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giovedì 10 gennaio 2019

“Fuga dall'inferno”. Per cercare di ri-costruire il valore di sentirsi comunità


Abbiamo accolto con piacere l'invito dell''Associazione Teatrale Pathos" ad essere presenti alla rappresentazione teatrale de “Fuga dall'inferno”, certi che la cultura possa e debba svolgere un ruolo fondamentale nel ri-creare le fondamenta di comunità che riscoprano i principi della conoscenza, dell'accoglienza, della solidarietà, del confronto, del perseguimento di “stili di vita” equi, solidali e sostenibili.Oggi ci vuole coraggio anche solo per sentirsi “comunità”: esseri umani parte di una unica, grande, variegata, famiglia.

Raccogliendo l'appello lanciato da don Luigi Ciotti, lo scorso 7 luglio 2018 anche a Pinerolo si era svolta la manifestazione “Una maglietta rossa per  per fermare l’emorragia di umanità” Numerosi erano accorsi in Piazza Facta indossando una "maglietta rossa". Una maglietta dello stesso colore, lo ricordiamo, di quella che le mamme della tragedia della migrazione fanno indossare ai loro figli, bambine e bambine, per attraversare un mare sconosciuto e "il buio della coscienza dell'Occidente", per raggiungere la speranza di vita negata nella loro terra-madre. (vedi qui il racconto di quella giornata).
L'auspicio del presidio LIBERA “Rita Atria” Pinerolo era stato tuttavia quello che l'evento di sabato  7 luglio, "la maglietta rossa",  potesse e dovesse costituire-costruire un cammino di conoscenza, di consapevolezza, di assunzione di responsabilità di ciascuno anche nei confronti di una questione epocale quale quella delle migrazioni. Lo dobbiamo alle vittime di questa “terza guerra mondiale, combattuta "a pezzi"”, come ha denunciato papa Francesco. Una guerra combattuta nel modo più  subdolo e vergognoso, spesso nell'indifferenza, nel silenzio, delle coscienze dell'Occidente, avendo come vittime i più deboli della Terra.


“Fuga dall'inferno”
Quando dal mare raggiungono la nostra terra, i profughi vengono identificati e mandati  in uno dei diversi  centri d’accoglienza  dislocati sull’intero territorio nazionale, ma  per molti di questi disperati  questi stessi  centri diventano  veri e propri luoghi di detenzione.  Da una sommossa in un centro di accoglienza che inizia la fuga del protagonista, Il suo obbiettivo è arrivare in Svezia per raggiungere la famiglia, ma la sua corsa in mezzo ai boschi, s’interrompe davanti ad un precipizio.



domenica 8 luglio 2018

"Una maglietta rossa" deve essere l'inizio di un cammino di cambiamento e di azione


Raccogliendo l'appello lanciato nei giorni scorsi anche a Pinerolo si è svolta la manifestazione “ Una maglietta rossa per  per fermare l’emorragia di umanità”. Numerosi sono accorsi in Piazza Facta indossando, portando, una "maglietta rossa". Una maglietta dello stesso colore, lo ricordiamo, di quella che le mamme della tragedia della migrazione fanno indossare ai loro figli, bambine e bambine, per attraversare un mare sconosciuto e "il buio della coscienza dell'Occidente", per raggiungere la speranza di vita negata nella loro terra-madre.

L'auspicio del presidio LIBERA “Rita Atria” Pinerolo è tuttavia quello che l'evento di sabato  7 luglio, "la maglietta rossa",  possa e debba costituire-costruire un cammino di conoscenza, consapevolezza  e azione concreta: dare voce a chi non ha voce! Lo dobbiamo alle vittime di questa “terza guerra mondiale, combattuta "a pezzi"”, come ha denunciato papa Francesco, una guerra combattuta nel modo più  subdolo e vergognoso: nel silenzio delle coscienze dell'Occidente, avendo come vittime i più deboli della Terra.
In molti ora ci diciamo preoccupati dalle esternazioni e dalle misure messe in atto dal ministro Salvini, dal "clima di paura” e di ricerca del "capro-espiatorio" (il migrante, “il clandestino”) indicato anche dalla destra xenofoba italiana. Purtroppo, per molti versi, quello che ora  sta accadendo, anche il "clima” ed il consenso che quelle politiche sembrano cogliere,  a nostro parere è stato preparato e favorito dagli errori commessi da coloro che hanno preceduto queste compagini: errori mai seriamente analizzati, né tanto meno superati. A partire dalla famigerata legge “Bossi-Fini” che creò la figure del “clandestino”; legge che, nonostante le tante critiche, non è stata seriamente contrastata neppure da coloro che pure si proclamano aderenti a valori “di sinistra”.
Occorre quindi avere l'onestà intellettuale di affermare che anche le politiche messe in atto nei confronti dei migranti dal precedente governo, ministro degli Esteri Franco Minniti, non è che fossero meno tragiche per i migranti di quelle attuate da Matteo Salvini. Erano solo meno visibili a noi "gli effetti" di quelle politiche": come ci si poteva proclamare “soddisfatti” di avere meno sbarchi sapendo in quali condizioni, e a quali condizioni, i migranti erano trattenuti in Libia come in altri luoghi?
Eppure le condizioni disumane dei “centri di accoglienza” libici erano state denunciate da istituzioni e organizzazioni umanitarie! E quel che accadeva non doveva suscitare minore impressione-indignazione di quanto accade in questo momento.
Lo stesso Luigi Ciotti in una intervista ad Antimafiaduemila sul significato della manifestazione del 7 luglio,  così risponde ad una domanda che verte proprio su questo aspetto:
- (Antimafiaduemila) Una delle affermazioni più diffuse è: meno ne partono meno ne moriranno. Cosa ne pensa?
- (Luigi Ciotti): Un esempio di cinismo e di ipocrisia, dal momento che sappiamo dove vanno a finire i migranti bloccati in Libia o in Turchia. Degli accordi con questi Paesi per impedire l’immigrazione, l’Occidente e l’Europa dovranno un giorno rendere conto alla storia.
Se così non fosse, se da parte della società responsabile non ci fosse la consapevolezza di "un cammino da costruire", di “un cambiamento” da attuare, di un impegno onesto che sappia andare oltre l'emozione, l'ipocrisia e la strumentalizzazione dei sentimenti, a nostro parere quanto si è svolto il 7 luglio, "una maglietta rossa", parrebbe addirittura irrispettoso nei confronti delle vittime di questa "guerra", nei confronti di coloro  che, quotidianamente, da anni, affidano a briganti e alle acque di un mare sconosciuto  la speranza di vita negata nelle loro terra-madre. 
Ancora don Luigi Ciotti indica la strada "(...) progettare e organizzare il dissenso, tradurlo in fatti concreti. In un’epoca di abuso di parole anche quelle vere non bastano più." 

