domenica 30 aprile 2017

Pio La Torre e Rosario Di Salvo. 30 aprile 1982

Pio La Torre e Rosario Di Salvo: vite senze compromessi, contro le mafie ed i "poteri forti". 

Sono le 9:20 del 30 aprile 1982. Pio La Torre sta raggiungendo la sede del PCI, a Palermo, a bordo di una Fiat 131 guidata da Rosario Di Salvo. Quando la macchina si trovò in una strada stretta, una moto di grossa cilindrata obbligò Di Salvo a fermarsi. L'auto venne investita da una raffica di proiettili. Da un'auto scesero altri killer a completare il duplice omicidio. Pio La Torre morì all'istante mentre Di Salvo ebbe il tempo per estrarre una pistola e sparare alcuni colpi, prima di soccombere.

Erano i giorni della "seconda guerra di mafia": la "mattanza" condotta dai corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano, mieteva centinaia di vittime in Sicilia . Pio La Torre propone al presidente del Consiglio Giovanni Spadolini  di inviare a Palermo -come prefetto- il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il carabiniere che ha sconfitto il terrorismo. Non fanno in tempo a incontrarsi.Il giorno dopo l'uccisione di Pio La Torre, arriva a Palermo il generale Dalla Chiesa. "Perché hanno ucciso La Torre?", gli chiedono i giornalisti. "Per tutta una vita", risponde lui.

A Pio La Torre si deve, fra le altre cose,  il disegno di legge che prevedeva per la prima volta il reato di "associazione mafiosa" e la confisca dei patrimoni mafiosi: La legge, come spesso accade in Italia, verrà approvata solo dopo la sua uccisione.

Salvo Vitale, amico fraterno e compagno di lotta di Peppino Impastato: "Pio La Torre e Rosario Di Salvo. Un dubbio lancinante che mi perseguita da 35 anni: sono stati i mafiosi o gli americani? Sono stati i cosiddetti "servizi deviati" o, come ha ipotizzato qualcuno, alcuni mai identificati compagni del suo partito? E' stato Salvatore Cucuzza, che non sapeva chi fosse, è stato Lorenzo Plicato, che venne ucciso tre giorni dopo, è stato Giovan Battista Pullarà che, secondo Mannoia quel giorno si trovava in carcere con lui? Chi è stato e chi erano i mandanti?"

 



 Fonte: Antimafiaduemila 

Falcone, Chinnici e Cassarà un presagio nella scena del delitto

 di Attilio Bolzoni - 29 aprile 2015

Sono lì anch’io quella mattina, con il taccuino in mano e il cuore in gola. Giro e rigiro intorno alla berlina scura, provo a non guardare quella gamba che penzola dal finestrino. Mi fa troppo paura.


Saluto Giovanni Falcone, saluto Rocco Chinnici, non ho il coraggio di avvicinarmi a Paolo Borsellino, è con le spalle al muro mentre si accende un’altra sigaretta con il mozzicone che ha già fra le dita. C’è anche Cassarà dell’Investigativa. Gli chiedo: «Ninni, cosa sta succedendo?». Mi risponde: «Questa è una città di cadaveri che camminano».
C’è un fotografo sulla strada. Aspetta che loro, Falcone e Cassarà, Chinnici , siano per un attimo tutti vicini. Poi scatta.
Ogni tanto mi capita di rivedere quella foto su qualche vecchio giornale. Dopo più di trent’anni, ho sempre un brivido. Erano tutti vicini in una strada che è un budello in mezzo alla città delle caserme, vie che portano i nomi dei generali della grande guerra, brigate e reggimenti acquartierati dietro il sontuoso parlamento dell’isola. Erano tutti lì, silenziosi e immobili intorno all’ultimo cadavere di una Sicilia tragica.
 Me ne sono andato da quella strada pensando al movente della sua uccisione. Pio La Torre (in foto) lo volevano morto perché aveva capito prima degli altri che la Sicilia era diventata un laboratorio criminale, terra di sperimentazione per accordi di governo da esportare a Roma, porto franco, regno di latitanti in combutta con questori e prefetti, onorevoli mafiosi e mafiosi onorevoli. Dopo più di tre decenni la penso ancora come quella mattina di primavera: Pio La Torre è morto perché parlava due lingue, sapeva tradurre il siciliano in italiano. E aveva tutta l’autorevolezza per rappresentare a Roma quello che lui aveva capito di Palermo e della sua Sicilia.


