giovedì 30 ottobre 2014

Si scrive Acqua e si legge Democrazia!

Sentinelle del territorio: "Una bella notizia!"
Il Consiglio Comunale di Pinerolo ha approvato ieri notte  a larga maggioranza la deliberazione di trasformazione di SMAT SPA  in Azienda speciale consortile di diritto pubblico.

Fonte: Comitato  Acqua Pubblica di Pinerolo

Il testo della deliberazione, proposto dal Comitato provinciale Acqua Pubblica di Torino e fatto proprio dai consiglieri Giorgio Canal (SEL) e Luca Salvai (Movimento 5 Stelle) è stato oggetto di esame e discussione approfondita da parte dei consiglieri comunali in più riunioni.
Un confronto che ha richiesto tempo ma che è stato utile per chiarire la profonda differenza tra la gestione dell’acqua bene comune tramite una Società per Azioni di diritto privato a fini di lucro, oppure un’Azienda speciale di diritto pubblico che non ha lo scopo di realizzare profitti ma di erogare il servizio idrico così vitale in modo efficiente, equo, partecipativo e trasparente come l’Acqua. 
In tal senso si erano già pronunciati decine di Comuni della nostra Provincia (tra cui Almese, Avigliana, Bussoleno, Chivasso, Moncalieri, Nichelino, Rivalta)  ai quali viene ora ad aggiungersi anche la voce di Pinerolo.
Con il voto a larga maggioranza di ieri sera, il Consiglio comunale di Pinerolo ha dimostrato il rispetto dovuto alla volontà popolare espressa nel Referendum del 12-13 giugno 2011, e la ha attuata dando coerente prova di vera democrazia.
Un segnale positivo e incoraggiante che dimostra quali favorevoli risultati può conseguire il confronto serio, chiaro, nel reciproco rispetto e autonomia, tra movimenti di base e istituzioni.
Ancora una volta : si scrive acqua e si legge democrazia!
Viviamo questo momento di grande soddisfazione e di consonanza con quasi tutti i nostri amministratori comunali anche come lascito del nostro indimenticabile Giorgio Gardiol.
Riportiamo una immagine di  Giorgio Gardiol , scattate a Pinerolo lo scorso 27 settembre 2013 in occasione di quella che è stato forse la sua ultima apparizione "pubblica": l'incontro sulla questione dei "Portici Blu". Anche in quell'occasione, insieme Giorgio Gardiol era stato capace di produrre un importante e fondato documento di analisi di una delibera che  aveva suscitato ampio dibattito nella città di Pinerolo e riguardante l'ipotesi di un secondo grattacielo a Pinerolo

lunedì 27 ottobre 2014

Contromafie: è giunto il momento di dire basta.


Sono giunti alla conclusione i lavori di Contromafie, gli Stati generali dell'Antimafia tenuti a Roma a partire da giovedì scorso.  La denuncia di don Ciotti e dell'associazione Libera è chiara: " Mafie e corruzione stanno saccheggiando la nostra società grazie a una vera e propria globalizzazione dell’illecito, che ha prodotto i suoi effetti disastrosi per la capacità dei criminali e dei loro complici di inquinare il tessuto sociale, economico e politico di Stati e comunità." 
Nel documento prodotto alla nascita del presidio LIBERA "Rita Atria" Pinerolo ( qui il testo integrale) scrivevamo di voler diventare ed essere “sentinelle del territorio”, agire "(...) affinchè dichiarazioni di principio e proclamazioni di intenti sul tema della Legalità (...) non siano mere intenzioni verbali e principi enunciativi ma assumano concretezza e attuazione reale". Ci concediamo quindi una piccola soddisfazione: le riflessioni che il presidio LIBERA "Rita Atria" ha condotto in questi mesi sulla distinzione fra legalità e Giustizia non erano infondate, dal momento che proprio quella distinzione è al primo punto del decalogo,!
Nel manifesto presentato a conclusione dei lavori, il decalogo,  Libera propone dieci impegni per liberare l'Italia dalle mafie e dalla corruzione, con l'obiettivo di tre riforme  prioritarie e necessarie al Paese: riformare la legalità, la solidarietà e l'etica. 

 Dieci proposte. (il decalogo è questo!)



1. Riformare la legalità, perché non sia più una bandiera dietro cui si nasconde chi la viola ogni giorno.


2. Valorizzare il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie e alla corruzione come strumenti per la creazione di un nuovo welfare.

3. Garantire la formazione continua del cittadino, per renderlo parte attiva della battaglia contro il crimine.

4. Difendere il ruolo dell’informazione.

5. Rompere i legami tra mafia e politica, assicurando trasparenza ai procedimenti pubblici, con una legge anticorruzione che recepisca le direttive europee.

6. Aggiornare gli strumenti di contrasto alle mafie, estendendo i mezzi d’indagine già sperimentati ai reati di corruzione e alla più grave criminalità d’impresa.

7. Istituire il 21 marzo come Giornata nazionale della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.

8. Restituire alla collettività tutti i beni confiscati ai mafiosi ma anche ai corrotti con una reale capacità d’azione dell’agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati.


9. Contrastare l’economia illegale che condiziona lo sviluppo di interi territori e comunità svelando il ruolo delle lobbies e delle pratiche illecite che condizionano la leale concorrenza, colpendo in profondità su scala nazionale, europea e globale il fenomeno del riciclaggio, irrobustendo le reti territoriali e le associazioni che si oppongono a racket ed usura, contrastando la diffusione del gioco d’azzardo.


