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lunedì 29 ottobre 2012

Processo Stato-mafia: prima udienza per "la trattativa".

Comunque andrà a finire, è già un processo senza precedenti quello che chiedono i pubblici ministeri di Palermo: il pool coordinato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia vuole portare sul banco degli imputati i vertici della mafia e alcuni vertici dello Stato in carica nella stagione terribile delle bombe
Fonte: La Repubblica
Dopo quattro anni di indagini, inizia l'udienza preliminare. L'atto d'accusa della Procura è in 120 faldoni, in cui sono raccolti i verbali di 6 pentiti e 67 testimoni. Ecco la ricostruzione dell'inchiesta e il ruolo dei principali protagonisti
di SALVO PALAZZOLO

I primi della lista sono i capi mafiosi: Totò Riina, Bernardo Provenzano,LeolucaBagarella, Giovanni Brusca e Antonino Cinà. Tutti gli altri imputati sono uomini delle istituzioni: gli ex ministri Calogero Mannino e Nicola Mancino. Poi, un politico di oggi, il senatore Pdl Marcello Dell'Utri, che nel 1992-1993 era un imprenditore di successo e meditava già di fondare un grande movimento politico fatto su misura per l'amico di una vita, Silvio Berlusconi. 
Eccoli, i nomi che questa mattina verranno chiamati dal giudice dell'udienza preliminare Piergiorgio Morosini nell'aula bunker del carcere palermitano di Pagliarelli. Sono gli imputati del processo per la trattativa mafia-Stato. L'elenco si completa con gli ex vertici del Ros dei carabinieri, i generali Mario Mori e Antonio Subranni, il colonnello Giuseppe De Donno. Fra gli imputati c'è anche il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Masimo Ciancimino. In tutto, dodici persone.
Comunque andrà a finire, è già un processo senza precedenti quello che chiedono i pubblici ministeri di Palermo: il pool coordinato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia vuole portare sul banco degli imputati i vertici della mafia e alcuni vertici dello Stato in carica nella stagione terribile delle bombe. Era la stagione in cui tutti gli uomini delle istituzioni dichiaravano di essere per la linea dura contro i mafiosi che avevano ucciso Falcone e Borsellino. In realtà, qualcuno avrebbe trattato con i boss. Nella migliore delle ipotesi, per evitare altre stragi. Nella peggiore, per accreditarsi come nuovo referente dei mafiosi. Poco importa ai pm di Palermo, che hanno scritto nella richiesta di rinvio a giudizio firmata a luglio: "Hanno agito per turbare la regolare attività dei corpi politici dello Stato Italiano e in particolare del governo della Repubblica". E' questa l'accusa per tutti, mafiosi e uomini delle istituzioni. 
Solo l'ex ministro Mancino risponde di falsa testimonianza. Massimo Ciancimino, che nel 2008 ha avviato con le sue dichiarazioni questa  indagine, ma poi si è perso per strada, è accusato di calunnia nei confronti dell'ex capo della polizia Gianni De Gennaro e di concorso esterno in associazione mafiosa. 
E' in questa lista di nomi il processo per la trattativa Stato-mafia, che viene chiesto dal procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e dai sostituti Nino Di Matteo, Lia Sava, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. Sul rinvio a giudizio deciderà il giudice Morosini, probabilmente fra un mese. Prima, dovranno essere affrontate diverse questioni preliminari. Alcuni imputati chiedono il trasferimento del processo ad altra sede: Mancino punta ad essere giudicato separatamente, al tribunale dei ministri. Questa mattina, saranno avanzate le richieste di costituzione di parte civile: le hanno già annunciate il governo, i comuni di Palermo e Firenze, poi anche il comitato delle Agende Rosse di Salvatore Borsellino.
Ecco la ricostruzione dell'indagine sulla trattativa, attraverso i principali protagonisti:

Calogero Mannino - Antonio Subranni 
Secondo i pm di Palermo, sarebbe stato l'ex ministro per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno ad avviare la trattativa con i vertici di Cosa nostra, all'inizio del '92, perché temeva di essere ucciso, come il suo compagno di partito Salvo Lima. Avrebbe rassegnato le sue preoccupazioni al maresciallo Giuliano Guzzelli, che pur non facendo parte dei reparti investigativi dell'Arma era in ottimi rapporti con l'allora comandante del Ros Antonio Subranni. Mannino avrebbe avuto un ruolo nella trattativa anche nel 1993, "esercitando  -  scrivono i pm  -  indebite pressioni finalizzate a condizionare in senso favorevole a detenuti mafiosi la concreta applicazione dei decreti del 41 bis". L'autista dell'allora vice direttore del Dap, Francesco Di Maggio, ha parlato di una telefonata di Mannino, a cui Di Maggio avrebbe risposto duramente: "A me non possono chiedersi certe cose". 

Mario Mori - Giuseppe De Donno - Massimo Ciancimino
Dopo l'allerta di Mannino, sarebbero stati i carabinieri del Ros ad avviare il dialogo segreto fra Stato e mafia, tramite l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino: l'allora vice comandante del raggruppamento, il colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno iniziarono ad incontrare riservatamente Ciancimino. Il figlio dell'ex sindaco, Massimo, che dal 2008 collabora con i magistrati, sostiene che suo padre avrebbe fatto da tramite fra gli ufficiali dell'Arma e il vertice di Cosa nostra. I carabinieri hanno invece sempre negato la trattativa, sostenendo che il loro intento era solo quello di far collaborare con la giustizia Vito Ciancimino. Mori sostiene inoltre di aver incontrato l'ex sindaco solo dopo la strage Borsellino, del luglio 1992. Secondo Ciancimino junior, invece, i primi incontri dell'ufficiale col padre sarebbero stati già a giugno.

Salvatore Riina - Antonino Cinà
Il capo di Cosa nostra avrebbe gestito la trattativa Stato-mafia, tramite Vito Ciancimino, recapitando un "papello", ovvero un foglio con alcune richieste allo Stato: l'abolizione del 41 bis, la revisione dei processi e della sentenze, il via libera alla dissociazione anche per i mafiosi. Secondo la ricostruzione della Procura, il papello sarebbe stato consegnato da Riina a Vito Ciancimino, tramite un intermediario, il medico del capo di Cosa nostra, Antonino Cinà. Attraverso Ciancimino il documento sarebbe poi finito nelle mani dei carabinieri, che però hanno sempre negato di averlo ricevuto. Racconta il pentito Giovanni Brusca che nel giugno 1992, Riina disse che la trattativa doveva essere accelerata, "attraverso un colpetto". E fu ucciso Paolo Borsellino, che probabilmente aveva scoperto il dialogo fra Stato e mafia.

Nicola Mancino
L'ex ministro dell'Interno è accusato di falsa testimonianza e non di attentato a un corpo politico, come tutti gli altri indagati. L'ex ministro della giustizia Claudio Martelli sostiene di avergli detto dell'iniziativa del Ros di avviare un colloquio con Ciancimino. "Gli chiesi di attivarsi per impedire quei contatti", ha ribadito anche di recente Martelli. Mancino nega di aver mai parlato con Martelli del Ros e di Ciancimino. Secondo la Procura di Palermo restano misteriosi i motivi per cui Mancino sostituì all'improvviso al Viminale Vincenzo Scotti, proprio nei giorni della trattativa Stato-mafia, a fine giugno 1992. La Procura ritiene che Scotti fosse per la linea dura contro i boss. Contro Mancino, anche le dichiarazioni del pentito Giovanni Brusca: "Riina mi disse che Mancino era il terminale ultimo della trattativa".  
 
