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lunedì 10 giugno 2013

Processo Minotauro. Dopo il suicidio boss della 'ndrangheta Giuseppe Catalano, ai domiciliari dopo essersi dissociato, il suicidio del figlio Cosimo

Fonte : La Repubblica

'Ndrangheta, giù dal cavalcavia

un altro imputato del processo Minotauro

Cosimo Catalano, 40 anni, era imputato in quanto esponente della criminalità calabrese a Torino. Il corpo rinvenuto sotto un viadotto che sovrasta la Torino-Pinerolo. Anche il padre si era suicidato




Un altro morto, probabilmente un suicidio, nella vicenda Minotauro. Dopo che l'anno scorso si era già ucciso il boss della 'ndrangheta Giuseppe Catalano, ai domiciliari dopo essersi dissociato, questa mattina, poco prima delle sette, si è tolto la vita anche il figlio Cosimo di 40 anni. L'uomo si è gettato dal ponte del cavalcavia che sovrasta la Torino-Pinerolo. Cosimo Catalano era imputato nel processo Minotauro in quanto esponente della criminalità di Siderno a Torino. Il corpo ormai privo di vita è stato rinvenuto poco dopo dalla polizia stradale. 
Circa un anno fa, suo padre, Giuseppe Catalano, che allora aveva 70 anni, si era suicidato anche lui, a Volvera, gettandosi dal balcone della casa, dove si trovava agli arresti domiciliari. Ritenuto uno dei boss della 'ndrangheta in Piemonte, capo del "crimine" a Torino, aveva da poco ottenuto una misura di custodia cautelare più leggera dopo un anno e dieci mesi trascorsi nel carcere di Monza. Queste le parole che aveva scritto in una lunga lettera al presidente della Quinta Sezione penale del tribunale di Torino. "Sono vecchio, stanco e malato. Non posso negare le accuse che mi sono rivolte. Appartengo da anni all'organizzazione criminale che voi chiamate 'ndrangheta. Non rinnego il mio passato ma ora sono stanco e credo non mi resti più molto da vivere. Quel poco che mi resta voglio viverlo in pace. Mi dissocio da quello che ho fatto in questi anni. Non dirò nulla contro gli altri che sono imputati con me in questo processo, Non sono un infame. Ma sono troppo stanco per continuare a vivere in questo modo...".
"Quello di Cosimo Catalano è un suicidio connesso all'aggressione al patrimonio di famiglia". E' il parere di Carlo Romeo, il legale che difendeva nel processo Minotauro l'imputato. "Per ora - precisa il legale - non posso aggiungere altro perchè si tratta di una questione molto delicata". La famiglia Catalano era stata colpita lo scorso anno - dopo il suicidio del padre di Cosimo, Giuseppe, ritenuto il boss della locale di Siderno in Piemonte - dal sequestro anticipato dei beni finalizzato alla confisca. La misura di prevenzione era stata disposta dal tribunale su richiesta della procura.


Riportiamo una intervista a Giancarlo Caselli pubblicata  il 22 aprile scorso

Molti boss della 'ndrangheta trovano rifugio in

Piemonte: significa che hanno appoggi"

Il procuratore Giancarlo Caselli mette in guardia dopo l’arresto a Castelnuovo di Strangio, uomo di spicco dei clan calabresi

di SARAH MARTINENGHI
 
Dall'Aspromonte alla Pianura Padana, da San Luca a Castelnuovo Scrivia. Non è un caso se l'hanno preso qui in Piemonte. E non è una coincidenza che Sebastiano Strangio il boss della 'ndrangheta considerato uno dei mandanti della strage di Duisburg, abbia trovato rifugio proprio nell'Alessandrino. "Perché in Piemonte, come in Calabria  -  lo dice il procuratore capo Giancarlo Caselli  -  c'è una rete di protezione che li fa sentire al sicuro". E l'arresto di Strangio non è il primo caso.