10. Introdurre i reati contro l’ambiente nel codice penale.







giovedì 23 ottobre 2014

Don Luigi Ciotti: le mafie sono tornate forti e a dirlo è la loro diffusione, la loro presenza

Prende il via a Roma "Contromafie". 
Ricordiamo l'nvito di don Ciotti a non parlare più di "antimafia" poichè tanti hanno costruito costruite maschere e carriere al'insegna del "professionismo" dell'antimafia. 
Non parliamo di "antimafia", parliamo di piuttosto di Responsabilità, di Impegno , di Coraggio, di Sevizio a favore bene lungimirante delle comunità. Questo lo scriviamo noi ma , ne siamo certi, lo direbbe don Ciotti. 
"Le mafie sono tornate forti  -  spiega don Ciotti  -  e a dirlo non sono tanto le minacce dei boss, quanto la loro diffusione, la loro presenza. Presenza materiale, che incide nei processi economici e politici. (...) lotta alla criminalità organizzata vuol dire soprattutto lavoro, scuola e casa."


Fonte La Repubblica

Antimafia, da giovedì gli stati generali. Don Ciotti: "Organizzazioni criminali avanzano"


ROMA - "È il momento di fermarsi a riflettere. Molti parlano di antimafia, ma questa non è una carta d'identità, dovrebbe essere una scelta di responsabilità. Sono in tanti ad aver scelto una legalità malleabile" riflette il presidente di Libera, don Luigi Ciotti. Dal 23 al 26 ottobre a Roma ci saràContromafie, la terza edizione degli stati generali dell'antimafia. "Non sarà una passerella", precisa don Ciotti, ma quattro giorni di confronto tra le realtà, italiane e europee, impegnate contro le diverse forme di criminalità organizzata. Oltre 3000 partecipanti, centinaia di associazioni, sei aree tematiche, 30 gruppi di lavoro con il contributo di più di 200 relatori tra educatori, operatori sociali, magistrati, docenti universitari, forze di polizia, imprenditori e sindacalisti.

Sono passati cinque anni dall'ultima edizione e tante cose sono cambiate: "Le mafie sono tornate forti  -  spiega don Ciotti  -  e a dirlo non sono tanto le minacce dei boss, quanto la loro diffusione, la loro presenza. Presenza materiale, che incide nei processi economici e politici. In un momento di crisi come quello che stiamo vivendo le organizzazioni criminali hanno tanto denaro e lo investono, lo riciclano". E crescono da sud a nord, in maniera trasversale: "In tutt'Italia non si percepisce la gravità del fenomeno, non ci si può fermare. Non possiamo permettercelo. Le cose che abbiamo fatto sono state importanti, ma non bastano" ragiona il presidente di Libera. 

Si parte il 23 ottobre con GiovaniContromafie, al Centro Sportivo Valentina Venanzi, nel quartiere Corviale, dove sarà allestito un campus che ospiterà 300 giovani. L'apertura dei lavori, invece, sarà venerdì all'Auditorium della Conciliazione con un intervento di Roberto Saviano e la relazione introduttiva di Luigi Ciotti. Alla fine sarà elaborato il "Manifesto degli Stati generali dell'antimafia".



Tanti i rappresentanti delle istituzioni che parteciperanno a Contromafie: da Laura Boldrini a Stefania Giannini, da Pietro Grasso a Andrea Orlando.


E proprio alla politica che don Ciotti lancia una sfida. "Non riusciamo ad avere una legge completa sulla corruzione, aspettiamo il ritorno del falso in bilancio. Ci sono troppi compromessi al ribasso, come quello sulla legge anti riciclaggio. Ci viene detto ogni giorno che con la crisi non ci sono soldi e si spende meno per la sicurezza di chi contrasta la mafia. Non si investe sul welfare: lotta alla criminalità organizzata vuol dire soprattutto lavoro, scuola e casa. Guardiamoci attorno, c'è un mondo di giovani che non studia e non lavora. La politica può fare molto di più della magistratura". 

Contemporaneamente ai lavori, ci saranno in giro per Roma spettacoli teatrali,  proiezioni di documentari, film, inchieste televisive. "Non possiamo più fare finta di niente. Dobbiamo riflettere e rilanciare" è l'invito di don Ciotti.


