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giovedì 15 settembre 2016

Don Pino Puglisi: "...E se ognuno di noi fa qualcosa, allora si può fare molto".

Don Pino Puglisi per i suoi parrocchiani era "3P" e ai suoi parrocchiani soleva dire: "...E se ognuno di noi fa qualcosa, allora si può fare molto".
Le parole di Gaspare Spatuzza e di Giovanni Drago, mafiosi divenuti collaboratori di giustizia, basterebbero a spiegare, nella loro rozza schiettezza, perché don Pino Puglisi è stato ucciso.«Era uno che non si era incanalato, che faceva di testa sua». «Predicava, predicava, prendeva ragazzini e li toglieva dalla strada... Martellava e rompeva le scatole...Un capomafia non poteva tollerare che un prete si muovesse per conto suo e doveva dimostrare chi comandava a Brancaccio».  Era l'estate del 1993 e l'attacco di cosa nostra allo Stato prende di mira chi, da sacerdote, contendeva la comuinità di Brancaccio al dominio di "cosa nostra" ( avvallata dalla palese assenza delle istituzioni locali) con lo strumento dei valori quali giustizia e dignità, valori richiesti per la sua comunità e praticati quotidianamente da don Puglisi.
Anche per don Puglisi vale quindi la differenza fondamentale tra Lui ed altri, altri sacerdoti, altri uomini e donne: lui vedeva ma non taceva! Don Puglisi  era differente: "(...) si sapeva che faceva delle messe non proprio a favore della mafia". Fu ucciso dalla mafia la sera del suo compleanno, il 15 settembre 1993: erano passate da poco le otto della sera. A Salvatore Grigoli, il killer che lo aspettava, don Pino sorrise dicendo "Me l' aspettavo".
Vengono invece alla mente i tanti nostri silenzi di cui quotidianamente ci rendiamo colpevoli nel tempo che viviamo: il silenzio di una intera comunità -quella di Melito Porto Salvo, in Calabria- dinanzi alla violenza perpetrata - per tre anni- ai danni di una ragazzina che aveva solo tredici anni quando fu violentata per la prima volta; il silenzio dei "buoni" dinanzi al degrado fisico e morale nal quale sono costretti i migranti in alcune strutture di prima accoglienza; il silenzio dei cuori, anzi "le risate divertite", di giovani ragazze dinanzi alla violenza subita da una loro "amica" nel bagno di una discoteca di Rimini; il silenzio di chi potrebbe denunciare ingiustizia e corruzione..
Lo scorso anno, il quotidiano La Repubblica, pubblica un articolo di salvo Palazzolo nel quale si dava notizia del  ritrovamento di un nastro registrato nel quale Don Puglisi, mostra la consapevolezza di essere in grave pericolo: "Il testimone deve rischiare...io sto rischiando  grosso forse, non lo so, però credo nell'amicizia". Don Puglisi credeva nell'amicizia della sua comunità.  Rimase al suo posto, non andò via da Brancaccio. ( leggi qui l'articolo
Il sogno di don Puglisi: "Pochi giorni fa, prima di tornare qui come parroco, io ho sognato il futuro di questo quartiere ed è stato proprio bello. Bello perché ho sognato un posto dove erano spariti i furti, era sparita la droga, dove non c'erano più violenze, prepotenze, dove la gente non aveva paura, dove non c'era più la fame perché c'era lavoro per tutti, dove c'erano delle scuole bellissime, dove i bambini giocavano... Io ho sognato il futuro di questo quartiere ed è stato proprio bello!"

Riproponiamo un estratto dell'articolo La Stampa pubblicato nel maggio 2014 in occasione della beatificacazione di Don Puglisi.,qui il testo integrale,
Fonte: LA STAMPA
Decine di migliaia a Palermo per don Puglisi proclamato beato. 
Il martire della fede don Puglisi è il patrono della Chiesa anti-mafia. Il vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero, «D’ora in poi nessuno potrà più usurpare il nome di Dio per giustificare la mentalità criminale di quei clan che per decenni si sono ammantati di falsa e blasfema religiosità (...) L’autentica fede in Cristo è incompatibile con qualunque appartenenza ad organizzazioni che avvelenano la società e la privano del suo futuro».(...) Benedetto XVI aveva riconosciuto il fatto che l’esecuzione ordinata dai boss e avvenuta davanti alla parrocchia di San Gaetano, retta dal sacerdote, nel quartiere Brancaccio, fu «martirio», commesso «in odio alla fede». 
E Papa Francesco, appena lunedì scorso, durante la visita «ad limina» della Conferenza episcopale siciliana, ha esortato la Chiesa locale a dare contro la mafia, una testimonianza più chiara e più evangelica. Nei quasi 20 anni che separano dall’assassinio di padre Pino, «la verità è infine emersa», ha a suo tempo spiegato il postulatore della causa di beatificazione, l’arcivescovo Vincenzo Bertolone, legando la verità del martirio di Puglisi a «quella giudiziaria, vergata con inchiostro indelebile dalla Cassazione» secondo cui «l’omicidio fu deciso dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano per mettere a tacere un sacerdote scomodo, socialmente impegnato, che col suo ministero di pastore di anime, di formatore di coscienze cristiane, soprattutto di quelle dei fanciulli, li ridicolizzava sottraendo loro manovalanza, prestigio e potere, come del resto sprezzantemente li rimproverava uno dei capi indiscussi di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella». (...)
La figura di don Puglisi riveste un ruolo di «grande importanza per la società civile, per la Chiesa universale, in particolare per la Chiesa palermitana e siciliana e per tutte quelle che si confrontano sul proprio territorio con le organizzazioni criminali, perché il suo sacrificio ha svelato il grande inganno della mafia, sedicente portatrice di religiosità. Il suo esempio è stato ed è così forte da aver attraversato il tempo: nei 19 anni trascorsi, Brancaccio, Palermo, la Sicilia, l’Italia, il mondo non lo hanno dimenticato». 
«La mafia è intrinsecamente anticristiana», ha poi ribadito il prefetto della Congregazione per le cause dei santi, cardinale Angelo Amato. Quello di don Puglisi, spiega, è stato un «martirio, perché è stato ucciso in odium fidei». «Ovviamente - ha sottolineato il cardinale salesiano - qui bisogna chiarire cosa significa in odium fidei, dal momento che la mafia viene descritta spesso come una realtà “religiosa”, una realtà i cui membri sembrano apparentemente molto devoti (... la mafia, più che “religiosa”, è essenzialmente “idolatrica”». Anche il paganesimo antico, ricorda Amato, era “religioso”, ma la sua religiosità era rivolta agli idoli. Nella mafia gli idoli sono il potere, il denaro e la prevaricazione. È quindi una società che, con un involucro pseudo religioso, veicola un’etica antievangelica, che va contro i dieci comandamenti e il Vangelo. La Scrittura dice: non uccidere, non dire falsa testimonianza. Nella ideologia mafiosa, invece, si fa esattamente l’opposto. Gesù ha detto di perdonare ai nemici e qui troviamo il contrario: la vendetta. Per la Chiesa Cattolica, dunque, «la mafia è intrinsecamente anticristiana». Per di più, l’odio verso don Puglisi era determinato «semplicemente dal fatto che si trattava di un sacerdote che educava i giovani alla vita buona del Vangelo». Dunque «sottraeva le nuove generazioni alla nefasta influenza della malavita». (...)
Morì per strada, ha sottolineato don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, «dove viveva, dove incontrava i `piccoli´, gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti, con la propria condotta, si rendevano responsabili di illegalità, soprusi e violenze. Probabilmente per questo lo hanno ucciso: perché un modo così radicale di abitare la strada e di esercitare il ministero del parroco è scomodo. Lo hanno ucciso nell’illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, di denuncia, di condivisione». Per don Ciotti, il sacerdote palermitano «ha incarnato pienamente la povertà, la fatica, la libertà e la gioia del vivere, come preti, in parrocchia». Con la sua testimonianza, dunque, don Pino «ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio». 
Don Puglisi, “figura bellissima”, è stato ucciso “in odium fidei”, per odio della fede da parte di chi lo ha assassinato, ottolinea il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei: ”E’ stato ucciso in quanto sacerdote che faceva il suo dovere, specialmente sul piano educativo delle giovani generazioni. E dunque è un martire».  


