Visualizzazione post con etichetta Lea Garofalo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Lea Garofalo. Mostra tutti i post

giovedì 5 marzo 2020

martedì 3 marzo 2020

Donne e mafie: come si rompe il silenzio

Giovanni Falcone :"Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare". 
Ci sono state donne che hanno deciso di rompere il silenzio agognando quel "fresco profumo di libertà" evocato da Paolo Borsellino
Fra tante, abbiamo scelto di "fare memoria" di cinque donne che hanno avuto il coraggio di spezzare il muro del silenzio, della paura, dell'ipocrisia, per denunciare lo scandalo di un Paese medioevale, l'Italia.
Francesca Serio, la mamma di Salvatore Carnevale, sindacalista ucciso dalla mafia il 16 maggio 1955.
Felicia Bartalotta Impastato, la mamma di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978.
Saveria Antiochia, la mamma di Roberto Antiochia , agente di Polizia ucciso il 5 agosto 1985.
Rosaria Costa Schifani, vedova dell'agente di Polizia Vito Schifani ucciso dalla mafia il 23 maggio 1992.
Lea Garofalo, testimone di giustizia uccisa il 24 novembre 2009 dal marito, Carlo Cosco, esponente della 'ndrangheta calabrese.



martedì 19 settembre 2017

In Calabria, "La metamorfosi delle spose mafiose: da sfingi silenti a madri coraggio"

In Calabria sta avvenendo un fenomeno che potrebbe avere esiti importanti nella battaglia culturale contro le mafie: donne-ribelli, citate da Francesco La Licata nell'articolo "La metamorfosi delle spose mafiose", nel tentativo di salvare i figli maschi da un destino che appare quasi sempre "segnato" (carcere o bara!), decidono di scappare dal mondo mafioso. 
Esattamente quanto fece Rita Atria, la ragazzina siciliana testimone di giustizia a cui abbiamo intitolato il nostro presidio: pur essendo nata in una famiglia mafiosa,  Rita Atria scelse di denunciare per tentare di “cambiare”, lei per prima, il mondo nel quale era nata e che la soffocava. 
Dopo la strage di via D’Amelio nella quale, fra gli altri, venne ucciso Paolo Borsellino, divenuto "padre putativo" di Rita, Rita Atria scriverà nel suo diario le parole che costituiscono il suo testamento spirituale: (…) Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici; la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci
Francesco La Licata lancia così una sorta di appello: "(...) Queste «eroine» oggi non hanno cittadinanza: stanno in un mondo di mezzo, senza poter contare nell’aiuto dello Stato perché non hanno altro da offrire se non la volontà di cambiare. Bisogna aiutarle, bisogna intervenire perché rappresentano una grande opportunità per la società civile(...)"

Una di queste donne-ribelli si racconta nell'articolo di N. Zancan:  L’inferno vuoto delle donne infuga dalla ’ndrangheta : "Vivo nel limbo: niente auto, gite per i figli, viaggi..."


Fonte: La Stampa 

La metamorfosi delle spose mafiose: da sfingi silenti a madri coraggio

 FRANCESCO LA LICATA
La sottocultura mafiosa, in qualunque parte dei territori si sia estrinsecata, ha sempre trovato solido appoggio dentro l’universo femminile. Per anni, per decenni, i riti tribali delle cosche sono stati monopolizzati dalla gretta grossolanità mascolina, ma sono stati «sigillati» e tramandati dalle «custodi» della tradizione: le mamme e le mogli che, con il loro silenzio, o intendevano tutelare e promuovere l’avanzata «sociale» (sempre nel mondo mafioso) di figli e mariti, oppure sceglievano di «salvare il salvabile» cioè i familiari maschi sopravvissuti alle faide e al regolamento di conti. Un ruolo fondamentale per il mantenimento, per la conservazione della famiglia, quella di sangue e quella mafiosa che non raramente coincidevano.  
Nel corso dei decenni abbiamo, spesso, constatato quanto difficile sia stato penetrare dentro i segreti delle «famiglie», grazie anche alla scelta di campo operata da donne che preferivano la legge criminale a quella dello Stato. Poi, come vedremo, col trascorrere del tempo e con lo scorrere del sangue, abbiamo assistito ad una sorta di mutazione che ha portato il mondo delle donne di mafia a dividersi. Da una parte le femmine ostinatamente legate alla «tradizione», dall’altra quelle che aprivano gli occhi e la mente alla possibilità di poter scegliere un altro modo di vivere e di pensare, ma sempre con l’idea di fare la cosa giusta in direzione del salvataggio dei figli maschi, strappandoli al destino già scritto che li collocava o in carcere o dentro una bara.

