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giovedì 21 aprile 2016

Occorre difendere e sostenere "la scomoda e pericolosa categoria degli onesti":“ Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti “

Dalle sconfitte di questi giorni comprendiamo come sia necessario difendere e sostenere "la scomoda e pericolosa categoria degli onesti"
La sconfitta. Domenica scorsa abbiamo assistito  allo svolgimento del referendum "sulle trivelle", conclusosi amaramente per noi associazioni e per i milioni di cittadini che lo hanno appassionatamente appoggiato mettendo in pratica il diritto-dovere del voto, diritto conquistato e sancito dalla nostra Carta Costituzionale.  
La sconfitta. Di ieri la notizia che il Comune di Brescello, nella ricca e "rossa"(?) Emilia Romagna, è stato sciolto per infiltrazione mafiosa (leggi qui): una mafia che in pochi hanno denunciato mentre in molti -"la politica" e gran parte della cosiddetta "società civile" e imprenditoriale di quella terra , l'Emilia- hanno fatto finta di non vedere e di non riconoscere. 
Entrambe le situazioni mostrano ancora una volta, a nostro parere, come il modo più subdolo per minare le fondamenta della Democrazia sia non tanto quello di impedire o negare al popolo lo svolgimento di momenti fondamentale del sistema democratico -il voto, la partecipazione alla "cosa publica"- quanto quello di instillare il pensiero che quelle cose -votare, partecipare- non servano sostanzialmente a nulla. Salvo poi lamentarsi e tacciare di qualunquismo la disaffezione crescente a quei momenti, la vulgata del "tanto son tutti uguali...tanto non cambia mai niente...pecunia non olet" e "gli affari" prima di tutto..."
La mancata partecipazione al referendum sull'ambiente, le tante inchieste che quotidianamente svelano nel nostro Paese la presenza di mafie e "pensiero mafioso" ( l'intreccio perverso di "mala-politica" e mafie" , corruzioneconflitto di interessi,) in molti ci si attenderebbe una reazione concreta della cosiddetta "società civile" a quei fatti; una reazione capace di suscitare indignazione e impegno tali da costruire una nuova "resistenza", una maggiore partecipazione popolare alla difesa del "bene comune". Anche perchè a godere della disaffezione e del declino della "partecipazione" ( "causa ed effetto" degli episodi sopra citati) sembrano essere proprio coloro che dall'esercizio della "politica del potere" (ben differente dalle "politica del servizio") traggono vantaggi per sè e per i gruppi a cui fanno riferimento: quelle che oggi indichiamo caste-cricche-cosche e che le inchieste giudiziarie ( solo quelle ahinoi!) portano alla luce quotidianamente in Italia. 

La denuncia e la resistenza
Il disinteresse verso la cosa pubblica, l'avversione alla partecipazione concreta e attiva della vita delle comunità, non pare tuttavia essere solo un atteggiamento di mero qualunquismo. Sembra piuttosto anche il frutto di vicende storiche ci hanno mostrano una tale involuzione morale della politica partitica da far dire amaramente al sen. Elvio Fassone, nostro concittadino: “(…) La classe politica non è mai all’altezza. Purtroppo la politica non riesce ad attrarre chi dovrebbe". (leggi qui il nostro articolo)”.
Sembra di essere giunti all'ultimo episodio di una trama nefasta che ha origini lontane e che sentinelle inascoltate avevano denunciato già decenni orsono, a cavallo fra gli anni '70 e 80 dello scorso secolo. Fra quelle sentinelle potremmo citare Peppino Impastato e i siciliani onesti quando rivelano "gli affari (il)leciti" della mafia imprenditoriale; il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il quale nell'ultima intervista rilasciata a Giorgio Bocca ( 10 agosto 1982), "rivela" tutto quello che c'era e c'è da capire delle mafie del loro rapporto col potere politico ed economico. 
Per il tema che trattiamo ora, sentinella inascoltata fu Enrico Berlinguer, col suo vano tentativo di porre "la questione morale" nell'ambito della politica partitica italiana denunciando, ancora una volta con una intervista rilasciata a Eugenio Scalfari il 27 luglio 1981, cosa erano diventati i partiti e la società italiana: soggetti "poco civili" che si scambiano "favori" deprecabili: "(...) I partiti di oggi sono soprattutto macchina di potere e di
clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune (...)molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più.(...)". ( leggi qui l'intervita di E. Berlinguer).