domenica 24 dicembre 2017

L'AUGURIO è SEMPRE LO STESSO

"Natale è riconoscerci nella nostra dignità. Impegnarci tutti per il bene comune. Aprire porte, menti, cuori. Dare Speranza a chi non ce l'ha". 
                                                                                                          Luigi Ciotti
Ancora più grave appare quindi quanto si è verificato ieri nell'aula del senato chiamato a discutere sulla legge dello "IUS SOLI". La mancanza del numero legale, determinata dall'assenza della maggioranza dei senatori ha impedito che i lavori potessero avere luogo.  Luigi Ciotti, presidente Libera e Gruppo Abele, esprime sconcerto e tristezza per quanto avvenuto:"Quella che si è verificata in Senato è un'inqualificabile diserzione dalla responsabilità. La politica non può essere un gioco di potere sulle speranze delle persone, un'umiliazione dei loro diritti e delle loro aspirazioni". 
Qui l'articolo di La Repubblica su quanto avvenuto in Senato



CHE CI CREDIATE O NO AL NATALE,  IL NOSTRO AUGURIO 
E' SEMPRE LO STESSO:
"L’augurio è di godere di buona salute,
di coltivare amichevoli rapporti,
di saper resistere con mitezza alle contrarietà,
di ricevere nelle difficoltà qualche 
incoraggiante consolazione ,
di continuare a trovare ragioni promettenti 
per vivere con onestà e decoro".


Auguri a Voi e alle vostre famiglie!

mercoledì 22 novembre 2017

RAGAZZI STRANIERI O CITTADINI ITALIANI? UNA RIFLESSIONE SULL'ACCOGLIENZA


Questa sera, 22 novembre alle ore 21 nella Sala “Pacem in Terris” del Museo Diocesano di Pinerolo (via del Pino, 49), si terrà una serata dibattito sul tema Ragazzi stranieri o cittadini italiani? Una riflessione sull’accoglienza”. Intervengono il vescovo, monsignor Derio Olivero, e l’ex magistrato Pier Carlo PazèModera Patrizio Righero, direttore di Vita Diocesana Pinerolese.
All’incontro, promosso dall’Azione Cattolica in collaborazione con il Centro Missionario e l’Ufficio Diocesano per la pastorale sociale e del lavoro. 
mons. Olivero insieme al mos. Debernardi


Punto di partenza del confronto la proposta di legge italiana detta dello “ius soli” per concedere la cittadinanza ai figli degli immigrati, ma anche i forti messaggi lanciati da papa Francesco il quale recentemente ha affermato che «è necessario garantire la permanenza regolare al compimento della maggiore età e la possibilità di continuare degli studi. Per i minori non accompagnati o separati dalla loro famiglia è importante prevedere programmi di custodia temporanea o affidamento. Nel rispetto del diritto universale a una nazionalità, questa va riconosciuta e opportunamente certificata a tutti i bambini e le bambine al momento della nascita».

Lo scorso ottobre, anche don Luigi Ciotti, fra i fondatori di LIBERA aveva manifestato il pensiero: “Aderisco con convinzione allo sciopero della fame per l’approvazione dello ‘ius soli’, legge non solo giusta ma responsabile e lungimirante. La condivisione dei diritti e dei doveri è la strada per costruire un futuro di pace e un Paese unito dal bene comune”. (...) il primo ‘ius’ non è quello del suolo, o del sangue, ma quello che parte dal nostro impegno e dalle nostre coscienze”.

sabato 24 dicembre 2016

A NATALE L'AUGURIO E' SEMPRE LO STESSO

"Natale è riconoscerci nella nostra dignità. Impegnarci tutti per il bene comune. Aprire porte, menti, cuori. Dare Speranza a chi non ce l'ha". 
                                                                                                          Luigi Ciotti



PERTANTO, CHE CI CREDIATE O NO AL NATALE,  IL NOSTRO AUGURIO 
E' SEMPRE LO STESSO:
"L’augurio è di godere di buona salute,
di coltivare amichevoli rapporti,
di saper resistere con mitezza alle contrarietà,
di ricevere nelle difficoltà qualche 
incoraggiante consolazione ,
di continuare a trovare ragioni promettenti 
per vivere con onestà e decoro".


