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mercoledì 22 luglio 2015

Saverio Lodato, giornalista, non pennivendolo, scrive: "Crocetta vattene, e vattene subito"

Alla vigilia dell'anniversario della Strage di Via D'Amelio, Saverio Lodato scrive l'articolo che riportiamo. Nell'articolo si  parte dalla denuncia di Manfredi Borsellino (leggi qui) contro "la croce" che sua sorella Lucia ha dovuto portare, acccettando l'incarico di assessore alla Sanita della regione Sicilia: Lucia Borsellino, aveva compreso ben presto di essere "la foglia di fico" usata dal potere siciliano. Ma l'articolo di Saverio Lodato, non "pennivendolo", ci pare importante perchè, partendo dalla vicenda di Lucia Borsellino, mira a scoprire qualche velo di quello che è il convitato di pietra dell'intera vicenda: il Potere! Il Potere che per ottente i suoi scopi, sa usare  tutti i colori (partitici) e tutte le maschere necessarie, a partire dalle "maschere dell'antimafia e della "legalità". 
Le dimissioni di Lucia Borsellino vengono pertanto accolte da quel Potere con una semplice scrollata di spalle: si è fatta fuori da sola, la piccola Lucia, senza nemmeno che ci fosse bisogno di spargere quel sangue, "a fiumi", necessario per fermare anche suo padre Paolo e gli agenti della sua scorta."Chinati juncu ca passa la china"...Lasciamola sfogare, passerà presto!
Scrive Lodato che la replica del Potere (siciliano) al gesto di Lucia Borsellino è "(...) il "silenzio sordo" delle istituzioni di cui Manfredi ha riferito al capo dello Stato."siamo al timone" (come in altre epoche avrebbero detto: "abbiamo una banca")". 
"Crocetta vattene" è quindi, in realtà,  l'urlo sdegnato rivolto a quel Potere che, in Sicilia, come in tanti altri luoghi di questo Paese, schiaccia persone come Lucia Borsellino: persone oneste che, entrando nei luoghi isituzionali nei quali si dovrebbe compiere l'atto di servire al bene delle comunità ( come aveva imparato da suo padre Paolo), si accorgono subito di come quei luoghi siano divenuti invece "regnio" di coloro che si servono delle istituzioni per creare, acccrescere, difendere potere e privilegi. 
Non c'e spazio per Lucia Borsellino in quei luoghi. Come non c'era spazio in questo Paese per Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, citando loro due per fare memoria di tutti coloro che, "servitori dello Stato", erano  per il Potere ostacolo da rimuovere, da schiacciare.

Fonte Antimafiaduemila.
Saverio Lodato - 18 luglio 2015
Rita e Salvatore Borsellino hanno invitato pubblicamente il "governatore" di Sicilia, Rosario Crocetta, a non imporre la sua presenza in occasione delle tante manifestazioni che, da oggi a domenica, si terranno a Palermo in ricordo del ventitreesimo anniversario della strage di Via D’Amelio. "Presenza non gradita" hanno stigmatizzato. Crocetta, dal canto suo, fa sapere che sino a lunedì non metterà piede a Palermo, quindi accetta di togliere il disturbo. Entro questo lasso di tempo, aggiunge, deciderà se, come e, eventualmente, quando dimettersi.
Guardate un po’ in quale pozzo senza fondo sono caduti la Sicilia e il suo massimo rappresentante istituzionale. Guardate un po’, agli occhi dell’Italia e del mondo intero, che effetto deve fare sapere che un presidente della regione, che per anni si è fregiato del titolo di "presidente antimafia", è ristretto ai domiciliari, in altra provincia, per esplicita richiesta della famiglia di quel giudice, Paolo, che insieme a cinque uomini e donne della sua scorta venne fatto a pezzi dal tritolo dello Stato-Mafia e della Mafia-Stato. E che non solo è ristretto ai domiciliari ma che, spontaneamente, decide di bere l’amaro calice, nella speranza, e questo é sin troppo facile intuirlo, che quando le commemorazioni saranno finite tutto potrà tornare al suo posto, compreso lui.
Guardate un po’ il capo dello Stato, Sergio Mattarella - che invece a Palermo viene, può venire ed è presenza graditissima per i familiari -, che si vede fare gli onori di casa da un presidente a interim, tal Baldo Gucciardi, dirigente PD, di nuovissimo conio essendosi trovato qualche giorno fa a sostituire Lucia Borsellino alla guida della sanità dopo le sue irrevocabili dimissioni per "ragioni etiche", ancor prima che politiche, e poi lo stesso Crocetta che si era "autosospeso", di fronte al dilagare dello scandalo.
Guardate un po’ come si sarà sentito il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, mentre Manfredi Borsellino lo informava dell’inferno attraverso il quale era passata sua sorella Lucia. Mentre gli parlava di "silenzio sordo" delle istituzioni, all’indomani della sua lettera di dimissioni dall’assessorato alla sanità "che andrebbe riletta perché invece dice tutto". Mentre Manfredi, spesso interrompendosi per le lacrime, gli diceva: "mia sorella Lucia è rimasta in carica per amore della giustizia, per suo padre, per potere spalancare agli inquirenti le porte della sanità dove si annidano mafia e malaffare. Da oltre un anno era consapevole del clima di ostilità e delle offese che le venivano rivolte. Lucia ha portato una croce e tutti lo possono testimoniare". 