martedì 15 settembre 2015

Don Pino Puglisi: "E se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto".

Padre Pino Puglisi. Ma per i suoi parrocchiani era "3P".
«Era uno che non si era incanalato, che faceva di testa sua». «Predicava, predicava, prendeva ragazzini e li toglieva dalla strada... Martellava e rompeva le scatole». Le parole di Gaspare Spatuzza e di Giovanni Dr
ago, mafiosi divenuti collaboratori di giustizia, basterebbero a spiegare, nella loro rozza schiettezza,perché don Pino Puglisi è stato ucciso. Anche per don Puglisi vale la differenza fondamentale tra Lui e altri, altri sacerdoti, altri uomini e donne del suo tempo: lui vedeva ma non taceva! 

Don Lugi Ciotti così ne parla:  "(...) un modo così radicale di abitare la strada e di esercitare il ministero del parroco è scomodo (...)".

Don Puglisi  era differente: "(...) si sapeva che faceva delle messe non proprio a favore della mafia". Fu ucciso dalla mafia la sera del suo compleanno, il 15 settembre 1993: erano passate da poco le otto della sera. Salvatore Grigoli, il killer che lo aspettava, don Pino sorrise dicendo "Me l' aspettavo".

 Qui la notizia pubblicata su La Repubblica , lo scorso anno, secondo la quale sarebbe stato ritrovato un nastro registrato nel quale Don Puglisi, mostra la consapevolezza di essere in grave pericolo: "Il testimone deve rischiare...io sto rischiando  grosso forse, non lo so, però credo nell'amicizia". Ma Don Puglisi rimase non andò via da Brancaccio

Il sogno di don Puglisi: "Pochi giorni fa, prima di tornare qui come parroco, io ho sognato il futuro di questo quartiere ed è stato proprio bello. Bello perché ho sognato un posto dove erano spariti i furti, era sparita la droga, dove non c'erano più violenze, prepotenze, dove la gente non aveva paura, dove non c'era più la fame perché c'era lavoro per tutti, dove c'erano delle scuole bellissime, dove i bambini giocavano... Io ho sognato il futuro di questo quartiere ed è stato proprio bello!"


Riproponiamo l'articolo de La Stampa, pubblicato lo scorso maggio 2014 in occasione della beatificacazione di Don Puglisi

Decine di migliaia a Palermo
per don Puglisi proclamato beato



IL MARTIRE DELLA FEDE DON PUGLISI È IL PATRONO DELLA CHIESA ANTI-MAFIA. «D’ORA IN POI NESSUNO POTRÀ PIÙ USURPARE IL NOME DI DIO PER GIUSTIFICARE LA MENTALITÀ CRIMINALE DI QUEI CLAN CHE PER DECENNI SI SONO AMMANTATI DI FALSA E BLASFEMA RELIGIOSITÀ», AFFERMA A IL VESCOVO DI MAZARA DEL VALLO DOMENICO MOGAVERO, EX POSTULATORE DELLA CAUSA DI BEATIFICAZIONE DEL PARROCO PALERMITANO UCCISO DA COSA NOSTRA. 

«L’autentica fede in Cristo è incompatibile con qualunque appartenenza ad organizzazioni che avvelenano la società e la privano del suo futuro»,aggiunge Mogavero, presente insieme a oltre 80mila fedeli al Foro italico di Palermo per la beatificazione di Padre Pino Puglisi, il sacerdote di Brancaccio che sorrise anche di fronte ai killer della mafia che lo uccisero il 15 settembre 1993. 

