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venerdì 10 ottobre 2014

La storia di Tiberio Bentivoglio è la vittoria di cosche-cricche-caste. Vergona!

Il messaggio è devastante. Cosche, cricche e caste, il potere infame che domina l'italia, mandano il loro avvertimento più convincente: chi denuncia è finito! Tiberio Bentivoglio "deve diventare un uomo  "finito" ( per avere avuto il coraggio di denunciare!). 
Cosa fanno le istituzioni? Cosa fanno coloro che, tra le istituzioni, si fanno beffe di parole come Legalità e Giustizia indossando la maschera dell'antimafia da palcoscenico?
La storia di Tiberio Bentivoglio è una storia esemplare: ha denunciato le cosche e le cricche del reggino e per questo motivo, senza la protezione delle istituzioni -o senza avere "santi in paradiso"- rischia di soccombere. 
I professionisti dell'antimafia da palcoscenico si vergognino! Vergogniamoci tutti, se permettiamo che si compiano ingiustizie come queste. 



Fonte: L'Espresso

L'imprenditore denuncia i clan. 'Ma Equitalia mi porta via la casa'


Tiberio Bentivoglio rompe il muro di omertà contro la 'ndrangheta, ma resta solo. Così, tra silenzi, lentezze burocratiche e casa ipotecata, si umilia il coraggio di chi denuncia le cosche di Reggio Calabria 
di Gelsomino Del Guercio
«Sto perdendo casa e lavoro, ho già perso la serenità familiare. Allora oggi mi chiedo: conviene denunciare i propri aguzzini come ho fatto io?». E' il grido di un uomo disperato quello che affida a "l'Espresso"Tiberio Bentivoglio, imprenditore reggino 61enne sotto scorta e testimone di giustizia dal 1992, cioè da quando si è ribellato ai suoi estorsori. Da allora per Tiberio è iniziato un lungo calvario. Gli hanno voltato le spalle gran parte dei suoi concittadini di Condera, la frazione di Reggio Calabria dove abita e dal 1979 è titolare di un negozio, la "Sanitaria S.Elia" che vende prodotti elettro medicali e articoli per la prima infanzia. Perché da quelle parti sfidare i boss è un sacrilegio. Ma sopratutto gli hanno voltato le spalle le istituzioni, che lo hanno abbandonato a se stesso nonostante gli appelli al consiglio regionale della Calabria, allaCommissione Parlamentare Antimafia , al ministro dell'Interno Angelino Alfano e persino a papa Francesco.

In questi giorni la parabola di Tiberio è giunta al capolinea. Sommerso dai debiti, con un fatturato crollato negli ultimi nove anni del 75% (cioè 2 milioni e mezzo di euro in meno) e un conseguente danno per mancato guadagno che si aggira ad oltre 800 mila euro, l'imprenditore è sull'orlo del crac e dirà addio al suo negozio e non solo. Il colpo finale è arrivato tra le fine di settembre e i primi giorni di ottobre.

Equitalia gli ha inviato l'avviso di vendita all'asta della sua abitazione, già ipotecata da oltre un anno per 991mila euro. L'iter prima dello sfratto durerà circa sei mesi. L'ipoteca di Equitalia era arrivata perché da nove anni non paga più i contributi all'Inps dei propri dipendenti (ora rimasti in due, prima erano in cinque) ai quali fino all'anno scorso riusciva a versare a mala pena gli assegni con gli stipendi. «Ho sempre pagato tutto regolarmente ai lavoratori fin quando ho potuto», sottolinea l'imprenditore. Per il danno erariale relativo ai contributi Inps, sua moglie (la loro è un'azienda familiare) ha subito due condanne in primo grado dal tribunale di Reggio Calabria per appropriazione indebita (pena sospesa): la prima un anno fa, la seconda una settimana fa. «Il paradosso è che adesso diventiamo noi i "pregiudicati"…», afferma sconsolato Tiberio.

Come se non bastasse, da qualche settimana si è fatto incalzante il pressing delle banche, che dopo l'ipoteca sull'abitazione hanno ritirato gli affidamenti: non concedono più alcuna forma di credito, mutui e prestiti a Bentivoglio. Sono stati ridotti i carnet degli assegni a lui destinati perché sui suoi conti correnti non c'è abbastanza denaro per pagare i fornitori del negozio (circa 150). Il risultato è che le banche, come da legge, hanno inoltrato gli assegni scoperti ai notai - il cosiddetto "protesto" - e per l'imprenditore si prospettano nuove sanzioni amministrative (che comunque non riuscirà a pagare). L'ennesima batosta è arrivata sabato 4 ottobre quando ha ricevuto il preavviso di sfratto dai proprietari del negozio, perché, ormai da un anno, non ha i soldi per pagare l'affitto. Invece il 10 dicembre 2014 il tribunale di Reggio stabilirà se Tiberio dovrà abbandonate il deposito annesso al negozio perché anche in quel caso è "forzatamente" moroso nei confronti del proprietario.