Serve ancora dell’altro? Non può bastare per dare un taglio netto? Non è sin troppo evidente il vuoto di potere che nessuna "toppa Gucciardi" può più nascondere, al punto in cui sono arrivate le cose? E Crocetta non prova orrore di fronte a un simile scenario? Non riesce ad avere un soprassalto di dignità? Non sente su di sé tutta l’umiliazione, la vergogna, la responsabilità per quanto sta accadendo? Di un presidente della regione di tal fatta, i siciliani non sanno che farsene. Se ne vada Crocetta, e se ne vada subito. No, non dica altro. Si chiuda in un rigoroso e assai prolungato silenzio. Ma per davvero. Parole ne ha dette, in queste settimane. E tante. Decisamente troppe, e molte, ma questa è opinione nostra, tutt’altro che pertinenti o condivisibili. Al punto che un commentatore, il quale non appartiene alla sua area politica e al quale va riconosciuto il merito di non essersi lasciato incantare dal suo eloquio, iniziando un suo articolo che La riguardava, lo aveva fatto con queste parole: "Dice, dice e dice. E non capisce quello che dice". Alla luce del verminaio che sta venendo fuori, ora che il macigno è stato in parte sollevato, sarebbe difficile dire che avesse tutti i torti.  

Rosario Crocetta e Matteo Tutino
Gentile Crocetta, se ne sarà accorto. Oggi noi non le stiamo contestando nessuna telefonata intercettata, vera o presunta che sia. Non sono stati i brogliacci delle sue conversazioni, vere o presunte che siano, a spingerci a scrivere queste righe. Bensì tutto ciò che appare alla luce del sole. Quello che nessuna inchiesta della magistratura, nessun decreto di "secretazione", potrà ormai tenere lontano dalla consapevolezza dell’opinione pubblica. Gli elementi che abbiamo - purtroppo - bastano e avanzano. Lei ha fatto il suo tempo, e il suo tempo è abbondantemente scaduto. Se ne vada per non compromettere agli occhi di quei pochi, pochissimi siciliani, che ancora ci credono, quel diritto al voto che Le aveva consentito di diventare "governatore di Sicilia" seppure eletto con una minoranza di consensi. Deve dimettersi, e subito. Non si lasci tentare dal giochino delle "auto dimissioni", e dalla speranza contenuta nel detto, tipicamente mafioso, del "calati junco ca passa la china". Questa volta, la nottata non passerà facilmente. Poi, se su quella telefonata che in questi giorni ha tenuto banco Lei ha ragione, sarà il tempo che Le darà ragione.
Ma se ne vada subito, per non dare altri alibi a quanti pretenderebbero che la sua triste parabola, interminabile sommatoria di errori politici, di immagine, etici, sia la prova del nove dell’inconsistenza e dell’impossibilità, in Sicilia, di qualsiasi forma di lotta alla mafia.
Si rende conto che per causa sua e del suo "cerchio magico", come usa dire oggi, i figli di Paolo Borsellino si sono visti costretti a prendere le distanze persino dalle celebrazioni in onore del sacrificio del loro padre? Se ne vada subito Crocetta, per non sfregiare ancora - nel qual caso i chirurghi estetici suoi amici non potrebbero più fare miracoli -, quel poco che resta nel mondo dell’immagine della Sicilia. Se ne vada subito perché non si possa anche dire che nella terra in cui Paolo Borsellino venne fatto a pezzi un presidente di regione - ed è di Lei, caro Crocetta, che stiamo parlando - giunse al perverso paradosso di utilizzarne la figlia, Lucia Borsellino, per assicurarsi una indiscutibile patente di "antimafiosità". Sino a quando il limone fu spremuto e Lucia fu costretta a dimettersi.
Se ne vada , perché la sua reazione di fronte alla pubblicazione di quella telefonata fra Lei e "Il Gran Primario" Tutino, che Lei dice non ci fu, ci è apparsa fuori dalla grazia di Dio: "certo, Tutino parlava male della Borsellino". Ma davvero? Allora Lei sapeva chi si era messo dentro? 