 Fonte : Narcomafie
A oltre tre decenni dalla morte, gli interrogativi rimangono aperti sul delitto e l'eredità civile del dirigente politico italiano. Ripercorriamo la storia di quei giorni. 
La storia
L'uccisione di Pio La Torre e del suo collaboratore Rosario Di Salvo avveniva in un clima convulso. Dalla fine degli anni settanta nella capitale siciliana era stata una sequela di delitti che avevano scosso l'opinione pubblica dell'intero Paese. Erano stati assassinati il segretario provinciale della DC Michele Reina, il giornalista Mario Francese, il vicequestore Boris Giuliano, il giudice Cesare Terranova, il presidente della Regione Piersanti Mattarella, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile e il giudice Gaetano Costa. Tutto questo evocava già allora un disegno coeso. Lo stesso La Torre ne era in convinto, e interpretava i delitti di quel periodo come «terrorismo mafioso».
Dopo l'uccisione di Mattarella intitolava un editoriale di Rinascita: "Se terrorismo e mafia si scambiano le tecniche". Poi venne il suo turno, e dopo di lui, ancora con ritmi incalzanti, fu la volta del generale Dalla Chiesa, dei magistrati Ciaccio Montalto e Rocco Chinnici, dei poliziotti Calogero ZucchettoBeppe Montana e Ninni Cassarà, del giornalista Giuseppe Fava, dell'ex sindaco di Palermo Giuseppe Insalaco. Infine, nel pieno dell'offensiva giudiziaria di Falcone e Borsellino, che avrebbe prodotto il maxiprocesso alla mafia, il gioco cambiava. Ma era stato decapitato a quel punto il ceto politico e istituzionale della Sicilia.
Si era arrivati in realtà a uno snodo. I proventi del narcotraffico e del contrabbando incrostavano ormai da anni l'economia regionale, e le famiglie mafiose, a loro modo, avevano giocato la carta della «modernizzazione», attraverso la partecipazione alle grandi opere, sullo sfondo dei patti che correvano da decenni con la politica. Ma da tempo, tanto più dopo l'implosione del sistema Sindona, qualcosa scricchiolava. Nella relazione di minoranza della Commissione Antimafia, del 1976, Pio La Torre, dopo aver documentato gli affari illeciti della capitale siciliana, chiamando in causa tra gli altri Vito Ciancimino, Giovanni Gioia, Salvo Lima e Giovanni Matta, affermava: «Il sistema di potere mafioso è entrato ormai irrimediabilmente in crisi anche a Palermo. Ne sono una testimonianza gli ultimi sviluppi della lotta politica all'interno della DC palermitana». L'analisi, molto lucida, riusciva a interpretare una tensione reale, che sarebbe divenuta esplosiva a fine decennio, quando dentro il partito democristiano andavano polarizzandosi due visioni della politica. Da una parte era la DC di Piersanti Mattarella, presidente della Regione, che, come era nelle ispirazioni del popolarismo cattolico, guardava in avanti, in direzione di una modernizzazione conseguente, che tenesse conto dei principi di trasparenza e di moralità. Dall'altra era quella andreottiana di Salvo Lima e Mario D'Acquisto, che con varie declinazioni si ergeva a difesa del sistema che a lungo aveva retto Palermo e la Sicilia.
Insediatosi a palazzo d'Orleans il 20 marzo 1978 con l'appoggio esterno del Pci, Piersanti Mattarella per le cosche e i loro referenti diventava in poco tempo, per l'incisività della sua azione, un problema di difficile gestione. Venivano fermati appalti sospetti, si cominciava a rivoluzionare la macchina burocratica e arrivavano atti politici conseguenti, come nell'autunno del 1978, quando il presidente della Regione rimuoveva dalla sua giunta l'assessore ai Lavori Pubblici Rosario Cardillo, repubblicano, ritenuto a capo di un sistema illecito di controllo degli appalti. Ma erano percepiti altri pericoli. Cesare Terranova, finita la sesta legislatura, che gli aveva consentito di operare in seno alla Commissione Antimafia e di collaborare con La Torre e altri parlamentari della Sinistra alla stesura della relazione di minoranza, rientrava al palazzo di giustizia di Palermo con l'incarico di consigliere istruttore presso la Corte d'Appello. Da procuratore della Repubblica era riuscito a fermare Luciano Liggio, e con il nuovo incarico, oltre che con il bagaglio di conoscenze acquisite all'Antimafia, avrebbe potuto infliggere danni non meno significativi ai poteri criminali della città. La Guardia di Finanza aveva schedato intanto circa tremila imprese sospettate di collusione mafiosa, mentre da diverse parti si rivendicava una legge che consentisse di portare le indagini oltre i santuari delle banche. La bancarotta di Sindona, che registrava un clamoroso colpo di scena nel giugno 1979, con l'assassinio dell'avvocato Giorgio Ambrosoli, nominato commissario liquidatore della BPI, restava infine un nervo scoperto. E su tale sfondo di tensioni e timori cresceva con rapidità, fino a occupare in poco tempo il centro della scena, la presenza politica e legislativa di Pio La Torre.