Oggi, infine, sembra insorgere l’ultima generazione di «femmine ribelli» (per usare una definizione di Lirio Abbate) che, pur non avendo notizie, conoscenze, segreti da offrire allo Stato in cambio dell’assistenza necessaria a «passare dall’altra parte», sembra determinata ad abbandonare il mondo della violenza per strappare alle mafie il bacino di manovalanza criminale rappresentato dai figli maschi. Queste «eroine» oggi non hanno cittadinanza: stanno in un mondo di mezzo, senza poter contare nell’aiuto dello Stato perché non hanno altro da offrire se non la volontà di cambiare. Bisogna aiutarle, bisogna intervenire perché rappresentano una grande opportunità per la società civile. La storia ci insegna che le mafie, in quanto società chiuse, possono essere scardinate solo dall’interno. E quale migliore grimaldello, se non la «fuga» verso il meglio di tante madri accompagnate dai loro figli? Diventerebbe superfluo persino l’intervento della magistratura che, nei casi più cruenti, arriva a negare ai genitori responsabilità genitoriale sui figli minori. 
È cambiato l’universo delle mafie. In Sicilia e anche in Calabria dove il legame familiare e familistico si è rivelato sempre l’ostacolo maggiore nella battaglia contro le cosche. È trascorso più di mezzo secolo da quando le madri indossavano il lutto in età giovane e lo tenevano fino alla morte. Agata Barresi era la moglie di un mezzo mafioso, madre di cinque figli maschi. Glieli uccisero uno dopo l’altro e assassinarono, per una overdose di odio, anche il figlio illegittimo che il marito aveva avuto da un’altra relazione. Lei non aprì mai bocca, eppure conosceva perfettamente il nome del mandante della strage. Omertà? Paura? Oppure semplicemente lo sbaglio di ritenere di poter fermare, col silenzio, la mano assassina. Altre donne furono protagoniste in negativo: le donne di Enzo Buffa, in procinto di pentirsi, fecero irruzione nell’aula del maxiprocesso di Palermo per impedire che il proprio congiunto divenisse collaboratore di giustizia. E riuscirono nell’impresa, perché Buffa cambiò idea.  

Serafina Battaglia intervistata da Mauro De Mauro
Certo, c’era qualche eccezione, anche allora. Serafina Battaglia denunciò gli assassini del marito e del figlio, ma perse la sua battaglia. Fu protagonista di una drammatica testimonianza in corte d’Assise ma non bastò, i giudici considerarono «insufficiente» il gesto della donna per arrivare a una condanna. Erano altri tempi e la donna non aveva un grande peso: nè dentro la mafia nè nella società civile. Era il tempo in cui il reato di associazione mafiosa veniva ritenuto inapplicabile per una donna, perché - in quanto donna - non sarebbe stata in grado di essere mafiosa. Tutto questo mentre Antonietta Bagarella, futura moglie di Totò Riina, si presentava spavaldamente in Tribunale per rivendicare la «bontà» del fidanzato, definendolo «il migliore degli uomini». 

