La Costituzione Italiana pone il valore del Lavoro ai primi quattro punti dei cosiddetti Principi Fondamentali. Rileggiamo quei Principi! Comprenderemo allora perché, alla luce delle vicende storiche passate e presenti, proprio il Lavoro, in Italia, sia stato usato come arma di ricatto dalle forme di potere -palesi e occulte- che dominano la storia di questo Paese.
la stele che ricorda la strage di Portella delle Ginestre |
Sappiamo tutti quanto è avvenuto e continua ad avvenire: in Italia, una classe politica e dirigente sempre più simile ad un mero “comitato di affari” ha finito col determinare il processo di decadimento di quello che viene definito "sistema-paese". Importanti capitoli di spesa pubblica, frutto del denaro dei cittadini italiani, spesso sono stati utilizzati come come mezzo per acquisire e mantenere privilegi (ma il "privilegio" non dovrebbe proprio esistere in un paese democratico!); come merce per il voto di scambio, come improprio e ingiusto "ammortizzatore sociale"; come mezzo per piazzare ed allargare il potere e le ricchezze di caste, cricche e cosche ( da anni è questa una triade inscindibile).
La connivenza, la complicità, fra mala-politica e mafie è poi un corollario drammatico, scandaloso, inequivocabile, provato. Scandaloso è vedere come i comportamenti del "potere" abbiano ricalcato esattamente i principi del potere mafioso: così come i capi-mafia siciliani distribuivano le terre ai contadini - ingiustamente, non per merito bensì per "appartenentza o contiguita", per ricatto!- così il "Potere" concede spesso il Lavoro. Da principio a fondamento di una nazione, il Lavoro è diventato merce di scambio, regalia per compensare e premiare amici e servi del potere: uno scambio che appare "ricatto"!
Anche contro questo, contro il ricatto del lavoro, manifestavano i contadini di quel I maggio del 1947 a Portella delle Ginestre.
Art. 1
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
1 MAGGIO 1947
STRAGE di PORTELLA DELLA GINESTRA
Allotta Vito (Contadini e
possidenti)
Busellini Emanuele (Contadini e
possidenti)
Clesceri Margherita ( Donne)
Cusenza Giorgio (Minori e
Giovani)
Di Maggio Lorenzo (Minori e
Giovani)
Di Salvo Filippo (Contadini e
possidenti)
Grifò Giovanni (Minori e Giovani)
Intravaia Castrense (Contadini e
possidenti)
La Fata Vincenzina (Minori e
Giovani)
Lascari Serafino (Minori e
Giovani)
Megna Giovanni (Contadini e
possidenti)
Vicari Francesco (Contadini e
possidenti)
Riportiamo un articolo di Umberto Santino, storico, sulla vicende della Strage di Portella delle Ginestre
La strage di Portella della Ginestra
Quella mattina del 1° maggio
1947, il pianoro di Portella della Ginestra traboccava di contadini di Piana
degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello. Erano lì, con le loro
famiglie, per passare una giornata in allegria, per ricordare la festa del
lavoro: una festa "politica", a cui li aveva abituati il medico
socialista Nicola Barbato. Nel pianoro a metà strada tra i
comuni di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, in provincia
di Palermo, la festa del primo maggio 1947, a cui partecipavano migliaia di persone,
fu interrotta da una sparatoria che, secondo le fonti ufficiali, causò 11 morti
e 27 feriti. Successivamente, per le ferite riportate, ci furono altri morti e
il numero dei feriti varia da 33
a 65.
I contadini dei paesi vicini erano soliti radunarsi a Portella della Ginestra
per la festa del lavoro già ai tempi dei Fasci siciliani, per iniziativa del
medico e dirigente contadino Nicola Barbato, che era solito parlare alla folla
da un podio naturale che fu in seguito denominato "sasso di Barbato".