Bernardo Provenzano 
Dopo l'arresto di Totò Riina, catturato dal Ros nel gennaio 1993, i boss di Cosa nostra avrebbero proseguito la trattativa Stato-mafia con l'altro capo corleonese, Bernardo Provenzano, che con Vito Ciancimino ha sempre avuto un rapporto privilegiato. Ma anche Ciancimino, intanto, era finito in cella, dal dicembre 1992. Secondo il racconto di Massimo Ciancimino, il nuovo intermediario di Cosa nostra sarebbe stato Marcello Dell'Utri. Nel 1993, fra maggio e luglio, i mafiosi tornarono a far sentire le proprie richieste attraverso le bombe, scoppiate a Roma, Milano e Firenze, che fecero 10 morti. Al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria  fu imposto un altro direttore, Adalberto Capriotti, al posto di Nicolò Amato, e iniziarono strane manovre per alleggerire il carcere duro ai mafiosi. Provenzano fu poi arrestato nell'aprile 2006: secondo i pm, il boss sarebbe stato protetto dal generale Mori, che per questa ragione è sotto processo a Palermo per favoreggiamento.  

Marcello Dell'Utri  - Giovanni Brusca - Leoluca Bagarella
Il ruolo di Dell'Utri, iniziato secondo i pm nel 1993, sarebbe proseguito anche l'anno successivo, quando Silvio Berlusconi divenne presidente del Consiglio. Scrivono i pm: "I capimafia Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca prospettarono al capo del governo in carica Berlusconi, per il tramite di Vittorio Mangano (deceduto) e di Marcello Dell'Utri, una serie di richieste finalizzate ad ottenere benefici di varia natura per gli aderenti all'associazione Cosa nostra (tra l'altro concernenti la legislazione penale e processuale in materia di contrasto alla criminalità organizzata, l'esito di importanti vicende processuali e il trattamento penitenziario). Ponendo l'ottenimento di detti benefici come condizione ineludibile per porre fine alla strategia di violento attacco frontale alle istituzioni".  

Giovanni Conso - Adalberto Capriotti
Nell'ambito di un'inchiesta bis, l'allora ministro della Giustizia Giovanni Conso è accusato di false dichiarazioni al pubblico ministero. I pm di Palermo gli contestano di aver detto il falso a proposito della mancata revoca di 400 provvedimenti di 41 bis, nel novembre 1993. L'ex Guardasigilli ha sempre detto di aver preso questa scelta in solitudine. La Procura di Palermo sostiene invece che così non fu dopo aver ritrovato una nota dell'allora direttore del Dap, Adalberto Capriotti, che nel giugno 1993 consigliava a Conso di allegerire il carcere duro per i mafiosi, al fine di creare un clima "più distensivo nelle carceri". Anche Capriotti è indagato per false dichiarazioni al pubblico ministero, ma la posizione sua e quella di Conso andranno a giudizio solo dopo la conclusione del processo che riguarda i dodici imputati.
 

martedì 16 ottobre 2012

Corruzione: all'Italia costa 60 miliardi. Appalti gonfiati del 40%

Mentre la crisi economica segna la vita di molti italiani, per i quali "non si trovano le risorse" che possano acconsentire a misure di sostegno del reddito, corrotti e corruttori, cosche-cricche e caste continuano a godere di immensi guadagni illeciti.
Il "libro dei sogni" di come potrebbe essere l'Italia se, a strangolarla, non ci fosse l'Idra a tre teste della corruzione ( a cui si aggiunge il mostro delle mafie) 

fonte: La Repubblica
Il libro bianco del governo sarà presentato lunedì prossimo a Palazzo Chigi. Oltre 400 pagine frutto del lavoro della commissione del ministero della Funzione pubblica: "Intervenire ora con la prevenzione". Il premier: "Il diffondersi di pratiche corruttive mina la fiducia dei mercati, scoraggia gli investimenti, danneggia la competitività". Deleghe subito dopo l'ok al testo Severino. Stop ai condannati nelle liste elettorali

ROMA - Lo apre una prefazione di Monti. Lo chiude un elenco dei più importanti documenti internazionali sulle politiche anti-corruzione. In mezzo c'è il "libro dei sogni" di come potrebbe essere l'Italia se, a strangolarla, non ci fosse l'Idra a tre teste della corruzione. Quella che condanna le imprese grandi e medie del nostro Paese a perdere il 25% del loro tasso di crescita, che sale al 40% per quelle più piccole. Il rapporto sulla corruzione in Italia - di cui Repubblica anticipa i contenuti - sarà presentato lunedì 22 ottobre, a palazzo Chigi, e poi ancora il 6 novembre alla Treccani. Le oltre 400 pagine sono il frutto del lavoro della commissione costituita presso il ministero della Funzione pubblica dal titolare Filippo Patroni Griffi. Con l'obiettivo, come ha detto più volte lo stesso ministro, di "contrastare il fenomeno con la prevenzione, perché la repressione arriva ormai a danni già fatti".

L'ALLARME DI MONTI
Non servono molte parole al capo del governo per etichettare la corruzione per quello che è e per gli effetti che produce. Scrive: "Il diffondersi delle pratiche corruttive mina la fiducia dei mercati e delle imprese, scoraggia gli investimenti dall'estero, determina quindi, tra i suoi molteplici effetti, una perdita di competitività del Paese". Per questo, dice ancora Monti, "la lotta alla corruzione è stata assunta come una priorità del governo".
I dati parlano chiaro: nella classifica del Corruption Perception Index di Trasparency International l'Italia è al 69° posto con Ghana e Macedonia. E nell'indice di percezione della corruzione che va da 1 a 5, come scrive il rapporto, "le rilevazioni attribuiscono 4,4 ai partiti, 4 al Parlamento, 3,7 al settore privato e della pubblica amministrazione".
la campagna di Libera contro i corrotti
Nel volume si ammette che il 64% degli intervistati "ritiene inefficace la risposta del governo ai problema della corruzione".

SUBITO LE DELEGHE
Al richiamo di Monti la commissione anti-corruzione - l'ha coordinata il capo di gabinetto Garofoli, ne facevano parte i magistrati Granelli e Cantone, i professori di diritto amministrativo Mattarella e Merloni, di procedura penale Spangher - risponde mettendo in cantiere un pacchetto di deleghe che il governo potrà esercitare un minuto dopo che la legge contro i corrotti sarà votata a Montecitorio. Innanzitutto sulla non candidabilità dei condannati (Patroni Griffi ha lavorato con il ministro dell'Interno Cancellieri), sulla trasparenza nella pubblica amministrazione, sulle incompatibilità dei dirigenti, sulle sanzioni disciplinari per chi sgarra, sul codice di condotta, il primo dopo quello famoso di Sabino Cassese.

STATO DESTABILIZZATO 
Parla chiaro il rapporto quando si addentra nella disamina dei costi della corruzione. Che certo sono sotto stimati rispetto al loro effettivo ammontare perché bisogna considerare "il dato della scarsa propensione a denunciare i fatti di corruzione propria delle vittime che pure ne siano a conoscenza". Ma ai 60 miliardi di euro all'anno valutati dalla Corte dei conti vanno aggiunti quelli "indiretti". Scrive il rapporto: "Si pensi a quelli connessi ai ritardi nel definire le pratiche amministrative, al cattivo funzionamento degli apparati pubblici, all'inadeguatezza, se non inutilità, delle opere pubbliche, dei servizi pubblici, delle forniture pubbliche". Eccoci ai "costi striscianti", al "rialzo straordinario che colpisce le grandi opere, valutabile intorno al 40 per cento". Sta qui quella che Monti chiama "la perdita di competitività del Paese". Si legge nel rapporto che "la corruzione, se non combattuta adeguatamente, produce costi enormi, destabilizzando le regole dello Stato di diritto e del libero mercato".