La pericolosa categoria degli onesti
Oggi, fra le altre, vogliamo ricordare un'altra "sentinella inascoltata: Italo Calvino
Pochi giorni orsono,nel suo articolo "La democrazia senza morale"( leggi qui)Stefano Rodotà cita uno scritto di Italo Calvino pubblicato da La repubblica il 15 marzo 1980. In quello scritto Calvino svela quello che già era evidente ad occhi attenti e onesti. Gli scandali conclamati della prima e della seconda repubblica erano di là da venire, la presenza soffocante delle mafie era realtà taciuta, ma ad occhi attenti e onesti tutto era già chiaro. 
Ed è chiaro, secondo Calvino, perchè "la scomoda e pericolosa categoria degli onesti" deve trovare quotidianamente ragione e forza di esistere: perchè in un paese di corrotti, la resistenza degli onesti "(...) avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è."
Italo Calvino
Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti “ 
(La Repubblica, 15 marzo 1980)

Italo Calvino
"C’era un paese che si reggeva sull’illecito.
Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo d’una sua armonia.
Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perché per la propria morale interna ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito; anzi, benemerito: in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; l’illegalità formale quindi non escludeva una superiore legalità sostanziale. Vero è che in ogni transizione illecita a favore di entità collettive è usanza che una quota parte resti in mano di singoli individui, come equa ricompensa delle indispensabili prestazioni di procacciamento e mediazione: quindi l’illecito, che per la morale interna del gruppo era lecito, portava con se una frangia di illecito anche per quella morale. Ma a guardar bene il privato che si trovava a intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro d’aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè poteva senza ipocrisia convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita.
Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale alimentato dalle imposte su ogni attività lecita, e finanziava -lecitamente- tutti coloro che, lecitamente o illecitamente, riuscivano a farsi finanziare. Perché in quel paese dove nessuno era disposto non diciamo a fare bancarotta ma neppure a rimetterci di suo ( e non si vede in nome di che cosa si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse) la finanza pubblica serviva a integrare lecitamente, in nome del bene comune, i disavanzi delle attività che sempre in nome del bene comune s’erano distinte per via illecita.
La riscossione delle tasse, che in altre epoche e civiltà poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza d’atto di forza ( così come in certe località all’esazione da parte dello stato s’aggiungeva quella d’organizzazioni gangsteristiche o mafiose, atto di forza cui il contribuente sottostava per evitare guai maggiori pur provando, anziché il sollievo della coscienza a posto, la sensazione sgradevole d’una complicità passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il privilegio delle attività illecite, normalmente esentate da ogni imposta.
Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva d’applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino a allora le loro ragioni per considerarsi impunibili. In quei casi il sentimento dominante, anziché la soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse d’un regolamento di conti d’un centro di potere contro un altro centro di potere. Cosicché era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle battaglie intestine tra interessi illeciti, oppure se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e d’interessi illeciti come tutti gli altri.
Naturalmente una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo tradizionale che coi sequestri di persona e gli svaligiamenti di banche ( e tante altre attività più modeste fino allo scippo in motoretta) s’inserivano come un elemento d’imprevedibilità nella giostra dei miliardi, facendone deviare il flusso verso percorsi sotterranei, da cui prima o poi certo riemergevano in mille forme inaspettate di finanza lecita o illecita.
In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che, usando quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge, e con un ben dosato stillicidio d’ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini, illustri e oscuri, si proponevano come l’unica alternativa globale al sistema. Ma il loro vero effetto sul sistema era quello di rafforzarlo fino a diventarne il puntello indispensabile, confermandone la convinzione d’essere il migliore sistema possibile e di non dover cambiare in nulla. Così tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto.
Gli onesti
Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti. Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione ( non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede.
Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile.
Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che così come in margine a tutte le società durante millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, di tagliaborse, di ladruncoli, di gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare la società , ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé ( almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale, così la contro-società degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità , di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è. " 
Italo Calvino

mercoledì 26 agosto 2015

Pinerolo "capitale"? Una domanda. Quale risposta?