La tradizione venne interrotta durante il fascismo e ripresa dopo la caduta
della dittatura. Nel 1947 non si festeggiava solo il primo maggio ma pure la
vittoria dei partiti di sinistra raccolti nel Blocco del Popolo nelle prime
elezioni regionali svoltesi il 20 aprile. Sull'onda della mobilitazione
contadina che si era andata sviluppando in quegli anni, le sinistre avevano
ottenuto un successo significativo, ribaltando il risultato delle elezioni per
l'Assemblea costituente. La Democrazia cristiana era scesa dal 33,62% al
20,52%, mentre le sinistre avevano avuto il 29,13% (alle elezioni precedenti il
Psi aveva avuto il 12,25% e il Pci il 7,91%).
La campagna elettorale era stata abbastanza animata, non erano mancate
le minacce e la violenza mafiosa aveva continuato a mietere vittime. Il
1947 era cominciato con l'assassinio del dirigente comunista e del movimento
contadino Accursio Miraglia (4
gennaio) e il 17 gennaio era stato ucciso il militante comunista Pietro Macchiarella; lo stesso giorno i
mafiosi avevano sparato all'interno del Cantiere navale di Palermo. Alla fine
di un comizio il capomafia di Piana Salvatore Celeste aveva gridato: "Voi
mi conoscete! Chi voterà per il Blocco del popolo non avrà né padre né
madre" e la stessa mattina del primo maggio a San Giuseppe Jato la moglie
di un "qualunquista truffatore" - come si legge in un servizio del
quotidiano "La Voce della Sicilia" - aveva avvertito le donne che si
recavano a Portella: "Stamattina vi finirà male" e a Piana un mafioso
non aveva esitato a minacciare i manifestanti: "Ah sì, festeggiate il 1°
maggio, ma vedrete stasera che festa!" (in Santino 1997, p. 150). Eppure
nessuno si aspettava che si arrivasse a sparare sulla folla inerme, ormai
lontana la memoria dei Fasci siciliani e dei massacri successivi.
Prima i mafiosi e i partiti conservatori poi solo i banditi
La matrice della strage appare
subito chiara: la voce popolare parla dei proprietari terrieri, dei mafiosi e
degli esponenti dei partiti conservatori e i nomi sono sulla bocca di tutti: i
Terrana, gli Zito, i Brusca, i Romano, i Troia, i Riolo-Matranga, i Celeste,
l'avvocato Bellavista che durante la campagna elettorale aveva tuonato contro
le forze di sinistra e a difesa degli agrari. I carabinieri telegrafano:
"Vuolsi trattarsi organizzazione mandanti più centri appoggiati maffia at
sfondo politico con assoldamento fuori legge"; "Azione terroristica
devesi attribuire elementi reazionari in combutta con mafia" (ivi, p. 153).
Vengono fermate 74 persone tra cui figurano mafiosi notori. All'Assemblea
costituente il giorno dopo la strage Girolamo Li Causi, segretario regionale
comunista, lancia la sua accusa: dopo il 20 aprile c'è stata una campagna di
provocazioni politiche e di intimidazioni, durante la strage il maresciallo dei
carabinieri si intratteneva con i mafiosi e tra gli sparatori c'erano
monarchici e qualunquisti. Viene interrotto da esponenti dei qualunquisti e
della destra e il ministro degli interni Mario Scelba dichiara che non c'è un
"movente politico", si tratta solo di un "fatto di
delinquenza" (ivi, p. 155). Scelba ritorna sull'argomento in un'intervista
del 9 maggio: "Trattasi di un episodio fortunatamente circoscritto,
maturato in una zona fortunatamente ristretta le cui condizioni sono
assolutamente singolari" (ivi, p. 159). Nel frattempo i fermati vengono
rilasciati e si afferma la pista che porta alla banda Giuliano, il cui nome
viene fatto dall'Ispettore di Pubblica Sicurezza Ettore Messana, lo stesso che
l'8 ottobre 1919 aveva ordinato il massacro di Riesi (15 morti e 50 feriti) e
che ora Li Causi addita come colui che dirige il "banditismo
politico". La banda Giuliano sarà pure indicata come responsabile degli
attentati del 22 giugno in vari centri della Sicilia occidentale, con morti e
feriti.
