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domenica 7 gennaio 2018

Piersanti Mattarella: “Aveva studiato per diventare Mazzarino e improvvisamente divenne Pericle.Come poteva vivere un uomo così, e per giunta vivere da presidente?"

In concomitanza col l'anniversario dell'uccisione, gli organi di stampa hanno battuto notizie relative alla riapertura delle indagini sul "delitto Mattarella", allora Presidente della Regione Sicilia. Oggi si parla, come fosse una novità, della pista neofascista. In realtà, il delitto Mattarella è uno di quei delitti eccellenti che, come altri, ha mostrato il nodo essenziale delle organizzazioni mafiose: il legame fra queste e "pezzi" delle istituzioni, quello Stato-mafia "che continua a nascondere" e di cui oggi torna a parlare Saverio Lodato (leggi qui)

Piersanti Mattarella, Presidente della Regione, è stato ucciso voleva cambiare la sua Sicilia, anzitutto smantellando i legami indicibili che legavano il suo stesso partito -la Democrazia Cristiana- a "cosa nostra". Un uomo scomodo quindi, e non solo per le organizzazioni criminali. 

L'assassinio di Piersanti Mattarella ha infatti rivelato una delle pagine più vergognose della storia italiana. Il processo che si sarebbe celebrato negli anni successivi contro Giulio Andreotti ha dimostrato come "il caso Mattarella" preoccupasse sia le mafia che la politica del tempo: fu proprio l’ex presidente del consiglio Giulio Andreotti a prendere parte a due incontri -al cospetto di un boss quale Stefano Bontade- nei quali si parlò della necessità di fermare-eliminare Piersanti Mattarella. La sentenza del processo acclara che sebbene Andreotti fosse “nettamente contrario” all’esecuzione del delitto, Giulio Andreotti “non si è limitato a prendere atto, sgomento, che le sue autorevoli indicazioni erano state inaspettatamente disattese dai mafiosi ed a allontanarsi senz’altro dagli stessi, ma è sceso in Sicilia per chiedere conto al Bontade (il boss Stefano Boutadendrdella scelta di sopprimere il presidente della Regione

Il ritratto morale di Piersanti Mattarella venne tracciato da Giuseppe Fava che, nell'articolo "I cento padroni di Palermo", così scriveva dell'uomo che sognava “una Sicilia con le carte in regola”: 

"(...) Aveva studiato tutte le arti per diventare Mazzarino e improvvisamente divenne PericleIndossò tutta la dignità che dovrebbe avere sempre un uomo; dignità significa intransigenza morale, nitidezza nel governo, onestà nella pubblica amministrazione. Piersanti Mattarella fu capace di pensare in grande e pensare in proprio. Figurarsi la società palermitana degli oligarchi, i cento padroni di Palermo. Come poteva vivere un uomo così, e per giunta vivere da presidente? Nessuno capirà mai se Mattarella venne ucciso perché aveva fermato una cosa che stava accadendo, oppure perché avrebbe potuto fermare cose che invece ancora dovevano accadere.(qui il testo dell'articolo)


sera del 5 gennaio 1980
La sera di sabato 5 gennaio 1980 il Telegiornale regionale siciliano aveva mandato in onda  l'ultima intervista rilasciata da Piersanti Mattarella, allora presidente della Regione Sicilia. Il tema dell'intervista era "Sicilia: nel buio degli anni ’80". L'intervista viene pubblicata in una sintesi dal «Giornale di Sicilia» proprio nell'edizione del 6 gennaio, il giorno in cui Mattarella sarà ucciso. Il titolo scelto era: “I nodi sono molto grossi, le armi appaiono spuntate: spero di farcela, e presto”: sono le parole che Piersanti Mattarella pronuncia in un passaggio della stessa intervista. Riportiamo la parte finale dell'intervista, quando il giornalista incalza Piersanti Mattarella sule azioni messe in atto per contrastare la mafia
Stralcio dell'intervista di Piersanti Mattarella: 
“I nodi sono molto grossi, le armi appaiono spuntate: spero di farcela, e presto”
(...) Domanda. Il ’79 è stato l’anno in cui della mafia, dopo un crescendo di violenza, si è parlato dentro il palazzo. È riconosciuto che il fenomeno si alimenta di un malessere sociale per rispondere al quale sono necessari fatti politici, non solo misure di polizia. Ma quali fatti politici in tal senso la Regione ha prodotto, quali potrà produrre?

