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lunedì 29 aprile 2013

Gli studenti italiani: "È colpa della politica se la mafia non è ancora stato debellata e le istituzioni sono responsabili se si infiltra nell’economia sociale "


Sono stati pubblicati i risultati emersi dalla settima rilevazione sulla percezione mafiosa condotta dal "Centro Pio La Torre" di Palermo  tra quasi 2000 studenti delle scuole medie superiori italiane. Vito Lo Monaco, presidente del Centro: "(...) dovrebbe riflettere l'intera classe dirigente nazionale:
- per il 94,52% degli studenti la mafia ha un rapporto molto o abbastanza forte con la politica 
- per il 45,06%  la mafia non potrà essere definitivamente sconfitta
- per il 49,35% la mafia è più forte dello Stato 
Ma gli studenti indicano i colpevoli di questa situazione:"(...) È colpa della politica se la mafia non è ancora stato debellata e le istituzioni sono responsabili se si infiltra nell’economia sociale e ha il potere di controllo sul futuro (...)  

Fonte : La Stampa

Palermo: per uno studente su due
“La mafia è più forte dello Stato”


È colpa della politica se la mafia non è ancora stato debellata e le istituzioni sono responsabili se si infiltra nell’economia sociale e ha il potere di controllo sul futuro. Per questa ragione la mafia è più forte dello Stato e sarà molto difficile riuscire a sconfiggerla. Questa la sintesi dei risultati della settima rilevazione sulla percezione mafiosa condotta dal Centro Pio La Torre di Palermo tra quasi 2000 studenti delle scuole medie superiori italiane partecipanti al progetto educativo antimafia promosso dallo stesso Centro. Per il 45,06% dei rispondenti la mafia non potrà essere definitivamente sconfitta, per il 94,52% ha un rapporto molto o abbastanza forte con la politica e per il 49,35% è più forte dello Stato. 

«Questo è l’aspetto più negativo registrato dall’indagine -commenta Vito Lo Monaco, presidente del Centro Pio La Torre- sul quale dovrebbe riflettere tutta la classe dirigente del Paese, soprattutto alla luce dei risultati delle elezioni di febbraio. Esse, infatti, hanno dimostrato una grande mobilità degli elettori, disponibili a premiare i nuovi fenomeni di populismo esasperato, e pronto a raccogliere i frutti del disorientamento provocato dalla crisi economica, dalle politiche del Centrodestra, dal governo dei tecnici e dalla persistente contraddittorieta’ delle proposte del Centrosinistra, diviso e perciò poco credibile». 

Ma come riuscire a combattere la mafia e riscattarsi? Il 38,45% degli studenti suggeriscono di non sostenere l’economia mafiosa (per esempio, non acquistando droghe o merce contraffatta) e il 21,67% di non essere omertosi. Mentre lo Stato dovrebbe «colpire la mafia nei suoi interessi economici» (22,50%) e «combattere la corruzione e/o il clientelismo» (24m40%). Molto importante per i ragazzi anche l’educazione alla legalità (17,26%). «Il 66% dei ragazzi -rileva Antonio La Spina, ordinario di sociologia dell’Università di Palermo- discute dell’argomento soprattutto con i docenti, il che evidenzia per un verso che in altre sedi ciò avviene assai meno, ma anche che i docenti che aderiscono al progetto si dedicano intensamente all’educazione antimafia. Emerge anche che, soprattutto alle superiori, il 70% circa degli studenti in questione ha partecipato ad almeno un’altra attività di educazione antimafia in anni precedenti a quello in corso». 

mercoledì 6 febbraio 2013

Corte dei Conti: "In Italia, la corruzione pregiudica lo stato dell'economia"


"In Italia la corruzione pregiudica lo stato dell'economia e il già elevato peso del fisco, "fuori linea" rispetto ad altri paesi europei, favorisce la recessione". E' l'allarme "a tutto tondo" lanciato ieri da Luigi Giampaoli, presidente della Corte dei Conti, all'inaugurazione dell'anno giudiziario. 
Il sistema malato, si regge sul connubio perverso tra la "mala-politica", che determina i privilegi delle tante caste-cricche -cosche che dominano l'Italia, e le mafie  presenti su tutto il territorio nazionale. 

Fonte: La repubblica

“Serve un’agenda contro le mafie”
FEDERICO VARESE
L’esperto: le organizzazioni criminali riducono la concorrenza, fanno lievitare i prezzi e impediscono lo sviluppo del Paese
Peppino Impastato gridava dai microfoni di Radio Aut: “la mafia è una montagna di merda.” Eppure i partiti continuano a sottovalutare questo scandalo italiano che dura da quasi duecento anni. L’Agenda Monti ha il merito di aver formulato alcune proposte concrete, ma le poche idee utili che circolano in questa campagna elettorale naufragano nella cacofonia assordante dei proclami, dei tweets e dei verdetti sulle apparizioni televisive di Berlusconi. Nessuno sembra capire che la lotta alla mafia è parte integrante dalla riforma dello stato e dei rapporti economici.  