L'inchiesta giudiziaria si
concentra sui banditi e procede con indagini frettolose e superficiali: non si
fanno le autopsie sui corpi delle vittime e le perizie balistiche per accertare
il tipo di armi usate per sparare sulla folla. Il 17 ottobre 1948 la sezione
istruttoria della Corte d'appello di Palermo rinvia a giudizio Salvatore
Giuliano e gli altri componenti della banda. La Corte di Cassazione, per
legittima suspicione, decide la competenza della Corte d'assise di Viterbo,
dove il dibattimento avrà inizio il 12 giugno 1950 e si concluderà il 3 maggio
1952, con la condanna all'ergastolo di 12 imputati (Giuliano era stato
assassinato il 5 luglio del 1950).
Nella sentenza, a proposito della
ricerca della causale, si sostiene che Giuliano compiendo la strage e gli
attentati successivi ha voluto combattere i comunisti e si richiama la tesi
degli avvocati difensori secondo cui la banda Giuliano aveva operato come
"un plotone di polizia", supplendo in tal modo alla "carenza
dello Stato che in quel momento si notò in Sicilia" (ivi, pp. 191 s).
Cioè: la violenza banditesca era stata impiegata come risorsa di una strategia
politica volta a colpire le forze che si battevano contro un determinato
sistema di potere. Restava tra le righe che le "carenze dello Stato"
erano da attribuire all'azione della coalizione antifascista allora al governo
del Paese. La sentenza di Viterbo non toccava il problema dei mandanti della
strage e dell'offensiva contro il movimento contadino e le forze di sinistra,
affermando esplicitamente che la causa doveva essere ricercata altrove.
Contro la sentenza fu proposto
appello e il processo di secondo grado si svolse presso la Corte d'assise
d'appello di Roma (nel frattempo molti degli imputati, tra cui Gaspare
Pisciotta, erano morti). La sentenza del 10 agosto 1956 confermava alcune
condanne, riducendo la pena, e assolveva altri imputati per insufficienza di
prove. Con sentenza del 14 maggio 1960 la Corte di Cassazione dichiarava
inammissibile il ricorso del pubblico ministero e così la sentenza d'appello
diventava definitiva.
Una strage per il centrismo
Nella storia d'Italia il 1947 è
un anno di svolta e la strage di Portella ha avuto un ruolo nello stimolare e
accelerare questa svolta, intrecciandosi con dinamiche che maturano a livello
locale, nazionale e internazionale. Il 13 maggio si apre la crisi politica con
le dimissioni del governo di coalizione antifascista presieduto da De Gasperi.
Il 30 maggio a Roma e a Palermo si formano i nuovi governi: De Gasperi presiede
un governo centrista con esclusione delle sinistre e alla Regione siciliana il
democristiano Giuseppe Alessi presiede un governo minoritario appoggiato dai
partiti conservatori, senza la partecipazione del Blocco del popolo, nonostante
la vittoria alle elezioni del 20 aprile. Si apre così una nuova fase della
storia d'Italia, in cui le forze di sinistra saranno all'opposizione. La svolta
si inserisce nella prospettiva aperta dagli accordi di Yalta che hanno
codificato la divisione del pianeta in due grandi aree di influenza, con
l'Italia dentro lo schieramento atlantico egemonizzato dagli Stati Uniti e la
guerra fredda come strategia di contrasto e di contenimento del potere
sovietico.
