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venerdì 2 dicembre 2016

Il giudice NINO DI MATTEO sarà cittadino onorario anche di Pinerolo

Nella seduta del Consiglio Comunale del 30 novembre 2016 è stata approvata all'unanimità la mozione per giungere al conferimento della cittadinanza onoraria al giudice Nino di Matteo. 
Esprimiamo la nostra soddisfazione per l'atto di solidarietà espresso dal Consiglio Comunale di Pinerolo . Tuttavia, non dobbiamo pensare che una azione culturale concreta ed efficace contro le mafie,  ma soprattutto contro "il pensiero mafioso" diffusissimo anche tra coloro che "mafiosi" in senso stretto non potrebbero esere definiti, si possa esaurire con questo atto pure significativo. Ribadiamo pertanto quanto avevamo auspicato nell'articolo riportato anche da ANTIMAFIADUEMILA (leggi qui): «Riteniamo – che alla formazione di una cultura della comunità contro “il pensiero mafioso” possa servire anche riprendere quanto avviato nel passato, sia pure con scarsa convinzione: l’azione conoscitiva, culturale, che doveva essere svolta dalla cosiddetta Commissione Consiliare antimafia, formata dalla passata Amministrazione pinerolese. Insediata proprio su proposta del presidio “Rita Atria” il giorno 19 luglio 2012, anniversario della strage di Via D’Amelio, quella commissione si era riunita in realtà una sola volta per poi “sparire».
La battaglia culturale contro le mafie ed il pensiero mafioso abbisogna dell'impegno e dell'assunzione di responsabilità e consapevolezza di ciascuno perchè questo ci insegna Rita Atria: " Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci.(...)".


MOZIONE

CONFERIMENTO DELLA CITTADINANZA ONORARIA
AD ANTONINO DI MATTEO

PREMESSO CHE

ANTONINO DI MATTEO, DETTO NINO, È UN MAGISTRATO ITALIANO:

Nato a Palermo nel 1961, è entrato in magistratura nel 1991 come sostituto procuratore presso la DDA di Caltanissetta.- Divenuto pubblico ministero a Palermo nel 1999, ha iniziato ad indagare sulle stragi di mafia in cui sono stati uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli agenti delle rispettive scorte, oltre che sugli omicidi di Rocco Chinnici ed Antonino Saetta; per l'omicidio Chinnici ha rilevato nuovi indizi sulla base dei quali riaprire le indagini e ottenere in processo la condanna anche dei mandanti, riconosciuti in Ignazio e Antonino Salvo, mentre per l'omicidio Saetta otteneva l'irrogazione del primo ergastolo per Totò Riina;

In seguito alle minacce ricevute, Di Matteo è stato sottoposto ad eccezionali misure di sicurezza (compresa l'assegnazione del dispositivo Bomb Jammer), annunciate alla stampa dallo stesso ministro dell'interno Angelino Alfano nel dicembre 2013, elevando il grado di protezione al massimo livello.- Purtroppo dietro l’ipocrisia delle dichiarazioni ufficiali, le cose non stanno così: da mesi Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso in via D’Amelio, porta avanti una battaglia per ottenere che sulla jeep blindata di Di Matteo possa essere montato il jammer, meccanismo che intercetterebbe i segnali radio scongiurando così l’eventuale deflagrazione di un esplosivo azionato da un telecomando. “l’unico strumento che potrebbe realmente tutelarlo dal rischio di un attentato”.

Nel settembre 2015 si ha notizia che, dopo due anni di continue intimidazioni, il tritolo per il pm della “trattativa” è pronto, nascosto da qualche parte nelle borgate di Palermo, e che il neopentito Vito Galatolo ha raccontato come il piano di morte per Nino Di Matteo sia pronto a scattare.

E' inoltre notizia di queste settimane che ci sarebbero ulteriori elementi, non divulgati alla stampa, tali da spingere il procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi, a trasmettere con urgenza gli atti a Caltanisetta e al Consiglio superiore della Magistratura con un invito ad intervenire per l'alto rischio che lo stesso Pm, titolare delle indagini sulla trattativa Stato-Mafia, si trova a correre. Csm che, alla luce dei suddetti avvenimenti, pare aver recepito la gravità della situazione al punto da proporre un trasferimento del Pm per motivi di sicurezza.