Procuratore Caselli perché il boss Strangio ha scelto il Piemonte per la sua latitanza?
"Non è un buon segno. E Strangio non è certo il primo: l'11 marzo scorso Vincenzo Femia è stato arrestato in Val di Susa, nell'aprile 2011 è stato preso Giorgio Demasi, detto 'U' Mungianisi", capo della locale di Gioiosa Ionica: era gestito qui in Piemonte da Rocco Schirripa. Nell'aprile 2009 fu arrestato nel nostro territorio Francesco Coluccio, che è stato scarcerato alcuni mesi fa, ucciso e trovato carbonizzato: anche lui era gestito da alcuni imputati del processo "Minotauro". Lo stesso Varacalli durante un recente e poi rientrato periodo di latitanza aveva scelto la protezione di alcuni parenti a Volpiano.Perché il Piemonte? Perché evidentemente anche da noi esiste una rete di protezione".

E' meglio per un boss nascondersi al Nord che in Calabria, dunque?
"Forse hanno la convinzione o la percezione che anche qui possono stare tranquilli. Sanno di poter contare sulla protezione di personaggi fidati essendo della loro stessa organizzazione. La latitanza generalmente è sempre stata vissuta in Calabria perché per loro lì c'è una situazione di relativa sicurezza. Però sempre più frequentemente quando poi vengono catturati si scopre che si nascondevano anche da noi. Tutto questo vorrà dire qualcosa.."

Che cosa, ad esempio?
"Rocco Marando, con le sue rivelazioni ha permesso di individuare 7 bunker in Calabria: 7 in un colpo solo significa che forse giù non si sentono più così sicuri. Allora cercano altre zone in cui nascondersi
che abbiano requisiti di sicurezza non inferiori, cioè che assicurino una rete di gestione che dia loro tutto l'appoggio di cui hanno bisogno".

Nell'Alessandrino, avevate sferrato un duro colpo alla 'ndrangheta con l'operazione Albachiara. In primo grado un giudice ha ritenuto di prosciogliere gli imputati. Questo arresto proprio in quella zona è un ulteriore segnale che avevate ragione?
"Questa sentenza l'abbiamo appellata e aspettiamo l'esito. Registriamo però che la corte d'Appello in un ricorso contro alcuni sequestri di beni di imputati in Albachiara, ha ritenuto che fossero validi e ci fossero tutti gli estremi dell'associazione mafiosa. A proposito dell'arresto di Strangio, io mi limito a osservare: se un personaggio di questo spessore sceglie quel posto significa che lì qualcosa che gli dà fiducia c'è. Non serve alla mafia ammazzare tutti i giorni, per dimostrare di esistere".

Come si caratterizza la 'ndrangheta al Nord?
"La pericolosità non va misurata sul rumore, sul clamore mediatico e imprese eclatanti, esibite con protervia. La mafia silente è persino più pericolosa perché è quella che meglio intreccia rapporti, crea una piattaforma di legami per crescere sempre di più".

Minotauro sta infatti svelando un fitto intreccio anche con la politica...
"Senza fare riferimento a casi specifici: è nel dna della mafia, della 'ndrangheta in particolare, non commettere solo omicidi, estorsioni, e traffico di droga, ma avere anche relazioni con "pezzi" del mondo degli affari, della politica e dell'amministrazione: è una rete di potere quella che creano, non esibita più di tanto. Ma dovrebbe essere avvertita, conosciuta ed evitata dai pezzi di mondo legale agganciati: certe cose non si possono non sapere, eppure c'è chi continua a negare nel modo più ostinato".
(

venerdì 3 maggio 2013

Libera riapre il bar della ’ndrangheta a Torino. Festa con don Ciotti e Caselli


Il bar Italia di via Veglia 59, l’ex santuario della ’ndrangheta di Torino, è pronto al battesimo di una vita: quella della legalità.  
L’ultimo scontrino è stato battuto il 7 giugno 2011, alle 20.35. Poche ore dopo, Giuseppe Catalano, marito della titolare del bar Albina Stalteri, è finito in manette, insieme ad altri 153 presunti ’ndranghetisti, nella lunga notte dell’operazione "Minotauro"