Nel gennaio del '47 De Gasperi
era andato negli Stati Uniti ma è frutto di una visione semplificatrice pensare
che abbia ricevuto l'ordine di sbaraccare le sinistre dal governo. In realtà la
svolta del '47 è figlia di un matrimonio consensuale in cui interessi locali,
nazionali e internazionali coincidono perfettamente. Il messaggio contenuto
nella strage è stato pienamente recepito e da ora in poi a governare, accanto
alla Democrazia cristiana che nelle elezioni del 18 aprile 1948 si afferma come
partito di maggioranza relativa, dopo una campagna elettorale volta a
esorcizzare il "pericolo rosso", saranno i partiti conservatori
vanamente indicati come mandanti del massacro. In questo quadro la Chiesa
cattolica ha un ruolo di primo piano. Il cardinale Ernesto Ruffini, a proposito
della strage di Portella e degli attentati del 22 giugno, scrive che era
"inevitabile la resistenza e la ribellione di fronte alle prepotenze, alle
calunnie, ai sistemi sleali e alle teorie antiitaliane e anticristiane dei
comunisti" (in Santino 2000, p. 180), plaude all'estromissione delle
sinistre dal governo, ma la sua proposta di mettere i comunisti fuori legge,
rivolta a De Gasperi e a Scelba, rimarrà inascoltata. I dirigenti democristiani
sanno perfettamente che sarebbe la guerra civile.
Alla ricerca dei mandanti
Alla ricerca dei mandanti
La verità giudiziaria sulla
strage si è limitata agli esecutori individuati nei banditi della banda
Giuliano. Nell'ottobre del 1951 Giuseppe Montalbano, ex sottosegretario,
deputato regionale e dirigente comunista, presentava al Procuratore generale di
Palermo una denuncia contro i monarchici Gianfranco Alliata, Tommaso Leone
Marchesano e Giacomo Cusumano Geloso come mandanti della strage e contro
l'ispettore Messana come correo. Il Procuratore e la sezione istruttoria del
Tribunale di Palermo decidevano l'archiviazione. Successivamente i nomi dei
mandanti circoleranno solo sulla stampa e nelle audizioni della Commissione
parlamentare antimafia che comincia i suoi lavori nel 1963. Nel novembre del
1969 il figlio dell'appena defunto deputato Antonio Ramirez si presenta nello
studio di Giuseppe Montalbano per recapitargli una lettera riservata del padre,
datata 9 dicembre 1951. Nella lettera si dice che l'esponente monarchico Leone
Marchesano aveva dato mandato a Giuliano di sparare a Portella, ma solo a scopo
intimidatorio, che erano costantemente in contratto con Giuliano i monarchici
Alliata e Cusumano Geloso, che quanto aveva detto, nel corso degli
interrogatori, il bandito Pisciotta su di loro e su Bernardo Mattarella era
vero, che Giuliano aveva avuto l'assicurazione che sarebbe stato amnistiato (in
Santino 1997, p. 207).
Montalbano presenta il documento
alla Commissione antimafia nel marzo del 1970, la Commissione raccoglierà altre
testimonianze e nel febbraio del 1972 approverà all'unanimità una relazione sui
rapporti tra mafia e banditismo, accompagnata da 25 allegati, ma verranno
secretati parecchi documenti raccolti durante il suo lavoro. La relazione a
proposito della strage scriveva: "Le ragioni per le quali Giuliano ordinò
la strage di Portella della Ginestra rimarranno a lungo, forse per sempre,
avvolte nel mistero. Attribuire la responsabilità diretta o morale a questo o a
quel partito, a questa o quella personalità politica non è assolutamente
possibile allo stato degli atti e dopo un'indagine lunga e approfondita come
quella condotta dalla Commissione. Le personalità monarchiche e democristiane
chiamate in causa direttamente dai banditi risultano estranee ai fatti".
Il relatore, il senatore Marzio Bernardinetti, addebitava i risultati deludenti
alla mancata o scarsa collaborazione delle autorità: "Il lavoro, cui il
comitato di indagine sui rapporti fra mafia e banditismo si è sobbarcato in
così difficili condizioni, avrebbe approdato a ben altri risultati di certezza
e di giudizio se tutte le autorità, che assolsero allora a quelli che ritennero
essere i propri compiti, avessero fornito documentate informazioni e
giustificazioni del proprio comportamento nonché un responsabile contributo
all'approfondimento delle cause che resero così lungo e travagliato il fenomeno
del banditismo" (in Testo integrale…1973).