Dopo la conclusione dei lavori della Commissione Antimafia, nel 1976, il politico siciliano, allora responsabile nazionale dell'Ufficio agricoltura del PCI, aveva continuato a seguire con scrupolo il fenomeno mafioso nel Sud, denunciandone l'evoluzione nelle sedi di partito, sulla stampa e in diverse sedute parlamentari. Egli sostenne quindi con convinzione la ricerca delle sinergie che resero possibile l'esperimento del Governo Mattarella, facendo arrivare, quando necessario, la propria voce sui percorsi della Regione, con suggerimenti anche forti. Alla Conferenza dell'agricoltura che si tenne a Villa Igea il 9 febbraio 1979, Pio La Torre non esitò a denunciare l'assessorato regionale al ramo di illeciti gravi, additandone il capo, l'andreottiano Giuseppe Aleppo, come colluso alla criminalità organizzata. E in quella occasione, Piersanti Mattarella, che chiuse i lavori con un'ampia relazione, si guardò bene dal difendere il proprio assessore, sconcertando i presenti. Il segnale che giungeva alle consorterie era chiaro.
Quando si mise in moto a Palermo la macchina degli omicidi, Pio La Torre fu tra i primi, appunto, a comprendere la complessità strategica del progettoIntervenendo alla Camera il 26 settembre 1979, appena un giorno dopo l'uccisione di Cesare Terranova e del maresciallo Lenin Mancuso, egli affermava che si era di fronte a un salto qualitativo, «ad una sfida frontale allo Stato democratico da parte dell'organizzazione mafiosa».
E due giorni dopo l'assassinio di Piersanti Mattarella sottolineava, ancora alla Camera, che in Sicilia era in corso una battaglia cruciale «fra le forze impegnate per il cambiamento contro il sistema di potere mafioso per il rinnovamento economico, sociale e democratico delle strutture dell'isola, e quanti invece difendono tenacemente il sistema di potere mafioso». Il dirigente politico non limitava però il proprio intervento all'analisi e alla denuncia. Egli riteneva che per sostenere lo scontro occorressero strumenti nuovi, soprattutto di livello normativo. Il 6 marzo alla Camera dei Deputati annunciava quindi una legge che avrebbe proposto «misure di prevenzione e di accertamento e misure patrimoniali nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose, la modifica del codice penale, con la definizione di associazione mafiosa, con l'obiettivo di perseguire come reato la semplice appartenenza all'associazione stessa»La legge nota come 416 bis, di cui Pio La Torre era il redattore e il primo firmatario, veniva presentata alla Camera dei Deputati il 31 marzo 1980.
Gli eventi incalzavano. Ancora nel Palermitano venivano assassinati Emanuele Basile a Gaetano Costa, e il dirigente del PCI, mentre faceva il possibile per allontanare dalle secche il suo disegno di legge, continuava ad esporsi pericolosamente. In una Tribuna politica televisiva del 30 maggio 1981 egli si domandava: «Perché sottovalutare la spaventosa coincidenza tra la presenza di Sindona a Palermo e l'esecuzione mafiosa del giudice Terranova?».
Rompendo ogni indugio, tornava poi in Sicilia, a dirigere il comitato regionale del partito. Finiva quindi sotto una pressante minaccia, mentre si accendeva nel Paese la vicenda dei missili Cruise e Pershing che la NATO, con l'avallo del governo italiano, intendeva installare nei pressi di Comiso. L'uccisione di Pio La Torre e Rosario Di Salvo avveniva appena otto mesi dopo l'arrivo del primo a Palermo. Quale ne era il significato? Ugo Pecchioli, responsabile del partito per il problemi dello Stato, in un'intervista su «L'Ora» del 2 maggio 1982, parlava di una decisione presa in alto, «dai burattinai della mafia, perché piena di implicazioni politiche». In una relazione interna dell'11 maggio rilevava inoltre che non poteva essere esclusa nessuna ipotesi, «neppure quella da qualche parte affacciatasi di connessioni straniere». E da allora l'argomento delle possibili convergenze, politiche e atlantiche, ha attraversato i decenni. Mancati però i riscontri, la morte di La Torre e del suo compagno di partito, addebitata in via definitiva a Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Giovanni Brusca e altri capimafia, resiste tra i segreti di Palermo e della Repubblica.
La considerazione del lavoro politico e civile di Pio La Torre è cresciuta di molto lungo gli anni, maggiormente per l'evoluzione, abnorme, registrata dalle narco-economie e dagli imperi criminali. In numerosi Paesi il dirigente del PCI è riconosciuto come un legislatore che ha anticipato i tempi, per avere inaugurato la storia delle leggi di contrasto alla criminalità finanziariaLa Torre ebbe tuttavia una vicenda complessa, che solo in parte è riferibile al suo impegno contro la mafia. Egli fu, prima di tutto, un meridionalista, che dagli anni del latifondo operò per il riscatto del Sud