Risposta di P. Mattarella. «Fatti politici ci sono stati. Cito soltanto i due dibattiti in Assemblea regionale conclusi con voto unanime. Molte indicazioni concrete per far fronte al fenomeno sono state accolte dai recenti provvedimenti del Consiglio dei ministri in materia di ordine pubblico». 

D. Siamo sempre sul piano delle misure di polizia. I fatti politici riguardano il risanamento del costume pubblico. Il cardinale Pappalardo nell’ultima lettera pastorale ha detto che la mafia è pure quella sensazione di sicurezza prodotta dall’esser «protetti da un amico o da un gruppo di amici che contano». Questi gruppi si insediano pure dentro la classe dirigente.


R. «Il richiamo del cardinale è appropriato. Il problema esiste perché nella società a diversi livelli, nella classe dirigente non solo politica, ma pure economica e finanziaria, si affermano comportamenti individuali e collettivi che favoriscono la mafia. Bisogna intervenire per eliminare quanto a livello pubblico, attraverso intermediazioni e parassitismi, ha fatto e fa proliferare la mafia. Pure è necessario risvegliare doveri individuali e comportamenti dei singoli che finiscono con il consentire il formarsi di un’area dove il fenomeno ha potuto, dico storicamente, allignare e prosperare».

6 gennaio 1980
La mattina del 6 gennaio 1980 mentre la famiglia Mazzarella stava recandosi alla messa, senza la scorta che Piersanti Mazzarella aveva sempre rifiutato nei giorni festivi, i killer di cosa nostra si avvicinano all'auto del presidente nella quale vi erano anche la maglie, le figlie e la suocera. Nella fotografia di Letizia Battaglia, l'immagine del corpo morente di Piersanti Mattarella sorretto dal fratello Sergio, attuale Presidente della Repubblica, accorso appena udito gli spari. 
Lo stesso Giovanni Falcone era convinto che ambienti eversivi di destra fossero implicati del delitto di Piersanti Mattarella. Per questo Falcone chiamò a giudizio Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, accusati – e poi assolti – di essere gli autori materiali di un omicidio per il quale finora furono condannati solo i mandanti: i boss della Cupola di Cosa nostra Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci. 






mercoledì 22 luglio 2015

Saverio Lodato, giornalista, non pennivendolo, scrive: "Crocetta vattene, e vattene subito"

