Visualizzazione post con etichetta stato-mafia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta stato-mafia. Mostra tutti i post

domenica 7 gennaio 2018

Piersanti Mattarella: “Aveva studiato per diventare Mazzarino e improvvisamente divenne Pericle.Come poteva vivere un uomo così, e per giunta vivere da presidente?"

In concomitanza col l'anniversario dell'uccisione, gli organi di stampa hanno battuto notizie relative alla riapertura delle indagini sul "delitto Mattarella", allora Presidente della Regione Sicilia. Oggi si parla, come fosse una novità, della pista neofascista. In realtà, il delitto Mattarella è uno di quei delitti eccellenti che, come altri, ha mostrato il nodo essenziale delle organizzazioni mafiose: il legame fra queste e "pezzi" delle istituzioni, quello Stato-mafia "che continua a nascondere" e di cui oggi torna a parlare Saverio Lodato (leggi qui)

Piersanti Mattarella, Presidente della Regione, è stato ucciso voleva cambiare la sua Sicilia, anzitutto smantellando i legami indicibili che legavano il suo stesso partito -la Democrazia Cristiana- a "cosa nostra". Un uomo scomodo quindi, e non solo per le organizzazioni criminali. 

L'assassinio di Piersanti Mattarella ha infatti rivelato una delle pagine più vergognose della storia italiana. Il processo che si sarebbe celebrato negli anni successivi contro Giulio Andreotti ha dimostrato come "il caso Mattarella" preoccupasse sia le mafia che la politica del tempo: fu proprio l’ex presidente del consiglio Giulio Andreotti a prendere parte a due incontri -al cospetto di un boss quale Stefano Bontade- nei quali si parlò della necessità di fermare-eliminare Piersanti Mattarella. La sentenza del processo acclara che sebbene Andreotti fosse “nettamente contrario” all’esecuzione del delitto, Giulio Andreotti “non si è limitato a prendere atto, sgomento, che le sue autorevoli indicazioni erano state inaspettatamente disattese dai mafiosi ed a allontanarsi senz’altro dagli stessi, ma è sceso in Sicilia per chiedere conto al Bontade (il boss Stefano Boutadendrdella scelta di sopprimere il presidente della Regione

Il ritratto morale di Piersanti Mattarella venne tracciato da Giuseppe Fava che, nell'articolo "I cento padroni di Palermo", così scriveva dell'uomo che sognava “una Sicilia con le carte in regola”: 

"(...) Aveva studiato tutte le arti per diventare Mazzarino e improvvisamente divenne PericleIndossò tutta la dignità che dovrebbe avere sempre un uomo; dignità significa intransigenza morale, nitidezza nel governo, onestà nella pubblica amministrazione. Piersanti Mattarella fu capace di pensare in grande e pensare in proprio. Figurarsi la società palermitana degli oligarchi, i cento padroni di Palermo. Come poteva vivere un uomo così, e per giunta vivere da presidente? Nessuno capirà mai se Mattarella venne ucciso perché aveva fermato una cosa che stava accadendo, oppure perché avrebbe potuto fermare cose che invece ancora dovevano accadere.(qui il testo dell'articolo)


sera del 5 gennaio 1980
La sera di sabato 5 gennaio 1980 il Telegiornale regionale siciliano aveva mandato in onda  l'ultima intervista rilasciata da Piersanti Mattarella, allora presidente della Regione Sicilia. Il tema dell'intervista era "Sicilia: nel buio degli anni ’80". L'intervista viene pubblicata in una sintesi dal «Giornale di Sicilia» proprio nell'edizione del 6 gennaio, il giorno in cui Mattarella sarà ucciso. Il titolo scelto era: “I nodi sono molto grossi, le armi appaiono spuntate: spero di farcela, e presto”: sono le parole che Piersanti Mattarella pronuncia in un passaggio della stessa intervista. Riportiamo la parte finale dell'intervista, quando il giornalista incalza Piersanti Mattarella sule azioni messe in atto per contrastare la mafia
Stralcio dell'intervista di Piersanti Mattarella: 
“I nodi sono molto grossi, le armi appaiono spuntate: spero di farcela, e presto”
(...) Domanda. Il ’79 è stato l’anno in cui della mafia, dopo un crescendo di violenza, si è parlato dentro il palazzo. È riconosciuto che il fenomeno si alimenta di un malessere sociale per rispondere al quale sono necessari fatti politici, non solo misure di polizia. Ma quali fatti politici in tal senso la Regione ha prodotto, quali potrà produrre?