Sul Prato del Foro italico c’è un clima di festa serena, tantissime le famiglie presenti, centinaia i volontari provenienti da tutta Italia, scout e associazioni di quartiere. E poi ci sono tantissimi ragazzi che quando Don Pino era a Palermo non erano ancora nati. L’annuncio era stato dato il 28 giugno scorso: don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, nuovo Beato. Benedetto XVI aveva riconosciuto il fatto che l’esecuzione ordinata dai boss e avvenuta davanti alla parrocchia di San Gaetano, retta dal sacerdote, nel quartiere Brancaccio, fu «martirio», commesso «in odio alla fede». 

E Papa Francesco, appena lunedì scorso, durante la visita «ad limina» della Conferenza episcopale siciliana ha esortato la Chiesa locale a dare contro la mafia, una testimonianza più chiara e più evangelica. Nei quasi 20 anni che separano dall’assassinio di padre Pino, «la verità è infine emersa», ha a suo tempo spiegato il postulatore della causa di beatificazione, l’arcivescovo Vincenzo Bertolone, legando la verità del martirio di Puglisi a «quella giudiziaria, vergata con inchiostro indelebile dalla Cassazione» secondo cui «l’omicidio fu deciso dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano per mettere a tacere un sacerdote scomodo, socialmente impegnato, che col suo ministero di pastore di anime, di formatore di coscienze cristiane, soprattutto di quelle dei fanciulli, li ridicolizzava sottraendo loro manovalanza, prestigio e potere, come del resto sprezzantemente li rimproverava uno dei capi indiscussi di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella».  

Chi diede l’ordine di ucciderlo lo fece «non per eliminare un pericoloso nemico, alla stregua di magistrati, giornalisti, esponenti delle forze dell’ordine e della società civile, ma per cercare di fermare un luminoso testimone di fede». Puglisi «era persona tutta di un pezzo, agiva umilmente, con semplicità, senza cercare visibilità, antieroe: annunciava e proclamava l’Unico Necessario, il Padre Nostro». E fu proprio l’essere un uomo libero, «armato della sola forza della Parola, a costargli la vita», giustiziato dall’odio che i mafiosi nutrivano verso il suo modo di essere sacerdote.
 La sua figura riveste un ruolo di «grande importanza per la società civile, per la Chiesa universale, in particolare per la Chiesa palermitana e siciliana e per tutte quelle che si confrontano sul proprio territorio con le organizzazioni criminali, perché il suo sacrificio ha svelato il grande inganno della mafia, sedicente portatrice di religiosità. Il suo esempio è stato ed è così forte da aver attraversato il tempo: nei 19 anni trascorsi, Brancaccio, Palermo, la Sicilia, l’Italia, il mondo non lo hanno dimenticato». 

«La mafia è intrinsecamente anticristiana», ha poi ribadito il prefetto della Congregazione per le cause dei santi, cardinale Angelo Amato. Quello di don Puglisi, spiega, è stato un «martirio, perché è stato ucciso in odium fidei». «Ovviamente - ha sottolineato il cardinale salesiano - qui bisogna chiarire cosa significa in odium fidei, dal momento che la mafia viene descritta spesso come una realtà “religiosa”, una realtà i cui membri sembrano apparentemente molto devoti». Nel processo canonico, è stato approfondito questo aspetto «e abbiamo visto come, da una parte, abbiamo un’organizzazione che, più che “religiosa”, è essenzialmente “idolatrica”». Anche il paganesimo antico, ricorda Amato, era “religioso”, ma la sua religiosità era rivolta agli idoli. Nella mafia gli idoli sono il potere, il denaro e la prevaricazione. È quindi una società che, con un involucro pseudo religioso, veicola un’etica antievangelica, che va contro i dieci comandamenti e il Vangelo. La Scrittura dice: non uccidere, non dire falsa testimonianza. Nella ideologia mafiosa, invece, si fa esattamente l’opposto. Gesù ha detto di perdonare ai nemici e qui troviamo il contrario: la vendetta. Per la Chiesa Cattolica, dunque, «la mafia è intrinsecamente anticristiana». Per di più, l’odio verso don Puglisi era determinato «semplicemente dal fatto che si trattava di un sacerdote che educava i giovani alla vita buona del Vangelo». Dunque «sottraeva le nuove generazioni alla nefasta influenza della malavita». Davanti a casi analoghi, altri vescovi, potranno ora decidere di seguire l’esempio dell’arcidiocesi di Palermo e introdurre cause di beatificazione per chi ha pagato con la vita il suo impegno per sottrarre i ragazzi alle cosche.  

Secondo il prefetto per le cause dei santi, «pur in un contesto nuovo anche in don Puglisi si verifica il concetto tradizionale di martirio e cioè, appunto, un battezzato ucciso in odio alla fede». È stato ucciso «in quanto sacerdote, non perché immerso in attività socio-politiche particolari. Ucciso in quanto predicava la dottrina cristiana ed educava i giovani a vivere con coerenza il loro battesimo».
Morì per strada, ha sottolineato don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, «dove viveva, dove incontrava i `piccoli´, gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti, con la propria condotta, si rendevano responsabili di illegalità, soprusi e violenze. Probabilmente per questo lo hanno ucciso: perché un modo così radicale di abitare la strada e di esercitare il ministero del parroco è scomodo. Lo hanno ucciso nell’illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, di denuncia, di condivisione». Per don Ciotti, il sacerdote palermitano «ha incarnato pienamente la povertà, la fatica, la libertà e la gioia del vivere, come preti, in parrocchia». Con la sua testimonianza, dunque, don Pino «ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio». 
Don Puglisi, “figura bellissima”, è stato ucciso “in odium fidei”, per odio della fede da parte di chi lo ha assassinato, ottolinea il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei:”E’ stato ucciso in quanto sacerdote che faceva il suo dovere, specialmente sul piano educativo delle giovani generazioni. E dunque è un martire».  

lunedì 15 settembre 2014

Don Pino Puglisi: "E se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto". Ucciso in odio alla fede e all'Uomo

Padre Pino Puglisi, ma per i suoi parrocchiani era "3P".

