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martedì 9 aprile 2013

Sequestro di beni a Trapani. Parla Linares: "I mafiosi parlavano di trasferire prefetti e magistrati come se fossero certi che nella politica ci fosse qualcuno pronto a fare loro da sponda"


In Sicilia, l'ennesimo sequestro di beni, riportato dei giornali oggi in edicola (si parla  di lavori relativi allo svolgimento della Luis Vuitton Cup, nel porto di Trapani), mostra quali siano le caratteristiche del potere delle mafie, capaci di assumere le vesti e i volti dell'imprenditoria "borghese". 
L'episodio conferma come le mafie, 
sin dal'inizio della loro storia, non avrebbero potuto costruire "il sistema" senza l'avvallo e lo scudo di un potere politico di cui oramai sono parte integrante. Più interessante che riportare l'ennesimo articolo, ci pare allora utile l'analisi -breve e sintetica- "del sistema" offerta da Giuseppe Linares, dirigente della divisione Anticrimine della questura di Trapani 


 Fonte: “Il FATTO QUOTIDIANO” 09.04.2013

Trapani, Linares: “I mafiosi parlavano di trasferire prefetti e magistrati”


Intervista al dirigente dell'anticrimine che ha coordinato l'inchiesta sul sistema di mafia e corruzione intorno agli appalti per le grandi opere della città siciliana. Un sistema "costituito nei primi anni 2000", con nomi insospettabili e agganci nella politica


Questa operazione è la radiografia più recente della mafia capeggiata dal latitante Matteo Messina Denaro” . A parlare in questa maniera è il primo dirigente di Polizia Giuseppe Linares a capo da qualche anno della divisione anticrimine dopo essere stato per quasi 15 anni dirigente della Squadra Mobile di Trapani. “E’ una mafia che accoglie soggetti pressoché incensurati, anche se i Morici risultano citati in indagini dell’ultimo decennio”. Un sistema imprenditoriale bene organizzato: “Si tratta di imprenditori per così dire insospettabili, sicuramente incensurati, che trovavano il modo di consorziarsi tra di loro e di cercare l’avallo di Cosa nostra e di Matteo Messina Denaro”.
Queste imprese si raccordavano con quei capi mandamento che “intercettati auspicavano il trasferimento di prefetti, questori, dirigenti di polizia, magistrati, investigatori”. Parlavano come se fossero certi che nella politica ci fosse qualcuno pronto a fare loro da sponda.
C’è un periodo preciso in cui questo cartello di imprese si è costituito? “Quello di cui facevano parte i Morici è un cartello di imprese – risponde Linares – che è stato costituito nei primi anni del 2000 nella prospettiva di una serie di grandi appalti che in effetti di lì a poco vennero banditi. In particolare veniva sostenuta da queste imprese presso le amministrazioni pubbliche la logica degli appalti concorso, che prevedono l’affidamento dei lavori a imprese con determinate caratteristiche tecniche. In alcuni casi il cartello è risultato in grado di suggerire questi requisiti, in altre occasioni a conoscerli in anticipo”.

mercoledì 6 febbraio 2013

Corte dei Conti: "In Italia, la corruzione pregiudica lo stato dell'economia"


"In Italia la corruzione pregiudica lo stato dell'economia e il già elevato peso del fisco, "fuori linea" rispetto ad altri paesi europei, favorisce la recessione". E' l'allarme "a tutto tondo" lanciato ieri da Luigi Giampaoli, presidente della Corte dei Conti, all'inaugurazione dell'anno giudiziario. 
Il sistema malato, si regge sul connubio perverso tra la "mala-politica", che determina i privilegi delle tante caste-cricche -cosche che dominano l'Italia, e le mafie  presenti su tutto il territorio nazionale. 

Fonte: La repubblica

“Serve un’agenda contro le mafie”
FEDERICO VARESE
L’esperto: le organizzazioni criminali riducono la concorrenza, fanno lievitare i prezzi e impediscono lo sviluppo del Paese
Peppino Impastato gridava dai microfoni di Radio Aut: “la mafia è una montagna di merda.” Eppure i partiti continuano a sottovalutare questo scandalo italiano che dura da quasi duecento anni. L’Agenda Monti ha il merito di aver formulato alcune proposte concrete, ma le poche idee utili che circolano in questa campagna elettorale naufragano nella cacofonia assordante dei proclami, dei tweets e dei verdetti sulle apparizioni televisive di Berlusconi. Nessuno sembra capire che la lotta alla mafia è parte integrante dalla riforma dello stato e dei rapporti economici.  