CONSIDERATO CHE

Coltivare la passione civile è nostro dovere per evitare di adeguarci alla deriva prevalente di un Paese sempre più indifferente alla giustizia, insofferente alla verità, all’indipendenza della magistratura ed alla tutela vera dei valori costituzionali.
La cittadinanza onoraria al Magistrato Nino Di Matteo, rientra nella logica di non lasciare soli i servitori dello Stato che svolgono con diligenza il proprio lavoro, ed è un atto dovuto, per l’attività che sta svolgendo ed i rischi a cui è esposto, la massima attenzione e vicinanza da parte dei cittadini, come sta avvenendo in questi giorni attraverso la Scorta Civica, dalle Agende Rosse, ma anche e soprattutto dalle istituzioni.
Riteniamo che ogni Comune italiano abbia il dovere di mandare un messaggio forte, chiaro ed inequivocabile di grande solidarietà e chiediamo a tutte le coscienze civili e democratiche del Consiglio Comunale di Pinerolo, di non lasciare solo questo coraggioso magistrato e di sostenere la mozione, mettendo da parte bandiere ed appartenenze politiche.
Ricordando le parole di Paolo Borsellino: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri.

Il Consiglio Comunale di Pinerolo
IMPEGNA SINDACO E GIUNTA

ad attivarsi per il conferimento ad Antonino Di Matteo detto Nino, della cittadinanza onoraria, esprimendo con questo gesto vicinanza, piena solidarietà, senso civico e morale di una comunità che intende rendere omaggio ad un uomo, simbolo di un’Italia che con dedizione, impegno e senso del dovere, porta avanti il proprio lavoro di ricerca della verità, nonostante le violente pressioni a cui lui ed i suoi familiari sono sottoposti.



Pinerolo, XX novembre 2016 

mercoledì 22 luglio 2015

Saverio Lodato, giornalista, non pennivendolo, scrive: "Crocetta vattene, e vattene subito"

Alla vigilia dell'anniversario della Strage di Via D'Amelio, Saverio Lodato scrive l'articolo che riportiamo. Nell'articolo si  parte dalla denuncia di Manfredi Borsellino (leggi qui) contro "la croce" che sua sorella Lucia ha dovuto portare, acccettando l'incarico di assessore alla Sanita della regione Sicilia: Lucia Borsellino, aveva compreso ben presto di essere "la foglia di fico" usata dal potere siciliano. Ma l'articolo di Saverio Lodato, non "pennivendolo", ci pare importante perchè, partendo dalla vicenda di Lucia Borsellino, mira a scoprire qualche velo di quello che è il convitato di pietra dell'intera vicenda: il Potere! Il Potere che per ottente i suoi scopi, sa usare  tutti i colori (partitici) e tutte le maschere necessarie, a partire dalle "maschere dell'antimafia e della "legalità". 
Le dimissioni di Lucia Borsellino vengono pertanto accolte da quel Potere con una semplice scrollata di spalle: si è fatta fuori da sola, la piccola Lucia, senza nemmeno che ci fosse bisogno di spargere quel sangue, "a fiumi", necessario per fermare anche suo padre Paolo e gli agenti della sua scorta."Chinati juncu ca passa la china"...Lasciamola sfogare, passerà presto!
Scrive Lodato che la replica del Potere (siciliano) al gesto di Lucia Borsellino è "(...) il "silenzio sordo" delle istituzioni di cui Manfredi ha riferito al capo dello Stato."siamo al timone" (come in altre epoche avrebbero detto: "abbiamo una banca")". 
"Crocetta vattene" è quindi, in realtà,  l'urlo sdegnato rivolto a quel Potere che, in Sicilia, come in tanti altri luoghi di questo Paese, schiaccia persone come Lucia Borsellino: persone oneste che, entrando nei luoghi isituzionali nei quali si dovrebbe compiere l'atto di servire al bene delle comunità ( come aveva imparato da suo padre Paolo), si accorgono subito di come quei luoghi siano divenuti invece "regnio" di coloro che si servono delle istituzioni per creare, acccrescere, difendere potere e privilegi. 
Non c'e spazio per Lucia Borsellino in quei luoghi. Come non c'era spazio in questo Paese per Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, citando loro due per fare memoria di tutti coloro che, "servitori dello Stato", erano  per il Potere ostacolo da rimuovere, da schiacciare.