Auguri a Voi e alle vostre famiglie!



lunedì 5 dicembre 2016

Don Luigi Ciotti: "Urge una rivoluzione culturale nel Paese, etica e sociale..."

Sul tema del Referendum Costituzionale LIBERA aveva deciso di non prendere posizione, contro oppure a favore del quesito referendario, lasciando (come sempre) libertà di coscienza a ciascuno. Don Luigi Ciotti, fondatore di LIBERA, era stato tuttavia chiaro nel suo pensiero a riguardo della riforma che il governo avrebbe voluto imporre: "Chi ha voluto questa "nuova" Costituzione vede la democrazia come un ostacolo, e il bene comune come una faccenda in cui il popolo non deve immischiarsi".
 Del resto, la grande manifestazione a difesa della Costituzione tenuta nell'ottobre del 2013, La Via Maestra, lo aveva visto protagonista, fra gli altri, insieme,  a Lorenza Carlassare, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky. In quella giornata, uno dei passaggi più significactivi era stato il seguente: "La difesa della Costituzione è innanzitutto la promozione di un’idea di società, divergente da quella di coloro che hanno operato finora tacitamente per svuotarla e, ora, operano per manometterla formalmente. [...]. 
Pochi giorni orsono, lo scorso 1 dicembre a Bari, parlando con i giornalisti a margine del convegno 'Nei cantieri della città del noi', don Luigi Ciotti ha dato corpo a quello che è realmente il nodo cruciale della crisi sociale, morale, economica che viviamo. 
Le parole di don Ciotti: "Urge una rivoluzione culturale nel Paese, etica e sociale, che la classe politica attuale, non solo la nostra ma penso all'Europa, non sembra in grado di realizzare ma nemmeno di pensare in questo momento". 
Per don Ciotti oggi c'è il "divorzio della politica dall'etica", ma "la politica è etica" perché "nasce per governare le città, garantire la pacifica convivenza e la giustizia sociale". Don Ciotti ha sottolineato come in Italia "spendiamo 64 milioni al giorno per gli armamenti ma non ci sono soldi per le politiche sociali: il 37% degli italiani prendono meno farmaci perché non possono pagare i ticket, sull'Aids si è smesso di investire in prevenzione e nell'informazione e siamo tornati ai primi posti sia per i contagi tra i giovani sia per la mortalità". "L'inclusione sociale - ha rilevato - sta alla base della democrazia: solo se si ha accesso alle risorse garantite dai diritti sociali si può avere la capacità di sviluppare le proprie potenzialità". "I diritti sociali abilitano a esercitare gli altri diritti, non bastano quelli civili e politici. Ma l'Italia ha sei milioni di analfabeti di ritorno, quattro milioni e 600mila persone in povertà assoluta, un milione e 100mila bambini in povertà assoluta, quasi nove milioni di persone in povertà relativa". E nonostante notevoli miglioramenti - ha concluso - abbiamo la percentuale più alta di dispersione scolastica, e rispetto ad altri paesi i nostri investimenti per la cultura sono inferiori". 

"Sì, No, Perchè"
Come presidio "Rita Atria" , nel confronto proposto insieme ad Officina Pinerolese (vedi qui), avevamo espresso l'opinione che la nostra Costituzione, prima di pensare a come modificarla, occorrebbe pensare a come (finalmente!) attuarla. Sono ancora troppi i diritti sanciti -ma non ancora attuati- che la Costituzione pone invece a fondamento della stessa Democrazia: il lavoro, l'istruzione, l'uguaglianza, la dignità delle persone. Così ci eravamo espressi: "(...) noi pensiamo che le azioni che si compiono sulla nostra Costituzione non debbano avere altro scopo se non quello di rendere evidente, concreta, la volontà di mantenere "le promesse" contenute nella Costituzione. Questa la discriminante, questo il metro di giudizio che ci pare si debba considerare riflettendo, esprimendosi,  su quanto il quesito referendario propone."

lunedì 21 novembre 2016

Lettera aperta All'amministrazione di Pinerolo: Noi siamo con Nino Di Matteo e i giudici della "Trattativa"