martedì 25 aprile 2017

25 APRILE 1945 - E' SEMPRE

                              25 APRILE 1945 -  E' SEMPRE  FESTA PER LA LIBERAZIONE




LIBERAZIONE è FRUTTO della RESISTENZA 
"PER DIGNITA' NON PER ODIO"

"(...) Vittoria contro noi stessi: aver ritrovato dentro noi stessi la dignità dell’uomo. Questo fu il significato morale della Resistenza: questa fu la fiamma miracolosa della Resistenza.
Aver riscoperto la dignità dell’uomo, e la universale indivisibilità di essa: questa scoperta della indivisibilità della libertà e della pace, per cui la lotta di un popolo per la sua liberazione è insieme lotta per la liberazione di tutti i popoli dalla schiavitù del denaro e del terrore, questo sentimento della uguaglianza morale di ogni creatura umana, qualunque sia la sua nazione o la sua religione o il colore della sua pelle, questo è l’apporto più prezioso e più fecondo di cui ci ha arricchito la Resistenza. (Piero Calamandrei)

Ma la concretizzazione dei principi di quella LIBERAZIONE, frutto del sacrificio della RESISTENZA di tante cittadine e cittadini "responsabili", è in gran parte ancora tutta da realizzare, a partire dalla considerazione che accompagna le nostre riflessioni: "occorre riscoprire  e rendere vivi i valori di conoscenza e partecipazione per essere cittadine e cittadini responsabili, perché questi sono tempi in cui "ci vuole Coraggio..." anche solo per "fare comunità", per “sentirsi parte di una comunità”. 

La LIBERAZIONE è ancora ingran parte da costruire quando vediamo “l'anima delle nostre comunità”, schiacciate da ingiustizia, conoscenza superficiale delle cose, indifferenza, assenza di progetti politici e culturali lungimiranti; comunità in cui all’impegno encomiabile di “singoli” si contrappongono complicità al “sistema” e cedimenti al “pensiero mafioso che assicura privilegi immorali a caste-cricche-cricche- mentre disconosce diritti fondamentali a milioni di cittadine e cittadini 

La LIBERAZIONE è ancora da costruire quando di fronte al dramma delle migrazioni, alle "schiavitù del denaro e del terrore" denunciate già da Calamandrei e che permangono  ancora ai nostri giorni, vengono promulgate regole-leggi che innalzano mura e discriminazioni, contraddicendo i principi della nostra Costituzione e le convenzioni sui diritti umani.