CODICI E TRASPARENZA
Per pagine e pagine il "libro dei sogni" di Patroni Griffi discetta di dirigenti obbligati a rigide regole di incompatibilità, di draconiani codici di comportamenti nel settore pubblico, della mannaia disciplinare che, appena passa la legge anti-corruzione e la relativa delega, colpirà i funzionari infedeli. Alle "gole profonde" sarà garantita copertura, ma la vera scommessa è quella della trasparenza online, "nella possibilità per tutti i cittadini di avere accesso diretto all'intero patrimonio informativo delle pubbliche amministrazioni", fatta salva solo la privacy più stringente. Gli enti locali dovranno diventare un libro aperto disponibile per chiunque voglia curiosare sul web. L'Italia potrà sfidare altri paesi che, come gli Usa, già si sono incamminati su questa strada. Chi sarà eletto, a qualsiasi livello, dovrà garantire la totale trasparenza della sua vita e dei suoi averi
Un Grande Fratello che potrebbe evitare in futuro gli ormai innumerevoli casi di patrimoni e ricchezze improvvise costruite grazie al denaro pubblico.

SCURE SU APPALTI E SANITA'
Diventa un "super libro dei sogni" quello che descrive i futuri interventi sulla sanità e sugli appalti pubblici. Rispetto alla totale "insindacabilità odierna" la commissione ipotizza automatismi nella selezione e nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie. Un albo nazionale o regionale e soprattutto nessun incarico "eterno". Controlli incrociati su acquisti e commesse. Idem per gli appalti pubblici dove la commissione prevede "una drastica riduzione delle stazioni appaltanti, la centralizzazione delle gare, un regime più severo delle varianti, l'azionariato esclusivamente pubblico delle Soa", le società che certificano i requisiti complessivi di un'impresa e la sua ammissibilità a una gara pubblica. E qui il rapporto si chiude.

giovedì 6 settembre 2012

Ad Angelo l’ha ammazzato la camorra: la malavita che prevale sulla buona vita.


Ricordate i morti! 
No! Vogliamo ricordare uomini i quali, per  il significato delle azioni che  hanno compiuto nella loro vita, sono stati uccisi da coloro che vedevano in quegli uomini un pericolo per il sistema criminale che domina in tante parti d'Italia. 
Sono tanti gli uomini che, come Angelo Vassallo, sono stati però lasciati soli dalle istituzioni di una nazione che troppe volte ha dimostrato di non voler combattere  le mafie con serietà , continuità ed efficacia.
Angelo Vassallo aveva combattuto per preservare la bellezza del territorio che era stato chiamato ad amministrare.
Anche per questo è stato ucciso la sera del 5 settembre 2010.
A due anni non sono ancora stati scoperti nè i suoi assassini nè le ragioni della sua morte. 
A noi resta il significato della sua vita e della sua azione di amministratore

Stralcio di un capitolo del libro «Il sindaco pescatore» di Dario Vassallo, fratello di Angelo Vassallo:
“Le nove e un quarto di sera del 5 settembre 2010: Angelo Vassallo ha ancora pochi minuti di vita. Sta rientrando dopo una giornata trascorsa a Cuccaro Vetere dove è stato ospite di un politico, Antonio Valiante, insieme ad altri sindaci — avrà mangiato l’Acqua Sale che gli piaceva tanto. L’ha accompagnato Luca Marinelli, un ormeggiatore, uno di famiglia. Verso le 19 Angelo ha fatto un passaggio sul porto di Acciaroli, ha dato un'occhiata al suo mare, le solite quattro chiacchiere con gli amici e un paio d’ore dopo è ripartito e ha deciso di prendere la via di sinistra. Qualcuno lo segue con lo scooter e non lo perde mai di vista — sono sicuro che è andata così. Gira a destra, mio fratello, e comincia a salire sulla stradina che, giusto tre mesi prima, aveva fatto asfaltare. È lunga meno di un chilometro. A un certo punto frena di colpo: un’auto bloccata sul lato destro, proprio davanti alla sua, lo obbliga a fermarsi e a spostarsi dalla parte opposta, contromano. I lampioni sono insolitamente (volutamente) spenti. Angelo non ha la percezione del pericolo: non l’ha mai avuta. Si sarebbe fermato anche se avesse incontrato il diavolo. Un’ombra si avvicina al cristallo di sinistra. Sono sicuro che il bastardo prima di farlo fuori gli urla: «Sindaco del cazzo, ora ti sparo!» E lui: «Sai dove te la devi mettere la pistola?» Nove colpi, sette lo centrano.
L’assassino fa fuoco da meno di mezzo metro, e riesce a sbagliare due volte. Un proiettile scheggia la mano sinistra di Angelo che, d’istinto, prova a proteggersi — non lo immagino fragile e vinto. Nove colpi, nove botti che nessuno sente. Eppure, adesso, scorgo due persone che cenano sul terrazzo della casa nascosta dagli ulivi: è a poche decine di metri dall’angolo morto. Cenavano sul terrazzo anche la sera del 5? E perché non hanno sentito? E com’è possibile che la signora che è passata da quelle parti pochi minuti dopo non si sia accorta di nulla? Ha visto l’Audi di Angelo ferma sul lato sinistro, una posizione insolita, l’ha riconosciuta; dentro c’era il sindaco, ma ha pensato che stesse telefonando. Come ha potuto, il bastardo che ha sparato, fallire due volte da quella distanza? L’ha fatto apposta per far credere che si trattasse di un dilettante? 
Ad Angelo l’ha ammazzato la camorra: la malavita che prevale sulla buona vita.
O possono essere stati quei drogati che l’avevano minacciato qualche giorno prima sul porto. I servizi, sono stati i servizi segreti perché il modello di sviluppo di Angelo Vassallo spaventava a morte il potere, quello vero: l’obiettivo raggiunto dal sindaco pescatore era lo sviluppo del territorio a costo zero. Ipotesi, dubbi, congetture, improvvise folgorazioni, mille inevitabili domande. Se riparto adesso senza una risposta sprofondo immediatamente nell’abisso.
Cerco di riordinare le idee e di farle coincidere con le poche tracce, ma la confusione di quella notte rende tutto più complicato. Quando arrivai da Roma, sconvolto, trovai una ventina di persone attorno all’auto, carabinieri, il pubblico ministero Alfredo Greco, gente comune, inutili curiosi, un paio d’auto passarono indisturbate; il corpo di Angelo non c’era già più — prevalevano il disordine e le lacrime, la notte dell’assassinio di un giusto. Un disordine voluto? Mi hanno parlato falsamente e ognuno mi ha detto una cosa diversa.”
Dario Vassallo

giovedì 26 luglio 2012

La memoria di Rita Atria, fra Partanna e Roma

26 luglio 1992- 26 luglio 2012. 
Vent'anni dalla morte di RITA ATRIA, testimone di giustizia.