Questo prete era differente: "(...) si sapeva che faceva delle messe non proprio a favore della mafia". Fu ucciso dalla mafia la sera del suo compleanno, il 15 settembre 1993: erano passate da poco le otto della sera. Salvatore Grigoli, il killer che lo aspettava, don Pino sorrise dicendo "Me l' aspettavo".

Di oggi la notizia pubblicata su La Repubblica secondo la quale sarebbe stato ritrovato un nastro registrato nel quale Don Puglisi, mostra la consapevolezza di essere in grave pericolo: "Il testimone deve rischiare...io sto rischiando  grosso forse, non lo so, però credo nell'amicizia". Ma Don Puglisi rimase non andò via da Brancaccio

Il sogno di don Puglisi: "Pochi giorni fa, prima di tornare qui come parroco, io ho sognato il futuro di questo quartiere ed è stato proprio bello. Bello perché ho sognato un posto dove erano spariti i furti, era sparita la droga, dove non c'erano più violenze, prepotenze, dove la gente non aveva paura, dove non c'era più la fame perché c'era lavoro per tutti, dove c'erano delle scuole bellissime, dove i bambini giocavano... Io ho sognato il futuro di questo quartiere ed è stato proprio bello!"


Riproponiamo l'articolo de La Stampa, pubblicato lo scorso maggio in occasione della beatificacazione di Don Puglisi

Decine di migliaia a Palermo
per don Puglisi proclamato beato


IL MARTIRE DELLA FEDE DON PUGLISI È IL PATRONO DELLA CHIESA ANTI-MAFIA. «D’ORA IN POI NESSUNO POTRÀ PIÙ USURPARE IL NOME DI DIO PER GIUSTIFICARE LA MENTALITÀ CRIMINALE DI QUEI CLAN CHE PER DECENNI SI SONO AMMANTATI DI FALSA E BLASFEMA RELIGIOSITÀ», AFFERMA A IL VESCOVO DI MAZARA DEL VALLO DOMENICO MOGAVERO, EX POSTULATORE DELLA CAUSA DI BEATIFICAZIONE DEL PARROCO PALERMITANO UCCISO DA COSA NOSTRA. 

«L’autentica fede in Cristo è incompatibile con qualunque appartenenza ad organizzazioni che avvelenano la società e la privano del suo futuro»,aggiunge Mogavero, presente insieme a oltre 80mila fedeli al Foro italico di Palermo per la beatificazione di Padre Pino Puglisi, il sacerdote di Brancaccio che sorrise anche di fronte ai killer della mafia che lo uccisero il 15 settembre 1993. 

Sul Prato del Foro italico c’è un clima di festa serena, tantissime le famiglie presenti, centinaia i volontari provenienti da tutta Italia, scout e associazioni di quartiere. E poi ci sono tantissimi ragazzi che quando Don Pino era a Palermo non erano ancora nati. L’annuncio era stato dato il 28 giugno scorso: don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, nuovo Beato. Benedetto XVI aveva riconosciuto il fatto che l’esecuzione ordinata dai boss e avvenuta davanti alla parrocchia di San Gaetano, retta dal sacerdote, nel quartiere Brancaccio, fu «martirio», commesso «in odio alla fede». 

E Papa Francesco, appena lunedì scorso, durante la visita «ad limina» della Conferenza episcopale siciliana ha esortato la Chiesa locale a dare contro la mafia, una testimonianza più chiara e più evangelica. Nei quasi 20 anni che separano dall’assassinio di padre Pino, «la verità è infine emersa», ha a suo tempo spiegato il postulatore della causa di beatificazione, l’arcivescovo Vincenzo Bertolone, legando la verità del martirio di Puglisi a «quella giudiziaria, vergata con inchiostro indelebile dalla Cassazione» secondo cui «l’omicidio fu deciso dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano per mettere a tacere un sacerdote scomodo, socialmente impegnato, che col suo ministero di pastore di anime, di formatore di coscienze cristiane, soprattutto di quelle dei fanciulli, li ridicolizzava sottraendo loro manovalanza, prestigio e potere, come del resto sprezzantemente li rimproverava uno dei capi indiscussi di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella».  

Chi diede l’ordine di ucciderlo lo fece «non per eliminare un pericoloso nemico, alla stregua di magistrati, giornalisti, esponenti delle forze dell’ordine e della società civile, ma per cercare di fermare un luminoso testimone di fede». Puglisi «era persona tutta di un pezzo, agiva umilmente, con semplicità, senza cercare visibilità, antieroe: annunciava e proclamava l’Unico Necessario, il Padre Nostro». E fu proprio l’essere un uomo libero, «armato della sola forza della Parola, a costargli la vita», giustiziato dall’odio che i mafiosi nutrivano verso il suo modo di essere sacerdote. La sua figura riveste un ruolo di «grande importanza per la società civile, per la Chiesa universale, in particolare per la Chiesa palermitana e siciliana e per tutte quelle che si confrontano sul proprio territorio con le organizzazioni criminali, perché il suo sacrificio ha svelato il grande inganno della mafia, sedicente portatrice di religiosità. Il suo esempio è stato ed è così forte da aver attraversato il tempo: nei 19 anni trascorsi, Brancaccio, Palermo, la Sicilia, l’Italia, il mondo non lo hanno dimenticato». 