Risposta di P. Mattarella. «Fatti politici ci sono stati. Cito soltanto i due dibattiti in Assemblea regionale conclusi con voto unanime. Molte indicazioni concrete per far fronte al fenomeno sono state accolte dai recenti provvedimenti del Consiglio dei ministri in materia di ordine pubblico». 

D. Siamo sempre sul piano delle misure di polizia. I fatti politici riguardano il risanamento del costume pubblico. Il cardinale Pappalardo nell’ultima lettera pastorale ha detto che la mafia è pure quella sensazione di sicurezza prodotta dall’esser «protetti da un amico o da un gruppo di amici che contano». Questi gruppi si insediano pure dentro la classe dirigente.


R. «Il richiamo del cardinale è appropriato. Il problema esiste perché nella società a diversi livelli, nella classe dirigente non solo politica, ma pure economica e finanziaria, si affermano comportamenti individuali e collettivi che favoriscono la mafia. Bisogna intervenire per eliminare quanto a livello pubblico, attraverso intermediazioni e parassitismi, ha fatto e fa proliferare la mafia. Pure è necessario risvegliare doveri individuali e comportamenti dei singoli che finiscono con il consentire il formarsi di un’area dove il fenomeno ha potuto, dico storicamente, allignare e prosperare».

6 gennaio 1980
La mattina del 6 gennaio 1980 mentre la famiglia Mazzarella stava recandosi alla messa, senza la scorta che Piersanti Mazzarella aveva sempre rifiutato nei giorni festivi, i killer di cosa nostra si avvicinano all'auto del presidente nella quale vi erano anche la maglie, le figlie e la suocera. Nella fotografia di Letizia Battaglia, l'immagine del corpo morente di Piersanti Mattarella sorretto dal fratello Sergio, attuale Presidente della Repubblica, accorso appena udito gli spari. 
Lo stesso Giovanni Falcone era convinto che ambienti eversivi di destra fossero implicati del delitto di Piersanti Mattarella. Per questo Falcone chiamò a giudizio Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, accusati – e poi assolti – di essere gli autori materiali di un omicidio per il quale finora furono condannati solo i mandanti: i boss della Cupola di Cosa nostra Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci. 






martedì 27 ottobre 2015

#RENZICIRIPENSI: innalzare la soglia del contante rischia di facilitare gli affari sposchi

Don Ciotti: no innalzamento soglia del contante, "sono norme che rischiano di facilitare gli affari sporchi"

Anche LIBERA si unisce alle critiche che da più parti sono giunte al provvedimento del governo che innalza la soglIA del contante, da 1.000 euro a 3.000 euro. Ancora una volta, la politica italiana emana leggi che sembrano andare "controtendenza", non solo rispetto al buonsenso. Siamo il paese europeo dove maggiore è l'evasione fiscale; dove le mafie dominano territori e conquistano "pezzi" sempre maggiori dieconomia, influenzando pesantemente la politica; siamo il paese dove la corruzione è il cancro che devasta quotidianamente il destino della nazione.

Ancora una volta ricordiamo  la denuncia di don Ciotti su certi provvedimenti-leggi: "frutto di accordi sottobanco fra i partiti". 

A quelle parole si uniscono le dichiarazioni di Roberto Scarpinato, procuratore generale a Palermo. In  un'intervista al fatto Quotidiano R. Scarpinato, fra le atre cose afferma: "(...) Abbiamo una giustizia penale che  pesta acqua nel mortaio con gran spreco di risorse e nessuna  reale efficacia dissuasiva. Su un piatto della bilancia, la  certezza di arricchirti a spese della collettività, sull'altro  piatto il rischio, se ti scoprono, di subire un processo  destinato a un nulla di fatto per prescrizione (...)".

A chi giova tutto questo?