Le parole scritte da Rita Atria nel suo diario il giorno dopo la strage di Via D'Amelio:
"(...)Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita (…)  Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici; la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci"

Il brano brano è tratto dal tema di maturità di Rita

L'unica speranza è non arrendersi mai. Finché giudici come Falcone, Paolo Borsellino e tanti come loro vivranno, non bisogna arrendersi mai, e la giustizia e la verità vivrà contro tutto e tutti. L'unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c'è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore.
Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo2.
Rita Atria
Erice 5 giugno 1992




La memoria di Rita Atria, fra Partanna e Roma




venerdì 13 luglio 2012

Sentinelle del territorio. Intervista a Massimiliano Puca, l'eletto presidente della "Commissione Consiliare Speciale di promozione della Legalità e del contrasto dei fenomeni mafiosi"

 Intervista a  Massimiliano Puca, l'eletto presidente della  "Commissione Consiliare Speciale di promozione della Legalità e del contrasto dei fenomeni mafiosi" 



Anche questa volta parliamo di mafie, di mafiosi ma anche di Pinerolo; dell'Operazione Minotauro e degli intrecci perversi con la politica e il mondo degli affari piemontesi; della crisi economica; degli appalti; della 'ndrangheta in Val Susa; di "capitali sporchi" da riciclare; di Monte Oliveto; del Piano Regolatore; di "partito del cemento"; di "conflitto di interesse"; della necessità del confrontarsi "coi migliori della classe"...
Di seguito, le domande rivolte a Massimiliano Puca, consigliere del PDL nel Consiglio Comunale di Pinerolo
  1. Intervistiamo Massimiliano Puca, eletto consigliere del PDL. Ma questa sera lo intervistiamo in quanto eletto presidente della Commissione antimafia, una commissione che in realtà si vuole occupare anche da un punto di vista culturale del problema della mafie, eventualmente presenti anche nel nostro territorio. Rivolgiamo la domanda fatta anche a Marco Gaido. Perché una commissione antimafia a Pinerolo? La domanda può sembrare retorica ma, a nostro parere, non lo è…
  2. Quali sono le competenze di coloro che compongono la Commissione? ( dal min. 1.47 )
  3. E’ prassi per l’amministrazione di Pinerolo avere contatti o ricevere relazioni da parte dei rappresentanti delle forze dell’ordine presenti sul territorio in merito a fenomeni che possano essere riconducibili ai pericoli derivanti dall’infiltrazione mafiosa? ( dal min. 3.45 )
  4. Quali sono i contenuti di questo "contenitore" che, così com'è presentato ed essendo composto formalmente solo da membri del Consiglio Comunale, a noi parrebbe avere il rischio di essere un contenitore di essenziale significato "politico"? mentre pensiamo e speriamo che così non debba essere...  ( dal min. 5.50)
  5. La Commissione, anche se è solo all’inizio dei suoi lavori ma sfruttando anche quello che è il suo passato biografico ( Massimiliano Puca è stato comandante della stazione dei carabinieri di Pinerolo), è a conoscenza di fatti o situazioni da cui si possano ipotizzare forme di  infiltrazione mafiosa sul territorio pinerolese? ( dal min. 7.00)
  6. La Commissione ha intenzione di avere e stabilire contatti e scambi di esperienze e di conoscenze con i comuni e le istituzioni limitrofe, a volte purtroppo interessate dal fenomeno mafioso? ( dal m. 9.37)
  7. A suo parere, quali sono i settori che meritano maggiore attenzione in riferimento alla problematica dell'infiltrazione mafiosa?  ( dal min. 10.43)
  8. Considerando che l'urbanistica  e l'edilizia, come governo e utilizzo del territorio da parte di una amministrazione, sono purtroppo da sempre – e come Lei ha già ricordato-  i settori privilegiati e maggiormente utilizzati dalle organizzazioni mafiose per il riciclo del "denaro sporco", come posta per il "voto di scambio", ritiene che l'urbanistica e l'edilizia del territorio di Pinerolo siano settori da attenzionare?  ( dal min. 11.43)
  9. Vorremmo ricollegarci a quello che Lei ha appena detto. Più volte non è sfuggito il fatto che Lei abbia parlato dell’attuale maggioranza del Consiglio Comunale di Pinerolo come del “partito del cemento”. Questa definizione è solo "una battuta" o trova conferme, o ipotesi, nell’azione amministrativa dell’attuale maggioranza?  ( dal min. 13.40)
  10. Esistono quindi a suo parere situazioni che potremo definire di conflitto di interesse nell’ambito dell’amministrazione pinerolese? O meglio: interessi che potrebbero distogliere gli atti e le decisioni politiche che vengono assunte dal perseguimento del “bene comune”? ( dal min. 14.57)
  11. Ritornando alla questione urbanistica e territoriale, valuta la Commissione di ascoltare e conoscere esperienze significative ed efficaci, ad esempio sull'uso "virtuoso" dell’urbanistica del territorio? Faccio riferimento all’Associazione dei “comuni virtuosi”, a “consumo suolo zero”  (dal min.17.11)
  12. Ha già elaborato la Commissione un regolamento, un programma attuativo che determini forma e carattere della partecipazione ai lavori della  Commissione da parte dei soggetti esterni dal momento che, come recita il testo delladelibera, la Commissione "(...) è aperta alla collaborazione dell'associazionismo, di esperti delle forze dell'ordine e della magistratura"? (dal min.18.58)
  13. Facendo riferimento alla sua esperienza professionale passata, quali ritiene siano gli strumenti efficaci di cui una comunità deve dotarsi, quali i comportamenti, per impedire infiltrazioni mafiose nel proprio territorio? (dal min.20.00)
  14. Nel passato, e nell’ambito della sua esperienza nell’arma dei Carabinieri, ha avuto occasione di confrontarsi col fenomeni di tipo mafioso o con elementi che potessero farne sospettare la vicinanza al fenomeno mafioso? (dal min.21.25)
  15. Libera ha posto l’attenzione esplicita e specifica su determinate attività commerciali quali, ad esempio, le sale-giochi e gli esercizi commerciali che offrono il servizio del cosiddetto “compro-oro”. Lei ritiene che possano costituire attività da attenzionare? (dal min.24.58)
  16. Ringraziamo Massimiliano Puca per l’intervista che ci ha voluto concedere e ne approfittiamo anche per dare in anteprima una comunicazione: è stata fissata, a quanto sappiamo, la data della prima seduta che terrà la Commissione antimafia di Pinerolo. La seduta è stata fissata per il 19 luglio. Siamo orgogliosi perché questa data, come purtroppo sappiamo tutti, è la ricorrenza della strage di Via D’Amelio nella quale persero la vita il giudice Paolo Borsellino insieme ai ragazzi della sua scorta. Quindi vorremmo salutare Massimiliano Puca e dargli l’occasione di dire ancora due parole su questo evento. (dal min.27.25)
Come ha detto Massimiliano Puca, è stato prontamente accolto il suggerimento del presidio Libera “Rita Atria” Pinerolo di voler impegnare simbolicamente i componenti e l’operato della  “Commissione Consiliare Speciale” facendo sì che l’insediamento  della  commissione avvenga proprio il prossimo 19 luglio,   nel ventennale della strage di Via D’Amelio  nella quale vennero uccisi il  giudice Paolo  Borsellino e i  ragazzi della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano,  Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina. 
Tutti i cittadini sono invitati a partecipare alla seduta di insediamento della "Commissione Consiliare Speciale di promozione della cultura della legalità e del contrasto dei fenomeni mafiosi

mercoledì 11 luglio 2012

Sentinelle del territorio . Intervista a Marco Gaido, il proponente della "Commissione Consiliare Speciale di promozione della Legalità e del contrasto dei fenomeni mafiosi"

Intervista a  Marco Gaido, il proponente  della "Commissione Consiliare Speciale di promozione della Legalità e del contrasto dei fenomeni mafiosi"