Lea Garofalo
La svolta arriverà col pentitismo. La storia di questo fenomeno testimonia quale importanza abbiano avuto le donne nel cambiamento. Basterebbe la tragica storia di Lea Garofalo, vittima del marito ndranghetista ma salvatrice della figlia, per esaltare l’eroismo di tante altre donne. Fu Cristina, terza moglie di Tommaso Buscetta, a dare forza al marito nella scelta di collaborare con lo Stato per strappare i figli più piccoli al fascino di Cosa nostra. E Carmela Iuculano fa la stessa cosa quando ascolta lo sfogo delle sue figliolette, Daniela e Serena, che le chiedono conto e ragione del perché a scuola debbano subire l’ostracismo dei compagni. Carmela abbandona il marito, prende i figli e scompare. Come farà, dopo, anche Giusy Vitale, la prima donna accettata dalla mafia come «sostituta» del fratello capomandamento. Qualcuno, come Rita Atria, la sua scelta di fuggire dalla mafia l’ha pagata con la vita: suicida nel suo nascondiglio romano, per il dolore di aver perso il suo padre putativo Paolo Borsellino. 
Queste storie dicono solo che bisogna prendere come opportunità la spinta che arriva oggi dalla Calabria. 


mercoledì 18 novembre 2015

LEA e DENISE GAROFALO. IL CORAGGIO DI UNA DONNA: VEDO, SENTO, PARLO!

Questa sera verrà trasmesso il film "LEA", dedicato a Lea Garofalo, testimone di giustizia, uccisa in un agguato organizzato dal suo ex compagno, il boss della ‘ndrangheta Carlo Cosco.  Il film andrà in onda su Rai Uno, in prima serata.





"Lea" è il Film TV di Marco Tullio Giordana che andrà in onda questa sera, il 18 novembre, in prima serata su Rai Uno.

Il regista de I Cento Passi e de La Meglio Gioventù, Marco Tullio Giordana, è tornato dietro la macchina da presa per dirigere un film tv ispirato alla vita di Lea Garofalo, vittima della ‘ndrangheta. 

 La storia di Lea e Denise Garofalo
fonte CN24
La storia di Lea narra di una donna coraggiosa. Lea nasce a Petilia Policastro il 24 aprile 1974. Anche lei, come Peppino Impastato  e Rita Atria, cresce in una famiglia legata alle mafie di quelle terre. All’età di 13 anni Lea si innamora di Carlo Cosco dal quale, dopo 4 anni, avrà la figlia Denise. Anche Carlo Cosco è un esponente della 'ndrangheta calabrese, ma la Garofalo sente il bisogno di avere una vita diversa, senza paura e senza violenza. Nel 2002 Lea Garofalo decide che è giunto il momento di iniziare a collaborare con la giustizia e di conseguenza viene inserita nel programma di protezione insieme alla figlia Denise.
In quegli anni Lea vive in solitudine, cambiando spesso residenza e raccontando ai magistrati tutti gli affari illeciti del clan dell’ex compagno. Nel 2009 la donna, sfiduciata dalle Istituzioni, esce dal sistema di protezione e ritrovandosi in difficoltà economiche chiede all’ex compagno di contribuire al mantenimento della figlia Denise. Da Campobasso, Lea si sposta quindi a Milano, dove cade nella trappola di Cosco che approfitta della situazione per far rapire Lea. Lea Garofalo scomparve la sera del 24 novembre del 2009. Una telecamera di servizio riprese l'ultima passeggiata di Lea e Denise a Milano, immediatamente prima che la donna venisse sequestrata dal marito. (vedi qui).
A catturare i responsabili della morte di Lea ci penserà Denise, sua figlia. Nonostante la giovanissima età, Denise fornirà un contributo fondamentale per individuare e processare tutti i responsabili dell’omicidio della madre, costituendosi "parte civile" nel processo contro il suo stesso padre.
Emerge così la verità sulla fine di Lea Garofalo.
In un primo tempo, le indagini portarono alla convinzione degli inquirenti che la donna, dopo essere stata torturata per ore, venisse uccisa e il corpo dissolto nell’acido. Tuttavia, grazie alle rivelazioni di Carmine Venturino, uno degli indagati, i poveri resti del corpo della donna sono stati ritrovati nel 2012 in un terreno del comune di Cormano ( Mi)   La sua identità è stata confermata dall’esame del DNA. 
Lea Garofalo venne sequestrata, torturata, uccisa e il corpo dato alle fiamme. La barbarie degli "uomini d'onere" arriva a questo!
Alla fine dell'iter processuale, nel 2013, la Cassazione si è pronunciata definitivamente sul processo per la scomparsa, l’omicidio e la distruzione del cadavere di Lea Garofalo con la condanna definitiva: Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino sono condannati all'ergastolo; 25 anni di reclusione per Carmine Venturino e assoluzione per non aver commesso il fatto per Giuseppe Cosco; inoltre la Corte ha disposto il risarcimento dei danni per le parti civili: la figlia, la madre e la sorella di Lea Garofalo e il comune di Milano.
Il 19 ottobre 2013 si sono svolti a Milano, in piazza Beccaria, i funerali civili di Lea Garofalo. In piazza erano presenti migliaia di persone, fra le quali anche  Don Luigi Ciotti, in rappresentanza di LIBERA, e il sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Lo stesso giorno è stato intitolato a Lea Garofalo un giardino pubblico in viale Montello a Milano; a quel luogo, altri ne sono seguiti dedicati alla memoria di LEA GAROFALO: una donna coraggiosa.

