lunedì 29 giugno 2015

La Bellezza: principio morale a fondamento di una Democrazia autentica.

L'amico Giorgio Canal mi ha chiesto di introdurre il primo incontro del “cammino” chiamato Human Factor. Si vuole provare a riflettere sul principio della Bellezza posto in relazione alla crisi che viviamo: una crisi strutturale, economica, sociale, morale. Ho accettato volentieri l’invito anche per il fatto che, in rappresentanza del presidio LIBERA “Rita Atria” Pinerolo, ci è cara la figura di Peppino Impastato, autore della frase riportata nella presentazione all'incontro stesso: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità (...) È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore ". Nella fotografia, una vista di Noto.
In questa frase Peppino Impastato pone in relazione diretta il principio della Bellezza con le condizioni di vita di una comunità. Comunità schiacciate dalla cultura mafiosa, dal pensiero mafioso, oppure comunità assuefatte -dall'ignoranza e dalla “convenienza”- ad uno degli aspetti più evidenti che avevano preso corpo in italia a partire dalla fine degli anni '50: la speculazione edilizia, la devastazione del paesaggio italiano. La Letteratura stessa ci consegna una delle domande più inquietanti sulla condizione umana facendo proprio riferimento alla Bellezza. In uno dei capolavori di Fedor Dostoevskij, “ L'Idiota”, un personaggio minore rivolge al principe Myskin ( l'Idiota) la celebre frase : “E' vero principe che un giorno avete detto che la bellezza salverà il mondo?:..” Ma neppure Dostoevskij scioglie l'enigma: nel romanzo, né il principe Myskin né altri offriranno una risposta chiara e diretta.
Se nessuno può affermare con certezza che la Bellezza salverà il mondo, tuttavia possiamo riflettere a partire dal fatto che il principio della Bellezza, il tentativo di una sua formale concretizzazione, ha guidato da sempre l'agire dell’Umanità: quella che chiamiamo Arte, nelle sue varie forme ed espressioni, è un fenomeno presente in tutte le culture e non è altro che il “tentativo umano” di creare qualcosa che sia accostabile alla Bellezza della Natura e, poiché “umano”, da quella se ne distingua. Tentativi “umani”, quelli dell’Arte, spesso ispirati dallo “spirito superiore”, la religione, altro elemento presente nelle culture di ogni tempo. Quel che ci preme anticipare è che, a nostro parere, il principio della Bellezza impone il rispetto di altri princìpi.

La Bellezza della Polis greca: Estetica-est-Etica!
Riferimento obbligato di questa riflessione diviene allora l'Età d'Oro dell'antica Grecia, Atene, considerata “culla” del mondo occidentale. In quel luogo e in quel tempo, molti dei concetti su cui si fonda la nostra cultura, e coi i quali si indagano ancor oggi il pensiero e l'agire dell'uomo, hanno trovato i primi canoni, le prime definizioni. Per alcuni filosofi dell'antica Grecia, fra i diversi princìpi quello della Bellezza, l'Estetica, era così importante da sopravanzare addirittura l'Etica, poiché “la conteneva”! Così come il concetto stesso di Principio è più importante della Regola-Legge poiché rispetto a quella ha una “eccedenza deontologica”. Esempio: il principio proclama che la Vita umana è sacra e inviolabile; la regola-legge stabilisce il prezzo da pagare se si viola quel principio.
Il riferimento all'antica Grecia è ancor più doveroso se pensiamo che in quel luogo sono nate due parole fondamentali per la storia occidentale: la parola politica ( da polis, la città) e la parola democrazia (il governo del popolo). La forma stessa della città-polis, i luoghi che costituivano l'organismo della città, scandivano poi anche i diversi momenti della vita democratica: l'Oikos ( la casa) era il luogo delle attività e dei commerci privati; l'Eklesia ( da cui deriva il termine chiesa) era l'assemblea pubblica dei cittadini nel cui ambito venivano discussi i problemi della comunità; l'Agorà ( la piazza) il luogo fisico ove la cittadinanza si riuniva e dove il consiglio degli eletti, Boulè, aveva il compito di esaminare problemi, privati e pubblici, mediando e riconducendo il tutto a regole-leggi che tendessero a soddisfare il bene della comunità intera, l'interesse pubblico; Il teatro, dove si rifletteva sui moti del'animo umano, sui miti religiosi, ma dove si mettevano anche alla berlina usi, costumi e personaggi dell'epoca.
Possiamo affermare che i luoghi della Polis realizzavano un principio di Bellezza estetica che corrispondeva alla “bellezza” etica della vita di cittadini retti da un sistema democratico. In realtà, sappiamo bene che quella era una democrazia “imperfetta”, poiché solo i cittadini maschi, maggiorenni e agiati, godevano dei diritti propri della forma democratica. Ma quella prima forma rimane, lo ripetiamo, il riferimento imprescindibile di tutta la “battaglia”, lunga, dolorosa e ancora in atto, per giungere al compimento pieno del concetto di Democrazia: il tentativo di trasferire “il potere”, il potere di decidere e di agire a favore della comunità, dalle mani del Potente alle mani del Popolo. E rimane imprescindibile la funzione dell’Agorà, il luogo ove attraverso le determinazioni del Consiglio degli eletti, giova ripeterlo, l’interesse dei privati veniva mediato e condotto ad un interesse superiore, al “bene pubblico”.

