siamo diventati grandi
per davvero. Colleghi, amici, compagni, insegnanti (persino e
soprattutto): adesso tocca a noi.
I "centopassi"del Maurolico, il linguaggio della musica per educare alla
legalità: “L'emozione più grande è stato il messaggio della nipote di Peppino Impastato. Ci ha chiesto di poter condividere il video e di andare a ripetere la canzone nella casa di Cinisi dedicata alla memoria di Impastato”.
I "centopassi"del Maurolico
Fonte: MESSINA TODAY:
“L'emozione più grande è stato il
messaggio della nipote di Peppino Impastato. Ci ha chiesto di poter
condividere il video e di andare a ripetere la canzone nella casa di
Cinisi dedicata alla memoria di Impastato”.
Il video è quello degli studenti del liceo classico Maurolico. Si
intitola "I cento passi" ed è tratto dal brano dei
Modena City Ramblers. A parlare invece è l'anima di questo coro,
Agnese Carrubba, musicista e maestra da quattro anni dell'ormai
celebre coro del liceo classico messinese che quest'anno ha voluto
porre l'accento sul valore della legalità, la stessa che si coltiva
a scuola, obiettivo primario per la formazione dei giovani. A due giorni dalla pubblicazione, ha già
ottenuto oltre ventimila visualizzazioni. Emoziona e racconta la
storia di Peppino Impastato, vittima di mafia.
“E' stata davvero una delle esperienze più belle
da quando lavoro con i ragazzi del Maurolico - spiega Agnese Carrubba
a MessinaToday - e certo non possiamo dire che anche prima non ci
siamo presi le nostre soddisfazioni. I ragazzi non studiano musica al
liceo ma il coro è una istituzione da vent'anni. Lo scorso anno
abbiamo festeggiato infatti il ventennale con i tre direttori che si
sono susseguiti da quando è nato. E' stato un grande concerto con
oltre cento coristi che hanno rappresentato la storia del Maurolico.
Io sono l'ultima arrivata ma abbiamo già fatto tante grandi cose
insieme. Due anni fa abbiamo vinto il primo premio Gef a Sanremo e da
lì abbiamo continuato il nostro percorso. Purtroppo il Covid ci ha
fermati nelle lezioni in presenza ma questo video è la prova
che l'arte trova altre strade per farsi largo anche davanti a mille
difficoltà. Da casa abbiamo sempre continuato a lavorare. Io creo
l'arrangiamento, le voci guida, e loro mi mandano le registrazioni
fatte con il telefonino. Poi la straordinaria Deborah Bernava,
che ha curato anche la regia, riesce a montare il tutto con grande
maestria”.
Ma come nasce l'idea dei Centopassi? “Nasce su
input della dirigente Giovanna De Francesco che da tempo, con la
'storica' coordinatrice del progetto Silvana Salandra, mi
sollecitava a lavorare sul tema della legalità. Ci ho pensato e
ripensato ma niente come questo ragazzo che ha sacrificato la
sua vita all’impegno sociale e civile mi è sembrato più
vicino a nostri giovani. Ho visto il film e ho scritto quasi di getto
56 pagine di arrangiamento corale e percussioni legati a suoni della
scuola. La parte ritmica che sentite nel video è fatta tutta di
suoni legati proprio al mondo della scuola. Matite, gessetti
alla lavagna, pugni battuti sui banchi. E le voci. Quelle in coro che
mi danno sempre più soddisfazioni. Ho chiesto l'autorizzazione alla
dirigente a fare le riprese tra i banchi di scuola e, a piccoli
gruppi, mantenendo tutte le misure di precauzione legati al Covid,
abbiamo fatto le riprese”.
Ma l'emozione più grande è stata proprio quella di
sentirli cantare. “Sì, cantare con tale sincerità è la cosa che
mi emoziona di più - continua Carrubba - Si sono sentiti
subito dentro il tema. Vestiti anni Settanta, cercando negli
armadi dei genitori per ricostruire quel periodo anche scenicamente.
E l'emozione è contagiosa. Il video è stato condiviso
dagli stessi Modena City Ramblers nelle loro pagine. La nipote
di Peppino Impastato mi ha contattata chiedendo di poter pubblicare
il video e invitandoci a cantare nella loro casa della memoria. Ma ci
ha scritto anche la sottosegretaria del ministero dell'Istruzione
Barbara Floridia e Claudio Fava, il presidente della commissione
parlamentare antimafia”.