sabato 19 ottobre 2013

Oggi a Milano, alle ore 10.00, in piazza Beccaria, si terranno i funerali di Lea Garofalo, testimone di giustizia calabrese fatta rapire e uccisa dal marito,

Riportiamo anche oggi la notizia dei funerali di Lea Garofalo perchè Lea garofalo, come Rita Atria, rappresenta per noi un esempio - purtroppo drammatico- della volontà del "cambiamento": la mafiosità non è un destino a cui si è condannati. 
Oggi a Milano, alle ore 10.00, in piazza Beccaria si terranno i funerali di Lea Garofalo, testimone di giustizia calabrese fatta rapire e uccisa dal marito, Carlo Cosco, il 24 novembre 2009. Libera parteciperà ai funerali che saranno celebrati da don Ciotti. I funerali di Lea sono fortemente voluti da sua figlia, Denise Garofalo, che ha testimoniato contro il padre assassino, con coraggio e con fermezza. 
Le parole di Don Luigi Ciotti:  «Porteremo in piazza il coraggio delle donne che hanno reagito. Prima Lea, poi Denise. Dobbiamo far capire che la mafia non è un destino a cui si è condannati, ma c'è la possibilità di scegliere».

Lea Garofalo
La funzione religiosa si celebrerà al mattino, alle ore 10.00, in piazza Beccaria . Al pomeriggio in via Montello, in quello che era il fortino della famiglia Cosco, alla vittima di mafia sarà intitolato il giardino pubblico, nell'ambito di una festa cittadina che coinvolgerà Comune e associazioni. spiega Il sindaco Giuliano Pisapia  «Denise, la figlia di Lea Garofalo, ha voluto che il funerale di sua madre si tenesse a Milano,  Lo celebreremo in una piazza della città per testimoniare la vicinanza dei milanesi e di tutti coloro che, da ogni parte d’Italia combattono le mafie e la criminalità organizzata. Il giorno dei funerali sarà un momento di riflessione che coinvolgerà tutta la  città. Lea Garofalo non era nata a Milano, ma in questa città era arrivata piena di speranze, qui ha avuto il coraggio di ribellarsi all’ndrangheta diventando testimone di giustizia. Un coraggio che ha pagato con la vita».
L'ultima immagine di Lea Garofalo, ripresa da una telecamera mentre
 passeggia per le strada di Milano, pochi istanti prima di essere rapita
Lea Garofalo era diventata una testimone di giustizia nel 2002, quando aveva deciso di testimoniare sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco. Sottoposta a protezione, nel 2009 commise l'errore di telefonare all'ex, rivelando la propria residenza. Rapita, torturata e uccisa mediante strangolamento, il corpo di Lea venne bruciato in un bidone metallico e poi sepolto nei pressi di Monza. Al processo Denise, la figlia di Lea, decise di testimonare contro il padre, diventando anche lei una collaboratrice di giustizia e facendolo condannare all'ergastolo insieme ad altre quattro persone.
«Lea è stata risucchiata in una famiglia mafiosa, ma poi ha avuto la forza di reagire - spiega il fondatore e presidente di Libera, Don Ciotti - Perché la violenza non è soltanto quella delle armi, ma è anche quella del perbenismo, della delega, dell'indifferenza. La giornata di sabato serve a non farci voltare dall'altra parte».
A Lea Garofalo sarà anche  dedicato il secondo festival dei Beni Confiscati che si terrà a Milano dall’8 al 10 novembre.
«Milano è in prima fila nella lotta contro le mafie e lo testimoniano anche le motivazioni con cui il Comune è stato ammesso come parte civile (video) nel processo contro gli assassini di Lea - ha concluso Pisapia - Il Tribunale ha riconosciuto come il Comune abbia concretamente dimostrato di essere intervenuto con la propria attività amministrativa nel contrasto alle culture mafiose»