mercoledì 22 ottobre 2014

Un Anno chiamato Coraggio: l'Antprima

Nei mesi passati abbiamo incontrato il gruppo scout dell'Abbadia Alpina  di Pinerolo, il Clan Carrick1. Insieme a loro avevamo svolto una intensa "tre giorni" di riflessione a "Cascina Arzilla", bene confiscato dedicato a Rita Atria e Antonio Landieri. Una riflessione che, partendo dalle esperienze dei tre gruppi che si erano ritrovati a Pinerolo in preparazione della Route nazionale degli scouts, giungeva a riflettere e interrogarsi sui temi della Giustizia, della Libertà, sulla presenza delle mafie e del "pensiero mafioso" nelle vite di ciascuno qui l'articolo relativo a quella "tre giorni").
A seguito di quella esperienza, gli scout hanno  chiesto di ritornare a Cascina Arzilla per svolgere, proprio in quel luogo, il loro incontro di inizio anno.
Cascina Arzilla accoglie il Clan Carrick1
la messa -scout: riflessioni e assunzione di impegni
Scriviamo di questo evento perchè esso ha costituito anche il primo atto "ufficiale" del nuovo anno sociale del presidio LIBERA" Rita Atria " Pinerolo. Non solo:  è stata l'occasione per presentare agli Scout l'invito a partecipare ad "Un Anno Chiamato Coraggio". Proprio la parola che è stato il valore di riferimento del loro raduno nazionale, il Coraggio, vogliamo che sia la parola chiave dell'attività del presidio LIBERA "Rita Atria" Pinerolo per l'anno sociale 2014-2015. 
Guido: raccontare è "realmente esistere" = "r.esistere"
Francesco: l'invito a Un Anno chiamato Coraggio
"Un Anno Chiamato Coraggio" è l'invito che estenderemo alla associazioni, ai docenti con le quali collaboriamo, agli studenti che incontreremo, ai cittadini,  un invito rivolto a tutti coloro che hanno a cuore il bene lungimirante della comunità.
Gli scout hanno accolto la nostra proposta e saranno quindi i nostri primi "testimoni-staffette" per quanto abbiamo in animo di realizzare quest'anno: individuare insieme alcuni temi da analizzare, conoscere, e per i quali provare a proporre soluzioni concrete e sostenibili. 
Progetto ambizioso? L'interesse dimostrato dai giovani pinerolesi per quanto accade nella comunità deve darci "il coraggio" per provare a creare reti e ponti generazionali. Perchè "ci vuole coraggio" per mettere in discussione  le riflessioni, le idee,  i progetti di ciascuno. Questi sono tempi in cui "Ci vuole Coraggio..." anche solo per "fare comunità", per sentirsi parte di una comunità. 
"Un Anno Chiamato Coraggio" significherà quindi offrire e mettere insieme l'impegno e le capacità di ognuno al servizio del bene lungimirante della comunità.
Il prossimo venerdì 24 ottobre 2014, gli scout ci consegneranno, a loro volta, la "Carta del Coraggio" nel corso di una " veglia -rover" che si svolgerà a partire dalle ore 21.00 nei locali della chiesa dell'Abbadia Alpina di Pinerolo

mercoledì 15 ottobre 2014

Elvio Fassone, senatore e giudice:“ La classe politica non è mai all’altezza"

Scriviamo col pensiero rivolto agli ultimi disastri che in questi giorni hanno colpito Genova, la Maremma e tante zone d'Italia. Cordoglio per coloro che hanno perso la vita, condanna per coloro che hanno permesso che ciò avvenisse.
Disastri che solo in parte sono da addebitarsi agli eventi metereologici: la colpa maggiore risiede nelle azioni di coloro che, amministrando quei territori, ne hanno sconvolto gli equilibri e le caratteristiche.
Disastri annunciati, provocati da politiche urbanistiche davvero censurabili, perseguite da frotte di amministratori e classi dirigenti la cui unica preoccupazione pare essere il procacciamento del Potere e il suo mantenimento.  l cosiddetti "beni comuni" - il territorio, il paesaggio, la salute delle comunità- non è (quasi mai) una priorità per la classe dirigente del Paese mentre si preferisce più spesso creare e "gestire" (non significa affatto risolvere"!) le "emergenze": il dissesto idrogeologico, la casa, il lavoro, le "grandi opere"...
La presenza delle organizzazioni mafiose in quei territori è poi un filo conduttore che potrebbe spiegare tante delle cose che accadono in questo Paese. 

Una riflessione, a partire da "una intervista coraggiosa"
Alla luce di queste premesse, continuiamo  iniziata lo scorso anno qui quanto avevamo  scritto ) grazie al contributo del sen. Elvio Fassone e del sostituto procuratore Ciro Santoriello, sul legame che dovrebbe essere imprescindibile fra Legalità, le regole che diventano le Leggi di una comunità, e la Giustizia, i Principi su cui fondare una comunità.

Sen. Elvio Fassone
Una intervista “coraggiosa”di Elvio Fassone
Il giornale Pinerolo Indialogo, nel numero di settembre 2014, riporta una intervista al Sen. Elvio Fassone ( qui il testo integrale dell'intervista). A nostro parere, si tratta di una intervista “coraggiosa” , poiché il il sen. Fassone esprime, fra le altre cose, un giudizio  sugli “eletti”, su coloro che in uno stato democratico sono chiamati a guidare la comunità. Interrogato sulla classe politica (pinerolese) Elvio Fassone dice:“(…) La classe politica non è mai all’altezza. Purtroppo infatti la politica non riesce ad attrarre chi dovrebbe. (…)”.
Aldilà del riferimento alla classe politica "locale", pensiamo  che il concetto espresso dal sen. Fassone debba sollecitare una riflessione più ampia e generale.

