L'amico
Giorgio Canal mi ha chiesto di introdurre il primo incontro del
“cammino” chiamato Human
Factor.
Si vuole provare a riflettere sul principio della Bellezza posto in
relazione alla crisi che viviamo: una crisi strutturale, economica,
sociale, morale. Ho accettato volentieri l’invito anche per il
fatto che, in rappresentanza del presidio LIBERA “Rita Atria”
Pinerolo, ci è cara la figura di Peppino
Impastato,
autore della frase riportata nella presentazione all'incontro
stesso: “Se
si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma
contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di
orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore,
da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità (...) È
per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché
in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la
rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore ". Nella fotografia, una vista di Noto.
In
questa frase Peppino
Impastato pone in relazione diretta il principio della Bellezza con
le condizioni di vita di una comunità.
Comunità schiacciate dalla cultura mafiosa, dal pensiero mafioso,
oppure comunità assuefatte -dall'ignoranza e dalla “convenienza”-
ad uno degli aspetti più evidenti che avevano preso corpo in italia
a partire dalla fine degli anni '50: la speculazione edilizia, la
devastazione del paesaggio italiano. La
Letteratura stessa ci consegna una delle domande più inquietanti
sulla condizione umana facendo proprio riferimento alla Bellezza. In
uno dei capolavori di
Fedor Dostoevskij,
“ L'Idiota”, un personaggio minore rivolge al principe Myskin (
l'Idiota) la celebre frase : “E'
vero principe che un giorno avete detto che la bellezza salverà il
mondo?:..”
Ma neppure Dostoevskij scioglie l'enigma: nel romanzo, né il
principe Myskin né altri offriranno una risposta chiara e diretta.
Se
nessuno può affermare con certezza che
la Bellezza salverà il mondo,
tuttavia possiamo riflettere a partire dal fatto che il principio
della Bellezza, il tentativo di una sua formale concretizzazione, ha
guidato da sempre l'agire dell’Umanità: quella che chiamiamo Arte,
nelle sue varie forme ed espressioni, è un fenomeno presente in
tutte le culture e non è altro che il “tentativo
umano”
di creare qualcosa che sia accostabile alla Bellezza
della Natura e,
poiché “umano”, da quella se ne distingua. Tentativi “umani”,
quelli dell’Arte, spesso ispirati dallo “spirito
superiore”, la religione,
altro
elemento presente
nelle culture di ogni tempo.
Quel
che ci preme anticipare è che, a nostro parere,
il principio della Bellezza impone il rispetto di altri princìpi.
La
Bellezza della Polis greca: Estetica-est-Etica!
Riferimento
obbligato di questa riflessione diviene allora l'Età d'Oro
dell'antica
Grecia,
Atene, considerata
“culla” del mondo occidentale. In quel luogo e in quel
tempo, molti dei concetti su cui si fonda la nostra cultura, e coi i
quali si indagano ancor oggi il pensiero e l'agire dell'uomo, hanno
trovato i primi canoni, le prime definizioni. Per alcuni filosofi
dell'antica Grecia, fra i diversi princìpi quello della Bellezza,
l'Estetica, era così importante da sopravanzare addirittura l'Etica,
poiché “la conteneva”! Così come il concetto stesso di
Principio
è più importante della Regola-Legge
poiché rispetto a quella ha una “eccedenza
deontologica”.
Esempio: il principio
proclama che la Vita umana è sacra e inviolabile; la regola-legge
stabilisce
il prezzo da pagare se si viola quel principio.