venerdì 18 ottobre 2013

Domani 19 ottobre 2013 a Milano si terranno i funerali di Lea Garofalo,

Domani 19 ottobre 2013 a Milano si terranno i funerali di Lea Garofalo, testimone di giustizia calabrese fatta rapire e uccisa dal marito, Carlo Cosco, il 24 novembre 2009. Libera parteciperà ai funerali che saranno celebrati da don Ciotti. I funerali di Lea sono fortemente voluti da sua figlia, Denise Garofalo, che ha testimoniato contro il padre assassino, con coraggio e con fermezza. 
Le parole di Don Luigi Ciotti:  «Porteremo in piazza il coraggio delle donne che hanno reagito. Prima Lea, poi Denise. Dobbiamo far capire che la mafia non è un destino a cui si è condannati, ma c'è la possibilità di scegliere».
 
Lea Garofalo
La funzione religiosa si celebrerà al mattino, alle ore 10.00, in piazza Beccaria . Al pomeriggio in via Montello, in quello che era il fortino della famiglia Cosco, alla vittima di mafia sarà intitolato il giardino pubblico, nell'ambito di una festa cittadina che coinvolgerà Comune e associazioni. spiega Il sindaco Giuliano Pisapia  «Denise, la figlia di Lea Garofalo, ha voluto che il funerale di sua madre si tenesse a Milano,  Lo celebreremo in una piazza della città per testimoniare la vicinanza dei milanesi e di tutti coloro che, da ogni parte d’Italia combattono le mafie e la criminalità organizzata. Il giorno dei funerali sarà un momento di riflessione che coinvolgerà tutta la  città. Lea Garofalo non era nata a Milano, ma in questa città era arrivata piena di speranze, qui ha avuto il coraggio di ribellarsi all’ndrangheta diventando testimone di giustizia. Un coraggio che ha pagato con la vita».
L'ultima immagine di Lea Garofalo, ripresa da una telecamera mentre
 passeggia per le strada di Milano, pochi istanti prima di essere rapita
Lea Garofalo era diventata una testimone di giustizia nel 2002, quando aveva deciso di testimoniare sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco. Sottoposta a protezione, nel 2009 commise l'errore di telefonare all'ex, rivelando la propria residenza. Rapita, torturata e uccisa mediante strangolamento, il corpo di Lea venne bruciato in un bidone metallico e poi sepolto nei pressi di Monza. Al processo Denise, la figlia di Lea, decise di testimonare contro il padre, diventando anche lei una collaboratrice di giustizia e facendolo condannare all'ergastolo insieme ad altre quattro persone.
«Lea è stata risucchiata in una famiglia mafiosa, ma poi ha avuto la forza di reagire - spiega il fondatore e presidente di Libera, Don Ciotti - Perché la violenza non è soltanto quella delle armi, ma è anche quella del perbenismo, della delega, dell'indifferenza. La giornata di sabato serve a non farci voltare dall'altra parte».
A Lea Garofalo sarà anche  dedicato il secondo festival dei Beni Confiscati che si terrà a Milano dall’8 al 10 novembre.
«Milano è in prima fila nella lotta contro le mafie e lo testimoniano anche le motivazioni con cui il Comune è stato ammesso come parte civile (video) nel processo contro gli assassini di Lea - ha concluso Pisapia - Il Tribunale ha riconosciuto come il Comune abbia concretamente dimostrato di essere intervenuto con la propria attività amministrativa nel contrasto alle culture mafiose»