Così scriveva don Luigi Ciotti tre anni orsono, quando venne resa pubblica l'intercettazione ambientale nella quale Toto Riina minacciava di morte il giudice Nino Di Matteo: "Caro Nino Di Matteo, devi sapere che non sei solo, che tutti voi a Palermo, e in ogni angolo d`Italia, non sarete mai più soli. Dalla stagione delle stragi è cresciuta nel nostro paese la consapevolezza che la questione delle mafie non è solo di natura criminale. È un problema più profondo, anche culturale e sociale. Una questione che non sarebbe ancora cosi grave se a contrastare le mafie ci fossero stati, oltre alla magistratura e alle forze di polizia, la coscienza pulita e l`impegno della maggior parte degli italiani. Questa coscienza e questo impegno, lentamente e faticosamente si sono negli anni moltiplicati.(...)"  qui il testo integrale della lettera.
Pur tuttavia, la coscienza e l'impegno di molti non sono serviti a rompere l'isolamento nel quale paiono costretti il giudice Di Matteo ed i colleghi che portano avanti il processo sulla "trattativa".
Lo ripetiamo ancora una volta: mafie, corruzione, mala-politica, ingiustizia sociale, sono facce della stessa medaglia! Alla luce degli scandali gravissimi che emergono quasi quotidianamente, l’impegno di conoscenza e di riflessione su temi come quelli dovrebbe essere fra gli elementi costituenti il corpo centrale dell’agenda culturale di una amministrazione pubblica,  il fondamento etico di ogni comunità.
Persistendo quindi il pericolo sull'incolumità del giudice che conduce un processo  nel quale imbarazzanti silenzi, “non ricordo”, negazione di possibili elementi conoscitivi, sono elementi che hanno costellato la storia di quel dibattimento, chiediamo alla presente Amministrazione, al Consiglio Comunale, di considerare l'opportunità che, anche dalla comunità di Pinerolo, arrivi un atto di solidarietà al giudice Di Matteo e agli altri giudici che conducono il processo sulla “Trattativa”.
Riportiamo l'intervista al giudice Di Matteo, trasmessa su RAI UNO lo scorso 19 novembre


                                       Lettera aperta All'amministrazone di Pinerolo


                        "Noi siamo  con Nino Di Matteo e i giudici della "Trattativa"

- Alla c.a. Del Sindaco di Pinerolo
- Al Presidente del Consiglio Comunale
- Agli Assessori del Comune di Pinerolo: Politiche Culturali e di Cittadinanza Attiva, Istruzione, Politiche Sociali
- p.c. Al Consiglio Comunale di Pinerolo
Oggetto: atto di solidarietà nei confronti del giudice Nino Di Matteo e dei giudici del processo sulla “Trattativa
Il giudice Nino Di Di Matteo ha espresso pochi giorni orsono la volontà di restare a Palermo nonostante l'ennesima intercettazione abbia dimostrato come il progetto mafioso di eliminare fisicamente il giudice sia ancora in atto, concreto e persistente. Il Consiglio Superiore della Magistratura (C.S.M.) aveva proposto al giudice Di Matteo il trasferimento a Roma, a ricoprire un incarico presso la Direzione Nazionale Antimafia (D.I.A.).Le parole di Nino Di Matteo, rifiutando la proposta del C.S.M.: “Accettare un trasferimento d'ufficio connesso esclusivamente a ragioni di sicurezza sarebbe stato un segnale di resa personale e istituzionale che non intendo dare". Nino Di Matteo, lo ricordiamo, è pubblico ministero del processo cosiddetto “la Trattativa”, facendo in questo riferimento all'ipotesi che, nell'estate delle stragi siciliane del 1992, “pezzi” dello Stato abbiano “trattato” con cosa nostra per “salvare” dalla vendetta mafiosa esponenti della classe politica di allora.
Le preoccupazioni sull'incolumità del giudice Nino di Matteo nascono quando nel novembre 2013, nel carcere di Opera, Totò Riina viene intercettato durante una “chiacchierata” con un altro detenuto, Antonio Lorusso ( personaggio ambiguo, affiliato salla Sacra Corona Unita ma sospetato di appartenere ad apparati della polizia). In quella conversazione, Riina auspica l'uccisione del pubblico ministero Nino Di Matteo: "(…) deve fare la fine dei tonni". E continua: "E allora organizziamola questa cosa... Facciamola grossa e non ne parliamo più. (…) Perché questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta, e allora se fosse possibile ucciderlo, un'esecuzione come a quel tempo a Palermo, con i militari". La notizia delle minacce al giudice Di Matteo aveva suscitato lo sconcerto di quanti agognano la verità su quei mesi del 1992, fra i più oscuri della storia della Repubblica, nella quale vennero uccisi tanti fedeli servitori dello Stato, primi fra tutti i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Anche don Luigi Ciotti, a nome di Libera, aveva espresso solidarietà a Nino di Matteo in una accorata lettera aperta. Anche noi del presidio LIBERA “Rita Atria” eravamo stati colpiti dalla vicenda. Tanto che agli studenti che avevamo incontrati in quell'anno avevamo fatto conoscere la lettera di Luigi Ciotti chiedendo, nel caso avessero condiviso i contenuti della Lettera, di scattare una fotografia: “Anche Noi siamo con Nino Di Matteo e i giudici della trattativa”. Di seguito il collage di alcune fotografie fatte pervenire al giudice Di Matteo. Questo piccolo segno per continuare a ribadire -a Nino Di Matteo e agli altri giudici che svolgono il loro lavoro a servizio della Verità e della Giustizia- quanto scrive nella sua lettera Luigi Ciotti:”Non sarete mai più soli”.