Cosa fanno le mafie nell’economia legale? Usano la violenza per penetrare certi mercati locali, come l’edilizia e il piccolo commercio. Monti vuole “mettere al centro della politica economica la concorrenza,” ma questo obiettivo non si ottiene se non si sconfigge la mafia. Infatti queste organizzazioni criminali riducono la concorrenza, scoraggiando gli imprenditori non protetti, e agiscono come garanti di accordi di cartello. Riforme più incisive di quelle proposte sino ad ora sono necessarie. L’Autorità per la Concorrenza dovrebbe avere più poteri e creare al suo interno unità che contrastino attività sospette nelle zone e nei mercati a rischio. Andrebbe inoltre introdotto un meccanismo per la segnalazione di situazioni anomale da parte della Dia e della Procura nazionale antimafia all’Autorità Garante. Rompere i cartelli mafiosi conviene. Ad esempio, quando si è sciolto il consorzio di imprese di calcestruzzo di Caserta (Cedic) protetto dalla Camorra, il prezzo del calcestruzzo è sceso di più del 40%

Anche la riforma della giustizia civile (citata sia da Monti che dal Pd) è parte integrante della lotta alla mafia. Nelle parti del paese dove la mafia comanda, cittadini e imprenditori sono tentati di rivolgersi a Don Peppe per risolvere controversie e conflitti. In Italia i procedimenti civili di cognizione impiegano in media mille giorni per ciascun grado. Come nota Carlo Cusatelli, ci vogliono otto anni per sapere chi ha vinto una causa civile. Non stupisce che qualcuno sia tentato di usare mezzi più spicci. Ma per rendere la giustizia più efficiente non basta aumentare la spesa: nel 2010, l’Italia ha investito nel sistema giudiziario lo 0,28% del PIL pro-capite, in linea con Germania e Olanda, e decisamente di più di Francia e Inghilterra & Galles. La giustizia italiana è afflitta da un cronico problema organizzativo. Ad esempio, la riorganizzazione del lavoro degli uffici giudiziari elaborata da Mario Barbuto ha permesso di ridurre il carico pendente del Tribunale di Torino del 33% dal 2001 al 2006.  

La riforma della pubblica amministrazione è un tassello cruciale della lotta contro la mafia. Le organizzazioni criminali forgiano alleanze di lungo periodo con professionisti e amministratori pubblici. Un primo passo sarebbe affidare alcuni incarichi professionali con un sistema di estrazione a sorte. Il vicesindaco di Novara ha tentato di mettere in pratica questa idea, ma ha incontrato forti resistenze da parte degli ordini professionali. Bisogna inoltre stabilire chiaramente quali sono i comportamenti che costituiscono una rottura del vincolo di fiducia tra dipendente pubblico e cittadini. In quei casi, si dovrebbe almeno poter trasferire in maniera rapida ad altro incarico il funzionario. Il Comune di Corsico ha costituito gruppi di lavoro collettivi per pratiche particolarmente sensibili alle pressioni criminali, come le licenze e gli appalti. Questo permette di aumentare il controllo sull’operato del singolo garantendo una maggior trasparenza all’interno della pubblica amministrazione. Inoltre, rendere le decisioni collegiali permette al dipendente di difendersi contro le richieste di favori. Sarebbe bene sviluppare anche un sistema nazionale per la tracciabilità online delle pratiche che permetta di ricostruire la storia di ogni singola decisione. Infine, bisogna incoraggiare le cosiddette «vedette civiche» (whistleblowers), quei dipendenti pubblici che denunciano illegalità nell’amministrazione.  

Questo non è tutto. Insieme a Paolo Campana, ho elaborato altre proposte concrete (ora sul sito www.exlegi.ox.ac.uk). Ad esempio, a nostro parere bisognerebbe estendere le norme della legge sull’incandidabilità al Parlamento a tutti gli eletti; promuovere maggiore centralizzazione delle decisioni sugli appalti (come proposto sia da Monti che da Sel); riformare il sistema di assegnazione dei beni confiscati dalla mafia, come suggerito da Libera e, in alcuni casi, vendere i beni; introdurre maggiore responsabilità delle aziende per atti che promuovono corruzione e mafia; e riformare il credito. 
La montagna che Peppino Impastato vedeva a Cinisi può essere scalata, e conquistata. 

martedì 30 ottobre 2012

Leinì non riesce a costituirsi "parte civile" nel processo Minotauro. Colpa dell'avvocato del boss di Scampia Paolo Di Lauro, detto «Ciruzzo o’ milionario».