Ma perché un uomo libero, un imprenditore coraggioso, un testimone di giustizia, fondatore peraltro di "Reggio Libera Reggio", iniziativa anti racket nata in città il 20 aprile 2010, si è ritrovato in una condizione così assurda, al punto da ritenere che sia stata una cosa sconveniente, un errore, denunciare la 'ndrangheta? E' giusto che in un Paese civile si debba pagare tacitamente il pizzo per non ridursi in questo stato di disperazione? Quest'ultima domanda, tanto più in queste ore, se la stanno ponendo Tiberio, la moglie e sopratutto i suoi figli, «psicologicamente devastati da questa vicenda», dice lui.

Nelle sue parole traspare un rimorso rabbioso per quella battaglia iniziata 20 anni fa. «Mi sono rifiutato di riconoscere il loro sistema criminale e sono stato costretto a subire una serie di punizioni e perfino un tentato omicidio che si verificò dopo la condanna di alcuni malavitosi da me nominati nelle denunce». Episodi agghiaccianti, sette in totale. Il primo nel 1992 (furto al negozio), altri due nel 1998 (furto e attentato). Quindi un attentato dinamitardo al negozio nell’aprile 2003 e un incendio nel 2005. Nel giugno 2008 va a fuoco il capannone-deposito. Nel febbraio 2011 gli sparano mentre sta andando nel suo frutteto, alle 6 del mattino. «Solo il caso ha voluto che il proiettile, probabilmente quello fatale, si fermasse nel marsupio di cuoio, che quel giorno portavo a tracolla sulle spalle. Gli autori del tentato omicidio a oggi restano ignoti, mentre io continuo a trascinarmi su una sola gamba in quanto l’altra ha riportato lesioni permanenti causati dai proiettili». Da quel momento a Bentivoglio è stata potenziata la scorta, ora di "terzo livello", cioè assegnata ad una persona "ad alto rischio".
Questa serie di intimidazioni ha scatenato un primo, ma graduale allontanamento della clientela dal negozio. E' lunga la lista degli amici che hanno cominciato a far finta di non vederlo, a non salutarlo in strada, a schivarlo. Peggio ancora dopo che il testimone di giustizia, nel 2007, ha denunciato la presunta connivenza del parroco locale don Nuccio Cannizzaro con Santo Crucitti, presunto boss di Condera-Pietrastorta. Il reato di favoreggiamento di cui era accusato il sacerdote è stato prescritto a luglio 2014 e a Condera, dopo la pronuncia del Tribunale di Reggio, si è festeggiato con caroselli d'auto e fuochi d'artificio. «Don Nuccio da queste parti è molto temuto, ma sta di fatto che in Italia la giustizia è lentissima», ammonisce Bentivoglio. Non solo la giustizia, ma lo è anche la burocrazia, che ha scagliato il colpo di grazia contro la "Sanitaria S.Elia".
C'è una legge, la 44 del 1999, che prevede aiuti alle vittime di mafia. «Per l'attentato al negozio del 2003 ho ricevuto 3400 euro a fronte di 120mila euro di danni. Per l'incendio del 2005 ho avuto circa 300mila euro in tre anni, e per l'incendio al capannone del 2008 circa 400mila euro, tanto quanto il valore della merce bruciata, ma sempre dopo tre anni». In teoria la normativa stabilisce che lo Stato ripaghi la vittima entro 60 giorni dal fatto. «In realtà la media di attesa è molto più lunga - sentenzia Bentivoglio - intanto, ogni volta che ho subito un agguato, in attesa di ricevere quei soldi sono rimasto anni ed anni con il mio negozio e il deposito distrutti». 
I clienti in fuga, la liquidità che viene a mancare, le difficoltà nel pagare i fornitori, un mix micidiale, «che mi è costato 2 milioni e mezzo di euro in nove anni, a tanto ammonta il calo del mio fatturato e 800mila di mancato guadagno che è alla base del mio indebitamento verso Stato, fornitori, locatari. In confronto a ciò gli indennizzi ricevuti in tre anni, non compensano praticamente nulla».Sempre per la legge 44/99, gli è valso 16mila euro il tentato omicidio del 2011 (soldi ricevuti nel 2014), e poiché quella norma sospende i provvedimenti esecutivi per 10 mesi, è rimasto tutelato dall'avviso di sfratto del proprietario del deposito fino a settembre 2013. «Non ho mai trovato gente disponibile ad affittare un locale ad una persona come me, che ha già subito una serie di attentati». 
Eppure l'imprenditore-coraggio non vuol rassegnarsi ad un epilogo che sembra scritto. «Griderò fino all’ultimo giorno di vita - chiosa Bentivoglio - non voglio e non posso finire così. Io ho fatto il mio dovere ma sto perdendo tutto. Se non avessi una famiglia mi sarei già suicidato».