Una nazione:"una nave"!
Parliamo per metafora: se una nazione–comunità fosse rappresentata da "una nave", la classe politica-dirigente potrebbe essere il comandante e l’equipaggio di quella nave e noi, comuni cittadini, i passeggeri. Se dovessimo giudicare il comandante e l’equipaggio della nave, di certo saremmo rassicurati dal sapere che –comandante ed equipaggio- hanno dato prova di saper condurre egregiamente la nave soprattutto quando il mare si ingrossa
Le cose sono  ovviamente più complesse. Anzitutto, il comandante della nave-Italia spesso “schettina”. La figura di quel comandante rappresenta egregiamente quegli italiani ( e non solo italiani) che aspirano a posizioni di comando per potersene poi avvantaggiare: sfoggio di divise, abiti di fine sartoria, cene eleganti, battute spiritose. I fatti dimostrano che, sotto il vestito, spesso vi è poca sostanza-capacità. Ma  andiamo a vedere anche gli altri. Nell'equipaggio (la classe dirigente) così come tra i passeggeri (i cittadini) troviamo persone molto diverse tra loro: ci sono persone per bene e persone per male, eroi e farabutti, come anche le indagini sulla tragedia della "Concordia" hanno messo in luce. Osserviamo ora più attentamente l'equipaggio: possiamo distinguere la ciurma dai graduati e concordare nel dire che se il comportamento riprovevole di uno della ciurma è sì disdicevole -ma è difficile che provochi un gran danno- il comportamento scorretto di un ufficiale o un sottufficiale può provocare un danno enorme, perché più si sale nella catena di comando, più si hanno responsabilità e più si dovrebbe avere un alto senso morale, essere i "migliori"!

Ma quali sono le persone migliori? Cosa è "morale" nel Paese-Italia che abbiamo costruito?
La realtà: abbiamo costruito una società che si fonda oramai sull'interesse del “singolo” il quale deve perseguire a qualsiasi costo i propri, personalistici, interessi. Il successo, il denaro, il potere,  paiono essere il solo metro di valutazione, mentre i valori etici e morali vengono piegati -o accantonati- per il  raggiungimento di quegli obbiettivi. "Padroni e padrini” spadroneggiano" alla grande: si distruggono “risorse umane” -i destini degli individui-  e le ricchezze della Terra pur di ottenere privati ed esclusivi vantaggi per la famosa triade: caste-cricche-coste.
Se così è, allora  per certuni “i migliori” sono ovviamente quelli che riescono meglio in simili attività.

Chi sono per noi “i migliori”? 
Per noi i migliori sono quelli che per onestà di comportamento, aderenza a valori etici e morali, capacità di individuare percorsi e progetti corretti e sostenibili, volontà di impegno a favore delle comunità, possono offrire un contributo alla comunità stessa. Servizio e non Potere! Questi sono coloro che, a nostro parere, dovrebbero essere chiamati a guidare le comunità.
Un cammino che ci era stato indicato nei Princìpi Fondamentali della nostra Costituzione. In quel documento, pure frutto di un compromesso necessario fra le varie componenti che ne avevano determinato i cardini, i Principi, il sogno di un Paese per il quale tanti italiani avevano sacrificato la vita. Una Costituzione che, ancora oggi, richiederebbe anzitutto di essere attuata, prima che riformata!

Quali sono "i migliori" per il sistema politico italiano?
Il sistema partitico italiano pare perseguire strade ben diverse da quelle che abbiamo indicato prima. Divenuto  una sorta di “corporazione” di cui si è chiamati a farne parte per “cooptazione”, i partiti che lo compongono producono i cosiddetti "nominati”, di cui tanto sentiamo parlare da quando i cittadini sono costretti ad eleggere soggetti appunto "nominati-indicati" dagli stessi capi-partiti. Come sottolinea il sen. Fassone, cosa grave è che questa chiamata non sempre riguarda “ i migliori” della comunità. La storia (la cronaca) ci insegna che spesso la scelta, la nomina, ricade piuttosto su coloro che si dimostrano fedeli e accondiscendenti ai “desiderata” ( non sempre "ideali") dei “capi del sistema" stesso. Non solo: il “sistema” è poi capace di  legare a sé coloro che ne fanno parte attraverso tutta una serie di privilegi che, alla luce di quanto oramai sappiamo, sono tratto peculiare (e a nostro parere scandaloso) della cosiddetta “casta politica” italiana, una fra tante. Costoro, nominati e privilegiati, sono fra coloro che guidano il Paese! 
Come guideranno la nave-Paese? In quale direzione?

Perché "i migliori"non si fanno avanti? (..."migliori" secondo i parametri  del sen. Fassone e forse anche nostri)
Nel passaggio relativo alla classe politica, Elvio Fassone sottolinea un altro punto fondamentale:”(…) Le elezioni dovrebbero servire, nel senso antico del termine (eligere) a selezionare i migliori. Tuttavia questi dovrebbero farsi avanti, e ciò quasi mai accade.(…)
Ci permettiamo di dire che  è questa una considerazione che abbiamo manifestato sin dall’inizio della nostra ancor breve esperienza condotta come presidio “Rita Atria”: "(...) a fronte della mole di servizio reso alla collettività da associazioni e gruppi di volontariato (...)colpisce la scarsa possibilità di questi di incidere poi realmente negli indirizzi politici della collettività (...)".  ( qui "Esiste la società civile?", l'articolo nel quale ponevamo la questione).
A nostro parere, coloro che ritengono di poter offrire un contributo di idee e di capacità alla propria comunità,  in buona fede e senza mire di tornaconto personale,  alcuni ( molti?) di quei "migliori" spesso preferiscono agire nel mondo del lavoro, del volontariato, dell’associazionismo, piuttosto che entrare in una competizione, in un "sistema", che ha dato ampia prova di saper trovare mezzi e modi per eliminare (o almeno ridurre  in secondo piano) coloro che non si adeguano al sistema stesso o che, addirittura, quel sistema vorrebbero cambiare, visto il suo decadimento.