Parliamo di mafie, di mafiosi ma anche di Pinerolo; della crisi economica, del Piano Regolatore, dell'edilizia, del Parco Olimpico di Pinerolo, del modo di fare politica, degli anticorpi della società, dei "conflitti di interesse"...
Di seguito, le domande rivolte a Marco Gaido, consigliere dell'IDV nel Consiglio Comunale di Pinerolo
  1. La prima domanda può sembrare banale ma secondo noi non lo è: perché una “commissione antimafia” a Pinerolo?
  2. Quali sono le competenze di coloro che compongono o sono stati designati alla Commissione? (dal min. 02.28)
  3. Quali sono i contenuti di questo "contenitore" che, così com'è presentato, ed essendo composto formalmente solo da membri del Consiglio Comunale, ci è apparso sostanzialmente  un "contenitore politico"? (dal min. 04.25)
  4. Lei ha detto che l’idea e l’iniziativa di una Commissione “antimafia” è scaturita anche dall’incontro che abbiamo avuto ( noi del presidio “Rita Atria”) il 21 marzo quando abbiamo celebrato a Pinerolo, per la prima volta, la “Giornata della Memoria”. E allora ci chiediamo se la Commissione ha già elaborato un regolamento programmatico  che determini la forma, i limiti e i contenuti di questa partecipazione che, come lei ha detto e come leggiamo testualmente: "(...) è aperta alla collaborazione dell'associazionismo, di esperti delle forze dell'ordine e della magistratura"?... Proprio perché vorremmo che la commissione avesse un carattere ed una efficacia concreta sul nostro territorio… (dal min. 06.58)
  5. La Commissione è a conoscenza di fatti o situazioni da cui si possano ipotizzare forme di  infiltrazione mafiosa sul territorio pinerolese? (dal min 08.55)
  6. Prima abbiamo parlato di infiltrazioni mafiose, formalmente definite tali. Ma le Operazione Minotauro e Maglio a cui faceva riferimento, e che hanno “rivelato” la presenza delle mafie proprio in provincia di Torino, hanno mostrato come gli esponenti di quasi tutti i partiti si recavano in una sorta di “laico pellegrinaggio” da alcuni personaggi - degli “emeriti sconosciuti” o tali avrebbero dovuto essere- i quali, alla luce delle indagini della magistratura, si sono rivelati essere i capi delle famiglie della ‘ndrangheta in Piemonte. Parliamo di personaggi che non sono professionisti affermati o elementi di rilievo di una comunità. Eppure questi personaggi erano conosciuti nell’ambito politico come referenti a cui doversi rivolgere. Lei ritiene che nel pinerolese ci siano figure di questo genere? Una precisazione: io dico “personaggi” non attualmente e manifestamente implicati in situazioni “mafiose” ma che possano essere ritenuti “collettori di voti”; quali potevano essere considerati questi anonimi personaggi a cui si rivolgevano gli esponenti del PD, dell’IDV, del’PDL. ( dal min. 10.55)
  7. Quindi, a suo modo di vedere, non esistono delle situazioni che potremmo banalmente definire“chiacchierate”? (dal min.14.57)
  8. La Commissione ha intenzione di avere e stabilire contatti e scambi di esperienze e di conoscenze con i comuni e le istituzioni limitrofe interessate dalle inchieste di cui abbiamo parlato? (dal min. 15.37)
  9. Quali sono, secondo lei e a parere della Commissione che si andrà costituendo, i settori che meritano maggiore attenzione in riferimento alla problematica dell'infiltrazione mafiosa? (dal min 16.47)
  10. Libera ha voluto porre l’attenzione anche su altri settori problematici: il gioco d’azzardo, le sale-giochi e altre attività quali i cosiddetti “compro-oro”. Questo perché si sono verificati casi in cui non era chiara la tracciabilità del denaro e della merce presente in queste attività commerciali. Ritiene anche Lei che queste possano essere punti di attenzione della vostra attività? (dal min 17.29)
  11. Vorremmo ritornare un attimo sulla questione “edilizia” o meglio sullo strumento che dovrebbe governare l’edilizia ovverosia l’Urbanistica, visto che l’amministrazione ha “il patrocinio” dell’indirizzo urbanistico di una città. La città di Pinerolo ha un Piano Regolatore che, a detta di quasi tutte le forze politiche che hanno partecipato alle ultime elezioni, risulta essere sovradimensionato. Pertanto, uno dei punti che venivano presentati dalle forze politiche era la necessità di una revisione dell’attuale Piano Regolatore. Le pare che questa politica di revisione e di limitazione dell’attività edificatoria di Pinerolo sia portata avanti? E ritiene che l’attività edificatoria, essendo storicamente uno dei campi a maggior rischio di infiltrazione mafiosa, sia controllata e controllabile con  lo strumento urbanistico di Pinerolo? (dal min 21.42)
  12. Lei ha parlato giustamente di tutela del suolo, di tutela degli aspetti paesaggistici della città di Pinerolo. Nel panorama politico italiano ci sono delle esperienze portate avanti dai cosiddetti “comuni virtuosi”. Ovvero sia comuni che hanno scelto, che hanno attuato, la “crescita zero” per l’edilizia del territorio. Ritenete che possa essere utile e interessante per la Commissione di ascoltare e conoscere esperienze di questo genere? (dal min 27.20)
  13. In conseguenza della sua esperienza professionale, quali ritiene siano gli strumenti efficaci di cui una comunità deve dotarsi, quali i comportamenti -della comunità e dell’amministrazione della comunità- per impedire infiltrazioni mafiose nel proprio territorio? (dal min 33.56)
  14. Rivolgiamo a Marco Gaido la stessa domanda posta nell’intervista a Massimiliano Puca. Ovvero sia: Lei ritiene che nell’ambito della amministrazione di Pinerolo, poiché Massimiliano Puca ha più volte parlato a questo riguardo di “partito del cemento”, esistano “conflitti di interesse”? (dal min 40.15)





domenica 8 luglio 2012

Cena della Legalità: Presidio Libera "Rita Atria" Pinerolo

Il presidio LIBERA "Rita Atria", nel ricordo del ventennale delle stragi siciliane, organizza la Cena della Legalità, il 21 luglio 2012 a partire dalle ore 19.30 un' occasione per incontrarci, conoscerci,  riflettere. 
La "Cena della legalità" si svolgerà presso l'En Plein Air, Pinerolo, Str.le Baudenasca n.118
La serata vedrà la partecipazione del gruppo musicale "Le Vie traverse".
Il costo della "Cena della Legalità" è di € 15,00 per gli adulti e di € 10,00 per i bambini di età inferiore ai nove anni. 
La prenotazione alla "Cena della Legalità" può essere effettuata entro il 17 luglio 2012 presso il bar "Da Vinci", Pinerolo, C.so Torino n.  82 
Per info.: e.mail liberapinerolo@gmail.com  Arturo Francesco Incurato  tel.338.3116374



venerdì 22 giugno 2012

In Europa la 'ndrangheta non esiste!