Chi sono i professionisti (casertani) prescelti dall'ex commissario Provolo a tutelare la città dominata dai Coral e dalla 'ndrangheta? E davvero tutto casuale, frutto solo di quelle che appaiono come inopportune coincidenze?

 

fonte: la Stampa

L’avvocato che ha tradito Leini

Operazione Minotauro. Così il Comune, principale vittima, esce di scena dal processo «Minotauro» contro l’ex sindaco, e non si sa se il nuovo commissario chiederà i danni al legale di Santa Maria Capua Vetere
Il legale salta l’udienza: il Comune
non sarà parte civile contro Coral
RAPHAËL ZANOTTI
TORINO
Leini è una città vittima di intrecci maledetti. Per quasi 20 anni è stata governata dalla genìa dei Coral. Prima il padre Nevio, sindaco per 11 anni, quindi il figlio Ivano, subentratogli. Poi l’operazione Minotauro ha individuato collegamenti tra Coral e le cosche della ’ndrangheta e questa egemonia è stata spazzata via
A Leini è arrivato un commissario: nuova era, nuovo clima, si pensava. Poi però il commissario ha scelto un avvocato perché il Comune si costituisse parte civile contro l’ex sindaco Nevio Coral. L’avvocato non si è presentato alla prima udienza, ha mandato un sostituto senza procura speciale alla seconda, e il Comune di Leini non è riuscito a costituirsi parte civile. E ora tutti si domandano: ma che avvocato ci siamo presi? L’avvocato si chiama Vittorio Giaquinto ed è del foro di Santa Maria Capua Vetere. Qualcuno chiederà: e perché proprio un legale campano? Qui tornano gli intrecci maledetti. Perché l’avvocato Giaquinto ha lo studio a Caserta. La stessa città dove ha famiglia il commissario che lo ha indicato, Francesco Provolo. Coincidenza?  

Quando l’allora commissario Provolo (oggi è prefetto a Rovigo) ha nominato il compaesano Vittorio Giaquinto, qualcuno ha sollevato qualche dubbio. Ma perché prendere un avvocato di un foro così lontano? Non costerà di più visto che dovrà nominare comunque un domiciliatario a Torino? L’allora commissario ha rassicurato tutti: non vi preoccupate, è un esperto della materia. E così la commissione, all’unanimità, ha dato l’incarico allo studio Giaquinto. E poi è successo quel che è successo. 

Che l’avvocato fosse un esperto della materia non c’è dubbio. È un penalista famoso, nel Casertano. Non foss’altro perché Giaquinto è il difensore storico del boss di Scampia Paolo Di Lauro, detto «Ciruzzo o’ milionario». Non che questo crei qualche conflitto, è bene dirlo, ma ai cittadini di Leini magari sarebbe piaciuto sapere chi li avrebbe rappresentati contro le cosche della ’ndrangheta e contro il loro ex sindaco. E magari avrebbero anche apprezzato sapere quanto è costato rivolgersi a un avvocato di chiara fama come Giaquinto. Invece, rintracciando su Internet la determina del Comune di Leini, questo dato non c’è. O meglio, è «oscurato», visto che l’impegno di spesa risulta essere di euro 0,00.  

Ora, dopo la clamorosa uscita di scena dal processo Minotauro del Comune maggiormente colpito (sono riusciti a costituirsi parte civile Comuni come Volpiano e associazioni come Libera, con profili decisamente inferiori), tutti chiedono conto, invocano responsabilità, domandano ragione. Il commissario compaesano, però, è partito alla volta di Rovigo e non si sa ancora se i nuovi commissari, dopo la figuraccia di venerdì, intendano coinvolgere l’avvocato in una causa per responsabilità professionale. 

Di certo c’è che l’avvocato Giaquinto non è l’unico lascito «casertano» del commissario Provolo. Quando si doveva capire se al Comune di Leini conveniva mantenere una quota nella Provana Spa, società produttrice di energia partecipata dal Municipio, è stato infatti chiamato lo studio associato Cioffi di Caserta per una spesa di 12.600 euro. Intrecci maledetti? 

Forse. Oppure semplicemente la scelta di uomini fidati da parte di un commissario che ha passato quasi tutta la sua carriera all’interno della Prefettura di Caserta. La speranza è che queste scelte non danneggino ulteriormente una città, Leini, che sta cercando di rialzare la testa. La partenza non è stata delle migliori.