Sarà colpa della "questione morale"
Non vorremmo "chiudere il cerchio" in maniera troppo frettolosa ma pensiamo che una parziale spiegazione della ritrosia di quei “migliori" a farsi avanti  sia da ricercare nella cosiddetta questione morale”."Questione " irrisolta e anzi spesso accantonata dal patrimonio ideale e reale di tanta politica-partitica italiana. Inutile negarlo: col pensiero andiamo alla celebre intervista  che Enrico Berlinguer  rilasciò a Eugenio Scalfari nel 1981...o alla diversità perduta? Rileggendo quell'intervista, anzicchè "analisi datata" del mondo dei partiti dell'epoca,  le parole di Berlinguer appaiono come "il copione" seguito poi da "pezzi" della nazione, in cui varie componenti "colludono"  in uno scambio di reciproci favori e omissioni, barattando "doveri e diritti", facendo strame dei principi fondativi della nazione stessa.
Il primo passo che oggi porta a dire che "la politica "non è mai all'altezza"?


Arturo Francesco Incurato
Umberto Ottone
Stefano Ruffinatto

domenica 12 ottobre 2014

Nobel per la pace a Malala e Kailash Satyarthi.


Una giovane e coraggiosa studentessa pachistana, Malala Yousafzai, ed un attivista indiano da decenni impegnato a liberare i bambini dalla schiavitù, Kailash Satyarthi, si sono divisi oggi il Premio Nobel per la Pace. I Taleani avevano tentato di uccidere Malala perchè lei voleva andare a scuola; lui, Kailash Satyarthi, ha salvato dalla schiavitù migliaia di bambini. Un premio per dare voce ai milioni di bambini che, in ogni angolo del mondo, non hanno voce  costretti a vivere da schiavi, senza poter riceve istruzione.

Fonte: ANSA

Nobel per la pace a Malala e Kailash Satyarthi. 

Lei, "sono fiera"

 

(di Maurizio Salvi)
NEW DELHI/ISLAMABAD

Malala Yousafzai
La giovane e coraggiosa studentessa pachistana, Malala Yousafzai, ed un attivista indiano da decenni impegnato a liberare i bambini dalla schiavitù, Kailash Satyarthi, si sono divisi oggi il Premio Nobel per la Pace annunciato dal Comitato dei 'saggi' di Oslo. Dopo tre anni di designazioni non fortissime dal punto di vista mediatico, la scelta 2014 è stata senza dubbio più efficace: una musulmana di 17 anni, che
Kailash Satyarthi
un attentato talebano ha trasformato in simbolo dei diritti delle donne, e un operatore sociale hindu di 60 anni, forse meno noto, ma che in anni di lotta nonviolenta ha salvato almeno 80.000 bambini-schiavi
. Molti hanno interpretato il gesto del Comitato norvegese anche come un messaggio a pachistani e indiani a sfruttare questa opportunità per cercare di risolvere le loro controversie per il Kashmir non a cannonate ma con il dialogo. E oggi, per tutta la giornata, lungo il confine indo-pachistano della regione contesa le armi hanno taciuto. Unanime il plauso a livello internazionale, dal segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon alla Santa Sede, dall'Unione europea al ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini, per la quale si tratta di "una scelta che deve richiamare tutto il mondo, dalla politica alla società civile, ad uno sforzo quotidiano di difesa dei diritti umani". La motivazione del Premio letta ad Oslo recita che la scelta è caduta su Satyarthi e Yousafzai "per la loro lotta contro la repressione dei bimbi e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all'istruzione: devono andare a scuola, non essere sfruttati". Illustrando il profilo dell'attivista indiano, il Comitato ha sottolineato che "mostrando particolare coraggio, Kailash Satyarthi, coerente con la tradizione di Gandhi, ha guidato varie forme di proteste e manifestazioni, tutte pacifiche, concentrandosi sullo sfruttamento dei bambini a fini di lucro".
Per Malala, i 'saggi' hanno indicato che "nonostante la sua giovane età combatte già da anni per il diritto delle bambine all'istruzione, ed ha mostrato anche che bambini e giovani possono contribuire a migliorare la loro stessa situazione. E lo ha fatto con una lotta eroica in un contesto di grande pericolo". Fondatore di una battagliera ong indiana, 'Bachpan Bachao Andolan' (Salvare i bambini), Satyarthi ha esclamato apprendendo la sua designazione che finalmente "la voce di decine di milioni di bambini è stata ascoltata". E poi ha aggiunto: "Conosco Malala personalmente e la inviterò a lavorare con me". L'attivista ha anche annunciato all'ANSA che la parte in denaro del premio "servirà a finanziare progetti per i bambini". Da parte sua la giovane pachistana, che dopo il tremendo attentato subito vive da due anni in Gran Bretagna, ha messo in riga la stampa facendo sapere che prima di commentare il riconoscimento ottenuto doveva terminare la giornata di studio. Poi, in una conferenza stampa tenuta nel pomeriggio a Birmingham, Malala ha detto di "provare orgoglio per essere la prima pachistana ad avere avuto il Premio Nobel". Questo riconoscimento, ha assicurato, "per me non è il punto d'arrivo ma l'inizio di una più forte battaglia per i diritti dei bambini allo studio. Ce ne sono 57 milioni che non possono studiare". La giovane pachistana ha anche rivelato di aver parlato per telefono con Satyarthi e di aver accettato di lavorare con lui per la causa comune. I due, simbolicamente, hanno concordato anche di invitare i rispettivi premier (il pachistano Nawaz Sharif e l'indiano Narendra Modi) alla cerimonia di consegna del Premio a Dicembre ad Oslo. Un altro ponte lanciato per la pace.

venerdì 10 ottobre 2014

La storia di Tiberio Bentivoglio è la vittoria di cosche-cricche-caste. Vergona!