Il
riferimento all'antica Grecia è ancor più doveroso se pensiamo che
in quel luogo sono nate due parole fondamentali per la storia
occidentale: la parola politica
( da polis,
la città) e la parola democrazia
(il
governo del popolo). La forma stessa della città-polis,
i luoghi che costituivano l'organismo della città, scandivano poi
anche i diversi momenti della vita democratica:
l'Oikos
( la casa) era il luogo delle attività e dei commerci privati;
l'Eklesia
( da cui deriva il termine chiesa) era l'assemblea pubblica dei
cittadini nel cui ambito venivano discussi i problemi della comunità;
l'Agorà
( la piazza) il luogo fisico ove la cittadinanza si riuniva e dove il
consiglio degli eletti, Boulè,
aveva il compito di esaminare problemi, privati e pubblici, mediando
e riconducendo il tutto a regole-leggi che tendessero a soddisfare il
bene della comunità intera, l'interesse
pubblico;
Il
teatro,
dove si rifletteva sui moti del'animo umano, sui miti religiosi, ma
dove si mettevano anche alla berlina usi, costumi e personaggi
dell'epoca.
Possiamo
affermare che
i luoghi della Polis realizzavano un principio di Bellezza
estetica che corrispondeva alla “bellezza” etica della vita di
cittadini retti da un sistema democratico.
In realtà, sappiamo bene che quella era una democrazia “imperfetta”,
poiché solo i cittadini maschi, maggiorenni e agiati, godevano dei
diritti propri della forma democratica. Ma quella prima forma rimane,
lo ripetiamo, il riferimento imprescindibile di tutta la “battaglia”,
lunga, dolorosa e ancora in atto, per giungere al compimento pieno
del concetto di Democrazia: il tentativo di trasferire “il potere”,
il potere di decidere e di agire a favore della comunità, dalle mani
del Potente alle mani del Popolo. E rimane imprescindibile la
funzione dell’Agorà, il luogo ove attraverso le determinazioni del
Consiglio degli eletti, giova ripeterlo, l’interesse dei privati
veniva mediato e condotto ad un interesse superiore, al “bene
pubblico”.
Il
paese “artificiale”: dal “sogno di un principe” alla
Repubblica
L'Italia
viene spesso considerato erede ideale di quella cultura della
Bellezza che, come detto prima, trova i suoi riferimenti nell'Età
d'Oro della antica Grecia.
Vorremmo
partire da un fatto fondamentale, spesso sottovalutato: anche nei
secoli che precedettero la sua unificazione politica, l'Italia veniva
considerata dagli altri stati europei un paese particolare e “unico”,
con le sue peculiarità, ricchezze paesaggistiche, tradizioni
storico-culturali che stimolavano espressioni di “arti
e mestieri”.
Questi
elementi differenziavano il nostro paese dalle altre nazioni europee
tanto che, sino all'Ottocento, il cosiddetto “viaggio
in Italia”
era ritenuto momento formativo indispensabile per intellettuali e
artisti di tutto l'Occidente. Per
i popoli europei quella terra chiamata Italia era “unica”,
unitaria!, ancor prima che i suoi abitanti si sentissero tali:
italiani e uniti!
Occorre
sottolineare un altro elemento:
il Paesaggio
come oggi lo consideriamo, il territorio e i luoghi abitati, non
è un elemento “naturale”!
Non è “dono della Natura” il paesaggio della Toscana o quello
delle nostre Langhe; non era “naturale” la campagna veneta del
Palladio; non era “naturale” la Pianura Padana che accoglieva le
tante popolazioni del nord Italia, spesso in lotta fra di loro; non
era “naturale” la Conca d'Oro che cingeva Palermo. Meno che mai,
ovviamente, erano “naturali” le nostre città, i borghi, simboli
della Bellezza paesaggistica italiana e grembo di tante opere
dell'arte e dell'ingegno di un popolo che da quelle cose
“artificiali” traeva stimoli, conoscenza, “senso estetico”:
sentimenti capaci di dare vita ad un ideale di Bellezza “unica e
peculiare”. L'“artificiosità”
del Paesaggio Italiano
era
frutto di un’opera di trasformazione durata secoli,
condotta da generazioni di comunità le quali, per rendere
accoglienti e abitabili i luoghi ove vivevano, per conquistare terre
da coltivare strappandole a paludi e acquitrini, per tracciare strade
necessarie ai commerci e alle comunicazioni, avevano dovuto
incessantemente modificare, trasformare, l'habitat naturale. Ma cosa
mirabile era che queste trasformazioni avvenivano quasi sempre
rispettando un principio “superiore” che oggi chiameremmo
“interesse
pubblico”;
e quelle trasformazioni sono state tanto più evidenti ed organiche
in relazione proporzionale alla qualità politica del “potere
dominante” dell'epoca. Il
Paesaggio è pertanto il risultato del pensiero e della conseguente
“azione politica” di una comunità.