Duiisburg, provincia di Reggio Calabria. Ora le 'ndrine 
hanno una seconda patria
Fonte : LA Repubblica
di GIOVANNI TIZIAN e FABIO TONACCI
Duisburg, provincia di Reggio Calabria Ora le 'ndrine hanno una seconda patria
Dalla provincia sullo Stretto, l'organizzazione si è diffusa in quasi tutto il Vecchio Continente: Spagna, Francia, Svizzera, Olanda, Paesi dell'Est. Ma soprattutto in Germania. E l'80 per cento del narcotraffico è nelle sue mani. Con un controllo del territorio che somiglia a quello della madrepatria. Anche se i tedeschi sembrano non rendersene conto
"Buon vespro!", urla il padrino. "Buon vespro", rispondono in coro i sei uomini della locale, sistemati attorno alla tavola. Salvatore Femia prende fiato, e poi recita la formula. "La mia pancia è una tomba, il mio petto è una palata con parole di umiltà, è formata la società!". Il summit della "locale" di 'ndrangheta può iniziare. Nella stanza sul retro del ristorante di Femia, il "Rikaro", si parla di appalti, si parla di fare affari coi russi. Si parla della "mamma". Le microspie della polizia registrano anche le voci ovattate dei clienti della sala accanto, al numero tre di Hegaustrasse. Sono le otto di sera del 20 dicembre del 2009. E a Singen, paesone di 45 mila persone nel sud della Germania, 2000 chilometri a nord di "mamma" Reggio Calabria, è una serata gelida. Quanto sappiamo veramente delle infiltrazioni in Europa della mafia più potente d'Italia, che sta raggiungendo quella russa per importanza e giro d'affari?
Provincia di Reggio Calabria
La 'ndrangheta oggi controlla l'80 per cento del narcotraffico europeo. Secondo la Direzione nazionale antimafia introita con la droga 27 miliardi di euro all'anno. Ha colonizzato tutti gli stati dell'Unione, seguendo due logiche. L'emigrazione storica calabrese e il business. Importa e smercia cocaina ed eroina, investe in immobili e villaggi turistici, acquisisce società e titoli finanziari, organizza estorsioni, traffica in armi. Una multinazionale del crimine inserita dagli esperti del governo statunitense al quarto posto tra le organizzazioni mondiali più pericolose, dopo Al Quaeda, il Pkk e i narcos messicani. E la Germania è la sua seconda patria.
Nella provincia di Costanza (al confine con la Svizzera), dove si trova Singen, vivono 7 mila emigrati, il 40 per cento dei quali è di origine calabrese. Arrivati in terra tedesca con la grande ondata del 1959, che portò 200 mila italiani nei distretti produttivi del Nord Reno-Vestfalia. Radolfzell, cittadina di 33 mila anime è un'altra Singen. In superficie, placida come le acque del lago di Costanza su cui affaccia. Ma qui, nascosti in una palazzina anonima sulla Öschlestrasse, si riunivano alcuni degli 'ndranghetisti arrestati nell'indagine Crimine 2 della Procura antimafia di Reggio Calabria.
Un'inchiesta che ha raccontato alla Germania una verità ignorata ma sotto gli occhi i tutti. E cioè che la strage di Duisburg del ferragosto 2007, l'ultimo atto della faida di San Luca che lasciò a terra nel sangue sei esponenti della 'ndrina dei Pelle-Vottari, non era un caso. Non era solo roba di italienish. Un rapporto del Bundesnachritendienst, i servizi segreti tedeschi, già nel 2006 segnalava che gli 'ndranghetisti avevano fatto un salto di qualità, acquistando pacchetti azionari di Gazprom e di altre compagnie energetiche. Tre anni dopo, nel 2009, la polizia federale dichiarava che in Germania c'erano almeno 230 'ndrine con 1800 affiliati, dislocati soprattutto in Baviera, Assia, Renania settentrionale. Cinque "locali" sono impiantate a Ravensburg, Francoforte, Engen, Rielasingen e Singen. A Berlino, Duisburg, Erfurt e Monaco investono milioni di euro le famiglie dei Pelle, dei Nirta-Strangio, i Vottari, i Romeo. Tutti di San Luca. A Colonia i Morabito di Africo, a Stoccarda i crotonesi che - si sospetta - hanno strutturato una "locale". "E oltre ad investire - spiega Michele Prestipino, procuratore aggiunto dell'Antimafia di Reggio Calabria - controllano il territorio con estorsioni ed intimidazioni, come in Calabria e nella cintura urbana di Milano. Impongono il pizzo, e non solo agli emigranti calabresi. Decidono a chi deve andare il voto degli italiani all'estero". Ma come nasce una "locale" all'estero? E che rapporto si instaura con le cosche in Italia?
La mamma è sempre la mamma
"I governi francesi, tedeschi e spagnoli non vogliono ammettere di essere infettati dalla 'ndrangheta, perché la mafia porta soldi", scandisce Luigi Bonaventura, seduto al tavolo del salotto nella casa di Termoli affidatagli dal servizio di protezione ("sì, scrivetelo che sto a Termoli, perché lo sanno tutti ormai, lo sa anche chi mi sta cercando per uccidermi"). Bonaventura non è un pentito come gli altri. Cinque anni fa era il capocosca dei Vrenna-Bonaventura di Crotone, poi la scelta di collaborare con la giustizia. "La 'ndrangheta è arrivata dovunque, ma la sua testa rimane in provincia di Reggio Calabria, la "mamma" è sempre lì  -  dice - la vera forza sta nella capacità di adattamento. Bastano due-tre persone per formare una 'ndrina. E all'inizio hanno una certa autonomia, possono sperimentare modelli criminali diversi, allearsi con la malavita locale, scegliere strategie. Ma quando il business acquista volume, non si scappa...". Modelli criminali a geometria variabile, ma sempre dentro il recinto disegnato dai patriarchi dell'Organizzazione. E se una partita di coca o un investimento immobiliare non necessita dell'approvazione della casa madre, l'apertura di una unità locale, il conferimento di gradi e il regolamento dei rapporti tra clan esteri vengono discussi per forza al "Crimine" della provincia di Reggio Calabria. L'organo che assomiglia a un atipico Cda aziendale, deputato a coordinare la 'ndrangheta nel mondo. "In Germania hanno sistemato decine di locali, in Svizzera hanno i soldi - continua Bonaventura - in Olanda e Belgio controllano i porti. In Costa Azzurra hanno le ville, in Bulgaria investono nel settore turistico, nei Balcani controllano la rotta della droga. Non è difficile capire come si espande la 'ndrangheta, seguite i soldi".
Società svizzere e immobili italiani
Il portafoglio gravido di denaro sporco nelle tasche dei boss, quantificato nel 2008 in 44 miliardi di euro da Eurispes, porta in Svizzera. Nelle banche, dove è nascosto il tesoro della 'ndrangheta, e nell'alta finanza. "Alcune cosche della costa tirrenica - spiega il procuratore Michele Prestipino - aprono società a Zurigo a cui intestano titoli e beni immobili in Italia, per sottrarli al fisco e ai controlli". L'Antimafia italiana ha certificato l'esistenza di due locali, a Zurigo e a Frauenfeld. Nell'operazione Crimine 2 spunta un soggetto, "Ntoni lo svizzero" alias Antonio Nesci, cugino alla lontana del capo di Singen Bruno Nesci. Gli investigatori lo ascoltano al telefono mentre spiega che a Mossendorf, borgo svizzero di 3 mila anime, può contare su cinque persone, "uomini a mia disposizione", dice.