Cosa fanno le mafie nell’economia legale? Usano la violenza per penetrare certi mercati locali, come l’edilizia e il piccolo commercio. Monti vuole “mettere al centro della politica economica la concorrenza,” ma questo obiettivo non si ottiene se non si sconfigge la mafia. Infatti queste organizzazioni criminali riducono la concorrenza, scoraggiando gli imprenditori non protetti, e agiscono come garanti di accordi di cartello. Riforme più incisive di quelle proposte sino ad ora sono necessarie. L’Autorità per la Concorrenza dovrebbe avere più poteri e creare al suo interno unità che contrastino attività sospette nelle zone e nei mercati a rischio. Andrebbe inoltre introdotto un meccanismo per la segnalazione di situazioni anomale da parte della Dia e della Procura nazionale antimafia all’Autorità Garante. Rompere i cartelli mafiosi conviene. Ad esempio, quando si è sciolto il consorzio di imprese di calcestruzzo di Caserta (Cedic) protetto dalla Camorra, il prezzo del calcestruzzo è sceso di più del 40%

Anche la riforma della giustizia civile (citata sia da Monti che dal Pd) è parte integrante della lotta alla mafia. Nelle parti del paese dove la mafia comanda, cittadini e imprenditori sono tentati di rivolgersi a Don Peppe per risolvere controversie e conflitti. In Italia i procedimenti civili di cognizione impiegano in media mille giorni per ciascun grado. Come nota Carlo Cusatelli, ci vogliono otto anni per sapere chi ha vinto una causa civile. Non stupisce che qualcuno sia tentato di usare mezzi più spicci. Ma per rendere la giustizia più efficiente non basta aumentare la spesa: nel 2010, l’Italia ha investito nel sistema giudiziario lo 0,28% del PIL pro-capite, in linea con Germania e Olanda, e decisamente di più di Francia e Inghilterra & Galles. La giustizia italiana è afflitta da un cronico problema organizzativo. Ad esempio, la riorganizzazione del lavoro degli uffici giudiziari elaborata da Mario Barbuto ha permesso di ridurre il carico pendente del Tribunale di Torino del 33% dal 2001 al 2006.  

La riforma della pubblica amministrazione è un tassello cruciale della lotta contro la mafia. Le organizzazioni criminali forgiano alleanze di lungo periodo con professionisti e amministratori pubblici. Un primo passo sarebbe affidare alcuni incarichi professionali con un sistema di estrazione a sorte. Il vicesindaco di Novara ha tentato di mettere in pratica questa idea, ma ha incontrato forti resistenze da parte degli ordini professionali. Bisogna inoltre stabilire chiaramente quali sono i comportamenti che costituiscono una rottura del vincolo di fiducia tra dipendente pubblico e cittadini. In quei casi, si dovrebbe almeno poter trasferire in maniera rapida ad altro incarico il funzionario. Il Comune di Corsico ha costituito gruppi di lavoro collettivi per pratiche particolarmente sensibili alle pressioni criminali, come le licenze e gli appalti. Questo permette di aumentare il controllo sull’operato del singolo garantendo una maggior trasparenza all’interno della pubblica amministrazione. Inoltre, rendere le decisioni collegiali permette al dipendente di difendersi contro le richieste di favori. Sarebbe bene sviluppare anche un sistema nazionale per la tracciabilità online delle pratiche che permetta di ricostruire la storia di ogni singola decisione. Infine, bisogna incoraggiare le cosiddette «vedette civiche» (whistleblowers), quei dipendenti pubblici che denunciano illegalità nell’amministrazione.  

Questo non è tutto. Insieme a Paolo Campana, ho elaborato altre proposte concrete (ora sul sito www.exlegi.ox.ac.uk). Ad esempio, a nostro parere bisognerebbe estendere le norme della legge sull’incandidabilità al Parlamento a tutti gli eletti; promuovere maggiore centralizzazione delle decisioni sugli appalti (come proposto sia da Monti che da Sel); riformare il sistema di assegnazione dei beni confiscati dalla mafia, come suggerito da Libera e, in alcuni casi, vendere i beni; introdurre maggiore responsabilità delle aziende per atti che promuovono corruzione e mafia; e riformare il credito. 
La montagna che Peppino Impastato vedeva a Cinisi può essere scalata, e conquistata.