Leggi qui: RIPARTE IL FUTURO

Portare l’uso del contante a 3.000 euro è un errore, perché non farà aumentare i consumi e renderà invece più semplice mettere in circolazione denaro proveniente dall’economia sommersa, dando un segnale di cedimento di fronte all’enorme problema dell’evasione fiscale.  
Chiediamo che venga mantenuta la soglia dei 1.000 euro e che l’Italia si impegni a fare quel che altri Stati europei hanno messo in pratica da tempo: semplificare l’impiego delle carte di credito e dei bancomat, in modo che possano essere usati da tutti a prezzi molto più contenuti.  
Vogliamo che il governo ritiri il provvedimento presentato nel Consiglio dei ministri. Chiediamo un messaggio chiaro a Camera e Senato, quando la legge di Stabilità andrà in aula: stralciare una norma che rappresenta un evidente segnale negativo perché dà l’idea che un po’ di “nero” sia tollerabile se si tratta di far girare i consumi. Questo il testo della nuova petizione rivolta al Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, a tutto il Parlamento per ritirare l'aumento a 3000 euro uso dei contanti. In sole 48 ore dal lancio sono state superate le 15mila firme.

La legge di Stabilità 2016 ci ha regalato una brutta sorpresa: la triplicazione della soglia per i pagamenti in contanti. Il pretesto è quello di facilitare i consumi, ma non è mai stato dimostrato che rendere indiscriminato l’uso dei contanti faccia aumentare gli acquisti. Al contrario, è provato che più alto è il ricorso alle transazioni elettroniche, maggiore è la possibilità di bloccare operazioni illecite. Le transazioni elettroniche eliminano la possibilità non solo di creare del “nero” ma anche di rimetterlo in circolazione. In questo senso, nel 2011 era stato finalmente portato a 1.000 euro l’uso dei contanti proprio per disincentivare l’impiego di denaro evaso o frutto di crimini. L’Italia è il secondo paese europeo per il valore dell’economia sommersa e ai vertici della classifica sull’evasione fiscale. Ci aspettiamo che il governo e il Parlamento non considerino questi tristi primati come semplici fatti, ma che impegnino tutte le loro energie per scalfire un fenomeno che ha costi enormi per la collettività. #Renziciripensi - è l'appello finale  della nuova iniziativa di Libera e Gruppo Abele- non è questo il messaggio di cui l’Italia ha bisogno. L’economia sana va a vantaggio di tutti.

“Sono norme- commenta Don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera - che rischiano di facilitare gli affari sporchi. Le grandi organizzazioni criminali sono indifferenti al tetto dei 1000 o 3000 euro, non ne hanno bisogno per i loro affari, per le loro attività di riciclaggio ma le mafie “vivono di compiacenze, di altri livelli a loro servizio perché se il pesce è importante altrettanto lo è il bacino d’acqua all’interno del quale si alimenta, un bacino questo, anche alla luce della crisi economica e sociale che investe il paese, non indifferente all' aumento della soglia dell'uso del contante.”

mercoledì 10 dicembre 2014

Queste parole non le sentire nei tg. Don Luigi Ciotti " La mafia è nulla senza i politici".

Dopo lo scandalo dell'EXPO a Milano, del MOSE a Venezia,di MAFIA CAPITALE a Roma, il primo ministro annuncia un inasprimento delle pene. Ieri sera , nel corso di uno dei tanti dibattiti televisivi, il teologo Vito Mancuso aveva il coraggio di dichiarare che "il mondo dimezzo" siamo noi tutti! 

Quello che segue invece non lo ascolterete in nessun telegiornale! 

Fonte: Antimafiaduemila - Lettera43.it

Don Ciotti all'Ue: "La mafia è nulla senza i politici"


ciotti-luigi-c-imagoeconomicadi Antonietta Demurtas - 10 dicembre 2014

Tangenti, scandalo di Roma, Expo 2015. Don Ciotti sugli intrecci della malavita: «Renzi? Tutto e il contrario di tutto. Basta compromessi. Meno leggi e più legge».