Fonte Antimafiaduemila.
Saverio Lodato - 18 luglio 2015
Rita e Salvatore Borsellino hanno invitato pubblicamente il "governatore" di Sicilia, Rosario Crocetta, a non imporre la sua presenza in occasione delle tante manifestazioni che, da oggi a domenica, si terranno a Palermo in ricordo del ventitreesimo anniversario della strage di Via D’Amelio. "Presenza non gradita" hanno stigmatizzato. Crocetta, dal canto suo, fa sapere che sino a lunedì non metterà piede a Palermo, quindi accetta di togliere il disturbo. Entro questo lasso di tempo, aggiunge, deciderà se, come e, eventualmente, quando dimettersi.
Guardate un po’ in quale pozzo senza fondo sono caduti la Sicilia e il suo massimo rappresentante istituzionale. Guardate un po’, agli occhi dell’Italia e del mondo intero, che effetto deve fare sapere che un presidente della regione, che per anni si è fregiato del titolo di "presidente antimafia", è ristretto ai domiciliari, in altra provincia, per esplicita richiesta della famiglia di quel giudice, Paolo, che insieme a cinque uomini e donne della sua scorta venne fatto a pezzi dal tritolo dello Stato-Mafia e della Mafia-Stato. E che non solo è ristretto ai domiciliari ma che, spontaneamente, decide di bere l’amaro calice, nella speranza, e questo é sin troppo facile intuirlo, che quando le commemorazioni saranno finite tutto potrà tornare al suo posto, compreso lui.
Guardate un po’ il capo dello Stato, Sergio Mattarella - che invece a Palermo viene, può venire ed è presenza graditissima per i familiari -, che si vede fare gli onori di casa da un presidente a interim, tal Baldo Gucciardi, dirigente PD, di nuovissimo conio essendosi trovato qualche giorno fa a sostituire Lucia Borsellino alla guida della sanità dopo le sue irrevocabili dimissioni per "ragioni etiche", ancor prima che politiche, e poi lo stesso Crocetta che si era "autosospeso", di fronte al dilagare dello scandalo.
Guardate un po’ come si sarà sentito il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, mentre Manfredi Borsellino lo informava dell’inferno attraverso il quale era passata sua sorella Lucia. Mentre gli parlava di "silenzio sordo" delle istituzioni, all’indomani della sua lettera di dimissioni dall’assessorato alla sanità "che andrebbe riletta perché invece dice tutto". Mentre Manfredi, spesso interrompendosi per le lacrime, gli diceva: "mia sorella Lucia è rimasta in carica per amore della giustizia, per suo padre, per potere spalancare agli inquirenti le porte della sanità dove si annidano mafia e malaffare. Da oltre un anno era consapevole del clima di ostilità e delle offese che le venivano rivolte. Lucia ha portato una croce e tutti lo possono testimoniare". 

Serve ancora dell’altro? Non può bastare per dare un taglio netto? Non è sin troppo evidente il vuoto di potere che nessuna "toppa Gucciardi" può più nascondere, al punto in cui sono arrivate le cose? E Crocetta non prova orrore di fronte a un simile scenario? Non riesce ad avere un soprassalto di dignità? Non sente su di sé tutta l’umiliazione, la vergogna, la responsabilità per quanto sta accadendo? Di un presidente della regione di tal fatta, i siciliani non sanno che farsene. Se ne vada Crocetta, e se ne vada subito. No, non dica altro. Si chiuda in un rigoroso e assai prolungato silenzio. Ma per davvero. Parole ne ha dette, in queste settimane. E tante. Decisamente troppe, e molte, ma questa è opinione nostra, tutt’altro che pertinenti o condivisibili. Al punto che un commentatore, il quale non appartiene alla sua area politica e al quale va riconosciuto il merito di non essersi lasciato incantare dal suo eloquio, iniziando un suo articolo che La riguardava, lo aveva fatto con queste parole: "Dice, dice e dice. E non capisce quello che dice". Alla luce del verminaio che sta venendo fuori, ora che il macigno è stato in parte sollevato, sarebbe difficile dire che avesse tutti i torti.  

Rosario Crocetta e Matteo Tutino
Gentile Crocetta, se ne sarà accorto. Oggi noi non le stiamo contestando nessuna telefonata intercettata, vera o presunta che sia. Non sono stati i brogliacci delle sue conversazioni, vere o presunte che siano, a spingerci a scrivere queste righe. Bensì tutto ciò che appare alla luce del sole. Quello che nessuna inchiesta della magistratura, nessun decreto di "secretazione", potrà ormai tenere lontano dalla consapevolezza dell’opinione pubblica. Gli elementi che abbiamo - purtroppo - bastano e avanzano. Lei ha fatto il suo tempo, e il suo tempo è abbondantemente scaduto. Se ne vada per non compromettere agli occhi di quei pochi, pochissimi siciliani, che ancora ci credono, quel diritto al voto che Le aveva consentito di diventare "governatore di Sicilia" seppure eletto con una minoranza di consensi. Deve dimettersi, e subito. Non si lasci tentare dal giochino delle "auto dimissioni", e dalla speranza contenuta nel detto, tipicamente mafioso, del "calati junco ca passa la china". Questa volta, la nottata non passerà facilmente. Poi, se su quella telefonata che in questi giorni ha tenuto banco Lei ha ragione, sarà il tempo che Le darà ragione.
Ma se ne vada subito, per non dare altri alibi a quanti pretenderebbero che la sua triste parabola, interminabile sommatoria di errori politici, di immagine, etici, sia la prova del nove dell’inconsistenza e dell’impossibilità, in Sicilia, di qualsiasi forma di lotta alla mafia.
Si rende conto che per causa sua e del suo "cerchio magico", come usa dire oggi, i figli di Paolo Borsellino si sono visti costretti a prendere le distanze persino dalle celebrazioni in onore del sacrificio del loro padre? Se ne vada subito Crocetta, per non sfregiare ancora - nel qual caso i chirurghi estetici suoi amici non potrebbero più fare miracoli -, quel poco che resta nel mondo dell’immagine della Sicilia. Se ne vada subito perché non si possa anche dire che nella terra in cui Paolo Borsellino venne fatto a pezzi un presidente di regione - ed è di Lei, caro Crocetta, che stiamo parlando - giunse al perverso paradosso di utilizzarne la figlia, Lucia Borsellino, per assicurarsi una indiscutibile patente di "antimafiosità". Sino a quando il limone fu spremuto e Lucia fu costretta a dimettersi.
Se ne vada , perché la sua reazione di fronte alla pubblicazione di quella telefonata fra Lei e "Il Gran Primario" Tutino, che Lei dice non ci fu, ci è apparsa fuori dalla grazia di Dio: "certo, Tutino parlava male della Borsellino". Ma davvero? Allora Lei sapeva chi si era messo dentro? 