Nelle valli attorno a Zurigo i capicosca sono per lo più a piede libero. Liberi di gestire aziende e ristoranti a nome proprio. Come i boss della ndrina catanzarese Ferrazzo, presenti nel cantone di Zurigo. In Svizzera passano gli interessi e il denaro delle famiglie Bellocco di Rosarno, Gallico e Parrello di Palmi. I clan cioè che, qualche migliaio di chilometri più a sud, si sono spartiti negli anni gli appalti dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria.
Alleata con tutti, e con nessuno
"La 'ndrangheta non ha problemi a fare affari con gente di ogni razza e nazione", spiegava qualche anno fa ai magistrati il pentito Saverio Morabito. Lavora e sfrutta tutte le realtà criminali estere, ma non stabilisce mai vere alleanze. E' in quest'ottica, opportunistica e parassita, che vanno interpretate le reti che ha creato per controllare i grandi porti di Rotterdam, Anversa, Barcellona, Pireo: le vie d'ingresso della droga in Europa.
In un recente rapporto riservato della polizia olandese si legge che "tra Amsterdam, Hoofddorp, Diemen e Amstelveen vivono almeno una ventina di boss calabresi e un centinaio di 'ndranghetisti che trafficano in armi, eroina, cocaina e pasticche. Hanno appartamenti di lusso in piazza Minerva ad Amsterdam, agiscono indisturbati perché il governo olandese non è consapevole del loro passato criminale". Sono legati alle famiglie Nirta-Strangio e Romeo di San Luca (Giovanni Strangio, protagonista della strage di Duisburg, venne arrestato il 12 marzo 2009 proprio a Diemen) e alle 'ndrine di Cirò e Corigliano Calabro. Ebbene, quel rapporto spiega che la 'ndrangheta ha contatti con i 5 criminali più pericolosi d'Olanda. Non solo. Per controllare le merci del porto di Rotterdam, dove passa il 30 per cento della cocaina proveniente dalla Colombia (sono circa 36 mila chili che arrivano ogni anno sulle navi, nascosti nei container di frutta), si serve di una alleanza strategica con i mafiosi albanesi. E si garantisce informazioni e impunità infiltrando i suoi nella polizia. Come ha fatto con Barbara Fun, olandese di 39 anni, che grazie ad amicizie nei servizi segreti fino al 2010 ha potuto lavorare nella polizia regionale di Haaglanden nonostante nel 1992 fosse stata arrestata in Portogallo insieme con due esponenti della cosca Di Giovane-Serraino.
Con la mafia russa la 'ndrangheta dialoga da quando è caduto il muro di Berlino. La "lingua" è sempre quella: armi e coca. Sulla rotta balcanica della droga, che parte dall'Afganistan e passa da Grecia, Romania, Albania e paesi dell'ex Jugoslavia, la 'ndrangheta ha legami con tutti i gruppi criminali autoctoni. La mafia serbo-montenegrina si è offerta di consegnare eroina e cocaina ai calabresi direttamente a Milano. L'operazione Magna Charta del Ros dei Carabinieri, che il 4 giugno scorso ha portato all'arresto di una trentina di trafficanti in tutta Europa, ha svelato l'asse che si era creato per il trasporto via mare tra una cosca piemontese affiliata ai Bellocco di Rosarno e l'uomo d'affari Evelin Banev, sospettato di essere uno dei capi della mafia bulgara. "Anche mio zio Sergio Vrenna  -  racconta a Repubblica il pentito Luigi Bonaventura  -  ha affari con la mafia bulgara, con la quale condivide il codice "del coltello", il codice d'onore mafioso. Andate a vedere gli investimenti immobiliari dei calabresi sulle coste turistiche del mar Nero. Tutta roba nostra". E poi c'è Barcellona.
Barcellona, la "nuova" Marsiglia
La capitale della Catalogna è il nuovo crocevia europeo delle mafie. "Siamo tutti là, sembra la Marsiglia degli anni ottanta", vanno dicendo da qualche anno gli 'ndranghetisti. A Barcellona si sono ritrovati i calabresi della cosca Piromalli di Gioia Tauro, e la 'ndrina Parrello e Gallico di Palmi. Ci sono poi gli emissari dei narcos colombiani e messicani, le cui joint venture della coca con la 'ndrangheta sono ormai stabili e ben oliate. Qui, nei ristoranti attorno alla Ramblas, si decidono i prezzi delle grandi partite di droga in arrivo dal Sudamerica. L'ultimo a finire in carcere è stato Carmelo Gallico, 48 anni, detto "U Picu", capo dell'omonima cosca di Palmi. Si nascondeva in un'abitazione nel quartiere universitario di Barcellona, e si intestava fittiziamente delle proprietà in Italia.
Il terreno spagnolo è stato concimato e reso fertile soprattutto da un soggetto: Santo Maesano, alias Hoffa, alias il professore, il capo delle famiglie calabresi Maesano-Paviglianiti. Lo racconta Francesco Forgione nel libro "Mafia Export". Trasferitosi in Spagna alla fine degli anni Novanta, Maesano era uno dei più grandi narcotrafficanti del mondo. Dal centro penitenziario Valdemoro di Madrid faceva affari con i suoi referenti in Colombia e in Venezuela, comprava armi, riceveva il suo vice Vincenzo Romeo. Il carcere Valdemoro era più una casa di riposo che una vera prigione.
In Spagna, dunque, non esiste il regime speciale del 41 bis. In Svizzera i boss girano senza nascondersi. In Germania addirittura le mogli degli 'ndranghetisti arrestati ricevono il sussidio di disoccupazione, 365 euro al mese. "E sono esentati dal pagare l'affitto", come racconta Vito Giudicepietro, sindacalista del patronato Inca-Cgil di Singen, punto di riferimento della comunità italiana. Com'è possibile? Con quali mezzi si sta contrastando la 'ndrangheta all'estero?
In Europa la 'ndrangheta non esiste
Il problema è che, tecnicamente, la mafia non esiste nei codici giuridici degli stati europei. Il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso c'è solo in Italia, introdotto nel 1982. All'estero appartenere a una cosca, far parte di una 'ndrina riconosciuta, non è di per se un reato. Se non ci sono delitti specifici, le forze dell'ordine non possono aggredire i patrimoni mafiosi con i sequestri preventivi, né emettere custodie cautelari. "Il crimine organizzato progredisce e noi siamo ciechi", ha sintetizzato pochi giorni fa il commissario della polizia francese Jean-Francois Gayraud davanti alla commissione antimafia europea.  
"Quegli ordinamenti giuridici orbi - dice Prestipino - sono l'ostacolo più grande. In Europa le istituzioni fanno fatica a comprendere la pericolosità del vincolo associativo e la forza di intimidazione dei clan". Qualcosa, eppure, si muove. La nostra Direzione nazionale antimafia sempre più viene presa a modello dalle polizie estere. Le 111 rogatorie inviate nel 2011 dalla Dia ai paesi europei (34 alla Spagna, 27 all'Olanda, 14 alla Germania, 7 al Belgio)hanno trovato la collaborazione che meritavano. E da Bruxelles il direttore dell'Olaf (Ufficio per la lotta antifrode) Giovanni Kessler, dopo aver segnalato un aumento del 10 per cento negli ultimi due anni delle indagini su reati economici e finanziari della criminalità organizzata, sposa una nuova linea. "Serve un soggetto europeo unico che abbia poteri investigativi e di accusa, serve il procuratore europeo". E in molti, anche all'estero, guardano alla Direzione investigativa antimafia (Dia) come a un modello da esportare.