Al rientro da brevi vacanze, non può mancare di suscitare interesse l'articolo della redazione di Vita Diocesana nel quale si ri-propone l'immagine di Pinerolo, come "capitale" di un territorio più o meno vasto. Ma più importante dell'immagine di Pinerolo-capitale pare sia l'interrogativo sotteso all'immagine stessa: quale classe politica, quale energia della cosiddetta "società civile", può dare vita ad un cammino che porti al "rinascimento pinerolese"?

Come referente del presidio di LIBERA "Rita Atria" Pinerolo, la mente del sottoscritto corre a una riflessione sorta all'interno del nostro gruppo a seguito di una intervista “coraggiosa”, rilasciata nel settembre dello scorso anno dal nostro concittadino il senatore Elvio Fassone ( leggi qui); coraggiosa perchè fra altre cose- il sen. Fassone esprimeva un giudizio sugli “eletti”, coloro che sono chiamati a guidare la comunità:“(…) La classe politica non è mai all’altezza. Purtroppo infatti la politica non riesce ad attrarre chi dovrebbe. (…)” Le elezioni dovrebbero servire, nel senso antico del termine (eligere) a selezionare i migliori. Tuttavia questi dovrebbero farsi avanti, e ciò quasi mai accade.(...)".
Le parole di Elvio Fassone, come già detto, avevano stimolato una nostra riflessione, di carattere generale, sulla "politica"; una riflessione che mi permetto ora di riportare auspicando che si apra davvero un dibattito nella nostra comunità, teso a stimolare energie che si offrano -e si pongano- "a servizio" della città. Come ci ricorda anche Dario Seglie nel suo commento all'articolo di Vita Diocesana, il passato di Pinerolo meriterebbe ( imporrebbe?) una comunità che sapesse assumersi la responsabilità di esprimere eccellenza civile, etica, politica e morale. D'altra parte, a mio parere, il ruolo di "capofila-capitale" di un territorio non può che essere titolo riconosciuto dal territorio stesso (a chi vorrebbe assumere quel ruolo) in conseguenza di manifeste eccellenze civili, morali, etiche, politiche.
Arturo Francesco Incurato.

Fonte : Vita Diocesana

Pinerolo capitale? 

Leggi qui il testo integrale dell'articolo e i commenti


agosto 2015

È stato presentato il 25 luglio scorso un documento programmatico in vista delle prossime elezioni amministrative. «Pinerolo è la “capitale” dell’area omogenea pinerolese – si legge nel documento – e pertanto, diventa conseguente che anche la dimensione amministrativa della città si apra alla nuova stagione politica, individuando una delega specifica all’area omogenea metropolitana nella giunta di Pinerolo, da affidare ad un profilo che rappresenti l’espressione coesa di tutto il pinerolese e capace di coinvolgere le migliori energie disponibili ad investire per la città ed il suo territorio in un’ottica “metropolitana”». Insomma, Pinerolo immaginata come capoluogo di una mini-provincia.

Ma chi può dare gambe e concretezza a questo progetto? «Gli strumenti operativi – si legge ancora – dovranno essere individuati in soggetti che già operano sul territorio e che rappresentano un patrimonio consolidato di energie ed esperienze, sia individuali che collettive». Parallelamente a questo progetto, denominato solennemente “per un nuovo rinascimento pinerolese” (forse anche solo “rinascita” potrebbe bastare), già spuntano nomi e cognomi di aspiranti sindaco (o dovremmo dire presidente?). L’autunno, con ogni probabilità, imporrà alle varie formazioni politiche di scoprire le carte.