«La mafia è intrinsecamente anticristiana», ha poi ribadito il prefetto della Congregazione per le cause dei santi, cardinale Angelo Amato. Quello di don Puglisi, spiega, è stato un «martirio, perché è stato ucciso in odium fidei». «Ovviamente - ha sottolineato il cardinale salesiano - qui bisogna chiarire cosa significa in odium fidei, dal momento che la mafia viene descritta spesso come una realtà “religiosa”, una realtà i cui membri sembrano apparentemente molto devoti». Nel processo canonico, è stato approfondito questo aspetto «e abbiamo visto come, da una parte, abbiamo un’organizzazione che, più che “religiosa”, è essenzialmente “idolatrica”». Anche il paganesimo antico, ricorda Amato, era “religioso”, ma la sua religiosità era rivolta agli idoli. Nella mafia gli idoli sono il potere, il denaro e la prevaricazione. È quindi una società che, con un involucro pseudo religioso, veicola un’etica antievangelica, che va contro i dieci comandamenti e il Vangelo. La Scrittura dice: non uccidere, non dire falsa testimonianza. Nella ideologia mafiosa, invece, si fa esattamente l’opposto. Gesù ha detto di perdonare ai nemici e qui troviamo il contrario: la vendetta. Per la Chiesa Cattolica, dunque, «la mafia è intrinsecamente anticristiana». Per di più, l’odio verso don Puglisi era determinato «semplicemente dal fatto che si trattava di un sacerdote che educava i giovani alla vita buona del Vangelo». Dunque «sottraeva le nuove generazioni alla nefasta influenza della malavita». Davanti a casi analoghi, altri vescovi, potranno ora decidere di seguire l’esempio dell’arcidiocesi di Palermo e introdurre cause di beatificazione per chi ha pagato con la vita il suo impegno per sottrarre i ragazzi alle cosche.  

Secondo il prefetto per le cause dei santi, «pur in un contesto nuovo anche in don Puglisi si verifica il concetto tradizionale di martirio e cioè, appunto, un battezzato ucciso in odio alla fede». È stato ucciso «in quanto sacerdote, non perché immerso in attività socio-politiche particolari. Ucciso in quanto predicava la dottrina cristiana ed educava i giovani a vivere con coerenza il loro battesimo».
Morì per strada, ha sottolineato don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, «dove viveva, dove incontrava i `piccoli´, gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti, con la propria condotta, si rendevano responsabili di illegalità, soprusi e violenze. Probabilmente per questo lo hanno ucciso: perché un modo così radicale di abitare la strada e di esercitare il ministero del parroco è scomodo. Lo hanno ucciso nell’illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, di denuncia, di condivisione». Per don Ciotti, il sacerdote palermitano «ha incarnato pienamente la povertà, la fatica, la libertà e la gioia del vivere, come preti, in parrocchia». Con la sua testimonianza, dunque, don Pino «ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio». 
Don Puglisi, “figura bellissima”, è stato ucciso “in odium fidei”, per odio della fede da parte di chi lo ha assassinato, ottolinea il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei:”E’ stato ucciso in quanto sacerdote che faceva il suo dovere, specialmente sul piano educativo delle giovani generazioni. E dunque è un martire».  

martedì 2 settembre 2014

Don Luigi Ciotti: le minacce di Riina contro la giustizia e la dignità del nostro Paese.




le minacce di Totò Riina a Don Luigi Ciotti arrivano dopo le minacce al giudice Nino Di Matteo. Manifestazioni di solidarietà a Luigi Ciotti sono giunte questa volta persino dalle più alte cariche dello Stato. Quelle stesse alte cariche che non le ritennero invece dovute nei confronti di Nino Di Matteo, uno dei giudici impegnati nel processo sulla trattativa Stato-mafia e al cui fianco don Luigi Ciotti fu tra i primi a schierarsi con parole chiare che qui ricordiamo. 

Pertanto, a nostro parere, bene fa don Luigi Ciotti a scansare la "solidarietà scontata" richiamando invece tutti quanti - politica e società - alle proprie responsabilità.

Alla politica l'onere di produrre atti concreti e coerenti contro le mafie, atti che non siano frutti scadenti di "accordi sottobanco fra i partiti". Così si espresse testualmente Luigi Ciotti in un incontro con la comunità di Roletto ( To) nei giorni che precedevano formulazioni di leggi  quali quella del 416/ter.

Alla società civile ( e responsabile!)  l'onere di una presa di coscienza sempre rinviata: per comodità , per opportunismo, per convenienza.

Sottolineamo alcune delle parole di don Luigi Ciotti: "(...) Le mafie sanno fiutare il pericolo. Sentono che l'insidia, oltre che dalle forze di polizia e da gran parte della magistratura, viene dalla ribellione delle coscienze, dalle comunita' che rialzano la testa e non accettano piu' il fatalismo, la sottomissione, il silenzio. (...) La politica deve pero' sostenere di piu' questo cammino. La mafia non e' solo un fatto criminale, ma l'effetto di un vuoto di democrazia, di giustizia sociale, di bene comune .(...)

". 



fonte: Liberainformazione

Le minacce di Riina sono rivolte a tutte le persone impegnate per la giustizia e la dignità

di Luigi Ciotti il L'analisi

Le minacce di Totò Riina dal carcere sono molto significative. Non sono infatti rivolte  solo a Luigi Ciotti, ma a tutte le persone che in vent’anni di Libera si sono impegnate per la giustizia e la dignità del nostro Paese. Cittadini a tempo pieno, non a intermittenza.