E Lei, il "simbolo dell’Antimafia" per definizione, che faceva? Cercava di convincerlo del contrario? Voleva redimerlo durante "pomeriggi letterari" in cui vi confrontavate dialetticamente sui valori della mafia e quelli dell’antimafia? E qui dovrà convenirne che la telefonata non c’entra proprio nulla. La verità è che Lei, gentile Crocetta, per dare a Tutino il benservito, ha aspettato che si facesse avanti la "Benemerita" - sì, insomma: l’Arma dei carabinieri -, mettendo il "GranPrimario" agli arresti domiciliari. Lei teneva al Tutino, non teneva a Lucia Borsellino.
E’ di questo che dovrebbe vergognarsi.Questo è stato il suo errore umano e politico più grossolano. Ecco i primi motivi che ci vengono in mente a sostegno di sue dimissioni immediate e irrevocabili.
Ma adesso, gentile Crocetta, cerchi di fare uno sforzo supplementare di ascolto.
Appena qualche giorno fa, il Pd siciliano, dopo aver detto di Lei peste e corna, aveva rimpiazzato la Borsellino alla sanità con un dirigente di sua fiducia: Baldo Gucciardi. Le dimissioni di Lucia Borsellino, per il PD siciliano, erano dunque scivolate via come l’acqua da un colapasta. Non una parola di disappunto. Non una parola dei big nazionali e siciliani di quel partito rispetto a un fatto traumatico che avrebbe meritato ben altra sottolineatura, ben altra riflessione. Non un moto di sdegno, di stizza, di vergogna. Neanche una parola. Ecco il "silenzio sordo" delle istituzioni di cui Manfredi ha riferito al capo dello Stato. Al punto che il PD, al quale stava e sta a cuore il "bersaglio grosso" della guida del governo siciliano, aveva commentato: "siamo al timone" (come in altre epoche avrebbero detto: "abbiamo una banca"). E il senatore Giuseppe Lumia, suo carissimo amico e angelo custode, e che di timoni se ne intende, aveva profetizzato, dopo la catastrofe del suo governo, alla quale però Lumia prevedeva - come del resto le tante tribù del PD siciliano, fatta eccezione per il Ferrandelli - che Lei sopravvivesse; profetizzava, dicevamo, "l’avvio della stagione delle riforme". Qualche volta ci vien da chiederci se anche il Lumia capisca bene quello che dice.
Ora questi sono gli stessi che, a scandalo esploso, hanno inondato le agenzie di stampa con quest’invito a Lei rivolto: "chiarisca".
E’ una lista lunga, quella di lorsignori che in queste ore sfogliano la margherita per capire se è più conveniente per loro che Lei vada via o che Lei rimanga. I Renzi, i Guerini, le Serracchiani, i Rosato, i Faraone, i Raciti, i Lumia, i Cracolici, eccetera, eccetera, eccetera. Tanto silenziosi alla notizia della lettera di dimissioni di Lucia, tanto pimpanti e vocianti appena era stato servito in tavola il piatto ghiotto di "mafia" e "antimafia". A non voler far l’elenco di quelli di tutti gli altri schieramenti politici. Non faccia il gioco di tutti questi signori, Crocetta. Siciliani o romani che siano. Loro, sotto sotto, ancora ci sperano che Lei resti inchiavardato alla sua poltrona. Dica soltanto: "non c’è proprio niente da chiarire. E si torni all’urne. Non sono l’unico che i siciliani hanno ormai il diritto-dovere di cacciare". E lo faccia entro domani. Come gesto in occasione dell’ anniversario della strage di Via D’Amelio, non sarebbe un gesto da buttar via.
Non è mai troppo tardi.

giovedì 31 gennaio 2013

“Quello che voi chiamate mafia, noi lo chiamiamo lobbismo e managerialità”.