Fonte : la Stampa

Libera riapre il bar della ’ndrangheta
Festa con don Ciotti e Caselli

GIUSEPPE LEGATO

Non ci sono più picciotti d’onore, padrini, sgarristi e vangelisti. Al loro posto, da oggi, troverete Adriana Nobile, 56 anni, impiegata in mobilità della Ages di Santena. E’ lei che armeggia al bancone, fa la spola tra la cucina e i frigo e chiede ai clienti cosa desiderano. Caffè corretto antimafia.  
Il bar Italia di via Veglia 59, l’ex santuario della ’ndrangheta di Torino, è pronto al battesimo di una vita: quella della legalità.  

L’ultimo scontrino è stato battuto il 7 giugno 2011, alle 20.35. Importo: 2 euro. Poche ore dopo, Giuseppe Catalano, marito della titolare del bar Albina Stalteri, è finito in manette, insieme ad altri 153 presunti ’ndranghetisti, nella lunga notte dell’operazione Minotauro, grattacielo di accuse contro le ’ndrine di Torino e provincia il cui processo si sta celebrando nell’aula bunker delle Vallette. 
Il bar, citato 373 volte nell’ordinanza di arresto dei boss, da oggi si chiama «Italia Libera». Addio ’ndrangheta, si volta pagina.  

Il bar della mala  
Peppe Catalano era il capo dei capi.. Pochi giorni prima di morire aveva firmato in carcere la dissociazione dall’organizzazione. Un’ammissione implicita: ne ha fatto parte. Poi, esattamente un anno fa, si è suicidato nella villetta di Volvera lanciandosi dal balcone. Ufficialmente perché in preda alla depressione, ma nessun atto nel faldone aperto in procura, parlerebbe di patologie psichiche. Un decesso su cui ci sono ancora molte domande. Di certo c’è che, da morto, non potrà vedere la nuova vita del bar dal quale, per vent’anni, ha dettato la linea dell’onorata società sotto la Mole.  

Giuramenti, appalti e riti  
Qui si sono decise le strategie criminali più importanti, qui autentici pezzi da novanta della ’ndrangheta calabrese come Giuseppe Commisso «U mastru», uno dei tre più potenti boss in circolazione in Italia, venivano a dirimere controversie, celebrare riti, spartire appalti, distribuire doti e promozioni Qui si effettuava la«colletta» per le famiglie dei carcerati. In questo bar - secondo l’accusa - è diventato «padrino» Bruno Iaria, mentre Arcangelo Gioffrè appena diciottenne è stato battezzato nella famiglia criminale come «giovane d’onore» salvo poi, pochi mesi dopo (28 dicembre 2008), essere quasi ucciso in un agguato a Bovalino in cui morì suo padre Giuseppe «Peppe» Gioffrè, capo del locale di Settimo. Adesso ci sono Adriana e altre due giovani ragazze della cooperativa Nanà che gravita nell’orbita di Libera, associazione contro le mafie fondata da don Luigi Ciotti. Da mesi, insieme a Maria Jose Fava, referente regionale dell’associazione, hanno iniziato a lavorare per rimettere a posto i locali: «E’ saltato fuori di tutto, anche un santino elettorale del 2009 di Fabrizio Bertot (mai indagato ndr) candidato alle elezioni europee che venne qui a fare un pranzo con il gotha della ’ndrangheta (in aula ha negato di sapere che fossero criminali ndr)». Non solo: «In un cassetto c’era perfino il certificato antimafia con tanto di timbri» racconta Fava.  

La nuova vita  
Oggi pomeriggio alle 17 ci sarà l’inaugurazione. Vi parteciperanno il procuratore Giancarlo Caselli, don Luigi Ciotti e molti ufficiali dei carabinieri e delle forze armate che hanno contribuito all’indagine dalla quale è scaturito il sequestro del bar. Adriana è già al bancone e non ha paura di niente: «Siamo qui per metterci in gioco, per mandare alla città un segnale positivo. L’antimafia . dice - non è solo quella delle manette»