martedì 20 novembre 2012

Lea Garofalo testimone di giustizia, uccisa e sciolta nell'acido dalla 'ndrangheta. Milano ricorda il suo sacrificio

Lea Garofalo, Lea Garofalo testimone di giustizia, uccisa e sciolta nell'acido dalla 'ndrangheta. Milano ricorda il suo sacrificio per il riscatto e la dignità di tutti noi. Iniziative dal 19 al 25 novembre.



l'ultima passeggiata di Lea Garfalo insieme alla figlia Denise

Riportiamo l’articolo scritto da Nando dalla Chiesa e pubblicato su "Il Fatto Quotidiano" il 2 aprile 2012

Lea Garofalo e le ragazze che non mollano

Sei ergastoli per il clan Cosco. Per tutti gli imputati dell’assassinio di Lea Garofalo, la giovane donna calabrese uccisa a Milano per ordine del marito. Colpevole di avere scelto di uscire con la figlia Denise dall’ambiente infernale del narcotraffico e delle faide tra clan e perciò testimone di giustizia. Attirata in trappola dal marito, “giustiziata” a colpi di pistola e successivamente sciolta in cinquanta litri di acido.
Una storia terribile che si è incisa nella coscienza di molti. La ferocia bestiale non aveva fatto però i conti con il coraggio della figlia, che ha trovato la forza di denunciare il padre. E di affrontare la clandestinità per sottrarsi alle pressioni e ai condizionamenti dei familiari. Un delitto, uno sfondo di traffici, un luogo di origine, che disegnano un tipico contesto mafioso, anche se in aula il pubblico ministero non ha voluto invocare l’aggravante di mafia. Da cui la scelta del comune di Milano di costituirsi parte civile. E da qui, soprattutto, l’entrata in scena di un attore collettivo che certo gli imputati non avevano previsto: un gruppo di giovanissime donne, mescolate a qualche coetaneo. Studentesse appena maggiorenni o perfino minorenni che avevano sentito parlare di questa storia in qualche incontro sulla legalità nella propria scuola. Che avevano saputo di questa ragazza fuggitiva e costretta a testimoniare contro il padre e che probabilmente non sarebbe stata creduta: l’avrebbero fatta passare come psichicamente instabile, avrebbero messo in giro su di lei voci ignobili, quante volte non è successo? E chi mai avrebbe preso le sue parti nella Milano in cui per fare accorrere i fotografi bisogna chiamarsi Ruby o Nicole?
Così le giovanissime donne hanno deciso di stare accanto a Denise e di fare propria la sua richiesta di giustizia. Lucia, Marilena, Giovanna, Giulia, Monica, Alessandra, Paola, Elisabetta, Costanza, più di una quindicina in tutto, si sono fatte trovare il 21 settembre al Palazzo di Giustizia, prima sezione della corte d’assise. Emozionate come delle debuttanti. I Cosco non capirono chi fossero e che cosa volessero quelle ragazzine. Così mandarono, perché anche questo succede, un agente della polizia penitenziaria da Giovanna per sapere come mai si fossero date appuntamento proprio lì. Quando lei si sentì interrogare, nonostante l’inesperienza, capì che qualcosa non andava: “E lei perché me lo sta venendo a chiedere?”.