Può esistere una politica senza mafie. Ma non possono esistere mafie senza il concorso della politica.
È questo il messaggio che don Luigi Ciotti ha portato il 9 dicembre al parlamento europeo di Bruxelles.
In occasione della Giornata mondiale contro la corruzione il presidente nazionale dell'associazione Libera, che è pronto a ricevere il premio come cittadino europeo dell'anno il 12 dicembre, ha presentato l’agenda di priorità per l’Europa contro la corruzione e il crimine organizzato.
SEI PUNTI NEL PROGRAMMA DI LIBERA. Sei sono i punti del programma di Libera per colpire il crimine organizzato: una normativa europea sui beni confiscati, il 21 marzo come Giornata Europea in memoria delle vittime di mafia, i crimini ambientali, la figura del procuratore pubblico europeo, il riciclaggio.
E la proposta per l’Europa di 'Riparte il futuro' (la campagna di Libera e Gruppo Abele contro la corruzione): una direttiva sulla tutela dei whistleblower, ovvero coloro che decidono di denunciare gli episodi di corruzione a cui si trovano ad assistere sul luogo di lavoro.
CORRUZIONE, IN TROPPI SENZA NORMA. Perché oggi, nonostante i passi avanti, solo cinque dei 28 Stati membri dell’Ue hanno una normativa completa sulla corruzione.
E l'Italia non è tra questi (sono il Lussemburgo, il Regno Unito, l'Irlanda, la Slovenia e la Romania). «Eppure già tre anni fa la Banca d’Italia parlò di corrotti che siedono regolarmente nei consigli di amministrazione di enti pubblici», dice don Ciotti a Lettera43.it.
«NE PARLAVA GIÀ ENRICO BERLINGUER». «Già nel 1982 Enrico Berlinguer aveva posto per primo la questione della morale e della trasaparenza all'interno delle forze politiche».
E ancora «nel 1984, quindi ben prima di Tangentopoli, il cardinale Martini parlò delle tre pesti che affliggevano Milano: la solitudine, la violenza e la corruzione bianca».
Interventi fatti anni fa che rappresentano «purtroppo una fotografia del presente».

DOMANDA. Renzi lo definirebbe un selfie. Forse però bosgna smettere di scattare foto e agire...
RISPOSTA.
 Renzi scrisse un articolo di risposta a Roberto Saviano con un'agenda di impegni di contrasto alla mafia, dove c'era tutto e il contrario di tutto. Quei punti erano condivisibilissimi, il problema è che alle dichiarazioni devono seguire i fatti, bisogna dare le risposte concrete.
D. Serve più coraggio?
R. Credo che ci sia il desiderio, ma non mi basta. Io ho bisogno di vedere la concretezza di alcuni passaggi.
D. Il pacchetto anti corruzione e la legge anti riciclaggio non la soddisfano?
R. I temini in cui erano stati presentati erano concreti, chiari, trasparenti, solo che poi il ministro della Giustizia Andrea Orlando è dovuto scendere a compromessi.
D. E quindi?