La Redazione

venerdì 12 giugno 2015

Enrico Berlinguer e la "questione morale": sentinella inascoltata

Ieri ricorreva l'anniversatrio della morte di Enrico Berlinguer uomo-simbolo di quella corrente di pensiero politico che una volta chiamavamo Sinistra. Enrico Berlinguer muore l'11 giugno 1984 alla guida del Partito Comunista.Enrico Berlinguer muore lasciando una eredità morale e umana che nessuno è stato in grado di raccogliere. Non è un caso che la sua memoria, il suo ricordo, proprio nella giornata di ieri sia apparso "sbiadito e scomodo" per un Paese come l'Italia dei nostri giorni, sconquassato dagli scandali di una classe politica e dirigente indegna del confronto con uomini quali Enrico Berlinguer: un paese che ha rinunciato a confrontarsi con la "questione morale" che Enrico berlinguer aveva avuto il coraggio di denunciare. sentinella inascoltata
Ce li ricordiamo gli anni di Berlinguer? Erano anni cruciali. Gli anni che seguirono il boom economico degli anni sessanta sono anni di cambiamenti profondi, segnati e accompagnati da storie drammatiche che insanguinano l'Italia già a partire dalll'immediato dopoguerra: la strategia del terrore inaugurata dalla strage di Portella dellae Ginestre, guerre di mafie, il terrorismo. 
Sono anni di cambiamenti tumultuosi  che investono la cultura stessa delle comunità italiane e i valori su cui si fondano i rapporti fra gli individui. Cambiamenti su cui pare riflettere solo l'analisi di alcuni protagonisti del mondo culturale dell'epoca: poche sentinelle, inascoltate! Nel campo dell'arte cinematografica, l film “Le mani sulla città”, del regista Francesco Rosi, descrive e spiega meglio di tanti trattati cause e fatti di quanto avveniva, tratteggiando anche le conseguenze che ne sarebbero poi derivate. Nel panorama della cultura letteraria vano e sottovalutato fu l’allarme di Pier Paolo Pasolini verso i falsi miti della modernità, nei confronti della trasformazione “antropologica” che gli italiani subivano, aderendo a modelli di cui oggi avvertiamo -con colpevole ritardo- la vacuità e la insostenibilità.
Conseguenza di questo fu l'ascesa e l'affermazione di una classe dirigente, politica ed economica, il cui degrado etico sarà denunciato proprio da Enrico Berlinguer. Nella celebre intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari (28 luglio del 1981) Berlinguer parla chiaramente: “(...) I partiti di oggi sono soprattutto macchina di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune(...)”. 
In quella intervista Enrico Berlinguer ha ancora la possibilità di difendere "una diversità" del suo partito, della sua Sinistra, che, alla luce dei fatti accaduti è stata poi offesa e cancellata dalle tante "iene e sciacalleti" rappresentati da coloro che spesso ne hanno preso il posto. Qui il testo integrale di quella intervista .
Ripetiamo quanto abbiamo già detto: "Rileggendo quell'intervista, anzicchè "analisi datata" del mondo dei partiti dell'epoca,  le parole di Berlinguer appaiono come "il copione" seguito poi da "pezzi" della nazione, in cui varie componenti "colludono"  in uno scambio di reciproci favori e omissioni, barattando "doveri e diritti", facendo strame dei principi fondativi della nazione stessa". Facile ora riconoscere nelle parole di Berlinguer quel ceto politico inquietante, e con tratti a volte eminentemente “criminali”, incarnato da amministratori che diedero vita al cosiddetto “Sacco di Palermo”, anni Sessanta dello scorso secolo, e che oggi ritroviamo protagonisti delle tante “mafie capitali”, “provinciali e cittadine” portate quotidianamente alla luce da scandali e inchieste della magistratura. E mai che una voce di denuncia si levi prima dell'intervento della magistratura, da ambienti che appaiono spesso più “complici” che “vittime” di un sistema corruttivo che non ha eguali nel mondo occidentale. 
 