Riteniamo importante che anche oggi si voglia manifestare -con segni e azioni concrete- la volontà di Verità, fondamento della Giustizia. Lo ripetiamo ancora una volta: mafie, corruzione, mala-politica, ingiustizia sociale, sono facce della stessa medaglia! Alla luce degli scandali gravissimi che emergono quasi quotidianamente, l’impegno di conoscenza e di riflessione su temi come quelli dovrebbe essere fra gli elementi costituenti il corpo centrale dell’agenda culturale di una amministrazione pubblica. Il cammino intrapreso da codesta Amministrazione con l'adesione alla Carta di Avviso Pubblico, a nostro parere, percorre quel sentiero.
19-07-2012  insediamento Commissione Consiliare antimafia"
Riteniamo inoltre che alla formazione di una cultura della comunità contro “il pensiero mafioso” possa servire anche riprendere quanto avviato nel passato, sia pure con scarsa convinzione: l’azione conoscitiva, culturale, che doveva essere svolta dalla cosiddetta "Commissione Consiliare antimafia", formata dalla passata Amministrazione pinerolese. Insediata il 19 luglio 2012 proprio su proposta del presidio “Rita Atria”, nel ventennale della strage di Via D’Amelio, quella commissione si era poi  riunita in realtà una sola volta per poi “sparire”.
Per quanto esposto, persistendo il pericolo sull'incolumità del giudice che conduce un processo nel quale imbarazzanti silenzi, “non ricordo”, negazione di possibili elementi conoscitivi, sono elementi che hanno costellato la storia di quel dibattimento, chiediamo alla presente Amministrazione, al Consiglio Comunale, di considerare l'opportunità che, anche dalla comunità di Pinerolo, arrivi un atto di solidarietà al giudice Di Matteo e agli altri giudici che conducono il processo sulla “Trattativa”.
Auspicando l'attenzione sua, Signor Sindaco, della presente Amministrazione e del Consiglio Comunale, a quanto da noi presentato, cogliamo l'occasione per porgere cordiali saluti.  
Arturo Francesco Incurato
referente presidio LIBERA "Rita Atria" Pinerolo 

giovedì 15 settembre 2016

Don Pino Puglisi: "...E se ognuno di noi fa qualcosa, allora si può fare molto".

Don Pino Puglisi per i suoi parrocchiani era "3P" e ai suoi parrocchiani soleva dire: "...E se ognuno di noi fa qualcosa, allora si può fare molto".
Le parole di Gaspare Spatuzza e di Giovanni Drago, mafiosi divenuti collaboratori di giustizia, basterebbero a spiegare, nella loro rozza schiettezza, perché don Pino Puglisi è stato ucciso.«Era uno che non si era incanalato, che faceva di testa sua». «Predicava, predicava, prendeva ragazzini e li toglieva dalla strada... Martellava e rompeva le scatole...Un capomafia non poteva tollerare che un prete si muovesse per conto suo e doveva dimostrare chi comandava a Brancaccio».  Era l'estate del 1993 e l'attacco di cosa nostra allo Stato prende di mira chi, da sacerdote, contendeva la comuinità di Brancaccio al dominio di "cosa nostra" ( avvallata dalla palese assenza delle istituzioni locali) con lo strumento dei valori quali giustizia e dignità, valori richiesti per la sua comunità e praticati quotidianamente da don Puglisi.
Anche per don Puglisi vale quindi la differenza fondamentale tra Lui ed altri, altri sacerdoti, altri uomini e donne: lui vedeva ma non taceva! Don Puglisi  era differente: "(...) si sapeva che faceva delle messe non proprio a favore della mafia". Fu ucciso dalla mafia la sera del suo compleanno, il 15 settembre 1993: erano passate da poco le otto della sera. A Salvatore Grigoli, il killer che lo aspettava, don Pino sorrise dicendo "Me l' aspettavo".
Vengono invece alla mente i tanti nostri silenzi di cui quotidianamente ci rendiamo colpevoli nel tempo che viviamo: il silenzio di una intera comunità -quella di Melito Porto Salvo, in Calabria- dinanzi alla violenza perpetrata - per tre anni- ai danni di una ragazzina che aveva solo tredici anni quando fu violentata per la prima volta; il silenzio dei "buoni" dinanzi al degrado fisico e morale nal quale sono costretti i migranti in alcune strutture di prima accoglienza; il silenzio dei cuori, anzi "le risate divertite", di giovani ragazze dinanzi alla violenza subita da una loro "amica" nel bagno di una discoteca di Rimini; il silenzio di chi potrebbe denunciare ingiustizia e corruzione..
Lo scorso anno, il quotidiano La Repubblica, pubblica un articolo di salvo Palazzolo nel quale si dava notizia del  ritrovamento di un nastro registrato nel quale Don Puglisi, mostra la consapevolezza di essere in grave pericolo: "Il testimone deve rischiare...io sto rischiando  grosso forse, non lo so, però credo nell'amicizia". Don Puglisi credeva nell'amicizia della sua comunità.  Rimase al suo posto, non andò via da Brancaccio. ( leggi qui l'articolo
Il sogno di don Puglisi: "Pochi giorni fa, prima di tornare qui come parroco, io ho sognato il futuro di questo quartiere ed è stato proprio bello. Bello perché ho sognato un posto dove erano spariti i furti, era sparita la droga, dove non c'erano più violenze, prepotenze, dove la gente non aveva paura, dove non c'era più la fame perché c'era lavoro per tutti, dove c'erano delle scuole bellissime, dove i bambini giocavano... Io ho sognato il futuro di questo quartiere ed è stato proprio bello!"