R. Si rischia di svuotare il valore di tutto quello fatto e proposto sinora. I beni confiscati alle mafie sono bloccati da due anni per colpa della burocrazia, dei ritardi, dei cambiamenti di governo.
D. Dei politici insomma.
R.
 Ci sono troppi venti contrari, che tirano da una parte e dall'altra. Così si va in Commissione, si va in Aula e alla fine si sviliscono gli intenti. Se da un lato c'è davvero chi vuole investire, chi vuole trasparenza, dall'altra si arriva a dei compromessi per galleggiare.
D. A Roma per esempio si è galleggiato tanto nel 'Mondo di mezzo'...
R
. Roma è una delle più grandi ferite, ma io mi stupisco ancora una volta di chi si stupisce, perché tutte le volte che succedono queste cose, tutti dicono: «Mio Dio non sapevo, non pensavo».
D. Invece?
R.
 Invece si sapeva, eccome. Per questo sono contento che la procura di Roma abbia inserito il 416 bis che individua nel nostro Paese i reati di stampo mafioso. Corruzione e mafia sono due facce della stessa medaglia.
D. Basta quindi parlare solo di Sicilia?
R.
 La mafia c'è anche a Roma, Milano, Torino. E 32 anni fa ha ucciso il procuratore della Repubblica di Torino Bruno Caccia. Il Comune piemontese di Bardonecchia fu commissariato per infiltrazioni mafiosa nel 1995. Oggi Milano è la terza realtà d'Italia per beni confiscati, che sono il chiaro indicatore di una presenza criminale.
D. L'Expo la preoccupa?
R.
 Nelle grandi opere, la mafia ha sempre cercato di inserirsi. Per fermarla ci deve essere una corresponsabilità da parte di tutti. Il Commissario nazionale Expo Raffaele Cantone, presidente dell'Anticorruzione, è una persona di grande valore. Ma non basta.
D. Che cosa suggerisce?
R.
 Serve una maggiore attenzione da parte di tutti. La prima riforma da fare è una auto riforma, quella delle nostre coscienze. Serve un risveglio sociale, perché abbiamo troppi cittadini a intermittenza.
D. In che senso?
R.
 Quando ci sono le tragedie, la gente si commuove e poi non si muove.
D. In fondo se i politici sono corrotti, c'è qualche cittadino che li corrompe?
R.
 Sì, tutti dovrebbero leggere il libro di papa Francesco, Guarire dalla corruzione, dove invita a pensare chi è il corrotto e chi è il corruttore, una fotografia perfetta di quello che abbiamo davanti ai nostri occhi.
D. Abbiamo i politici che ci meritiamo?
R.
 Sì, la responsabilità non è solo dei politici. Le mafie non riescono a fare nulla se non trovano dei professionisti che li aiutano. Hanno bisogno di imprenditori, tecnici, commercialisti, notai, avvocati, che si rendono complici del sistema, direttamente o indirettamente. Perché la forza della mafia non sta dentro la mafia. Sta fuori.
D. Nella società. Che è mafiosa, ma anche in crisi.
R.
 I mafiosi per raggiungere il loro obiettivo hanno bisogno di trovare alleanze, compiacenza. Poi certo, la crisi economica finanziaria ha favorito molto questo fenomeno, perché i mafiosi hanno tanto denaro, frutto di affari sporchi, crimini, violenze. Anche se oggi sempre di più si mettono i guanti bianchi. Non hanno più la lupara in mano, ma la valigetta 24 ore.
D. Sono ancora più invisibili?
R.
 Sì, ma attenzione: non sono meno sanguinari. Dal 1992 a oggi la guerra di mafia apparentemente più silenziosa e meno appariscente ha fatto 3.500 morti.
D. E secondo lei l'Unione europea rischia di non vedere questi morti?
R.
 L'Ue sbaglia già nel linguaggio, perché anziché mafia preferisce chiamarla criminalità organizzata. Chiamiamola come vogliamo, ma non possiamo permetterci di pensare che il problema non esiste.
D. Forse non si capisce?
R.
 Ci sono certo modalità e forme diverse. Da noi le nostre mafie hanno radici storiche in alcune regioni, ma alla fine gli affari li hanno fatti al Nord, non al Sud. Non dimentichiamo che già nel 1900 don Luigi Sturzo, fondatore della Dc (Democrazia cristiana), aveva profeticamente detto che le mafie sarebbero salite verso il Nord e avrebbero anche varcato le Alpi. Dovremmo rileggere quei documenti.
D. Abbiamo la memoria corta?
R.
 Sì, purtroppo, il vero problema è che non ci chiediamo: perché da 400 anni abbiamo la camorra in Italia? Perché da oltre 150 anni parliamo di mafia? Perché da 120 anni parliamo di 'ndrangheta?
D. Ha una risposta?
R.
 Perchè al di là dell'impegno che molti ci mettono, non viene affrontato il nodo centrale del problema.
D. Quale?
R.
 Che serve davvero una volontà politica ferma, chiara, trasparente. Ci vogliono meno leggi e più legge. E soprattutto più politiche sociali, perché una delle gambe della mafia è rappresentata dalla mancanza di lavoro, dall'ignoranza. L'Italia è agli ultimi posti per dispersione scolastica in Europa. Ci sono sei milioni di analfabeti.
D. L'ignoranza uccide?
R.
 Crea un terreno fertile. Un dato inquietante è che il 61% di disoccupati è disposto ad accettare un posto di lavoro in una attività dove la criminalità organizzata ha investito per riciclare il denaro. C'è gente onesta senza lavoro che non sa dove sbattere la testa.
D. E si fa finta di non vederle queste persone?
R.
 No, si vedono. Il problema è che oggi consapevolezza e responsabilità sono due parole centrali: non si può essere consapevoli senza sentirsi implicati in tutto questo.

Tratto da: lettera43.it

venerdì 10 ottobre 2014

La storia di Tiberio Bentivoglio è la vittoria di cosche-cricche-caste. Vergona!