Solo un “noi” – non mi stancherò di dirlo – può opporsi alle mafie e alla corruzione. Libera è cosciente dei suoi limiti, dei suoi errori, delle sue fragilità, per questo ha sempre creduto nel fare insieme, creduto che in tanti possiamo fare quello che da soli è impossibile.
Le mafie sanno fiutare il pericolo. Sentono che l’insidia, oltreche dalle forze di polizia e da gran parte della magistratura, viene dalla ribellione delle coscienze, dalle comunità che rialzano la testa e non accettano più il fatalismo, la sottomissione, il silenzio.
Queste minacce sono la prova che questo impegno è incisivo, graffiante, gli toglie la terra da sotto i piedi. Siamo al fianco dei famigliari delle vittime, di chi attende giustizia e verità, ma anche di chi, caduto nelle reti criminali, vuole voltare pagina, collaborare con la giustizia, scegliere la via dell’onestà e della dignità. Molti famigliari vanno nelle carceri minorili dove sono rinchiusi anche ragazzi affiliati alle cosche.
La politica deve però sostenere di più questo cammino. La mafia non è solo un fatto criminale, ma l’effetto di un vuoto di democrazia, di giustizia sociale, di bene comune.
Ci sono provvedimenti urgenti da intraprendere e approvare senza troppe mediazioni e compromessi. Ad esempio sulla confisca dei beni, che èun doppio affronto per la mafia, come anche le parole di Riina confermano. Quei beni restituiti a uso sociale segnano un meno nei bilanci delle mafie e un più in quelli della cultura, del lavoro, della dignità che non si piega alle prepotenze e alle scorciatoie.
Lo stesso vale per la corruzione, che è l’incubatrice delle mafie. C’è una mentalità che dobbiamo sradicare, quella della mafiosità, dei patti sottobanco, dall’intrallazzo in guanti bianchi, dalla disonestà condita da buone maniere. La corruzione sta mangiando il nostro Paese, le nostre speranze! Corrotti e corruttori si danno manforte per minimizzare o perfino negare il reato. Ai loro occhi è un’azione senza colpevoli e dunque senza vittime, invece la vittima c’è, eccome: è la società, siamo tutti noi.
Per me l’impegno contro la mafia è da sempre un atto di fedeltà al Vangelo, alla sua denuncia delle ingiustizie, delle violenze, al suo stare dalla parte delle vittime, dei poveri, degli esclusi. Alsuo richiamarci a una “fame e sete di giustizia” che va vissuta apartire da qui, da questo mondo.
Riguardo don Puglisi – che Riina cita e a cui non oso paragonarmi perché sono un uomo piccolo e fragile – un mafioso divenuto collaboratore di giustizia parlò di “sacerdoti che interferiscono”. Ecco io mi riconosco in questa Chiesa che “interferisce”, che non smette di ritornare – perché è lì che si rinnova la speranza -al Vangelo, alla sua essenzialità spirituale e alla suaintransigenza etica.
Una Chiesa che accoglie, che tiene la porta aperta a tutti, anche a chi, criminale mafioso, è mosso da un sincero, profondo desiderio di cambiamento, di conversione.
Una Chiesa che cerca di saldare il cielo alla terra, perché, come ha scritto il Papa Francesco: «Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo».

mercoledì 19 marzo 2014

Don Beppe Diana. 19 marzo 1994. "Perchè hanno ucciso ucciso un sacerdote?"

"Perchè hanno ucciso ucciso un sacerdote?"
In uno dei nostri ultimi incontri nelle scuole pinerolesi, abbiamo provato a porre questa domanda ( banale?) alle ragazze e ai ragazzi della media. Raccontavamo loro che in quegli anni tragici, per loro così lontani,  la camorra avevano ucciso un sacerdote, si chiamava don Beppe Diana, pochi mesi dopo l'assassinio di un altro sacerdote, don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia siciliana.
La domanda: "Perchè hanno ucciso ucciso un sacerdote?"
La risposta di uno dei ragazzi: " Forse perchè provava ad insegnare pace e amore ai mafiosi.."
Per don Beppe Diana, per don Pino Puglisi, così come per tanti di coloro di cui leggeremo il nome il prossimo 22 marzo, vale quella risposta : "Forse perchè provava ad insegnare pace e amore ai mafiosi.". Perchè insegnare Pace e Amore che vuol dire insegnare il significato di Giustizia, Dignità, Libertà. Per questo sono morti 
Don beppe Diana, aveva firmato la sua condanna a morte con una lettera: " Per amore del mio Popolo non tacerò", un documento diffuso nel Natale del 1991 nelle chiese di Casal di Principe e della zona aversana insieme ai parroci della foranìa.

                   
Tratto da GOMORRA di R. Saviano:  "(...) Don Peppino iniziò a mettere in dubbio la fede cristiana dei boss. In terra di camorra il messaggio cristiano non viene visto in contraddizione con l'attività camorristica: il boss spesso dice di essere un “buon cristiano”, dà soldi per le feste. Per i camorristi uccidere non è un peccato grave:  ammazzare qualcuno viene considerato come un peccato che verrà compreso e perdonato da Cristo in nome della necessità (...) I suoi killer non scelsero una data a caso. Scelsero il  giorno del suo onomastico, il 19 marzo del 1994. Mattina prestissimo. Don Peppino non si era ancora vestito con i paramenti per la Messa. Stava in una sala riunioni della chiesa. Non era immediatamente riconoscibile.
 "Chi è don Peppino?"
 "Sono io..."
L'ultima risposta. Cinque colpi che rimbombarono nelle navate della chiesa, due pallottole lo colpirono al volto, le altre bucarono la testa, il collo e una mano. Avevano mirato alla faccia, come si fa per i peggiori nemici.  Don Peppino si stava preparando per celebrare la prima messa. Aveva trentasei anni."

Per amore del mio Popolo non tacerò
« Siamo preoccupati
Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”. Coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”.
La Camorra
La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l'imprenditore più temerario; traffici illeciti per l'acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.
Precise responsabilità politiche
È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l'infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi. La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d'intermediari che sono la piaga dello Stato legale. L'inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc; non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l'inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l'Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio. Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili.
Impegno dei cristiani
Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno. Dio ci chiama ad essere profeti.
Il Profeta fa da sentinella: vede l'ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);
Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);
Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23);
Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5)
Coscienti che “il nostro aiuto è nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che è la fonte della nostra Speranza.
NON UNA CONCLUSIONE: MA UN INIZIO
Appello
Le nostre “Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe”. Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa. Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell'annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26). Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “Siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso,… dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno”. »




domenica 16 marzo 2014

Papa Francesco incontrerà i familiari delle Vittime Innocenti delle mafie

Il Prossimo  22 marzo 2014 sarà Latina ad ospitare la manifestazione nazionale della "XIX Giornata della Memoria e dell'Impegno in Ricordo delle Vittime Innocenti delle mafie
A Latina, anche nel ventennale dell'uccisione di don Peppe Diana, che ha pagato con la vita il coraggio della testimonianza e delle denuncia, per ricordare insieme ai familiari delle vittime innocenti delle mafie.
Per la prima volta Papa Francesco incontra i familiari delle Vittime innocenti delle mafie