“Quello che voi chiamate mafia, noi lo chiamiamo lobbismo e managerialità”.
E' l’affermazione sarcastica che si può ascoltare in certi ambienti. 
Meccanismi e sistemi che tradizionalmente definiamo “mafiosi” sono stati introiettati in ambienti e situazioni nei quali, comunque si voglia giudicare , quello che scompare è la visione del “bene comune” a vantaggio di caste-cricche –cosche (a seconda dell’eufemistico camice che costoro indossano).









Sanità: un sistema in conflitto d'interessi
Tangenti e lobbismo gonfiano la spesa
Fonte: La repubblica

Dalle mazzette dei tempi di Mani Pulite ai metodi molto più sofisticati dei giorni nostri. Diverse inchieste hanno portato alla luce un intreccio malato tra ricerca, produzione di farmaci e attrezzature ed esercizio della professione medica. Un costo di 10 miliardi per la collettività. Mancano le norme, la volontà di applicarle e i controlli
C'è un uomo nel parcheggio, aspetta che il primario esca dall'ospedale, in tasca per lui ha una busta piena di contanti. E' il "ringraziamento" per aver scelto, fra tante, la migliore offerta di fornitura di strumenti medici. Correva l'anno 1989. Arriva Mani Pulite con le manette e tutto il resto. 
La scena cambia. Anno 2013, il dirigente medico esce da un convegno, stringe mani a tutti. Ha ricevuto ventimila euro per parlare per meno di un'ora, ha avuto una donazione alla Onlus che dirige ed è riuscito a ottenere che il suo progetto di ricerca fosse rifinanziato dalla casa farmaceutica che ben conosce e di cui prescrive caldamente i farmaci, nel reparto dell'ospedale che dirige. Farmaci molto costosi e con forti controindicazioni, inutili in alcuni casi. Tutto regolare, nessun rischio. Almeno finché qualcuno non protesta o finché una reazione avversa, poco sottolineata da quella ricerca, non viene a galla. Il gioco si svolge su un terreno poco illuminato. C'è una zona d'ombra frequentata da medici, scienziati, manager e rappresentanti dell'industria farmaceutica, anche giornalisti. Una zona in cui non si è ancora nell'illegalità conclamata ma si scambiano vantaggi personali su questioni pubbliche. 

Nel sistema sanitario italiano, e in particolare nelle Asl, "vige il più clamoroso conflitto di interessi del nostro Paese" ad affermarlo già nel 2010 era addirittura il presidente dell'Associazione italiana ospedali privati (Aiop) Enzo Paolini. Il Conflitto di interessi sussiste quando il ruolo pubblico e quello privato sono in contrasto fra loro. In altri paesi si presta grande attenzione a dichiararlo. Avere un conflitto non significa necessariamente metterlo in atto, ma avvertire la propria platea significa legittimarla a controllare, fare uno sforzo di trasparenza. Da lì fra l'altro è facilissimo scivolare. Esiste un codice deontologico della professione medica che evidentemente però non basta. L'Aifa recentemente ha fatto passi da gigante, ad aprile 2012 è stato creato un organo che controlla i conflitti di interessi di chi ci lavora dentro e di conseguenza stabilisce chi può lavorare a un determinato prodotto e chi no. Infatti, sebbene la trasparenza sia importante, in alcuni settori strategici, non basta. Sarebbe necessario, come fanno in molti paesi, regolarsi di conseguenza per assegnare ruoli e mansioni.
Secondo Francesco Macchia, Presidente della neonata Istituzione per la promozione dell'etica in sanità "la corruzione fa perdere alla sanità italiana 10 miliardi l'anno". Un dato che comprende tutto: dalle mazzette per gli appalti al comparaggio sui farmaci. E a questo punto, visto il periodo di spending review, sarebbe forse il caso di prevenire.