Il messaggio è devastante. Cosche, cricche e caste, il potere infame che domina l'italia, mandano il loro avvertimento più convincente: chi denuncia è finito! Tiberio Bentivoglio "deve diventare un uomo  "finito" ( per avere avuto il coraggio di denunciare!). 
Cosa fanno le istituzioni? Cosa fanno coloro che, tra le istituzioni, si fanno beffe di parole come Legalità e Giustizia indossando la maschera dell'antimafia da palcoscenico?
La storia di Tiberio Bentivoglio è una storia esemplare: ha denunciato le cosche e le cricche del reggino e per questo motivo, senza la protezione delle istituzioni -o senza avere "santi in paradiso"- rischia di soccombere. 
I professionisti dell'antimafia da palcoscenico si vergognino! Vergogniamoci tutti, se permettiamo che si compiano ingiustizie come queste. 



Fonte: L'Espresso

L'imprenditore denuncia i clan. 'Ma Equitalia mi porta via la casa'


Tiberio Bentivoglio rompe il muro di omertà contro la 'ndrangheta, ma resta solo. Così, tra silenzi, lentezze burocratiche e casa ipotecata, si umilia il coraggio di chi denuncia le cosche di Reggio Calabria 
di Gelsomino Del Guercio
«Sto perdendo casa e lavoro, ho già perso la serenità familiare. Allora oggi mi chiedo: conviene denunciare i propri aguzzini come ho fatto io?». E' il grido di un uomo disperato quello che affida a "l'Espresso"Tiberio Bentivoglio, imprenditore reggino 61enne sotto scorta e testimone di giustizia dal 1992, cioè da quando si è ribellato ai suoi estorsori. Da allora per Tiberio è iniziato un lungo calvario. Gli hanno voltato le spalle gran parte dei suoi concittadini di Condera, la frazione di Reggio Calabria dove abita e dal 1979 è titolare di un negozio, la "Sanitaria S.Elia" che vende prodotti elettro medicali e articoli per la prima infanzia. Perché da quelle parti sfidare i boss è un sacrilegio. Ma sopratutto gli hanno voltato le spalle le istituzioni, che lo hanno abbandonato a se stesso nonostante gli appelli al consiglio regionale della Calabria, allaCommissione Parlamentare Antimafia , al ministro dell'Interno Angelino Alfano e persino a papa Francesco.

In questi giorni la parabola di Tiberio è giunta al capolinea. Sommerso dai debiti, con un fatturato crollato negli ultimi nove anni del 75% (cioè 2 milioni e mezzo di euro in meno) e un conseguente danno per mancato guadagno che si aggira ad oltre 800 mila euro, l'imprenditore è sull'orlo del crac e dirà addio al suo negozio e non solo. Il colpo finale è arrivato tra le fine di settembre e i primi giorni di ottobre.

Equitalia gli ha inviato l'avviso di vendita all'asta della sua abitazione, già ipotecata da oltre un anno per 991mila euro. L'iter prima dello sfratto durerà circa sei mesi. L'ipoteca di Equitalia era arrivata perché da nove anni non paga più i contributi all'Inps dei propri dipendenti (ora rimasti in due, prima erano in cinque) ai quali fino all'anno scorso riusciva a versare a mala pena gli assegni con gli stipendi. «Ho sempre pagato tutto regolarmente ai lavoratori fin quando ho potuto», sottolinea l'imprenditore. Per il danno erariale relativo ai contributi Inps, sua moglie (la loro è un'azienda familiare) ha subito due condanne in primo grado dal tribunale di Reggio Calabria per appropriazione indebita (pena sospesa): la prima un anno fa, la seconda una settimana fa. «Il paradosso è che adesso diventiamo noi i "pregiudicati"…», afferma sconsolato Tiberio.

Come se non bastasse, da qualche settimana si è fatto incalzante il pressing delle banche, che dopo l'ipoteca sull'abitazione hanno ritirato gli affidamenti: non concedono più alcuna forma di credito, mutui e prestiti a Bentivoglio. Sono stati ridotti i carnet degli assegni a lui destinati perché sui suoi conti correnti non c'è abbastanza denaro per pagare i fornitori del negozio (circa 150). Il risultato è che le banche, come da legge, hanno inoltrato gli assegni scoperti ai notai - il cosiddetto "protesto" - e per l'imprenditore si prospettano nuove sanzioni amministrative (che comunque non riuscirà a pagare). L'ennesima batosta è arrivata sabato 4 ottobre quando ha ricevuto il preavviso di sfratto dai proprietari del negozio, perché, ormai da un anno, non ha i soldi per pagare l'affitto. Invece il 10 dicembre 2014 il tribunale di Reggio stabilirà se Tiberio dovrà abbandonate il deposito annesso al negozio perché anche in quel caso è "forzatamente" moroso nei confronti del proprietario.