Fonte : LA Stampa 

Papa Francesco contro la mafia
incontra i familiari delle vittime

Venerdì con l’associazione Libera: è la prima volta che accade
ANSA
Una condanna senza appello
Il vescovo di Mazara del Vallo, Mogavero: «Nella Chiesa resistono omertà e connivenze che infangano il sacrificio di tanti preti»

CITTA’ DEL VATICANO
Davanti al Papa i familiari leggeranno il lungo elenco delle vittime innocenti dei clan, poi Francesco prenderà la parola e la riflessione si alternerà a momenti di silenzio e preghiera. Un «martirologio» di chi ha pagato con la vita il rifiuto del potere mafioso. Bergoglio incontrerà 700 familiari delle vittime delle mafie che insanguinano l’Italia e pregherà con loro in una veglia nella chiesa romana di Gregorio VII, a poche decine di metri dall’ingresso del Perugino e dalla casa Santa Marta dove Francesco risiede. Una riflessione che è segno di unione tra cielo e terra contro la criminalità organizzata. L’incontro avverrà il 21 marzo, nella «Giornata della memoria delle vittime innocenti delle mafie» promossa da «Libera». Tutto è nato a metà gennaio da un incontro a Santa Marta. Racconta don Luigi Ciotti: «Francesco ha subito condiviso l’idea di schierare la Chiesa dove la dignità dell’uomo è calpestata». La preghiera e la prossimità a chi piange un familiare ucciso dalla mafia è la modalità scelta da Francesco per condannare i clan e costruire una cultura che metta i boss ai margini della società.  

Ha fatto storia il «grido» contro la mafia, di Giovanni Paolo II: il 9 maggio del ’93 ad Agrigento intimò ai mafiosi di convertirsi: «Verrà il giudizio di Dio». La mafia è «una strada di morte, incompatibile con il Vangelo», ha ribadito nel 2010 a Palermo Benedetto XVI, che già nel 2007 a Napoli aveva puntato l’indice contro la camorra. Chi si macchia di un omicidio e chi ad esso collabora «commettono un peccato che grida vendetta davanti a Dio» e sono «fuori dalla comunità cristiana», quindi esclusi dai sacramenti. Nel 1989 il cardinale di Napoli, Michele Giordano, inviò alle parrocchie una direttiva: no ai malavitosi come padrini di battesimo o cresima. Un esempio seguito in numerose diocesi del Sud.  

«Per l’importanza che il padrinato ha nel Mezzogiorno, l’esclusione equivale a una pubblica ignominia», sottolinea il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero. Due mesi fa l’arcivescovo di Catanzaro Vincenzo Bertolone, postulatore del martire anti-clan don Puglisi, ha riaperto la discussione sulla sanzione canonica per i mafiosi: «La mafia è contro il Vangelo: non basta la scomunica, serve un radicale cambiamento educativo e pastorale». E per i funerali dei mafiosi si può applicare il modello seguito a Roma per il nazista Priebke, cioè una benedizione privata della salma senza pubbliche esequie. 
Intanto il magistrato calabrese Nicola Gratteri ha lanciato un allarme attentati: la ’ndrangheta potrebbe reagire violentemente all’azione di pulizia di Bergoglio allo Ior, in passato usato dai clan per riciclare soldi sporchi. L’incontro con le vittime è la risposta di Francesco
«Nella Chiesa resistono omertà e connivenze con i mafiosi - evidenzia Mogavero - La mafia è un cancro che distrugge il tessuto sociale. Giustificazioni e collateralismo nelle comunità cristiane infangano il sacrificio di don Puglisi, don Diana, Livatino e tanti altri. Stenta a farsi strada la consapevolezza della pericolosità sociale di Cosa Nostra, anzi gli si è attribuito a lungo un compito di garante verso gli interessi di chi non poteva ricorrere ai poteri istituzionali». E così «in piccoli comuni persino qualche sacerdote si è prestato a dare protezione ai mafiosi». Osserva Mogavero: «Hanno paura dei malavitosi perché temono di essere vittime più o meno dirette della loro malvagità». Dopo la preghiera con il Papa, il 22 marzo sfileranno a Latina migliaia di persone contro l’illegalità: un meeting del volontariato anti-mafia nel segno di Francesco. «Nessuno potrà più fingere di non sapere».  

domenica 26 maggio 2013

Don Pino Puglisi: "E se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto". Ucciso in odio alla fede e all'Uomo

Padre Pino Puglisi, ma per i suoi parrocchiani era 3P.

Questo prete era differente: "(...) si sapeva che faceva delle messe non proprio a favore della mafia". 

Fu ucciso dalla mafia la sera del suo compleanno, il 15 settembre 1993 da . Sono passati da poco le otto della sera. 

Salvatore Grigoli, il killer che lo aspettava, don Pino sorrise dicendo "Me l' aspettavo".


Fonte : la Stampa

Decine di migliaia a Palermo
per don Puglisi proclamato beato



Il martire della fede don Puglisi è il patrono della Chiesa anti-mafia. «D’ora in poi nessuno potrà più usurpare il nome di Dio per giustificare la mentalità criminale di quei clan che per decenni si sono ammantati di falsa e blasfema religiosità», afferma a il vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero, ex postulatore della causa di beatificazione del parroco palermitano ucciso da Cosa Nostra. 

«L’autentica fede in Cristo è incompatibile con qualunque appartenenza ad organizzazioni che avvelenano la società e la privano del suo futuro», aggiunge Mogavero, presente insieme a oltre 80mila fedeli al Foro italico di Palermo per la beatificazione di Padre Pino Puglisi, il sacerdote di Brancaccio che sorrise anche di fronte ai killer della mafia che lo uccisero il 15 settembre 1993. 