Permettetemi
di riprendere quanto ho avuto modo di scrivere in passato: “(...)
Occorrerebbe riflettere su quanto decoro, sapienza urbanistica e
valore architettonico d’insieme, esprimano tanti borghi, paesi e
cittadine di ogni regione italiana, anche quelli sorti in luoghi nei
quali il retaggio della povertà economica ne costituiva tratto
essenziale. In quei luoghi, oscuri artigiani dell’architettura e
dell’urbanistica avevano “disegnato” e costruito assecondando
proprio “il
genius loci”,
la vocazione dei luoghi di cui parlavo prima. Borghi, paesi e
cittadine che tante volte oggi ritroviamo offesi in paesaggi sviliti,
oltraggiati da “cose-case” oscene o informi periferie, frutto di
volontà, cultura e valori davvero diversi da quelle che -per secoli-
ne avevano animato la crescita lenta, organica, meditata e
“sostenibile” (come diremmo ora dall’alto della nostra presunta
modernità culturale)”.
Non
era solo una questione di estetica, era anche di etica:
il senso di armonia e di decoro delle città e dei borghi italiani,
contribuiva a costituire un elemento di riconoscimento, di
appartenenza, nei confronti del luogo stesso ed erano il fondamento
di quello che oggi potremmo definire il principio
(etico) di cittadinanza. Da
questo derivava l'assunzione
di responsabilità delle comunità nei confronti del luogo-territorio
nel quale si viveva. Amore e attaccamento nei confronti dei luoghi
ponevano in secondo piano addirittura un fatto “paradossale”:
spesso, le città e i borghi che costituiscono l'immagine-simbolo
dell'Italia sono frutto del “sogno
di un principe”!
Ma se il “sogno
del principe” aveva
come scopo la costruzione di luoghi, edifici e opere d'arte che
dovevano esprimere la sua magnificenza, quelle stesse opere
costituivano anche la valorizzazione e l'esaltazione di peculiarità,
ricchezze artistiche e culturali, proprie del territorio medesimo.
Non è quindi un caso se l'Italia, unita e repubblicana, e prima
nazione al mondo, introduca addirittura nei Principi
fondamentali della Costituzione Italiana
concetti di una modernità assoluta che altro non sono se non la
“summa” della sua tradizione storica. Così si proclama all’art.
9 :
“La
Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca
scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e
artistico della Nazione”.
Secondo
i padri costituenti, la Bellezza dell’Italia, la sua tutela e
salvaguardia diventavano fondamento, espressione, dei valori etici e
morali della Repubblica.
La perdita della Bellezza e le "sentinelle"
inascoltate
Il
lungo e organico “modus-operandi” che aveva dato vita al
Paesaggio
Italiano
subisce una interruzione “drammatica” nel corso del secondo
dopoguerra quando, a tappe forzate e forzose, grazie anche agli
ingenti aiuti del “Piano Marshall”, l'Italia si trasforma da
paese prevalentemente agricolo in paese industriale. Milioni di donne
e uomini provenienti dalle aree rurali si riversano nelle città
della “ricostruzione”. Donne e uomini a cui viene fatto balenare
il miraggio di un benessere finalmente “a portata di mano”, da
conquistare e raggiungere abbandonando “la
povertà secolare delle campagne”,
godendo del “benessere
della modernità” grazie
al lavoro operoso nelle nuove fabbriche, nelle nascenti attività
economiche e nel “terziario”. Sono gli anni del cosiddetto boom
economico:
la Lira vince l'Oscar delle monete e il PIL, la grandezza economica
che tutti impareremo a conoscere, viaggia a percentuali di crescita
“favolose”!