E Lei, il "simbolo dell’Antimafia" per definizione, che faceva? Cercava di convincerlo del contrario? Voleva redimerlo durante "pomeriggi letterari" in cui vi confrontavate dialetticamente sui valori della mafia e quelli dell’antimafia? E qui dovrà convenirne che la telefonata non c’entra proprio nulla. La verità è che Lei, gentile Crocetta, per dare a Tutino il benservito, ha aspettato che si facesse avanti la "Benemerita" - sì, insomma: l’Arma dei carabinieri -, mettendo il "GranPrimario" agli arresti domiciliari. Lei teneva al Tutino, non teneva a Lucia Borsellino.
E’ di questo che dovrebbe vergognarsi.Questo è stato il suo errore umano e politico più grossolano. Ecco i primi motivi che ci vengono in mente a sostegno di sue dimissioni immediate e irrevocabili.
Ma adesso, gentile Crocetta, cerchi di fare uno sforzo supplementare di ascolto.
Appena qualche giorno fa, il Pd siciliano, dopo aver detto di Lei peste e corna, aveva rimpiazzato la Borsellino alla sanità con un dirigente di sua fiducia: Baldo Gucciardi. Le dimissioni di Lucia Borsellino, per il PD siciliano, erano dunque scivolate via come l’acqua da un colapasta. Non una parola di disappunto. Non una parola dei big nazionali e siciliani di quel partito rispetto a un fatto traumatico che avrebbe meritato ben altra sottolineatura, ben altra riflessione. Non un moto di sdegno, di stizza, di vergogna. Neanche una parola. Ecco il "silenzio sordo" delle istituzioni di cui Manfredi ha riferito al capo dello Stato. Al punto che il PD, al quale stava e sta a cuore il "bersaglio grosso" della guida del governo siciliano, aveva commentato: "siamo al timone" (come in altre epoche avrebbero detto: "abbiamo una banca"). E il senatore Giuseppe Lumia, suo carissimo amico e angelo custode, e che di timoni se ne intende, aveva profetizzato, dopo la catastrofe del suo governo, alla quale però Lumia prevedeva - come del resto le tante tribù del PD siciliano, fatta eccezione per il Ferrandelli - che Lei sopravvivesse; profetizzava, dicevamo, "l’avvio della stagione delle riforme". Qualche volta ci vien da chiederci se anche il Lumia capisca bene quello che dice.
Ora questi sono gli stessi che, a scandalo esploso, hanno inondato le agenzie di stampa con quest’invito a Lei rivolto: "chiarisca".
E’ una lista lunga, quella di lorsignori che in queste ore sfogliano la margherita per capire se è più conveniente per loro che Lei vada via o che Lei rimanga. I Renzi, i Guerini, le Serracchiani, i Rosato, i Faraone, i Raciti, i Lumia, i Cracolici, eccetera, eccetera, eccetera. Tanto silenziosi alla notizia della lettera di dimissioni di Lucia, tanto pimpanti e vocianti appena era stato servito in tavola il piatto ghiotto di "mafia" e "antimafia". A non voler far l’elenco di quelli di tutti gli altri schieramenti politici. Non faccia il gioco di tutti questi signori, Crocetta. Siciliani o romani che siano. Loro, sotto sotto, ancora ci sperano che Lei resti inchiavardato alla sua poltrona. Dica soltanto: "non c’è proprio niente da chiarire. E si torni all’urne. Non sono l’unico che i siciliani hanno ormai il diritto-dovere di cacciare". E lo faccia entro domani. Come gesto in occasione dell’ anniversario della strage di Via D’Amelio, non sarebbe un gesto da buttar via.
Non è mai troppo tardi.