mercoledì 13 giugno 2012

PROCESSO "MINOTAURO": la 'ndrangheta in Piemonte


 PROCESSO MINOTAURO

'Ndrangheta, chieste 73 condanne

Fonte: La Stampa


Il processo si svolge nell'aula bunker del tribunale in corso Regina

L'accusa è associazione mafiosa
L'operazione ha svelato i legami
tra cosche e politica in Piemonte

TORINO
La Procura di Torino ha chiesto la condanna di 73 persone, la maggior parte per associazione di stampo mafioso, nell'ambito dell’inchiesta Minotauro, l’operazione, con 170 indagati, che ha smantellato le cosche della ’ndrangheta in Piemonte svelando tentativi di condizionamento della vita politica locale.
Le richieste sono state formulate per gli imputati che hanno scelto di farsi giudicare con il rito abbreviato. La pena più alta, 15 anni, proposta per Aldo Cosimo Crea.

Per ricordare Giuseppe Letizia. "La mafia uccide, la speranza non muore".

Per ricordare che "La mafia è una montagna di merda!" (Peppino Impastato)
Fonte: Corleone Dialogos
Corleone: "La mafia uccide, la speranza non muore". Per ricordare Giuseppe Letizia...PDFStampaEmail
articoli - Corleone
Scritto da Clarissa Arvizzigno   
Martedì 12 Giugno 2012 20:59
"La mafia uccide, la speranza non muore", perché Cosa Nostra è capace di ammazzare silenziosa, di stroncare vite, di trucidare corpi celandosi dietro l'ombra dell'omertà, del disonore, che tuttavia scopre un velo di "speranza" come riscatto per il presente che si deve fare certezza per il futuro .
Martedì 12 giugno 2012 l'I.C. Giuseppe Vasi con l'Assessorato regionale della Pubblica Istruzione ha organizzato un incontro con i ragazzi, con i docenti delle scuole corleonesi in memoria di Giuseppe Letizia , giovane vittima uccisa dalla mafia nel 1948.Il terreno confiscato alla mafia in contrada Sant'Ippolito e assegnato all'IPA ora porterà il suo nome. Una morte prematura quella del piccolo Giuseppe, che nel suo apparente "silenzio" sembra riecheggiare quella giustizia pressoché assente nella Corleone di Luciano Liggio e di Michele Navarra. Una giustizia fatta di lupare, di fucili, di violenza che si macchia del sangue di Placido Rizzotto per sopprimere l'eco di una speranza che il giovane sindacalista desiderava divenisse realtà: "Fare del lavoro onesto il fondamento di una Corleone libera dalla mafia." Sono intervenuti tra gli altri il Sindaco di Corleone Lea Savona, il Senatore Giuseppe Lumia e ha coordinato i lavori Pippo Cipriani coordinatore nazionale dell'I. F. Santi.
Il perché della necessità di un diploma di licenza media ad honorem di Giuseppe Letizia è stato spiegato dal Dirigente scolastico, Prof. Leoluca Sciortino con una duplice motivazione. Da un lato, infatti, si rende onore alla memoria di un ragazzino cui è stato sottratto per sempre il diritto all'istruzione, dall'altro ci si serve di questa memoria come chiave di lettura per il presente, come simbolo di riscatto in grado di mobilitare le coscienze pietrificate del popolo corleonese.
"Il lavoro che rende liberi dalla mafia": forse è questo lo spiraglio di speranza, anzi l'arma più efficace per combattere Cosa Nostra, per creare in una realtà inerte delle idee mobili, dei pensieri liberi.
Queste le parole del Coordinatore di Libera Informazione Palermo Giuseppe Crapisi, questo il messaggio che svecchia Cosa Nostra denudandola nella sua misera malvagità: "Libera coniuga memoria e impegno, ricordando come a Corleone nel passato la memoria è stata cancellata dalla mafia; anche Giuseppe Letizia è stato dimenticato, ma ciò che Cosa Nostra ha voluto cancellare è l'idea radicata della vecchia mafia che non tocca donne e bambini. Giuseppe Letizia dà memoria di cosa è stata sempre la mafia. Così, ricordando Verro, Rizzotto, voglio ricordare che la memoria deve essere accompagnata dall'impegno per dare lavoro ai cittadini". 
Tuttavia Corleone non è il paese della mafia bensì dell'antimafia, come ha ricordato l'assessore regionale della Pubblica Istruzione Mario Centorrino.
Si dovrebbe sradicare questa ideologia fin troppo cristallizzata che vede Corleone come capitale della mafia; perché è "l'idea" che servendosi dell'ausilio della memoria plasma l'azione, le dà corpo e dunque la sorregge creando così "un'azione mobile e dinamica" volta a combattere comuni pregiudizi, false opinioni, ma soprattutto le mille facce di Cosa Nostra.

venerdì 8 giugno 2012

L'Anpi ricorda le vittime del nazifascismo con una festa che guarda all'attualità


Dal 14 al 17 giugno a Marzabotto la terza festa nazionale 

dell'Anpi. Lo slogan: "La memoria batte nel cuore del 

futuro". Ma nel programma c'è ampio spazio alla contemporaneità

Fonte : LA REPUBBLICA 






L'Anpi ricorda le vittime del nazifascismo  con una festa che guarda all'attualità






"LA MEMORIA batte nel cuore del futuro". Non è solo lo slogan che accompagna la terza festa nazionale dell'Anpi 1, organizza dall'Associazione nazionale partigiani dal 14 al 17 giugno a Marzabotto, dove i tedeschi il 5 ottobre del 1944 uccisero 770 civili. Ma anche un modo per raccogliere sempre più giovani - e non è un caso che siano migliaia i ragazzi e le ragazze iscritti negli ultimi anni a sempre nuove sezioni territoriali - intorno ai valori dell'antifascismo, della Resistenza e della Costituzione. "Cioè i veri capisaldi della democrazia e del suo futuro", come ha sottolineato a Roma, presentando il programma, il presidente nazionale Anpi Carlo Smuraglia

Mentre il programma prevede quattro giorni di dibattiti, lezioni, spettacoli - tra cui un concerto dei Modena City Ramblers - il segnale forte vuole essere anche quello della solidarietà, visto che ci si trova in territorio emiliano: tra gli invitati, anche i sindaci di Novi e di Cento, devastati dal terremoto 2, a cui l'Anpi donerà parte dei fondi raccolti durante la festa. 
Più che testimonianza e ricordo, politica vera: quella che i partiti sembrano fare poco o nulla, e che spiega la grande attenzione - da parte dei giovani e non solo dei vecchi partigiani - verso l'Anpi. I temi su cui si concentreranno i dibattiti sono la richiesta di verità e giustizia per le stragi naziste, il diffondersi dei neofascismi in Europa, il destino delle donne islamiche dopo la primavera araba (non così positivo come ci si augurava durante le rivolte, come ha sottolineato  Smuraglia presentando il dibattito che include giornaliste, studiose, blogger e attiviste, da Farian Sabahi a Francesca Caferri, da Leena Ben Mhenni a Aya Homsi) e, infine, la cultura della legalità contro la mafia (tra gli altri parteciperanno Armando Spataro, Nando dalla Chiesa, Benedetta Tobagi).                                          
"Il tema della giustizia alle vittime - spiega il presidente dell'Anpi - resta la nostra principale preoccupazione. Basti pensare che il prossimo 15 giugno si svolgerà a Roma l'udienza preliminare per la strage di Cefalonia. Un ritardo inaccettabile che l'Anpi farà presente al governo italiano".
Ci sarà spazio anche per parlare di legge elettorale e "voglie" di presidenzialismo - che Smuraglia boccia, come ogni altra suggestione dirigistica che tolga peso alla figura attuale del presidente della Repubblica - nonché di respingere ancora una volta ogni proposta di accorpare in un'unica ricorrenza le date del 25 aprile e 2 giugno, come vorrebbe il Pdl. 
Ma è vero che la crisi economica è uno dei grandi temi e dei rischi da non sottovalutare: e rafforzare la memoria è necessario. Perché "fu la crisi economica e sociale a portare alle grandi dittature dei primi del Novecento. I rigurgiti neonazisti in Grecia, e quello che sta accadendo in Ungheria in questi anni, sono un campanello d'allarme da non sottovalutare".
Anche se la festa è dedicata a tutte le vittime delle stragi nazifasciste (inaugurazione alle 16.30 di giovedì 14 nella sala consiliare del comune di Marzabotto), si parlerà quindi più di attualità che di storia. A partire dalla "normalità" della Resistenza. Quella da cui - insistono i promotori - far ripartire il futuro. 
DONATELLA ALFONSO