Ma perché un uomo libero, un imprenditore coraggioso, un testimone di giustizia, fondatore peraltro di "Reggio Libera Reggio", iniziativa anti racket nata in città il 20 aprile 2010, si è ritrovato in una condizione così assurda, al punto da ritenere che sia stata una cosa sconveniente, un errore, denunciare la 'ndrangheta? E' giusto che in un Paese civile si debba pagare tacitamente il pizzo per non ridursi in questo stato di disperazione? Quest'ultima domanda, tanto più in queste ore, se la stanno ponendo Tiberio, la moglie e sopratutto i suoi figli, «psicologicamente devastati da questa vicenda», dice lui.

Nelle sue parole traspare un rimorso rabbioso per quella battaglia iniziata 20 anni fa. «Mi sono rifiutato di riconoscere il loro sistema criminale e sono stato costretto a subire una serie di punizioni e perfino un tentato omicidio che si verificò dopo la condanna di alcuni malavitosi da me nominati nelle denunce». Episodi agghiaccianti, sette in totale. Il primo nel 1992 (furto al negozio), altri due nel 1998 (furto e attentato). Quindi un attentato dinamitardo al negozio nell’aprile 2003 e un incendio nel 2005. Nel giugno 2008 va a fuoco il capannone-deposito. Nel febbraio 2011 gli sparano mentre sta andando nel suo frutteto, alle 6 del mattino. «Solo il caso ha voluto che il proiettile, probabilmente quello fatale, si fermasse nel marsupio di cuoio, che quel giorno portavo a tracolla sulle spalle. Gli autori del tentato omicidio a oggi restano ignoti, mentre io continuo a trascinarmi su una sola gamba in quanto l’altra ha riportato lesioni permanenti causati dai proiettili». Da quel momento a Bentivoglio è stata potenziata la scorta, ora di "terzo livello", cioè assegnata ad una persona "ad alto rischio".
Questa serie di intimidazioni ha scatenato un primo, ma graduale allontanamento della clientela dal negozio. E' lunga la lista degli amici che hanno cominciato a far finta di non vederlo, a non salutarlo in strada, a schivarlo. Peggio ancora dopo che il testimone di giustizia, nel 2007, ha denunciato la presunta connivenza del parroco locale don Nuccio Cannizzaro con Santo Crucitti, presunto boss di Condera-Pietrastorta. Il reato di favoreggiamento di cui era accusato il sacerdote è stato prescritto a luglio 2014 e a Condera, dopo la pronuncia del Tribunale di Reggio, si è festeggiato con caroselli d'auto e fuochi d'artificio. «Don Nuccio da queste parti è molto temuto, ma sta di fatto che in Italia la giustizia è lentissima», ammonisce Bentivoglio. Non solo la giustizia, ma lo è anche la burocrazia, che ha scagliato il colpo di grazia contro la "Sanitaria S.Elia".
C'è una legge, la 44 del 1999, che prevede aiuti alle vittime di mafia. «Per l'attentato al negozio del 2003 ho ricevuto 3400 euro a fronte di 120mila euro di danni. Per l'incendio del 2005 ho avuto circa 300mila euro in tre anni, e per l'incendio al capannone del 2008 circa 400mila euro, tanto quanto il valore della merce bruciata, ma sempre dopo tre anni». In teoria la normativa stabilisce che lo Stato ripaghi la vittima entro 60 giorni dal fatto. «In realtà la media di attesa è molto più lunga - sentenzia Bentivoglio - intanto, ogni volta che ho subito un agguato, in attesa di ricevere quei soldi sono rimasto anni ed anni con il mio negozio e il deposito distrutti». 
I clienti in fuga, la liquidità che viene a mancare, le difficoltà nel pagare i fornitori, un mix micidiale, «che mi è costato 2 milioni e mezzo di euro in nove anni, a tanto ammonta il calo del mio fatturato e 800mila di mancato guadagno che è alla base del mio indebitamento verso Stato, fornitori, locatari. In confronto a ciò gli indennizzi ricevuti in tre anni, non compensano praticamente nulla».Sempre per la legge 44/99, gli è valso 16mila euro il tentato omicidio del 2011 (soldi ricevuti nel 2014), e poiché quella norma sospende i provvedimenti esecutivi per 10 mesi, è rimasto tutelato dall'avviso di sfratto del proprietario del deposito fino a settembre 2013. «Non ho mai trovato gente disponibile ad affittare un locale ad una persona come me, che ha già subito una serie di attentati». 
Eppure l'imprenditore-coraggio non vuol rassegnarsi ad un epilogo che sembra scritto. «Griderò fino all’ultimo giorno di vita - chiosa Bentivoglio - non voglio e non posso finire così. Io ho fatto il mio dovere ma sto perdendo tutto. Se non avessi una famiglia mi sarei già suicidato».