Alla vigilia dell'anniversario della Strage di Via D'Amelio, Saverio Lodato scrive l'articolo che riportiamo. Nell'articolo si  parte dalla denuncia di Manfredi Borsellino (leggi qui) contro "la croce" che sua sorella Lucia ha dovuto portare, acccettando l'incarico di assessore alla Sanita della regione Sicilia: Lucia Borsellino, aveva compreso ben presto di essere "la foglia di fico" usata dal potere siciliano. Ma l'articolo di Saverio Lodato, non "pennivendolo", ci pare importante perchè, partendo dalla vicenda di Lucia Borsellino, mira a scoprire qualche velo di quello che è il convitato di pietra dell'intera vicenda: il Potere! Il Potere che per ottente i suoi scopi, sa usare  tutti i colori (partitici) e tutte le maschere necessarie, a partire dalle "maschere dell'antimafia e della "legalità". 
Le dimissioni di Lucia Borsellino vengono pertanto accolte da quel Potere con una semplice scrollata di spalle: si è fatta fuori da sola, la piccola Lucia, senza nemmeno che ci fosse bisogno di spargere quel sangue, "a fiumi", necessario per fermare anche suo padre Paolo e gli agenti della sua scorta."Chinati juncu ca passa la china"...Lasciamola sfogare, passerà presto!
Scrive Lodato che la replica del Potere (siciliano) al gesto di Lucia Borsellino è "(...) il "silenzio sordo" delle istituzioni di cui Manfredi ha riferito al capo dello Stato."siamo al timone" (come in altre epoche avrebbero detto: "abbiamo una banca")". 
"Crocetta vattene" è quindi, in realtà,  l'urlo sdegnato rivolto a quel Potere che, in Sicilia, come in tanti altri luoghi di questo Paese, schiaccia persone come Lucia Borsellino: persone oneste che, entrando nei luoghi isituzionali nei quali si dovrebbe compiere l'atto di servire al bene delle comunità ( come aveva imparato da suo padre Paolo), si accorgono subito di come quei luoghi siano divenuti invece "regnio" di coloro che si servono delle istituzioni per creare, acccrescere, difendere potere e privilegi. 
Non c'e spazio per Lucia Borsellino in quei luoghi. Come non c'era spazio in questo Paese per Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, citando loro due per fare memoria di tutti coloro che, "servitori dello Stato", erano  per il Potere ostacolo da rimuovere, da schiacciare.

Fonte Antimafiaduemila.
Saverio Lodato - 18 luglio 2015
Rita e Salvatore Borsellino hanno invitato pubblicamente il "governatore" di Sicilia, Rosario Crocetta, a non imporre la sua presenza in occasione delle tante manifestazioni che, da oggi a domenica, si terranno a Palermo in ricordo del ventitreesimo anniversario della strage di Via D’Amelio. "Presenza non gradita" hanno stigmatizzato. Crocetta, dal canto suo, fa sapere che sino a lunedì non metterà piede a Palermo, quindi accetta di togliere il disturbo. Entro questo lasso di tempo, aggiunge, deciderà se, come e, eventualmente, quando dimettersi.
Guardate un po’ in quale pozzo senza fondo sono caduti la Sicilia e il suo massimo rappresentante istituzionale. Guardate un po’, agli occhi dell’Italia e del mondo intero, che effetto deve fare sapere che un presidente della regione, che per anni si è fregiato del titolo di "presidente antimafia", è ristretto ai domiciliari, in altra provincia, per esplicita richiesta della famiglia di quel giudice, Paolo, che insieme a cinque uomini e donne della sua scorta venne fatto a pezzi dal tritolo dello Stato-Mafia e della Mafia-Stato. E che non solo è ristretto ai domiciliari ma che, spontaneamente, decide di bere l’amaro calice, nella speranza, e questo é sin troppo facile intuirlo, che quando le commemorazioni saranno finite tutto potrà tornare al suo posto, compreso lui.
Guardate un po’ il capo dello Stato, Sergio Mattarella - che invece a Palermo viene, può venire ed è presenza graditissima per i familiari -, che si vede fare gli onori di casa da un presidente a interim, tal Baldo Gucciardi, dirigente PD, di nuovissimo conio essendosi trovato qualche giorno fa a sostituire Lucia Borsellino alla guida della sanità dopo le sue irrevocabili dimissioni per "ragioni etiche", ancor prima che politiche, e poi lo stesso Crocetta che si era "autosospeso", di fronte al dilagare dello scandalo.
Guardate un po’ come si sarà sentito il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, mentre Manfredi Borsellino lo informava dell’inferno attraverso il quale era passata sua sorella Lucia. Mentre gli parlava di "silenzio sordo" delle istituzioni, all’indomani della sua lettera di dimissioni dall’assessorato alla sanità "che andrebbe riletta perché invece dice tutto". Mentre Manfredi, spesso interrompendosi per le lacrime, gli diceva: "mia sorella Lucia è rimasta in carica per amore della giustizia, per suo padre, per potere spalancare agli inquirenti le porte della sanità dove si annidano mafia e malaffare. Da oltre un anno era consapevole del clima di ostilità e delle offese che le venivano rivolte. Lucia ha portato una croce e tutti lo possono testimoniare". 