Il paese “artificiale”: dal “sogno di un principe” alla Repubblica
L'Italia viene spesso considerato erede ideale di quella cultura della Bellezza che, come detto prima, trova i suoi riferimenti nell'Età d'Oro della antica Grecia.
Vorremmo partire da un fatto fondamentale, spesso sottovalutato: anche nei secoli che precedettero la sua unificazione politica, l'Italia veniva considerata dagli altri stati europei un paese particolare e “unico”, con le sue peculiarità, ricchezze paesaggistiche, tradizioni storico-culturali che stimolavano espressioni di “arti e mestieri”. Questi elementi differenziavano il nostro paese dalle altre nazioni europee tanto che, sino all'Ottocento, il cosiddetto “viaggio in Italia” era ritenuto momento formativo indispensabile per intellettuali e artisti di tutto l'Occidente. Per i popoli europei quella terra chiamata Italia era “unica”, unitaria!, ancor prima che i suoi abitanti si sentissero tali: italiani e uniti!
Occorre sottolineare un altro elemento: il Paesaggio come oggi lo consideriamo, il territorio e i luoghi abitati, non è un elemento “naturale”! Non è “dono della Natura” il paesaggio della Toscana o quello delle nostre Langhe; non era “naturale” la campagna veneta del Palladio; non era “naturale” la Pianura Padana che accoglieva le tante popolazioni del nord Italia, spesso in lotta fra di loro; non era “naturale” la Conca d'Oro che cingeva Palermo. Meno che mai, ovviamente, erano “naturali” le nostre città, i borghi, simboli della Bellezza paesaggistica italiana e grembo di tante opere dell'arte e dell'ingegno di un popolo che da quelle cose “artificiali” traeva stimoli, conoscenza, “senso estetico”: sentimenti capaci di dare vita ad un ideale di Bellezza “unica e peculiare”. L'“artificiosità” del Paesaggio Italiano era frutto di un’opera di trasformazione durata secoli, condotta da generazioni di comunità le quali, per rendere accoglienti e abitabili i luoghi ove vivevano, per conquistare terre da coltivare strappandole a paludi e acquitrini, per tracciare strade necessarie ai commerci e alle comunicazioni, avevano dovuto incessantemente modificare, trasformare, l'habitat naturale. Ma cosa mirabile era che queste trasformazioni avvenivano quasi sempre rispettando un principio “superiore” che oggi chiameremmo “interesse pubblico”; e quelle trasformazioni sono state tanto più evidenti ed organiche in relazione proporzionale alla qualità politica del “potere dominante” dell'epoca. Il Paesaggio è pertanto il risultato del pensiero e della conseguente “azione politica” di una comunità.
Permettetemi di riprendere quanto ho avuto modo di scrivere in passato: “(...) Occorrerebbe riflettere su quanto decoro, sapienza urbanistica e valore architettonico d’insieme, esprimano tanti borghi, paesi e cittadine di ogni regione italiana, anche quelli sorti in luoghi nei quali il retaggio della povertà economica ne costituiva tratto essenziale. In quei luoghi, oscuri artigiani dell’architettura e dell’urbanistica avevano “disegnato” e costruito assecondando proprio “il genius loci”, la vocazione dei luoghi di cui parlavo prima. Borghi, paesi e cittadine che tante volte oggi ritroviamo offesi in paesaggi sviliti, oltraggiati da “cose-case” oscene o informi periferie, frutto di volontà, cultura e valori davvero diversi da quelle che -per secoli- ne avevano animato la crescita lenta, organica, meditata e “sostenibile” (come diremmo ora dall’alto della nostra presunta modernità culturale)”.
Non era solo una questione di estetica, era anche di etica: il senso di armonia e di decoro delle città e dei borghi italiani, contribuiva a costituire un elemento di riconoscimento, di appartenenza, nei confronti del luogo stesso ed erano il fondamento di quello che oggi potremmo definire il principio (etico) di cittadinanza. Da questo derivava l'assunzione di responsabilità delle comunità nei confronti del luogo-territorio nel quale si viveva. Amore e attaccamento nei confronti dei luoghi ponevano in secondo piano addirittura un fatto “paradossale”: spesso, le città e i borghi che costituiscono l'immagine-simbolo dell'Italia sono frutto del “sogno di un principe”! Ma se il “sogno del principe” aveva come scopo la costruzione di luoghi, edifici e opere d'arte che dovevano esprimere la sua magnificenza, quelle stesse opere costituivano anche la valorizzazione e l'esaltazione di peculiarità, ricchezze artistiche e culturali, proprie del territorio medesimo. Non è quindi un caso se l'Italia, unita e repubblicana, e prima nazione al mondo, introduca addirittura nei Principi fondamentali della Costituzione Italiana concetti di una modernità assoluta che altro non sono se non la “summa” della sua tradizione storica. Così si proclama all’art. 9 :La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Secondo i padri costituenti, la Bellezza dell’Italia, la sua tutela e salvaguardia diventavano fondamento, espressione, dei valori etici e morali della Repubblica.