"In Italia la strada da percorrere è ancora lunga e ostacolata da più parti"ammette il Ministro della Salute Renato Balduzzi. Se ne era accorta la prestigiosa rivista scientifica Nature, già nel 2008, quando raccontò agli scienziati di tutto il mondo che ad esempio, nel paese delle tagliatelle, era possibile che il Ministro della salute Maurizio Sacconi fosse sposato con il Direttore generale di Farmindustria Enrica Giorgetti. Dalla grezza e "volgare" mazzetta dell'epoca di Poggiolini e De Lorenzo si è passati a un sistema più raffinato e capillare. Lo testimonia il Generale dei Nas, Cosimo Piccinno, parlando da dietro la catasta di documenti, intercettazioni e schede di personaggi di inchieste vaste come la più recente Do ut Des.  Lo ribadisce il teorico, massimo di questa materia, professor Alberto Vannucci, che spiega che da Mani Pulite a oggi è cambiata la figura del garante, ovvero di colui che premia o punisce a seconda delle circostanze: una volta era il politico mentre oggi le case farmaceutiche si rappresentano da sole. Il mercato si è emancipato dalla politica, anzi, ha imparato a renderla un proprio strumento. 
Sono tempi di lobbismo spinto. Secondo una fonte molto quotata del Ministero della Salute: "A cadenza periodica e puntuale, Federfarma, come altri, fa visita in Parlamento. Il presidente Scaccabarozzi arriva, ma non da solo, accompagnato da venti, trenta dei suoi e parlano con tutti, destra, centro, sinistra, un pressante lavoro di lobby. Vanno e vengono come fossero a casa propria. Basti vedere quanti sono i "farmacisti" candidati alle prossime elezioni". Ha ragione, i candidati alle politiche che vantano legami stretti con il settore farmaceutico sono molti.

Soltanto qualche settimana fa è stata sventata per un soffio la norma, introdotta alle 2 di notte, e senza alcuna attinenza, nella legge di Stabilità, che stabiliva un canale di ingresso privilegiato e senza controlli per i prodotti emoderivati della Kedrion. Un bel regalo dal proponente Cesare Cursi (Pdl) al collega senatore Andrea Marcucci (Pd) visto che quella è l'azienda di famiglia. "Siamo riusciti a fermare l'emendamento giusto in tempo, all'alba  -  racconta Balduzzi  -  apponendo il pericolo per la salute pubblica" ma nessuna norma sul conflitto di interessi si è potuta muovere in aiuto dell'interesse dei cittadini né prima né dopo. Per la prossima volta quindi si rimane appesi all'insonnia.

Gabriele Albertini, candidato governatore per la lista Monti alla regione Lombardia, ha proposto di istituire un registro dei lobbysti in sanità. "La salute incide per oltre l'80 per cento del bilancio di ogni Regione. Per quanto riguarda la Lombardia i meriti della sua eccellenza sono risaputi, ma dobbiamo puntare ad eliminare quelle zone d'ombra oggetto delle indagini della magistratura" come nelle più avanzate democrazie comunitarie. E aggiunge: "L'attività di lobby, se regolata, è legittima portatrice d'interessi di singole realtà o gruppi. Lasciata invece operare senza regole, come avviene oggi, porta ad alee di dubbio e presenta sul campo attori le cui uniche capacità sono solo vicinanze o amicizie a questo o a quel politico o dirigente". ( ?...n.d.r.)

La partita quindi inizia già fuori dei palazzi istituzionali. Come in tutto il mondo, le aziende farmaceutiche pagano gli opinion leaders, con soluzioni sempre differenti, affinché influenzino l'opinione pubblica e i ricercatori. Fra questi, ad esempio, possono esserci anche dei giornalisti. Convegni in alberghi extralusso, vere e proprie vacanze, regali di valore a chi con i propri articoli dimostra di essere amico, ricchi pagamenti per presenziare convegni in cambio di ospitate in tv. Tutto per addomesticare le notizie a piacimento. Per chi invece non è "amico" l'esclusione o addirittura il discredito, come racconta nel video una giornalista che si occupa da anni di scienza e medicina.