venerdì 8 maggio 2015

Da Berlinguer a Saviano: i partiti e la questione morale

Troppi segnali ci dicono che la questione morale, l'etica della classe politica e dirigente di questo paese, non è fondamento prioritario nè per quanto riguarda la condotta di coloro che sono "nominati" ( eletti) a ricoprire cariche pubbliche, nè per quanto riguarda la scelta di costoro, operata dai partiti che hanno monopolizzato la vita e le espressioni della politica. Prova ne sono anche le leggi scaturite da un parlamento formato nella sua maggioranza proprio da "nominati"; i quali nominati debbono la loro elezione spesso al mero, e poco nobile, criterio di "appartenenza e lealtà" al capo di turno.
Anche il provvedimento deciso ieri sull'abolizione del vitalizio ai parlamentari condannati pare essere stato annacquato dall'ennesimo (vergognoso) accordo sottobanco fra partiti, tanto che oggi il presidente del Senato Pietro Grasso dichiara " Avrei voluto di più, ma ci vuole il consenso". Questo sappiamo: che anche ieri, aldilà delle dichiarazioni di facciata, nel parlamento italiano è  mancato il consenso per agire con decisione su una legge vergognosa. Vergogna!

Enrico Belinguer così diceva nella celebre intervista a E. Scalfari, pubblicata da La repubblica il 28 luglio 1981: "(...) I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss".(...)"

Di ieri la denuncia di Roberto Saviano: "Gomorra è nelle liste di Vincenzo De Luca. La lotta alla mafia non è una priorità di Matteo Renzi. (...) Nel Pd e nelle liste c’è tutto il sistema di Gomorra, indipendentemente se ci sono o meno le volontà dei boss. Il Pd nel Sud Italia non ha avuto alcuna intenzione di interrompere una tradizione consolidata. Il Pd non sta facendo la battaglia promessa. Ha creduto che utilizzare le figure di Grasso o di Cantone fosse la garanzia di un’immagine diversa. Ed è questo che Renzi vuole: un’immagine diversa. Sicuramente c’è una parte di mondo del Pd in prima linea contro le mafie, ma questo governo ha fatto poco contro le mafie".

 Fonte HUFFINGTON POST

Roberto Saviano: "Gomorra è nelle liste di Vincenzo De Luca. La lotta alla mafia non è una priorità di Matteo Renzi"

Roberto Saviano, cinque anni fa fu De Luca ad accusare Caldoro di avere in casa i casalesi. Ora i termini si sono ribaltati?
Le liste di De Luca non sono affatto liste con nomi nuovi e in nessun caso trasformano il modo di fare politica in Campania. Direi che ricalcano le solite vecchie logiche di clientele. E non c’è niente da fare. E' sempre stato questo e questo sarà: le liste si fanno su chi è in grado di portare pacchetti di voti.
Vedendo le liste elettorali a sostegno di De Luca, direi che il caso più imbarazzante è quello di Enrico Maria Natale. Che cosa rappresenta a Casal di Principe la sua famiglia?
È certamente quello di Natale il nome più eclatante perché la sua famiglia è stata più volte accusata di essere in continuità con la famiglia Schiavone. Negli anni Novanta hanno avuto un ruolo nel mondo dell’imprenditoria grigia. Questa candidatura a dimostrazione che De Luca non sta affatto cambiando il modo di fare politica in Campania.

E poi ci sono gli uomini di Cosentino che puntano sul centro-sinistra.
Gli uomini di Cosentino che puntano al centrosinistra per vendetta contro Caldoro ci sono sempre stati. Cosentino ha sempre considerato Caldoro uno dei responsabili della sua messa in crisi nel partito e quindi c’è sempre stato questo flusso apparentemente contrario a ogni logica. Nicola Turco ad esempio è un fedelissimo di Cosentino, ora sua moglie è candidata e ha dichiarato apertamente in un'intervista a Concita Sannino che "De Luca non è di sinistra, non ha nulla di sinistra…". E quindi ci sta bene. Pure la Criscuolo era legata a Cosentino e Scajola. Insomma c’è di tutto.

Insomma c’è di tutto.
Sì, pure Aveta, uno che si è sempre dichiarato neo-fascista.