Serve ancora dell’altro? Non può bastare per dare un taglio netto? Non è sin troppo evidente il vuoto di potere che nessuna "toppa Gucciardi" può più nascondere, al punto in cui sono arrivate le cose? E Crocetta non prova orrore di fronte a un simile scenario? Non riesce ad avere un soprassalto di dignità? Non sente su di sé tutta l’umiliazione, la vergogna, la responsabilità per quanto sta accadendo? Di un presidente della regione di tal fatta, i siciliani non sanno che farsene. Se ne vada Crocetta, e se ne vada subito. No, non dica altro. Si chiuda in un rigoroso e assai prolungato silenzio. Ma per davvero. Parole ne ha dette, in queste settimane. E tante. Decisamente troppe, e molte, ma questa è opinione nostra, tutt’altro che pertinenti o condivisibili. Al punto che un commentatore, il quale non appartiene alla sua area politica e al quale va riconosciuto il merito di non essersi lasciato incantare dal suo eloquio, iniziando un suo articolo che La riguardava, lo aveva fatto con queste parole: "Dice, dice e dice. E non capisce quello che dice". Alla luce del verminaio che sta venendo fuori, ora che il macigno è stato in parte sollevato, sarebbe difficile dire che avesse tutti i torti.  

Rosario Crocetta e Matteo Tutino
Gentile Crocetta, se ne sarà accorto. Oggi noi non le stiamo contestando nessuna telefonata intercettata, vera o presunta che sia. Non sono stati i brogliacci delle sue conversazioni, vere o presunte che siano, a spingerci a scrivere queste righe. Bensì tutto ciò che appare alla luce del sole. Quello che nessuna inchiesta della magistratura, nessun decreto di "secretazione", potrà ormai tenere lontano dalla consapevolezza dell’opinione pubblica. Gli elementi che abbiamo - purtroppo - bastano e avanzano. Lei ha fatto il suo tempo, e il suo tempo è abbondantemente scaduto. Se ne vada per non compromettere agli occhi di quei pochi, pochissimi siciliani, che ancora ci credono, quel diritto al voto che Le aveva consentito di diventare "governatore di Sicilia" seppure eletto con una minoranza di consensi. Deve dimettersi, e subito. Non si lasci tentare dal giochino delle "auto dimissioni", e dalla speranza contenuta nel detto, tipicamente mafioso, del "calati junco ca passa la china". Questa volta, la nottata non passerà facilmente. Poi, se su quella telefonata che in questi giorni ha tenuto banco Lei ha ragione, sarà il tempo che Le darà ragione.
Ma se ne vada subito, per non dare altri alibi a quanti pretenderebbero che la sua triste parabola, interminabile sommatoria di errori politici, di immagine, etici, sia la prova del nove dell’inconsistenza e dell’impossibilità, in Sicilia, di qualsiasi forma di lotta alla mafia.
Si rende conto che per causa sua e del suo "cerchio magico", come usa dire oggi, i figli di Paolo Borsellino si sono visti costretti a prendere le distanze persino dalle celebrazioni in onore del sacrificio del loro padre? Se ne vada subito Crocetta, per non sfregiare ancora - nel qual caso i chirurghi estetici suoi amici non potrebbero più fare miracoli -, quel poco che resta nel mondo dell’immagine della Sicilia. Se ne vada subito perché non si possa anche dire che nella terra in cui Paolo Borsellino venne fatto a pezzi un presidente di regione - ed è di Lei, caro Crocetta, che stiamo parlando - giunse al perverso paradosso di utilizzarne la figlia, Lucia Borsellino, per assicurarsi una indiscutibile patente di "antimafiosità". Sino a quando il limone fu spremuto e Lucia fu costretta a dimettersi.
Se ne vada , perché la sua reazione di fronte alla pubblicazione di quella telefonata fra Lei e "Il Gran Primario" Tutino, che Lei dice non ci fu, ci è apparsa fuori dalla grazia di Dio: "certo, Tutino parlava male della Borsellino". Ma davvero? Allora Lei sapeva chi si era messo dentro? 