La perdita della Bellezza e le "sentinelle" inascoltate
Il lungo e organico “modus-operandi” che aveva dato vita al Paesaggio Italiano subisce una interruzione “drammatica” nel corso del secondo dopoguerra quando, a tappe forzate e forzose, grazie anche agli ingenti aiuti del “Piano Marshall”, l'Italia si trasforma da paese prevalentemente agricolo in paese industriale. Milioni di donne e uomini provenienti dalle aree rurali si riversano nelle città della “ricostruzione”. Donne e uomini a cui viene fatto balenare il miraggio di un benessere finalmente “a portata di mano”, da conquistare e raggiungere abbandonando “la povertà secolare delle campagne”, godendo del “benessere della modernità” grazie al lavoro operoso nelle nuove fabbriche, nelle nascenti attività economiche e nel “terziario”. Sono gli anni del cosiddetto boom economico: la Lira vince l'Oscar delle monete e il PIL, la grandezza economica che tutti impareremo a conoscere, viaggia a percentuali di crescita “favolose”!
I segni del cambiamento in atto si evidenziano nella trasformazione accelerata che proprio gli organismi urbani subisco: all'abbandono dei paesi, degli antichi borghi, fa da contraltare la crescita tumultuosa delle città che, accanto ai nuclei storici, vedono sorgere rapide e spesso caotiche “addizioni” urbane che cambiano profondamente l'immagine di tanti luoghi. L'edificazione, l'abitare, muta di carattere e di significato: da naturale soddisfacimento di un bisogno abitativo si trasforma in “speculazione edilizia”, gestita e guidata da attori che troppe volte hanno disegni e ideali ben diversi dai “principi” del passato. Il sentimento di appartenenza ad un luogo-paese viene spezzato dalle migrazioni interne e diventa “spaesamento”, perdita di riferimenti fisici nei quali riconoscersi, perdita dei “luoghi” dei quali sentirsi responsabili e nei quali trovare valori, conforto e calore. La trasformazione culturale ed etica delle comunità si accompagna alla trasformazione fisica del Paesaggio.
Il secondo dopoguerra, gli anni del boom economico, sono quindi anni contraddittori per il nostro Paese; anni di cambiamento su cui pare riflettere solo l'analisi di alcuni protagonisti del mondo culturale dell'epoca, impegnati a denunciare, contrastare, la deriva a cui il Paese pareva pericolosamente avviarsi. Poche sentinelle, inascoltate! Nel campo dell'arte cinematografica, il film “Le mani sulla città” del regista Francesco Rosi descrive e spiega meglio di tanti trattati cause e fatti di quanto avveniva e le conseguenze che ne sarebbero poi derivate. Vano e sottovalutato fu anche l’allarme lanciato da Pier Paolo Pasolini nei confronti dei falsi miti della modernità e della trasformazione “antropologica” che gli italiani parevano subire, aderendo a modelli di cui oggi avvertiamo -con colpevole ritardo- la vacuità e la insostenibilità.
Conseguenza di questa deriva fu l'ascesa e l'affermazione di una classe dirigente, politica ed economica, il cui decadimento etico sarà poi denunciato da uno degli uomini-simbolo di quella che una volta chiamavamo Sinistra: Enrico Berlinguer. Nella celebre intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari, nel luglio del 1981, Berlinguer parla chiaramente: “(...) I partiti di oggi sono soprattutto macchina di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune(...)”.
Facile ora riconoscere nelle parole di Berlinguer il ceto politico inquietante che diede vita al cosiddetto “Sacco di Palermo” (nella fotografia a lato) e alle tante speculazioni che, dalla fine deli anni ’50 del secolo scorso, dilaniarono gran parte del tessuto urbano e del paesaggio italiano. Sono gli stessi personaggi che oggi ritroviamo protagonisti delle tante “mafie capitali”, “provinciali e cittadine”, portate quotidianamente alla luce da scandali e inchieste della magistratura. Inquietante è anche il fatto che mai una voce di denuncia si levi, prima dell'intervento della magistratura, da ambienti che appaiono spesso più “complici” che “vittime” di un sistema corruttivo che pare non avere eguali nel mondo occidentale.