A ogni udienza, appena finita la scuola, le ragazze si davano appuntamento. Dal Virgilio, dal Volta, dal Caravaggio, dall’Università. Anche se Denise non c’era, essendo sotto massima protezione. Si mobilitavano per lei, per la coetanea mai vista e mai conosciuta a cui avevano ucciso e sciolto nell’acido la madre. Con l’idea che quella ingiustizia pesasse anche su di loro. Rimasero perciò di sasso quando il presidente della Corte venne nominato Capo di gabinetto dal nuovo ministro della Giustizia. Quando seppero che per questo il processo sarebbe dovuto ricominciare. Davvero Denise, che già aveva fatto violenza a se stessa per testimoniare la prima volta, sarebbe dovuta tornare ad affrontare domande e insinuazioni? Lucia ricorda perfettamente lo sgomento: “Era novembre, un mercoledì pomeriggio, quando sapemmo che bisognava rifare tutto daccapo. Pensammo che era assurdo, che non esisteva, così decidemmo che il giorno dopo non saremmo andate a scuola e avremmo portato uno striscione bianco con le bombolette mettendoci davanti al tribunale per dire che volevamo giustizia per Denise. Qualcuno ci ammonì che rischiavamo di apparire critiche verso i magistrati, ma noi lo facemmo lo stesso. Ingenuamente, forse. Ma per giustizia”.
Continuarono a esserci. Hanno dato vita addirittura a un presidio di Libera intitolato “Lea Garofalo”Con tanti giovedì sera passati a decidere come coinvolgere giovani e adulti o per stabilire come ripartirsi i turni. L’altro ieri, appena è circolata la voce che la sentenza sarebbe stata pronunciata verso l’ora di cena, si sono date appuntamento di corsa al palazzo di giustizia. Fuori dall’aula, agitate, in silenzio, tenendosi per mano tutto il tempo, con qualche ragazzo che riscattava con la sua presenza il genere maschile. L’emozione della prima sentenza attesa in vita loro. I sei ergastoli? “Non c’è da essere contenti”, dice Giovanna, “Lea non tornerà in vita e un ventenne all’ergastolo (il fidanzato di Denise; nda) non è una bella notizia, però penso che Denise ha avuto giustizia e mi sento più leggera”. Altri i toni di Lucia: “Sono felice. Perché mi sembra che a volte le cose vadano per il verso giusto”. C’è quasi una morale in tutta la vicenda, a ripensarci. Una donna indifesa è stata uccisa con ferocia inaudita da sei uomini. Una donna indifesa anche lei, almeno all’inizio, ha avuto il coraggio di testimoniare per amore. Un’altra donna (la presidente Anna Introini) ha guidato il processo a passi veloci. E altre giovanissime donne hanno voluto che questa storia diventasse di tutti, facendone uno straordinario fatto pubblico.
Lea Garofalo, che gli assassini volevano fare tacere e scomparire per sempre, parla oggi con la sua storia a una città, forse al paese
Noi abbiamo fatto una cosa semplice, spontanea”, commenta Marilena, “si pensa sempre che si debbano fare grandi cose per cambiare, noi abbiamo solo voluto immedesimarci con un’altra ragazza e aiutarla. Certo la sentenza è importante, ma Denise continuerà a vivere sotto protezione. Per questo non finisce qui. Noi le staremo accanto ancora”.
Il Fatto Quotidiano, 1 Aprile 2012