Le parole di Claudio Fava resteranno nel cuore anche
di tutti i ragazzi che hanno partecipato al progetto ed è un
messaggio che vale la pena riportare perché è un grazie a tutti
coloro che si impegnano lontani dalla solita retorica dell'antimafia
a mantenere vivo il ricordo di chi la mafia l'ha combattuta sul
serio. “Ho avuto modo di
ascoltare e vedere il lavoro realizzato dalle alunne e dagli alunni
del vostro istituto - scrive il deputato - Dico subito che sono stato
colpito, piacevolmente, dall’ottimo livello di quanto da voi
realizzato. Un lavoro non scontato e non banale che evidenzia una
competenza artistica notevole. Nella sceneggiatura de “i cento
passi” c’era la volontà di far emergere la vita di Peppino
Impastato, non la storia della sua morte ma la storia della sua vita.
Delle profonde ragioni politiche, etiche, civili che hanno
caratterizzato il suo impegno e che sono il motivo per cui la mafia
ha deciso il suo omicidio. Troppe volte, infatti, nel ricordo
delle tante- troppe- vittime della mafia tendiamo a focalizzarci
sull’atto finale. Sulle efferate dinamiche degli omicidi e degli
attentati. Io credo, invece, che occorra sempre di più ricordarne la
vita. Ricordare l’impegno e le azioni. Perchè queste sono il
lascito più importante che abbiamo. Il vostro lavoro, la gioia
nel realizzarlo che traspare, è qualcosa di più di un semplice
tributo. Rappresenta una generazione nuova che ha colto
l’insegnamento, anche gioioso, di Peppino. Per questo è un lavoro
prezioso, che celebra la vita di Impastato e rappresenta la speranza
di questa terra di Sicilia”.
Lo scriviamo oramai da anni: "Una data lega l'assassinio di due uomini: Aldo Moro e Peppino Impastato. Il primo ucciso per mano delle Brigate Rosse, il secondo ucciso da Cosa Nostra. Uccisi nella stessa "notte buia dello stato italiano" alle prime ore del 9 maggio 1978."
E da tempo ripetiamo che In Italia la ragnatela del "potere" lega vicende e trame di cui ancora oggi non siamo stati capaci di definire pienamente i contorni: morti innocenti, delitti oscuri, perpetrati da mani a cui abbiamo dato il nome di mafie, bande, terroristi, servizi segreti deviati, golpisti. Delitti e stragi commessi pensando che, in Italia, potesse servire spargere sangue innocente: per seminare paure e insicurezza per annientare persone, idee e valori, per impedire o indirizzare cambiamenti.
Oggi il "potere" ha imparato ad usare metodi differenti, più adatti al momento storico che viviamo, tanto che quotidianamente scopriamo che mafie e "pensiero mafioso", corruzione e mala-politica, sono fattori potenti e presenti come non mai, tanto da essere diventati "il cancro" che mina presente e futuro di questo Paese.
"La mafia è una montagna di merda"
Non siamo in grado di parlare della figura di Aldo Moro e ce ne scusiamo. Quale potesse essere il contributo che come uomo, prima ancora che come statista, avrebbe potuto lasciare all'Italia, lo mostra la sua ultima lettera indirizzata alla moglie Noretta:
«Mia dolcissima Noretta, credo di essere giunto all’estremo delle mie possibilità e di essere sul punto di chiudere questa mia esperienza umana. Ho tentato di tutto.
Credo di tornare a voi in un’altra forma. Ci rivedremo. Ci ritroveremo. Ci riameremo.
A Te devo dire grazie, infinite grazie, per tutto l’amore che mi hai dato.
Ricordati che sei stata la cosa più importante della mia vita.
Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli.
A ciascuno la mia immensa tenerezza che passa per le tue mani.
Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile.
Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo.
Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo».
Qualcosa vorremmo dire invece di Peppino Impastato ."La mafia è una montagna di merda!" Sarebbe necessario trovare ancora oggi il coraggio di gridarlo a certe "facce", a chi si è abituato a quelle facce e al puzzo della "montagna di merda", al puzzo del compromesso morale, della convenienza , ai tanti misteri che soffocano la Giustizia di questo paese, misteri custoditi dal sigillo del Potere.