Te lo chiedo senza tanti giri di parole: nelle liste del Pd e della coalizione che sostiene De Luca c’è Gomorra?
Ti rispondo senza giri di parole: assolutamente sì. Nel Pd e nelle liste c’è tutto il sistema di Gomorra, indipendentemente se ci sono o meno le volontà dei boss. Il Pd nel Sud Italia non ha avuto alcuna intenzione di interrompere una tradizione consolidata. E cioè alla politica ci si rivolge per ottenere diritti: il lavoro, un posto in ospedale… Il diritto non esiste. Il diritto si ottiene mediando: io ti do il voto, in cambio ricevo un diritto. Il politico non dà visioni, prospettive, percorsi, ma dà opportunità in cambio di consenso. E De Luca, in questo, è uno che ci sa fare. La politica dovrebbe essere tutt’altro. Dovrebbe ottenere consenso in cambio di trasformazioni complesse e complessive della società. Invece dando il proprio voto l'elettore rinuncia a chiedere progetto e trasformazione in cambio di una e una sola cosa.

Tu hai fatto un elenco di nomi e hai detto che il sistema Gomorra è anche nel centrosinistra. Significa, facendo il passaggio successivo, che non serve aspettare i processi per dire che con certe persone non si può neanche prendere il caffè al bar.
Al di là delle condanne e delle manette che sono altra cosa e mi interessa meno, non avendo mai avuto l’ossessione manettara di tanta parte del giornalismo italiano, lì si tratta proprio di opportunità politica. De Luca ha capito che per vincere deve portare clientele, attraverso persone modeste, senza visione e deve togliere le clientele a Caldoro. Ecco: la guerra che si stanno facendo Caldoro e De Luca è tutta qui, sulle clientele, ed è per questo che De Luca ha avuto bisogno di De Mita. Non c’è bisogno di andare in questura per dire che le persone di cui abbiamo parlato, a Casal di Principe e non solo, sono incandidabili se appartieni a un partito che dice, o meglio millanta, di trasformare. Non scherziamo. Ora: De Luca sa benissimo che sono impresentabili e forse, dopo questi articoli, farà la mossa di toglierne qualcuno ma non può fare a meno del voto di scambio.

Potremmo proseguire con altri nomi, come gli ex responsabili del governo Berlusconi a sostegno di De Luca: Iannaccone, Cesario o Pisacane che ha candidato la moglie. O l’ex mastelliano Barbato. Ma vorrei fare con te un ragionamento di fondo. Si può dire che siamo oltre il trasformismo? Qui stiamo di fronte a un blocco di potere e interessi che si lega allo schieramento finora alternativo, determinandone la mutazione genetica.
Secondo me la triste verità è che non si sposta nulla, resta tutto identico dove è sempre stato. Cambiano gli orientamenti ma tutto resta sempre lì, fermo, immobile. Il trasformismo nasce come una opportunità per chi fa politica, per fare cassa, ma non è solo un fatto economico. La tradizione meridionale, in questo senso, è tipica: il primo figlio fa il medico, quindi ha un ruolo importante; il secondo, che deve difendere gli affari di famiglia, fa l’avvocato; il più incapace il politico. È sempre stato così, nella tradizione meridionale. Ma il riciclo del ceto politico nasce non semplicemente dalla volontà delle persone, ma anche dalla volontà degli elettori. Può sembrare paradossale ma è così. L’elettore meridionale medio non ne vuole sapere di un politico nuovo che magari ha progetti e idee. Vuole il vecchio che gli garantisca il posto di lavoro, il posto alla nonna all’ospedale, la mensa, l’asilo, quello che ti dà di volta in volta il favore, in cambio del voto. Quindi l’elettorato non si fida del nuovo e preferisce il vecchio che vede come garanzia. Da qui nascono i nomi che abbiamo detto. Un vecchio arnese della politica garantisce favori più di un nuovo politico con idee e progetti che spesso nessuno gli farà realizzare.

E da qui l’allarme che lanciasti alle primarie.
Lanciai l’allarme perché sapevo che sarebbe successo questo. Dissi: non legittimate politici che hanno già in mente come vincere e come posizionarsi. E quindi l’invito a non votare era l’invito a non legittimare questo sistema. Le primarie non si sono svolte con una competizione su argomenti: tutti ci raccontavano la stessa storia, non era una questione di contenuti, erano solo una battaglia tra le fazioni e tra le clientele di uno e dell’altro.