Il messaggio è devastante. Cosche, cricche e caste, il potere infame che domina l'italia, mandano il loro avvertimento più convincente: chi denuncia è finito! Tiberio Bentivoglio "deve diventare un uomo  "finito" ( per avere avuto il coraggio di denunciare!). 
Cosa fanno le istituzioni? Cosa fanno coloro che, tra le istituzioni, si fanno beffe di parole come Legalità e Giustizia indossando la maschera dell'antimafia da palcoscenico?
La storia di Tiberio Bentivoglio è una storia esemplare: ha denunciato le cosche e le cricche del reggino e per questo motivo, senza la protezione delle istituzioni -o senza avere "santi in paradiso"- rischia di soccombere. 
I professionisti dell'antimafia da palcoscenico si vergognino! Vergogniamoci tutti, se permettiamo che si compiano ingiustizie come queste. 



Fonte: L'Espresso

L'imprenditore denuncia i clan. 'Ma Equitalia mi porta via la casa'


Tiberio Bentivoglio rompe il muro di omertà contro la 'ndrangheta, ma resta solo. Così, tra silenzi, lentezze burocratiche e casa ipotecata, si umilia il coraggio di chi denuncia le cosche di Reggio Calabria 
di Gelsomino Del Guercio
«Sto perdendo casa e lavoro, ho già perso la serenità familiare. Allora oggi mi chiedo: conviene denunciare i propri aguzzini come ho fatto io?». E' il grido di un uomo disperato quello che affida a "l'Espresso"Tiberio Bentivoglio, imprenditore reggino 61enne sotto scorta e testimone di giustizia dal 1992, cioè da quando si è ribellato ai suoi estorsori. Da allora per Tiberio è iniziato un lungo calvario. Gli hanno voltato le spalle gran parte dei suoi concittadini di Condera, la frazione di Reggio Calabria dove abita e dal 1979 è titolare di un negozio, la "Sanitaria S.Elia" che vende prodotti elettro medicali e articoli per la prima infanzia. Perché da quelle parti sfidare i boss è un sacrilegio. Ma sopratutto gli hanno voltato le spalle le istituzioni, che lo hanno abbandonato a se stesso nonostante gli appelli al consiglio regionale della Calabria, allaCommissione Parlamentare Antimafia , al ministro dell'Interno Angelino Alfano e persino a papa Francesco.

In questi giorni la parabola di Tiberio è giunta al capolinea. Sommerso dai debiti, con un fatturato crollato negli ultimi nove anni del 75% (cioè 2 milioni e mezzo di euro in meno) e un conseguente danno per mancato guadagno che si aggira ad oltre 800 mila euro, l'imprenditore è sull'orlo del crac e dirà addio al suo negozio e non solo. Il colpo finale è arrivato tra le fine di settembre e i primi giorni di ottobre.

Equitalia gli ha inviato l'avviso di vendita all'asta della sua abitazione, già ipotecata da oltre un anno per 991mila euro. L'iter prima dello sfratto durerà circa sei mesi. L'ipoteca di Equitalia era arrivata perché da nove anni non paga più i contributi all'Inps dei propri dipendenti (ora rimasti in due, prima erano in cinque) ai quali fino all'anno scorso riusciva a versare a mala pena gli assegni con gli stipendi. «Ho sempre pagato tutto regolarmente ai lavoratori fin quando ho potuto», sottolinea l'imprenditore. Per il danno erariale relativo ai contributi Inps, sua moglie (la loro è un'azienda familiare) ha subito due condanne in primo grado dal tribunale di Reggio Calabria per appropriazione indebita (pena sospesa): la prima un anno fa, la seconda una settimana fa. «Il paradosso è che adesso diventiamo noi i "pregiudicati"…», afferma sconsolato Tiberio.

Come se non bastasse, da qualche settimana si è fatto incalzante il pressing delle banche, che dopo l'ipoteca sull'abitazione hanno ritirato gli affidamenti: non concedono più alcuna forma di credito, mutui e prestiti a Bentivoglio. Sono stati ridotti i carnet degli assegni a lui destinati perché sui suoi conti correnti non c'è abbastanza denaro per pagare i fornitori del negozio (circa 150). Il risultato è che le banche, come da legge, hanno inoltrato gli assegni scoperti ai notai - il cosiddetto "protesto" - e per l'imprenditore si prospettano nuove sanzioni amministrative (che comunque non riuscirà a pagare). L'ennesima batosta è arrivata sabato 4 ottobre quando ha ricevuto il preavviso di sfratto dai proprietari del negozio, perché, ormai da un anno, non ha i soldi per pagare l'affitto. Invece il 10 dicembre 2014 il tribunale di Reggio stabilirà se Tiberio dovrà abbandonate il deposito annesso al negozio perché anche in quel caso è "forzatamente" moroso nei confronti del proprietario.