Riproponiamo un estratto dell'articolo La Stampa pubblicato nel maggio 2014 in occasione della beatificacazione di Don Puglisi.,qui il testo integrale,
Fonte: LA STAMPA
Decine di migliaia a Palermo per don Puglisi proclamato beato. 
Il martire della fede don Puglisi è il patrono della Chiesa anti-mafia. Il vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero, «D’ora in poi nessuno potrà più usurpare il nome di Dio per giustificare la mentalità criminale di quei clan che per decenni si sono ammantati di falsa e blasfema religiosità (...) L’autentica fede in Cristo è incompatibile con qualunque appartenenza ad organizzazioni che avvelenano la società e la privano del suo futuro».(...) Benedetto XVI aveva riconosciuto il fatto che l’esecuzione ordinata dai boss e avvenuta davanti alla parrocchia di San Gaetano, retta dal sacerdote, nel quartiere Brancaccio, fu «martirio», commesso «in odio alla fede». 
E Papa Francesco, appena lunedì scorso, durante la visita «ad limina» della Conferenza episcopale siciliana, ha esortato la Chiesa locale a dare contro la mafia, una testimonianza più chiara e più evangelica. Nei quasi 20 anni che separano dall’assassinio di padre Pino, «la verità è infine emersa», ha a suo tempo spiegato il postulatore della causa di beatificazione, l’arcivescovo Vincenzo Bertolone, legando la verità del martirio di Puglisi a «quella giudiziaria, vergata con inchiostro indelebile dalla Cassazione» secondo cui «l’omicidio fu deciso dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano per mettere a tacere un sacerdote scomodo, socialmente impegnato, che col suo ministero di pastore di anime, di formatore di coscienze cristiane, soprattutto di quelle dei fanciulli, li ridicolizzava sottraendo loro manovalanza, prestigio e potere, come del resto sprezzantemente li rimproverava uno dei capi indiscussi di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella». (...)
La figura di don Puglisi riveste un ruolo di «grande importanza per la società civile, per la Chiesa universale, in particolare per la Chiesa palermitana e siciliana e per tutte quelle che si confrontano sul proprio territorio con le organizzazioni criminali, perché il suo sacrificio ha svelato il grande inganno della mafia, sedicente portatrice di religiosità. Il suo esempio è stato ed è così forte da aver attraversato il tempo: nei 19 anni trascorsi, Brancaccio, Palermo, la Sicilia, l’Italia, il mondo non lo hanno dimenticato». 
«La mafia è intrinsecamente anticristiana», ha poi ribadito il prefetto della Congregazione per le cause dei santi, cardinale Angelo Amato. Quello di don Puglisi, spiega, è stato un «martirio, perché è stato ucciso in odium fidei». «Ovviamente - ha sottolineato il cardinale salesiano - qui bisogna chiarire cosa significa in odium fidei, dal momento che la mafia viene descritta spesso come una realtà “religiosa”, una realtà i cui membri sembrano apparentemente molto devoti (... la mafia, più che “religiosa”, è essenzialmente “idolatrica”». Anche il paganesimo antico, ricorda Amato, era “religioso”, ma la sua religiosità era rivolta agli idoli. Nella mafia gli idoli sono il potere, il denaro e la prevaricazione. È quindi una società che, con un involucro pseudo religioso, veicola un’etica antievangelica, che va contro i dieci comandamenti e il Vangelo. La Scrittura dice: non uccidere, non dire falsa testimonianza. Nella ideologia mafiosa, invece, si fa esattamente l’opposto. Gesù ha detto di perdonare ai nemici e qui troviamo il contrario: la vendetta. Per la Chiesa Cattolica, dunque, «la mafia è intrinsecamente anticristiana». Per di più, l’odio verso don Puglisi era determinato «semplicemente dal fatto che si trattava di un sacerdote che educava i giovani alla vita buona del Vangelo». Dunque «sottraeva le nuove generazioni alla nefasta influenza della malavita». (...)
Morì per strada, ha sottolineato don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, «dove viveva, dove incontrava i `piccoli´, gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti, con la propria condotta, si rendevano responsabili di illegalità, soprusi e violenze. Probabilmente per questo lo hanno ucciso: perché un modo così radicale di abitare la strada e di esercitare il ministero del parroco è scomodo. Lo hanno ucciso nell’illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, di denuncia, di condivisione». Per don Ciotti, il sacerdote palermitano «ha incarnato pienamente la povertà, la fatica, la libertà e la gioia del vivere, come preti, in parrocchia». Con la sua testimonianza, dunque, don Pino «ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio». 
Don Puglisi, “figura bellissima”, è stato ucciso “in odium fidei”, per odio della fede da parte di chi lo ha assassinato, ottolinea il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei: ”E’ stato ucciso in quanto sacerdote che faceva il suo dovere, specialmente sul piano educativo delle giovani generazioni. E dunque è un martire».  


martedì 7 giugno 2016

Anche don Ciotti invita a firmare per i referendum sociali: Scuola Pubblica - Beni Comuni - Trivelle Zero - Blocca inceneritori