Sul Prato del Foro italico c’è un clima di festa serena, tantissime le famiglie presenti, centinaia i volontari provenienti da tutta Italia, scout e associazioni di quartiere. E poi ci sono tantissimi ragazzi che quando Don Pino era a Palermo non erano ancora nati. L’annuncio era stato dato il 28 giugno scorso: don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, nuovo Beato. Benedetto XVI aveva riconosciuto il fatto che l’esecuzione ordinata dai boss e avvenuta davanti alla parrocchia di San Gaetano, retta dal sacerdote, nel quartiere Brancaccio, fu «martirio», commesso «in odio alla fede». 

E Papa Francesco, appena lunedì scorso, durante la visita «ad limina» della Conferenza episcopale siciliana ha esortato la Chiesa locale a dare contro la mafia, una testimonianza più chiara e più evangelica. Nei quasi 20 anni che separano dall’assassinio di padre Pino, «la verità è infine emersa», ha a suo tempo spiegato il postulatore della causa di beatificazione, l’arcivescovo Vincenzo Bertolone, legando la verità del martirio di Puglisi a «quella giudiziaria, vergata con inchiostro indelebile dalla Cassazione» secondo cui «l’omicidio fu deciso dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano per mettere a tacere un sacerdote scomodo, socialmente impegnato, che col suo ministero di pastore di anime, di formatore di coscienze cristiane, soprattutto di quelle dei fanciulli, li ridicolizzava sottraendo loro manovalanza, prestigio e potere, come del resto sprezzantemente li rimproverava uno dei capi indiscussi di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella».  

Chi diede l’ordine di ucciderlo lo fece «non per eliminare un pericoloso nemico, alla stregua di magistrati, giornalisti, esponenti delle forze dell’ordine e della società civile, ma per cercare di fermare un luminoso testimone di fede». Puglisi «era persona tutta di un pezzo, agiva umilmente, con semplicità, senza cercare visibilità, antieroe: annunciava e proclamava l’Unico Necessario, il Padre Nostro». E fu proprio l’essere un uomo libero, «armato della sola forza della Parola, a costargli la vita», giustiziato dall’odio che i mafiosi nutrivano verso il suo modo di essere sacerdote. La sua figura riveste un ruolo di «grande importanza per la società civile, per la Chiesa universale, in particolare per la Chiesa palermitana e siciliana e per tutte quelle che si confrontano sul proprio territorio con le organizzazioni criminali, perché il suo sacrificio ha svelato il grande inganno della mafia, sedicente portatrice di religiosità. Il suo esempio è stato ed è così forte da aver attraversato il tempo: nei 19 anni trascorsi, Brancaccio, Palermo, la Sicilia, l’Italia, il mondo non lo hanno dimenticato». 

«La mafia è intrinsecamente anticristiana», ha poi ribadito il prefetto della Congregazione per le cause dei santi, cardinale Angelo Amato. Quello di don Puglisi, spiega, è stato un «martirio, perché è stato ucciso in odium fidei». «Ovviamente - ha sottolineato il cardinale salesiano - qui bisogna chiarire cosa significa in odium fidei, dal momento che la mafia viene descritta spesso come una realtà “religiosa”, una realtà i cui membri sembrano apparentemente molto devoti». Nel processo canonico, è stato approfondito questo aspetto «e abbiamo visto come, da una parte, abbiamo un’organizzazione che, più che “religiosa”, è essenzialmente “idolatrica”». Anche il paganesimo antico, ricorda Amato, era “religioso”, ma la sua religiosità era rivolta agli idoli. Nella mafia gli idoli sono il potere, il denaro e la prevaricazione. È quindi una società che, con un involucro pseudo religioso, veicola un’etica antievangelica, che va contro i dieci comandamenti e il Vangelo. La Scrittura dice: non uccidere, non dire falsa testimonianza. Nella ideologia mafiosa, invece, si fa esattamente l’opposto. Gesù ha detto di perdonare ai nemici e qui troviamo il contrario: la vendetta. Per la Chiesa Cattolica, dunque, «la mafia è intrinsecamente anticristiana». Per di più, l’odio verso don Puglisi era determinato «semplicemente dal fatto che si trattava di un sacerdote che educava i giovani alla vita buona del Vangelo». Dunque «sottraeva le nuove generazioni alla nefasta influenza della malavita». Davanti a casi analoghi, altri vescovi, potranno ora decidere di seguire l’esempio dell’arcidiocesi di Palermo e introdurre cause di beatificazione per chi ha pagato con la vita il suo impegno per sottrarre i ragazzi alle cosche.  

Secondo il prefetto per le cause dei santi, «pur in un contesto nuovo anche in don Puglisi si verifica il concetto tradizionale di martirio e cioè, appunto, un battezzato ucciso in odio alla fede». È stato ucciso «in quanto sacerdote, non perché immerso in attività socio-politiche particolari. Ucciso in quanto predicava la dottrina cristiana ed educava i giovani a vivere con coerenza il loro battesimo».
Morì per strada, ha sottolineato don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, «dove viveva, dove incontrava i `piccoli´, gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti, con la propria condotta, si rendevano responsabili di illegalità, soprusi e violenze. Probabilmente per questo lo hanno ucciso: perché un modo così radicale di abitare la strada e di esercitare il ministero del parroco è scomodo. Lo hanno ucciso nell’illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, di denuncia, di condivisione». Per don Ciotti, il sacerdote palermitano «ha incarnato pienamente la povertà, la fatica, la libertà e la gioia del vivere, come preti, in parrocchia». Con la sua testimonianza, dunque, don Pino «ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio». 
Don Puglisi, “figura bellissima”, è stato ucciso “in odium fidei”, per odio della fede da parte di chi lo ha assassinato, ottolinea il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei:”E’ stato ucciso in quanto sacerdote che faceva il suo dovere, specialmente sul piano educativo delle giovani generazioni. E dunque è un martire».