E Lei, il "simbolo dell’Antimafia" per definizione, che faceva? Cercava di convincerlo del contrario? Voleva redimerlo durante "pomeriggi letterari" in cui vi confrontavate dialetticamente sui valori della mafia e quelli dell’antimafia? E qui dovrà convenirne che la telefonata non c’entra proprio nulla. La verità è che Lei, gentile Crocetta, per dare a Tutino il benservito, ha aspettato che si facesse avanti la "Benemerita" - sì, insomma: l’Arma dei carabinieri -, mettendo il "GranPrimario" agli arresti domiciliari. Lei teneva al Tutino, non teneva a Lucia Borsellino.
E’ di questo che dovrebbe vergognarsi.Questo è stato il suo errore umano e politico più grossolano. Ecco i primi motivi che ci vengono in mente a sostegno di sue dimissioni immediate e irrevocabili.
Ma adesso, gentile Crocetta, cerchi di fare uno sforzo supplementare di ascolto.
Appena qualche giorno fa, il Pd siciliano, dopo aver detto di Lei peste e corna, aveva rimpiazzato la Borsellino alla sanità con un dirigente di sua fiducia: Baldo Gucciardi. Le dimissioni di Lucia Borsellino, per il PD siciliano, erano dunque scivolate via come l’acqua da un colapasta. Non una parola di disappunto. Non una parola dei big nazionali e siciliani di quel partito rispetto a un fatto traumatico che avrebbe meritato ben altra sottolineatura, ben altra riflessione. Non un moto di sdegno, di stizza, di vergogna. Neanche una parola. Ecco il "silenzio sordo" delle istituzioni di cui Manfredi ha riferito al capo dello Stato. Al punto che il PD, al quale stava e sta a cuore il "bersaglio grosso" della guida del governo siciliano, aveva commentato: "siamo al timone" (come in altre epoche avrebbero detto: "abbiamo una banca"). E il senatore Giuseppe Lumia, suo carissimo amico e angelo custode, e che di timoni se ne intende, aveva profetizzato, dopo la catastrofe del suo governo, alla quale però Lumia prevedeva - come del resto le tante tribù del PD siciliano, fatta eccezione per il Ferrandelli - che Lei sopravvivesse; profetizzava, dicevamo, "l’avvio della stagione delle riforme". Qualche volta ci vien da chiederci se anche il Lumia capisca bene quello che dice.
Ora questi sono gli stessi che, a scandalo esploso, hanno inondato le agenzie di stampa con quest’invito a Lei rivolto: "chiarisca".
E’ una lista lunga, quella di lorsignori che in queste ore sfogliano la margherita per capire se è più conveniente per loro che Lei vada via o che Lei rimanga. I Renzi, i Guerini, le Serracchiani, i Rosato, i Faraone, i Raciti, i Lumia, i Cracolici, eccetera, eccetera, eccetera. Tanto silenziosi alla notizia della lettera di dimissioni di Lucia, tanto pimpanti e vocianti appena era stato servito in tavola il piatto ghiotto di "mafia" e "antimafia". A non voler far l’elenco di quelli di tutti gli altri schieramenti politici. Non faccia il gioco di tutti questi signori, Crocetta. Siciliani o romani che siano. Loro, sotto sotto, ancora ci sperano che Lei resti inchiavardato alla sua poltrona. Dica soltanto: "non c’è proprio niente da chiarire. E si torni all’urne. Non sono l’unico che i siciliani hanno ormai il diritto-dovere di cacciare". E lo faccia entro domani. Come gesto in occasione dell’ anniversario della strage di Via D’Amelio, non sarebbe un gesto da buttar via.
Non è mai troppo tardi.