Il conflitto di interessi ha permeato anche la sanità in modo capillare. Si parte dalla ricerca finanziata quasi al 90 per cento dalle case farmaceutiche, e guai se non ci fossero, ma che ormai non ha più neanche l'aspirazione all'indipendenza. Il professor Antonio Giordano (presidente dello Sbarro Institute di Philadelphia) in un'intervista ci racconta quanto sia facile manipolare i dati. Si passa per le pubblicazioni sulle riviste scientifiche, anche qui l'85 per cento sono in conflitto di interessi. La divulgazione al grande pubblico, con pressioni di vario genere sui giornalisti. L'attività di lobbysmo verso la classe politica e la permeazione di questa, tanto a fondo da promuovere determinati candidati. Le consulenze strategiche verso il Ministero della Salute e le tante Asl locali, fatte mediante specialisti al libro paga dell'industria farmaceutica. Negli Stati Uniti è scoppiato lo scandalo quando si è scoperto che la maggior parte dei componenti del gruppo di lavoro per la gestione del diabete mellito era in conflitto di interessi. Siamo andati a dare un'occhiata all'equivalente italiano, metà sono in conflitto di interessi, mai nessuno ha alzato la bandierina, non c'è neanche qualcuno che controlli la veridicità delle dichiarazioni di chi non ha dichiarato nulla. Altro esempio sconcertante, il Siaip, organo di consulenza del Ministero della Salute per i vaccini, i cui membri sono tutti in conflitto di interessi. Nessuna norma, nessuna irregolarità. La diffusione è profonda, si muove in una vasta zona d'ombra, godendo dell'incertezza normativa e della difficoltà a controllare e sanzionare tutti. Secondo gli stessi Nas, nonostante le continue attività di indagine, il sommerso sarebbe ancora il 90 per cento di quelle 4136 persone segnalate all'autorità giudiziaria nel 2012. Un mondo di sotterfugi a ogni livello e di grande creatività emerge dai documenti di inchieste importanti come Do ut Des, in cui sono stati prescritti in larga scala farmaci ormonali anche ai bambini, Camici Sporchi Derma Affare-fatto,  in cui sono stati privilegiati farmaci che costavano, a parità di efficacia, 100 volte di più.

Tutto quello che stiamo fin qui raccontando, in realtà però sarebbe già vietatoanche dal codice deontologico di Farmindustria e il presidente Scaccabarozzi sostiene: "Non ne ho assolutamente notizia, non mi risultano, anzi, invito tutti a denunciare, segnalandoci chi trasgredisce". La spesa farmaceutica in Italia ammonta a 26 miliardi di euro l'anno. Un cavallo forte che ha bisogno però di briglie salde. Per il settore pubblico l'interazione con l'industria farmaceutica è inevitabile e spesso anche positiva se ricondotta all'interno di una serie di norme e di atteggiamenti etici, come ci spiega il Professor Carlo Patrono dell'Università Cattolica di Roma. In Italia però il male è diventato virale e dati in merito sono pochi, a testimonianza del poco interesse a trovare una vera cura. Alessia Scali, mediante l'associazione Avviso Pubblico, ha portato avanti una ricerca che, per la prima volta, traccia una mappa della corruzione in sanità in Italia. Repubblica ne mostra in esclusiva un'anteprima. Il 42 per cento dei reati in sanità sono stati commessi in 5 regioni, il 57% al Sud dove però si concentrano anche di più le indagini, segue il Nord con una più elevata attività di corruzione connessa ai farmaci. Medici, dirigenti e personale del servizio sanitario nazionale rappresentano la maggior parte degli indagati con diverse oscillazioni tra Nord, Centro e Sud. Più o meno costante e uniforme rimane invece la presenza di politici corrotti per tematiche legate alla salute, l'11per cento dei soggetti coinvolti.

È dalla politica, infatti, che dovrebbe partire la spinta di rinnovamento nell'interesse pubblico. Da lì, ad esempio, potrebbero partire norme più stringenti sui controlli. "Basti pensare che nel mondo quasi l'ottanta per cento degli studi pubblicati non inserisce tutti i risultati e le relative reazioni avverse. Nessuno li sanziona", spiega il professor Ignazio Marino (oggi senatore e presidente della Commissione d'inchiesta sul sistema sanatario italiano), che suggerisce regole che l'Italia dovrebbe far proprie per evitare il conflitto di interessi in sanità. "C'è bisogno di investire in studi indipendenti paralleli a quelli fatti dall'industria. Grazie alla trasparenza l'Italia potrebbe cominciare a introdurre solo farmaci realmente innovativi, mentre ora il 70 per cento è solo rielaborazione per aumentarne i prezzi, a quel punto ci sarebbe un guadagno per tutti".