Una volta il Pci era il partito della lotta alla mafia, il Pci di La Torre, il Pci che selezionava la propria classe dirigente prima che arrivasse la magistratura. Ora questo Pd cosa è?
Il Pd non sta facendo la battaglia promessa. Ha creduto che utilizzare le figure di Grasso o di Cantone fosse la garanzia di un’immagine diversa. Ed è questo che Renzi vuole: un’immagine diversa. Sicuramente c’è una parte di mondo del Pd in prima linea contro le mafie, ma questo governo ha fatto poco contro le mafie. In un certo senso si è trovato in una congiuntura anche positiva: non ci sono stragi o faide mafiose e quindi l’opinione pubblica non chiede a questo governo di rispondere con urgenza. Ma davvero non c’è stata una mossa vera per contrastare il riciclaggio, per contrastare la presenza endemica della mafia nelle banche o negli appalti. Questo Pd non ha un’anima che sente come una priorità l’antimafia. Ovviamente non mi sentirei di dire che stiamo parlando di collusioni come succedeva in Forza Italia, però da qui a considerarsi, appunto, un partito antimafia… ce ne passa. Anche la vicenda De Luca, lo dimostra.

Andiamo dritti alla narrazione renziana cui accennavi. Uno dei simboli è Cantone, magistrato di punta nelle inchieste sui casalesi, ora molto esposto col governo sulla terreno della lotta alla corruzione. Cantone da un lato e queste liste dall’altro. Come leggi questa fotografia?
Cantone aveva avuto un rapporto già con Enrico Letta poi con Renzi, quindi ha chiara la visione della situazione. La fotografia la spiego così: sembra esserci molta prudenza da parte del governo e da parte di Cantone, che è un amico, a prendere posizione. È come se tutti fossero in attesa di essere nel prossimo governo eletto dal popolo. Uso una metafora: oggi ci dobbiamo fare incudine e ci dobbiamo stare, domani quando saremo martello batteremo. Ho molto questa sensazione, si preferisce intervenire su De Gennaro, difendendolo, piuttosto che sulla vicenda Campania, che è un dramma incredibile. È come se ci fosse una specie di compromesso. In questo momento noi non possiamo agire perché il rischio di perdere e di farci male sarebbe troppo, quindi glissiamo e aspettiamo quando ci si darà il potere vero, con un governo eletto. Credo che Renzi speri in cuor suo che vinca Caldoro così da risolvergli il problema De Luca. Il grande rimosso del governo è il Sud Italia.

In conclusione: chi votare in Campania? Alle primarie dicesti: non partecipate. Lo dici anche oggi sperando che l’indignazione civica si esprima con l’astensionismo?
Non votare alle primarie aveva senso per mostrare che le primarie erano una competizione farlocca. Alle elezioni bisogna andare e prendere parte. Mi sento di dire che ognuno scelga nel migliore dei modi tra Cinque Stelle, Sel, Pd, Caldoro. Ormai la Campania è in una situazione drammatica. Si sta anche spostando l’attenzione mediatica e la narrazione che sta vincendo è quella cui ha contribuito anche De Magistris: chi racconta le cose sta in qualche modo diffamando e si deve parlare solo di cose belle, come il Maschio Angioino, la musica, l’arte. Ma queste bellezze non sono merito del sindaco, non sono merito di coloro che mi spingono a celebrarle. Ecco, anche questa narrazione ha contribuito a costruire la classe dirigente che strozza Napoli e la città è affogata tra l’estremismo di una minoranza ricca che almanacca su impossibili rivoluzioni e palingenesi e una piccola borghesia spesso compromessa e corrotta. In mezzo la parte maggiore onesta e assediata che un po' spera un po' subisce, un po' sta a guardare per capire se vince il toro o il torero. Penso che l’unico che potrebbe oggi descrivere la situazione se ne è andato qualche tempo fa e mi manca molto: Franco Rosi.