Nel 1977, in pieno clima di
"compromesso storico" tra Partito comunista e Democrazia cristiana,
ben poco propizio alla ricerca della verità, il Centro siciliano di
documentazione comincia la sua attività con un convegno nazionale dal titolo
"Portella della Ginestra: una strage per il centrismo" in cui si
ricostruisce il quadro in cui è maturata la strage, considerata non come il
prodotto di un disorientamento e di un vuoto politico (come sosteneva anche la
storiografia di sinistra: Francesco Renda considerava l'uso della violenza come
"repugnante delinquenza comune" e un "errore grossolano"
che avrebbe portato all'isolamento dei proprietari terrieri: Renda 1976, p. 23)
ma come "un atto di lucida, e ragionata, violenza volto a condizionare il
quadro politico, regionale e nazionale" purtroppo coronato da successo
(Centro siciliano di documentazione 1977; Santino 1997, pp. 8,
60). Successivamente ci sono state varie pubblicazioni, più meno documentate,
sulla strage e sulla banda Giuliano (Galluzzo 1985, Magrì 1987, Barrese -
D'Agostino 1997, Renda 2002) e l'interpretazione della strage di Portella come
"strage di Stato" ha segnato buona parte dei lavori del convegno che
si è svolto nel maggio del 1997, nel cinquantesimo anniversario (Manali, a cura
di, 1999; Santino ivi). Il convegno si concluse con la richiesta della
desecratazione della documentazione raccolta dalla Commissione antimafia,
pubblicata negli anni successivi in vari volumi (Commissione antimafia
1998-99). Nel frattempo la costituzione dell'Associazione "Non solo
Portella", ad opera di familiari delle vittime, e l'attività di ricerca
del suo presidente, lo storico Giuseppe Casarrubea, figlio di una delle vittime
dell'attentato di Partinico del 22 giugno, hanno portato a significativi
risultati (Casarrubea 1997, 1998, 2001). Anche sulla base di perizie effettuate
sui corpi di alcuni superstiti si è documentato che tra le armi utilizzate
c'erano bombe-petardo di produzione americana; da testimonianze risulta che tra
gli esecutori c'erano mafiosi e le ricerche sui materiali dell'archivio
dell'Oss (Office of Strategic Services) e del Sis (Servizio Informazioni e
Sicurezza) del ministero dell'Interno hanno prodotto ulteriore documentazione
sul ruolo degli Stati Uniti (già documentato precedentemente: sugli incontri
del bandito Giuliano con l'agente americano Michael Stern: Sansone - Ingrascì
1950, pp.143-150; sulla politica estera degli Stati Uniti, ricostruita
attraverso documenti d'archivio: Faenza - Fini 1976) e rivelato i rapporti tra
banditismo e formazioni neofasciste (Vasile 2004, 2005).
Ricostruzioni recenti (La Bella -
Mecarolo 2003) hanno contribuito ad arricchire il quadro della documentazione
sul contesto, sono stati pubblicati significativi documenti degli archivi
italiani e americani sui primi anni della Repubblica (Tranfaglia 2004) e un
film (Segreti di Stato del regista Paolo Benvenuti, accompagnato da un volume:
Baroni-Benvenuti 2003) ha riproposto il tema delle complicità chiamando in causa
vari soggetti, dai dirigenti della Democrazia cristiana alla X MAS di Junio
Valerio Borghese, ai servizi segreti americani, al Vaticano, in un "gioco
delle carte" non sempre convincente.
Sulla base di nuove acquisizioni
documentali nel dicembre 2004 i familiari delle vittime hanno chiesto la
riapertura dell'inchiesta. Per Portella, come del resto per le altre stragi che
hanno insanguinato l'Italia, la verità è ancora lontana.
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