giovedì 11 luglio 2013

Giorgio Ambrosoli. Un Eroe Borghese

«A quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito». 
Era il 25 febbraio del 1975 quando Giorgio Ambrosoli scrisse queste parole in una lettera alla moglie Anna. Aveva appena completato la faticosa ricostruzione dello stato passivo della Banca privata italiana, cuore dell'impero di Michele Sindona, di cui la Banca d'Italia aveva disposto la liquidazione coatta. Intuiva che la sua vita da quel momento era a rischio ma era orgoglioso di quanto era riuscito a fare.
Ambrosoli, che fu nominato commissario della Banca privata nel 1974, era un professionista milanese non molto in vista. Avvocato contro la volontà del padre, che avrebbe preferito una carriera in banca, sposato con tre figli, si era "fatto le ossa" nel 1964 con il fallimento della Sfi, una finanziaria "vicina" a Giuseppe Pella, pezzo da novanta democristiano. Il buco era di 70 miliardi delle lire di allora.
Ambrosoli venne assassinato la sera dell'11 luglio 1979, rincasando dopo una serata trascorsa con amici, Ambrosoli: fu avvicinato sotto il suo portone da un killer italo-americano che gli esplose contro quattro colpi .357 Magnum. Ad ucciderlo fu William Joseph Aricò, pagato da Michele Sindona con 25 000 dollari in contanti ed un bonifico  di altri 90 000 dollari  depositati su un conto corrente svizzero
Ai  funerali di giorgio Ambrosoli non era presente nessun rappresentante delle istituzioni italiane. 
Anni dopo, Giulio Andreotti ebbe a dire che Giorgio Ambrosoli era uno che "se l'andava cercando"


Non un borghese qualunque
Ambrosoli, cresciuto in un ambiente conservatore, da giovane aveva simpatizzato per l'Unione monarchica e per la Gioventù liberale. Era un borghese, sì, ma non qualunque. Era un eroe borghese, come lo dipinse Corrado Stajano in un bellissimo libro del 1991. Quando accettò l'incarico dal governatore Guido Carli, probabilmente non immaginava i guai cui sarebbe andato incontro. Ma gli bastò pochissimo per rendersi conto che dietro quel crac si nascondeva un intreccio di politica, finanza, poteri costituiti e poteri occulti, malavita. Giorno dopo giorno si imbatté in documenti che provavano come il bancarottiere siciliano fosse legato a filo doppio a politici di primo piano (Giulio Andreotti, soprattutto, e la sua corrente Dc, ma anche Amintore Fanfani), banchieri burattini (Ferdinando Ventriglia, Mario Barone, Roberto Calvi), uomini di chiesa troppo legati alle cose terrene (Paul Marcinkus e il suo Ior), torbidi manovratori della massoneria (Licio Gelli e la sua loggia P2 che fu scoperta solo parecchi anni dopo), magistrati manovrabili (Carmelo Spagnuolo, Antonio Alibrandi, Luciano Infelisi), capibastone della mafia.
Conscio del pericolo in cui la sua onestà lo poneva, volendo indagare uomini e fatti del potere oscuro,  nel febbraio 1975 scrisse alla moglie la lettera che costituisce il testamento spirituale lascito alla sua famiglia e all'Italia intera. 

« Anna carissima,

è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. E' indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese. Ricordi i giorni dell'Umi, le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l'incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato - ne ho la piena coscienza - solo nell'interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [... ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro.. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi (...) Giorgio »