E' in atto la raccolta firme per i cosiddetti referendum «sociali». Sono già state raccolte oltre 300 mila firme: lo ha comunicato il Comitato promotore, che ha lanciato contemporaneamente una mobilitazione straordinaria di raccolta in giugno. «Ne servono altre 200 mila», spiegano il Forum italiano dei movimenti per l’Acqua, il Movimento per la scuola pubblica e la Campagna «Stop devastazioni» per i diritti ambientali e sociali. 
«La mobilitazione per abrogare gli aspetti peggiori della legge 107 (la ("cattiva") scuola di Renzi), per bloccare il piano nazionale che prevede la costruzione di altri 15 inceneritori sul suolo italiano, per evitare la concessione di nuove trivellazioni in mare o in terra e per bloccare la direttiva della ministra Marianna Madia volta a privatizzare i servizi pubblici ha già ricevuto un’ottima risposta dagli italiani e dalle italiane. Fra i molti – aggiungono – ringraziamo Luciano Canfora, che ha firmato per i referendum sociali al Salone del libro di Torino, e don Luigi Ciotti, che lo ha fatto a Villafranca Tirrena. I loro e gli altri 300 mila nomi sui nostri moduli ci danno la spinta per affrontare quest’ultimo mese di raccolta firme, fiduciosi di uscirne vittoriosi»

Anche don Ciotti invita a firmare: qui il suo appello. Di seguito un estratto del suo appello:
"Anch'io ho firmato per i referendum sociali perchè condivido profondamente i loro obiettivi. Mi sembra importante chiedere il rispetto del voto del 2011 sull'Acqua pubblica....Importante contrastare la privatizzazione del diritto al sapere, tutelare l'ambiente, la salute di tutti...Io credo che in un tempo di privilegi e di diseguaglianze, di dignità e di libertà negate, la speranza stà nella condivisione e nella continuità dell'impegno. Dobbiamo essere "cittadini sempre"!...non ad intermittenza...Il No alla compra-vendita dei "beni comuni" è un cammino che dobbiamo percorrere insieme, tutti i giorni , ogni giorno..."



mercoledì 18 novembre 2015

LEA e DENISE GAROFALO. IL CORAGGIO DI UNA DONNA: VEDO, SENTO, PARLO!

Questa sera verrà trasmesso il film "LEA", dedicato a Lea Garofalo, testimone di giustizia, uccisa in un agguato organizzato dal suo ex compagno, il boss della ‘ndrangheta Carlo Cosco.  Il film andrà in onda su Rai Uno, in prima serata.





"Lea" è il Film TV di Marco Tullio Giordana che andrà in onda questa sera, il 18 novembre, in prima serata su Rai Uno.

Il regista de I Cento Passi e de La Meglio Gioventù, Marco Tullio Giordana, è tornato dietro la macchina da presa per dirigere un film tv ispirato alla vita di Lea Garofalo, vittima della ‘ndrangheta. 

 La storia di Lea e Denise Garofalo
fonte CN24
La storia di Lea narra di una donna coraggiosa. Lea nasce a Petilia Policastro il 24 aprile 1974. Anche lei, come Peppino Impastato  e Rita Atria, cresce in una famiglia legata alle mafie di quelle terre. All’età di 13 anni Lea si innamora di Carlo Cosco dal quale, dopo 4 anni, avrà la figlia Denise. Anche Carlo Cosco è un esponente della 'ndrangheta calabrese, ma la Garofalo sente il bisogno di avere una vita diversa, senza paura e senza violenza. Nel 2002 Lea Garofalo decide che è giunto il momento di iniziare a collaborare con la giustizia e di conseguenza viene inserita nel programma di protezione insieme alla figlia Denise.
In quegli anni Lea vive in solitudine, cambiando spesso residenza e raccontando ai magistrati tutti gli affari illeciti del clan dell’ex compagno. Nel 2009 la donna, sfiduciata dalle Istituzioni, esce dal sistema di protezione e ritrovandosi in difficoltà economiche chiede all’ex compagno di contribuire al mantenimento della figlia Denise. Da Campobasso, Lea si sposta quindi a Milano, dove cade nella trappola di Cosco che approfitta della situazione per far rapire Lea. Lea Garofalo scomparve la sera del 24 novembre del 2009. Una telecamera di servizio riprese l'ultima passeggiata di Lea e Denise a Milano, immediatamente prima che la donna venisse sequestrata dal marito. (vedi qui).
A catturare i responsabili della morte di Lea ci penserà Denise, sua figlia. Nonostante la giovanissima età, Denise fornirà un contributo fondamentale per individuare e processare tutti i responsabili dell’omicidio della madre, costituendosi "parte civile" nel processo contro il suo stesso padre.
Emerge così la verità sulla fine di Lea Garofalo.
In un primo tempo, le indagini portarono alla convinzione degli inquirenti che la donna, dopo essere stata torturata per ore, venisse uccisa e il corpo dissolto nell’acido. Tuttavia, grazie alle rivelazioni di Carmine Venturino, uno degli indagati, i poveri resti del corpo della donna sono stati ritrovati nel 2012 in un terreno del comune di Cormano ( Mi)   La sua identità è stata confermata dall’esame del DNA. 
Lea Garofalo venne sequestrata, torturata, uccisa e il corpo dato alle fiamme. La barbarie degli "uomini d'onere" arriva a questo!
Alla fine dell'iter processuale, nel 2013, la Cassazione si è pronunciata definitivamente sul processo per la scomparsa, l’omicidio e la distruzione del cadavere di Lea Garofalo con la condanna definitiva: Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino sono condannati all'ergastolo; 25 anni di reclusione per Carmine Venturino e assoluzione per non aver commesso il fatto per Giuseppe Cosco; inoltre la Corte ha disposto il risarcimento dei danni per le parti civili: la figlia, la madre e la sorella di Lea Garofalo e il comune di Milano.
Il 19 ottobre 2013 si sono svolti a Milano, in piazza Beccaria, i funerali civili di Lea Garofalo. In piazza erano presenti migliaia di persone, fra le quali anche  Don Luigi Ciotti, in rappresentanza di LIBERA, e il sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Lo stesso giorno è stato intitolato a Lea Garofalo un giardino pubblico in viale Montello a Milano; a quel luogo, altri ne sono seguiti dedicati alla memoria di LEA GAROFALO: una donna coraggiosa.