O ci basterà la vuota retorica della commemorazione, del ricordo?Ce la faremo bastare, quella retorica vuota, per giustificare la "legalità sostenibile" che abbiamo costruita a nostra misura affinchè non ci faccia troppo male e non ci costringa troppo? Oppure cominceremo davvero a "fare memoria", ad avere il coraggio e la coerenza necessarie affinché le cose accadute non abbiano più a ripetersi, affinché si metta in atto l'insegnamento di coloro che, come in un triste rosario, continuiamo a snocciolarne nomi, date di nascita e di morte prematura?
Che non siano state morti inutili!...
Due testimoniane a memoria di Peppino Impastato
Salvo Vitale, amico fraterno di Peppino Impastato (fonte Antimafiaduemila): "Sono passati 43 anni e sembra ieri. Che cosa rende Peppino sempre attuale e degno di interesse? Indubbiamente la sua giovane età: è morto a 30 anni e quindi non ha avuto il tempo di invecchiare o di lasciare invecchiare le sue idee e tutto ciò in cui credeva. Altro elemento che lo rende vivo e presente è la radicalità delle sue scelte, il rifiuto del compromesso, la scelta senza discussioni delle proprie idee come base per costruire una società nuova e quindi la contestazione delle strutture autoritarie della società borghese, dalla chiesa, alla famiglia, alla scuola, alle istituzioni in genere. E poi la sua attualità è nella scelta degli strumenti di comunicazione, ultimo dei quali la Radio.Peppino progettava un’informazione veramente libera, non soggetta a censure, formativa e informativa dove la notizia era la narrazione del vissuto che ci circonda, dei drammi quotidiani dell’esistenza e non le vicende dei personaggi importanti, l’ufficialità dell’avvenimento, l’informazione istituzionalizzata. Peppino era un giornalista purosangue, anche se non ha mai avuto il tesserino, anzi gli è stato dato ad honorem nel 1996, così come, sempre, nello stesso anno, la laurea.In questo contesto assume particolare importanza la satira e il dileggio di atteggiamenti, di idee, di manovre, di speculazioni, che “le persone che contano” ritengono intoccabili e sacrosante e di cui giornalmente si nutrono. In prima fila, tra queste persone, mafiosi e politici, ma anche preti, medici, avvocati, affaristi, in pratica quella che una volta si definiva “classe dominante”.
Una delle canzoni da lui preferite era “Vecchia piccola borghesia”, di Claudio Lolli, “Vecchia piccola borghesia, per piccina che tu sia, non so dirti se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia”. Dall’altro lato della barricata c’erano le persone più deboli e indifese, i lavoratori, gli edili, i contadini di Punta Raisi, gli stagionali di Città del mare, i disoccupati, i pescatori di Terrasini, coloro a cui Peppino aveva dedicato la vita e per i quali sognava di costruire una società diversa, dove tutti fossero uguali e senza privilegi.
E’ chiaro che una persona del genere che voleva cambiare il contesto sociale in cui era nato e che tutti invece accettavano, non poteva che essere considerata scomoda e, alla fine, la sua morte ha rappresentato una sorta di liberazione. Ma naturalmente resta il fascino delle sue idee, ed è per questo che ogni anno ci si ricorda del suo barbaro omicidio, del tentativo di depistaggio che voleva farlo passare per un attentato terroristico, dell’impegno della famiglia e dei compagni per ottenere giustizia e verità e della lunga strada durata 22 anni, prima di riuscirci.
Nel vuoto culturale che ci circonda Peppino è sempre un punto di riferimento".
Alessia Candito, giornalista de La Repubblica: "Peppino Impastato era un rivoluzionario, un militante, un comunista senza "se, ma, forse". Uno che aveva capito che combattere le mafie significa combattere il sistema economico, politico e di potere di cui sono architrave. Significa lottare controle speculazioni edilizie, gli ostinati latifondi, contro le mega-opere inutili che a forza di varianti diventano sempiterni bancomat come la terza pista dell’aeroporto di Cinisi, contro gli impasti massonico-mafiosi che permettono il perpetuarsi del sistema. Peppino era uno che aveva capito che la lotta alla mafia è lotta per i diritti di tutti contro i privilegi di pochi, per questo organizzava le lotte dei manovali contro i caporali, quelle dei braccianti e dei coloni contro il barone e padrone di turno.
Oggi i latifondi ci sono ancora, l'A3 è diventata A2 ma continua a far mangiare i clan, si torna a parlare di ponte sullo Stretto e Peppino Impastato è diventato "quello di Radio Aut".
La memoria o è vera, reale e completa o rimane esercizio buono per comodissime passerelle. "Cuntra mafia e putiri, c'è sulu rivoluzioni"