I
segni del cambiamento in atto si evidenziano nella trasformazione
accelerata che proprio gli organismi urbani subisco: all'abbandono
dei paesi, degli antichi borghi, fa da contraltare la crescita
tumultuosa delle città che, accanto ai nuclei storici, vedono
sorgere rapide e spesso caotiche “addizioni” urbane che cambiano
profondamente l'immagine di tanti luoghi. L'edificazione,
l'abitare, muta di carattere e di significato: da naturale
soddisfacimento di un bisogno abitativo si
trasforma in “speculazione
edilizia”,
gestita e guidata da attori che troppe volte hanno disegni e ideali
ben diversi dai “principi” del passato. Il sentimento di
appartenenza ad un luogo-paese viene spezzato dalle migrazioni
interne e diventa “spaesamento”,
perdita di riferimenti fisici nei quali riconoscersi, perdita dei
“luoghi” dei quali sentirsi responsabili e nei quali trovare
valori, conforto e calore. La
trasformazione culturale ed etica delle comunità si accompagna alla
trasformazione fisica del Paesaggio.
Il
secondo dopoguerra, gli anni del boom economico, sono quindi anni
contraddittori per il nostro Paese; anni di cambiamento su cui pare
riflettere solo l'analisi di alcuni protagonisti del mondo culturale
dell'epoca, impegnati a denunciare, contrastare, la deriva a cui il
Paese pareva pericolosamente avviarsi. Poche
sentinelle, inascoltate! Nel
campo dell'arte cinematografica, il film “Le
mani sulla città”
del regista Francesco
Rosi
descrive e spiega meglio di tanti trattati cause e fatti di quanto
avveniva e le conseguenze che ne sarebbero poi derivate. Vano e
sottovalutato fu anche l’allarme lanciato da Pier
Paolo Pasolini
nei confronti dei falsi miti della modernità e della trasformazione
“antropologica” che gli italiani parevano subire, aderendo a
modelli di cui oggi avvertiamo -con colpevole ritardo- la vacuità e
la insostenibilità.
Conseguenza
di questa deriva fu l'ascesa e l'affermazione di una classe
dirigente, politica ed economica, il cui decadimento etico sarà poi
denunciato da uno degli uomini-simbolo di quella che una volta
chiamavamo Sinistra: Enrico
Berlinguer.
Nella celebre intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari, nel luglio
del 1981, Berlinguer parla chiaramente: “(...) I
partiti di oggi sono soprattutto macchina di potere e di clientela:
scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della
società e della gente, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e
passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più
contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto
con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli,
senza perseguire il bene
comune(...)”.
Facile
ora riconoscere nelle parole di Berlinguer il ceto politico
inquietante che diede vita al
cosiddetto “Sacco
di Palermo” (nella fotografia a lato) e
alle tante speculazioni che, dalla fine deli anni ’50 del
secolo scorso, dilaniarono gran parte del tessuto urbano e del
paesaggio italiano. Sono gli stessi personaggi che oggi ritroviamo
protagonisti delle tante “mafie capitali”, “provinciali e
cittadine”, portate quotidianamente alla luce da scandali e
inchieste della magistratura. Inquietante è anche il fatto che
mai una voce di denuncia si levi, prima dell'intervento della
magistratura, da
ambienti che appaiono spesso più “complici” che “vittime” di
un sistema corruttivo
che
pare non avere eguali nel mondo occidentale.
Dalle
“antiche consuetudini” ai Piani Regolatori Generali
Soprattutto
in Italia, ben presto abbiamo scoperto che, per progettare e costruire
“luoghi” accoglienti e pregni di significati etici, non basta che
edifici e complessi urbani rispondano ai criteri della moderna igiene
edilizia o ai paramentri delle leggi urbanisitiche. Del resto, il
richiamo alla necesssità della Bellezza, sintesi di Estetica ed
Etica, non compare mai negli scopi del Piano
Regolatore Generale,
lo strumento urbanistico che dovrebbe guidare e regolare l'organismo
della città, o nei “parametri-indici” da rispettare nella
progettazione architettonica.