martedì 27 ottobre 2015

#RENZICIRIPENSI: innalzare la soglia del contante rischia di facilitare gli affari sposchi

Don Ciotti: no innalzamento soglia del contante, "sono norme che rischiano di facilitare gli affari sporchi"

Anche LIBERA si unisce alle critiche che da più parti sono giunte al provvedimento del governo che innalza la soglIA del contante, da 1.000 euro a 3.000 euro. Ancora una volta, la politica italiana emana leggi che sembrano andare "controtendenza", non solo rispetto al buonsenso. Siamo il paese europeo dove maggiore è l'evasione fiscale; dove le mafie dominano territori e conquistano "pezzi" sempre maggiori dieconomia, influenzando pesantemente la politica; siamo il paese dove la corruzione è il cancro che devasta quotidianamente il destino della nazione.

Ancora una volta ricordiamo  la denuncia di don Ciotti su certi provvedimenti-leggi: "frutto di accordi sottobanco fra i partiti". 

A quelle parole si uniscono le dichiarazioni di Roberto Scarpinato, procuratore generale a Palermo. In  un'intervista al fatto Quotidiano R. Scarpinato, fra le atre cose afferma: "(...) Abbiamo una giustizia penale che  pesta acqua nel mortaio con gran spreco di risorse e nessuna  reale efficacia dissuasiva. Su un piatto della bilancia, la  certezza di arricchirti a spese della collettività, sull'altro  piatto il rischio, se ti scoprono, di subire un processo  destinato a un nulla di fatto per prescrizione (...)".

A chi giova tutto questo?


Leggi qui: RIPARTE IL FUTURO

Portare l’uso del contante a 3.000 euro è un errore, perché non farà aumentare i consumi e renderà invece più semplice mettere in circolazione denaro proveniente dall’economia sommersa, dando un segnale di cedimento di fronte all’enorme problema dell’evasione fiscale.  
Chiediamo che venga mantenuta la soglia dei 1.000 euro e che l’Italia si impegni a fare quel che altri Stati europei hanno messo in pratica da tempo: semplificare l’impiego delle carte di credito e dei bancomat, in modo che possano essere usati da tutti a prezzi molto più contenuti.  
Vogliamo che il governo ritiri il provvedimento presentato nel Consiglio dei ministri. Chiediamo un messaggio chiaro a Camera e Senato, quando la legge di Stabilità andrà in aula: stralciare una norma che rappresenta un evidente segnale negativo perché dà l’idea che un po’ di “nero” sia tollerabile se si tratta di far girare i consumi. Questo il testo della nuova petizione rivolta al Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, a tutto il Parlamento per ritirare l'aumento a 3000 euro uso dei contanti. In sole 48 ore dal lancio sono state superate le 15mila firme.

La legge di Stabilità 2016 ci ha regalato una brutta sorpresa: la triplicazione della soglia per i pagamenti in contanti. Il pretesto è quello di facilitare i consumi, ma non è mai stato dimostrato che rendere indiscriminato l’uso dei contanti faccia aumentare gli acquisti. Al contrario, è provato che più alto è il ricorso alle transazioni elettroniche, maggiore è la possibilità di bloccare operazioni illecite. Le transazioni elettroniche eliminano la possibilità non solo di creare del “nero” ma anche di rimetterlo in circolazione. In questo senso, nel 2011 era stato finalmente portato a 1.000 euro l’uso dei contanti proprio per disincentivare l’impiego di denaro evaso o frutto di crimini. L’Italia è il secondo paese europeo per il valore dell’economia sommersa e ai vertici della classifica sull’evasione fiscale. Ci aspettiamo che il governo e il Parlamento non considerino questi tristi primati come semplici fatti, ma che impegnino tutte le loro energie per scalfire un fenomeno che ha costi enormi per la collettività. #Renziciripensi - è l'appello finale  della nuova iniziativa di Libera e Gruppo Abele- non è questo il messaggio di cui l’Italia ha bisogno. L’economia sana va a vantaggio di tutti.

“Sono norme- commenta Don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera - che rischiano di facilitare gli affari sporchi. Le grandi organizzazioni criminali sono indifferenti al tetto dei 1000 o 3000 euro, non ne hanno bisogno per i loro affari, per le loro attività di riciclaggio ma le mafie “vivono di compiacenze, di altri livelli a loro servizio perché se il pesce è importante altrettanto lo è il bacino d’acqua all’interno del quale si alimenta, un bacino questo, anche alla luce della crisi economica e sociale che investe il paese, non indifferente all' aumento della soglia dell'uso del contante.”