Dalle “antiche consuetudini” ai Piani Regolatori Generali
Soprattutto in Italia, ben presto abbiamo scoperto che, per progettare e costruire “luoghi” accoglienti e pregni di significati etici, non basta che edifici e complessi urbani rispondano ai criteri della moderna igiene edilizia o ai paramentri delle leggi urbanisitiche. Del resto, il richiamo alla necesssità della Bellezza, sintesi di Estetica ed Etica, non compare mai negli scopi del Piano Regolatore Generale, lo strumento urbanistico che dovrebbe guidare e regolare l'organismo della città, o nei “parametri-indici” da rispettare nella progettazione architettonica.
Rinunciando al principio della Bellezza, i Piani Regolatori redatti da “moderni” urbanisti e architetti spesso hanno mostrato di assecondare più i “desiderata” della speculazione edilizia, della rendita fondiaria, che di perseguire il bene della comunità, divenendo strumento utile per operazioni e vantaggi “particolari” compiuti a volte anche a danno dell'ambiente e dei territori. Inutile negarlo: paragonati alle città e al paesaggio che i nostri padri ci hanno consegnato, la qualità e i risultati del lavoro svolto sugli organismi delle nostre città da parte di “ commissioni e professionisti del settore”, tante volte mostrano i segni di una crisi, una involuzione, che è estetica e culturale insieme. Ma cosa grave è che , nella maggior parte dei casi, tutto questo è avvenuto e continua ad avvenire complice la sostanziale “indifferenza” (o miope “convenienza”) delle comunità. E' successo quanto paventava Peppino Impastato: negli ultimi decenni abbiamo perduto la capacità di riconoscere e difendere la Bellezza.
Il degrado che attanaglia ed espande indefinitamente tante nostre periferie, la devastazione progressiva e ininterrotta delle nostre campagne e delle zone costiere, l'incuria subita dai territori, fanno sì che il cosiddetto “bel Paese”, rischia di diventare – se già non lo è diventato- un valore in parte “perduto”, lo ripetiamo, sia dal punto di vista estetico che dal punto di vista etico.

Il cerchio si chiude: la Bellezza è un principio morale!
Ecco perché il principio della Bellezza è così importante: perché saper riconoscere, difendere, creare, la Bellezza ci impone dichiedere contenutiad altri princìpi! Chiedere contenuti, ad esempio, proprio ad uno di quei principio che -al pari di altri- sembra svuotato di significato, svilito e ridotto a “maschera”: il principio della Legalità.
E' questa una riflessione che ritorna spesso nella nostra attività come presidio “Rita Atria”. Noi pensiamo che la parola Legalità sia un termine a volte svilito poiché il concetto-principio di Legalità, intesa come insieme delle regole-leggi che dovrebbero servire a governare la comunità, è stato depredato dal principio che deve nutrirlo e su cui deve trovare fondamento: il principio della Giustizia. Cosicché, tante volte ci troviamo dinanzi a regole che sono state rese “legali” (divenendo leggi) ma che non ci appaiono “giuste”; regole-leggi che non giudichiamo “belle”: le leggi “ad -personam”, ad castam...Regole-leggi che non sono volte a perseguire il bene della comunità quanto piuttosto a garantire interessi e privilegi particolari. Non tutto ciò che è (reso) legale è giusto!
Occorrono donne, uomini, nuove generazioni, che siano capaci di levare la loro voce in difesa di un principio, la Bellezza, che è anzitutto affermazione di un principio morale a fondamento di una Democrazia autentica. Un principio, la Bellezza, che necessita di fatica e impegno a favore del bene della comunità; un principio, la Bellezza, che impone il riconoscimento del merito, delle capacità di ognuno e non “fedeltà” o “appartenenza”, ad un “padrino”, ad una “tessera”, ad una “casta o ad una cricca”; un principio, la Bellezza, che nasce attraverso la creazione di una società in cui l’Armonia e la Solidarietà fra le componenti siano la meta verso cui volgere progetti, azioni, “sogni”.

E allora: auspichiamo che si incontrino donne, uomini, nuove generazioni, cittadine e cittadini responsabili, capaci di riconoscere e difendere il principio della Bellezza!



Arturo Francesco Incurato

referente presidio LIBERA “Rita Atria” Pinerolo


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