Rinunciando
al principio della Bellezza, i Piani
Regolatori redatti da “moderni” urbanisti e architetti spesso
hanno mostrato di assecondare più i “desiderata” della
speculazione edilizia, della
rendita
fondiaria, che di perseguire il bene della comunità,
divenendo strumento utile per operazioni e vantaggi “particolari”
compiuti a volte anche a danno dell'ambiente e dei territori.
Inutile negarlo: paragonati alle città e al paesaggio che i nostri
padri ci hanno consegnato, la qualità e i risultati del lavoro
svolto sugli organismi delle nostre città da parte di “
commissioni e professionisti del settore”, tante volte mostrano i segni di una
crisi, una involuzione, che è estetica e culturale insieme. Ma cosa
grave è che , nella maggior parte dei casi, tutto questo è avvenuto
e continua ad avvenire complice
la sostanziale “indifferenza” (o miope “convenienza”) delle
comunità.
E' successo quanto paventava Peppino Impastato: negli ultimi decenni
abbiamo
perduto la capacità di riconoscere e difendere la Bellezza.
Il
degrado che attanaglia ed espande indefinitamente tante nostre
periferie, la devastazione progressiva e ininterrotta delle nostre
campagne e delle zone costiere, l'incuria subita dai territori, fanno
sì che il cosiddetto “bel Paese”, rischia di diventare – se
già non lo è diventato- un valore in parte “perduto”, lo
ripetiamo, sia dal punto di vista estetico che dal punto di vista
etico.
Il
cerchio si chiude: la Bellezza è un principio morale!
Ecco
perché il
principio della Bellezza
è così importante: perché saper riconoscere, difendere, creare,
la Bellezza ci
impone di
“chiedere
contenuti”
ad
altri princìpi!
Chiedere contenuti, ad esempio, proprio ad uno di quei principio che
-al pari di altri- sembra svuotato di significato, svilito e ridotto
a “maschera”: il principio della Legalità.
E'
questa una riflessione che ritorna spesso nella nostra attività come
presidio “Rita Atria”. Noi pensiamo che la parola Legalità sia
un termine a volte svilito poiché il
concetto-principio di Legalità, intesa come insieme delle
regole-leggi
che
dovrebbero servire a governare la comunità,
è stato depredato dal principio che deve nutrirlo e su cui deve
trovare fondamento: il principio della Giustizia.
Cosicché, tante volte ci troviamo dinanzi a regole che sono state
rese “legali” (divenendo leggi) ma che non ci appaiono “giuste”;
regole-leggi che non giudichiamo “belle”: le leggi “ad
-personam”, ad castam...Regole-leggi che non sono volte a
perseguire il bene della comunità quanto piuttosto a garantire
interessi e privilegi particolari. Non
tutto ciò che è (reso) legale è giusto!
Occorrono
donne, uomini, nuove generazioni, che siano capaci di levare la loro
voce in difesa di un principio,
la Bellezza, che è anzitutto affermazione di un principio morale a
fondamento di una Democrazia autentica. Un
principio, la Bellezza, che necessita di fatica
e impegno
a favore del bene della comunità; un principio, la Bellezza, che
impone il riconoscimento
del merito,
delle
capacità di
ognuno e
non “fedeltà” o “appartenenza”, ad un “padrino”, ad una
“tessera”, ad una “casta o ad una cricca”;
un principio,
la Bellezza, che nasce attraverso la creazione di una società in cui
l’Armonia
e la Solidarietà fra le componenti siano la meta verso cui volgere
progetti, azioni, “sogni”.
E
allora: auspichiamo che si incontrino donne, uomini, nuove generazioni,
cittadine e cittadini responsabili, capaci di riconoscere e difendere
il principio della Bellezza!
Arturo
Francesco Incurato
referente
presidio LIBERA “Rita Atria” Pinerolo
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