Ma perché un uomo libero, un imprenditore coraggioso, un testimone di giustizia, fondatore peraltro di "Reggio Libera Reggio", iniziativa anti racket nata in città il 20 aprile 2010, si è ritrovato in una condizione così assurda, al punto da ritenere che sia stata una cosa sconveniente, un errore, denunciare la 'ndrangheta? E' giusto che in un Paese civile si debba pagare tacitamente il pizzo per non ridursi in questo stato di disperazione? Quest'ultima domanda, tanto più in queste ore, se la stanno ponendo Tiberio, la moglie e sopratutto i suoi figli, «psicologicamente devastati da questa vicenda», dice lui.

Nelle sue parole traspare un rimorso rabbioso per quella battaglia iniziata 20 anni fa. «Mi sono rifiutato di riconoscere il loro sistema criminale e sono stato costretto a subire una serie di punizioni e perfino un tentato omicidio che si verificò dopo la condanna di alcuni malavitosi da me nominati nelle denunce». Episodi agghiaccianti, sette in totale. Il primo nel 1992 (furto al negozio), altri due nel 1998 (furto e attentato). Quindi un attentato dinamitardo al negozio nell’aprile 2003 e un incendio nel 2005. Nel giugno 2008 va a fuoco il capannone-deposito. Nel febbraio 2011 gli sparano mentre sta andando nel suo frutteto, alle 6 del mattino. «Solo il caso ha voluto che il proiettile, probabilmente quello fatale, si fermasse nel marsupio di cuoio, che quel giorno portavo a tracolla sulle spalle. Gli autori del tentato omicidio a oggi restano ignoti, mentre io continuo a trascinarmi su una sola gamba in quanto l’altra ha riportato lesioni permanenti causati dai proiettili». Da quel momento a Bentivoglio è stata potenziata la scorta, ora di "terzo livello", cioè assegnata ad una persona "ad alto rischio".
Questa serie di intimidazioni ha scatenato un primo, ma graduale allontanamento della clientela dal negozio. E' lunga la lista degli amici che hanno cominciato a far finta di non vederlo, a non salutarlo in strada, a schivarlo. Peggio ancora dopo che il testimone di giustizia, nel 2007, ha denunciato la presunta connivenza del parroco locale don Nuccio Cannizzaro con Santo Crucitti, presunto boss di Condera-Pietrastorta. Il reato di favoreggiamento di cui era accusato il sacerdote è stato prescritto a luglio 2014 e a Condera, dopo la pronuncia del Tribunale di Reggio, si è festeggiato con caroselli d'auto e fuochi d'artificio. «Don Nuccio da queste parti è molto temuto, ma sta di fatto che in Italia la giustizia è lentissima», ammonisce Bentivoglio. Non solo la giustizia, ma lo è anche la burocrazia, che ha scagliato il colpo di grazia contro la "Sanitaria S.Elia".
C'è una legge, la 44 del 1999, che prevede aiuti alle vittime di mafia. «Per l'attentato al negozio del 2003 ho ricevuto 3400 euro a fronte di 120mila euro di danni. Per l'incendio del 2005 ho avuto circa 300mila euro in tre anni, e per l'incendio al capannone del 2008 circa 400mila euro, tanto quanto il valore della merce bruciata, ma sempre dopo tre anni». In teoria la normativa stabilisce che lo Stato ripaghi la vittima entro 60 giorni dal fatto. «In realtà la media di attesa è molto più lunga - sentenzia Bentivoglio - intanto, ogni volta che ho subito un agguato, in attesa di ricevere quei soldi sono rimasto anni ed anni con il mio negozio e il deposito distrutti». 
I clienti in fuga, la liquidità che viene a mancare, le difficoltà nel pagare i fornitori, un mix micidiale, «che mi è costato 2 milioni e mezzo di euro in nove anni, a tanto ammonta il calo del mio fatturato e 800mila di mancato guadagno che è alla base del mio indebitamento verso Stato, fornitori, locatari. In confronto a ciò gli indennizzi ricevuti in tre anni, non compensano praticamente nulla».Sempre per la legge 44/99, gli è valso 16mila euro il tentato omicidio del 2011 (soldi ricevuti nel 2014), e poiché quella norma sospende i provvedimenti esecutivi per 10 mesi, è rimasto tutelato dall'avviso di sfratto del proprietario del deposito fino a settembre 2013. «Non ho mai trovato gente disponibile ad affittare un locale ad una persona come me, che ha già subito una serie di attentati». 
Eppure l'imprenditore-coraggio non vuol rassegnarsi ad un epilogo che sembra scritto. «Griderò fino all’ultimo giorno di vita - chiosa Bentivoglio - non voglio e non posso finire così. Io ho fatto il mio dovere ma sto perdendo tutto. Se non avessi una famiglia mi sarei già suicidato».

mercoledì 8 ottobre 2014

Quanto vale la Legalità?