martedì 5 giugno 2012

Minacce di morte al Coordinatore di Libera Reggio Calabria


Libera: «Vicinanza e corresponsabilità a Mimmo Nasone. Non ci faremo intimidire»
Fonte: LiberaInformazione

Reggio Calabria
E' da anni in prima linea, accanto alle vittime di reati di mafia e nei quartieri più difficili di Reggio Calabria, insieme ai giovani. Con lui, donne e uomini liberi  hanno scelto di ricostruire un tessuto civile sano a partire dall'entusiasmo dei giovani, dell'associazionismo, degli imprenditori, degli studenti. Tutto questo mette in pericolo le 'ndrine che hanno deciso di farlo sapere, con una minaccia diretta. Il destinatario è Domenico Nasone, per gli amici “Mimmo” il coordinatore di Libera a Reggio Calabria che è stato raggiunto da una lettera anonima nella quale è stato minacciato di morte. L'intimidazione è stata inviata nella sede dell'associazione in Calabria nel fine settimana ed è stata ritrovata stamani da Nasone che ha provveduto a sporgere regolare denuncia.
« Esprimiamo la nostra totale e piena vicinanza e corresponsabilità al nostro coordinatore – fa sapere subito in una nota l'ufficio di presidenza dell'associazione Libera. La voce e l'impegno di Mimmo Nasone a Reggio Calabria  è  la nostra voce ed è la voce di tutti gli uomini e le donne oneste che in quella terra lavorano quotidianamente per il cambiamento. Nessuno può pensare con tali minacce di ostacolare il percorso tracciato di legalità, verità  e giustizia portato avanti da Mimmo Nasone e da tutta Libera». «La "continuità" della nostra azione civile – concludono -  è l'antidoto migliore contro chi  pensa di intimidirci così vigliaccamente». 
Fra i tanti percorsi di antimafia sociale quotidiana, nelle scuole e sui beni confiscati della provincia, il coordinamento è impegnato come parte civile nel “Processo Meta”, procedimento contro le 'ndrine del territorio infiltrate nel tessuto socio – economico  ed è al fianco della giovane Anna Maria Scarfò vittima di violenze e che dal 2010 vive in una località protetta dopo avere denunciato nel 2002 dodici stupratori. Una delle donne - coraggio che sta tentando di cambiare con la sua testimonianza la cultura mafiosa e omertosa che viene imposta dalle mafie.  Domenico Nasone, inoltre,  è fra gli animatori e i promotori del  percorso "ReggioLiberaReggio” una rete di oltre 50 associazioni impegnate a dire “no” al racket imposto dalla 'ndrangheta e che ha già portato risultati concreti e un percorso di riscatto simile a quello nato a Palermo, sotto la spinta di Addiopizzo e Libero Futuro. Il coordinamento di Libera Reggio Calabria è stato al fianco di Tiberio Bentivoglio, imprenditore antiracket calabrese, che ha denunciato i propri estorsori. Quando nel febbraio 2011 Bentivoglio è stato gambizzato dai boss, Nasone commentò cosi l'attentato: «Ci troviamo a lottare ogni giorno, oggi è toccato a Tiberio ma domani può accadere ad altri. Siamo sul fronte e non possiamo non combattere questa battaglia rimane il fatto che siamo ancora soli e in pochi».
A  Libera Informazione  oggi conferma quell'impegno: «Paradossalmente - dichiara Nasone – queste minacce arrivate nella sede del coordinamento dell'associazione ci fanno capire che stiamo lavorando nella direzione giusta e non possiamo che continuare sempre più, con maggiore forza, a fare quello che è semplicemente il nostro dovere». «In questi anni – conclude Nasone – siamo stati vicini a tante vittime di reati mafiosi, dal racket alle violenze di altro tipo, e ai familiari di vittime della 'ndrangheta. A loro, che in questa battaglia hanno rischiato in prima persona, va il nostro pensiero, e nel loro nome si rinnova il nostro lavoro quotidiano, senza arretramenti, né tentennamenti».
Mimmo Nasone e il coordinamento di Libera Reggio Calabria sono stati e continuano ad essere, ogni giorno, preziosi punti di riferimento anche per tutta l'informazione libera e i cronisti che raccontano ogni giorno di mafie e illegalità in terra di 'ndrangheta. E che provano a raccontare anche il riscatto dall'oppressione dei boss. A Nasone e tutto il coordinamento di Libera a Reggio Calabria e in Calabria va la vicinanza e la corresponsabilità della rete di Libera Informazione