LA LEGALITA' LIBERA TUTTI
Ce lo siamo dimenticati. Ce lo hanno fatto dimenticare le cosche, le cricche, le caste: LA LEGALITA' LIBERA TUTTI.
Anche questa, Legalità, è una di quelle parole speso abusate e -paraddossalmente- sempre presente proprio nei discorsi di coloro che poi si scordano poi di farla seguire da atti di Giustizia vera.
"Quanto vale la Legalità" se lo chiede anche Leonardo La Rocca, esponente di LIBERA Milano, impegnato sul tema dei  "beni confiscati". Riportiamo una sua riflessione, nella quale egli cerca si dare  peso e forma alla parola Legalità

Leonardo La Rocca
Tutte le volte che mi viene chiesto di parlare di legalità, ho una difficoltà enorme a trovare il modo. Mi sembra sempre che tutte le parole non riescano a spiegare il significato profondo e le sfumature meravigliose di questo termine. In effetti credo che il problema stia nel fatto che spesso si ha difficoltà a dare un connotato alla legalità: in un mondo così legato all’immagine, all’immediatezza del concreto, se non vedi è tanto difficile misurare. Ecco perché questa volta ho deciso di approcciare in un modo diverso: vedere quanto misura la legalità.
Ecco la prima misura: con 120 miliardi di Euro, considerando che una moneta da un euro è circa 2 cm di diametro, potremmo coprire la circonferenza terrestre con monete da un euro per ben 40 volte. Con 120 miliardi potremmo creare tre torri di monetine da un euro che vanno dalla Terra alla Luna. Potemmo addirittura coprire di monete da un euro, come fece Pollicino, la strada che parte da Peschiera Borromeo, porta a Lisbona, torna a Barcellona, va a Parigi e poi Amburgo, Mosca, Bucarest, Atene, Roma e torna a Peschiera per ben 200 volte.
Ma perché ho scelto 120 MILIARDI di euro? Semplice, perché si stima che il peso della corruzione, del sommerso, del lavoro nero, dell’economia in nero, in Italia (soltanto in Italia), valga circa 120 miliardi l’anno. Ecco, adesso comincio a misurarla questa legalità. Ma non sono ancora sazio, perché non mi serve a nulla coprire l’equatore con monete da un euro, non percepisco ancora il valore ma solo la grandezza.
E allora faccio una seconda misura: considerato che la mia bimba il prossimo anno inizierà le scuole medie, mi sono informato sul costo dei libri. 300 euro. Con 120 miliardi ci compro i libri per 400 milioni di bambini. Secondo quello spione di google, pare che ci riuscirei a pagare i libri per la metà dei bambini di età scolare (6/14 anni) del mondo.
Ma non mi basta mandare a scuola tutti i bambini, al momento ho speso solo i soldi di un anno di illegalità: voglio immaginarmi almeno tre anni di legalità totale!
E allora penso che ho dovuto cambiare gli ammortizzatori della macchina perché ho le strade piene di buche. Ed ecco che scopro che con 120 miliardi potrei asfaltare 800.000 km di strade. Caspità! più economico del gioco di pollicino. E siamo a due anni. 
Ed al terzo anno? Al terzo anno mi occupo di wellfare! Ecco che mi rispondono quegli spioni di google tramite Unicredit. Pare che il valore economico del Wellfare italiano nel 2013 (e se lo dice una banca direi che ci possiamo credere) si aggiri intorno ai 400 milioni di euro annui. Quindi con la mia brava calcolatrice faccio due conti e scopro che, se da domani smettessero tutti di comportarsi illegalmente, io potrei avere un wellfare del terzo settore pagato per 300 anni. E che me ne faccio? Non so potrei per esempio aumentare di 10 volte il peso del terzo settore e portarlo a 4 miliardi di euro l’anno per 30 anni. Wow! Così anche lo vedo finchè son vivo!
Ma adesso che ho trovato un senso al valore economico della legalità non sono ancora soddisfatto. Non lo sono perché non ho dato un valore etico alla legalità, non sono riuscito a dare una misura a quanto bella sia la legalità così com’è raccontata dalla mia Costituzione (si, mi piace pensare che chi l’ha scritta me ne abbia regalato un pezzo da proteggere e coccolare!). 
E allora faccio un’ultima misura. La faccio pensando al 22 marzo 2014, a Latina, alla manifestazione per la giornata della memoria e dell’impegno organizzata da Libera. La giornata in cui si rinnova l’impegno di ciascuno di noi come garanti della legalità, l’impegno alla partecipazione attiva per la legalità e contro le mafie, la corruzione, il lavoro nero, il gioco d’azzardo, il voto di scambio, il malaffare, lo sfruttamento dei minori, lo sfruttamento dei deboli e l’indebolimento della democrazia. La stessa giornata in cui si ricordano (la memoria…) le vittime delle mafie e se ne leggono i nomi, uno per uno, sul palco. Ed in cui si versa una lacrima, ed un brivido ti brucia lungo la schiena a sentirli quei nomi, uno per uno. I nomi di chi ha dato la vita per la legalità. I nomi "famosi" che fanno breccia nel cuore, come quelli di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Peppino Impastato, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Pio La Torre e quelli come Hyso Telaray, un bracciante albanese che in pochi ricordano: ammazzato a 22 anni perché si era ribellato allo sfruttamento "negriero" nei campi della Puglia (ma non nel 1800, solo quindici anni fa!).
Caspita! Ora la misura è colma! Ora è chiaro cosa significa legalità e cosa non lo è. Ora anche a me è più chiaro perché non esiste la mezza legalità, quell’alibi di molti per il quale “ma è solo uno scontrino…; ma è solo una fattura, però se mi fa lo sconto…; ma è solo una piccola mazzetta, però l’appalto lo fa bene…;” lo si può sempre dire.
Ora è chiaro. Perché ho capito che ogni volta che rinuncio a quel pezzo di legalità devo immaginare che quel pezzo è un grammo dei 400 chili di tritolo che massacrarono Giovanni. Sì, Giovanni lo chiamiamo in casa, perché per noi è uno di famiglia: lui come la legalità.


Leonardo La Rocca,  presidio Libera Milano