Ancora oggi occorre lottare perche DIGNITA' e LIBERTA' siano principi riconosciuti e riconoscibili nella corpo vivo delle nostre comunità. 

                                                                                                    presidio LIBERA "Rita Atria" Pinerolo


La Costituzione della Repubblica Italiana 
Principi fondamentali

Art. 1

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Art. 5
La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.

Art. 6
La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.

Art.7
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.

Art. 8
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Art. 9
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Art. 10
L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici.

Art. 11
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Art. 12
La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.


lunedì 24 aprile 2017

RESISTENZA E' LIBERTA'

FIACCOLATA DEL 24 APRILE 2017: affinchè sempre si ricordi cosa è stata la RESISTENZA

(...) Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità della nazione, andate là, o giovani, col pensiero, perché là è nata la nostra costituzione." Piero Calamandrei, Discorso ai giovani sulla Costituzione nata dalla Resistenza. Milano, 26 gennaio 1955 ( leggi qui il testo integrale)": 
                                             RESISTENZA è LIBERTA'

venerdì 21 aprile 2017

Invitiamo anche noi allassemblea pubblica promossa dal presidio dei lavoratori della PMT direttivo ALP/club

Questa sera, alle ore 21.00 presso il Salone dei Cavalieri,  si terrà l'assemblea pubblica promossa dal presidio dei lavoratori della PMT  direttivo ALP/club. Invitiamo anche a noi a partecipare ad un momento di confronto che dovrebbe vedere coinvolta l'intera comunità pinerolese. La cultura di una comunità dovvrebbe avere come legante il principio etico della solidarietà e della condivisione: ciascuno di noi dovrebbe sentire la responsabilità del bene-essere di coloro coi quali forma "comunità", e dal quel sentire dovrebbe scaturire l'impegno  di ciascuno, per quel che ciascuno può, per il ruolo che ciascuno di noi svolge all'interno della comunità. 
Nella Pasqua appena trascorsa, il Vescovo e i parroci di Pinerolo hanno inviato ai lavoratori della PMT una lettera di Auguri nella quale si evidenzia l'importanza di quanto sta avvenendo. . Ne riportimo un brano significativo: «(...) Al centro di ogni questione, specialmente di quella lavorativa, va sempre posta la persona e la sua dignità: per questo avere lavoro è una questione di giustizia, ed è una ingiustizia non avere lavoro! Quando non si guadagna il pane, si perde la dignità! E questo è il dramma del nostro tempo, specialmente per i giovani, i quali, senza il lavoro, non hanno prospettive per il futuro e possono diventare facile preda delle organizzazioni malavitose. Per favore, lottiamo per questo: la giustizia del lavoro (...)». 
(leggi qui il testo integrale)
In questi mesi, anche il presidio LIBERA "Rita Atria" Pinerolo aveva più volte riflettuto sul tema  negli incontri svolti nelle scuole pinerolesi. Tanto che lo scorso 21 marzo, nella celebrazione della Giornata della Memoria in Ricordo delle Vittime Innocenti delle mafie, protagonisti di una importante riflessione sul tema del lavoro e dei Diritti-Doveri di cittadinanza erano stati proprio i rappresentanti deilavoratori della PMT , insieme con le ragazze profughe ospitate a Pinerolo: i "fantasmi di Pinerolo", fantasmi che non dovrebbero esiste e che invece rappresentano i problemi epocali coi quali siamo chiamati a confrontarci e a cui dobbiamo dare risposte e soluzioni.
Perchè quello che è in gioco sono i principi di Dignità e Libertà. I principi per i quali festeggeremo il prossimo 25 Aprile: la Liberazione
Liberazione è Dignità e Libertà.
Invitiamo a partecipare all'assemblea pubblica di questa sera.


PMT: nessuno deve restare fuori

Le lavoratrici e i lavoratori della PMT (ex Beloit) da 2 mesi sono in lotta e mantengono dai primi di febbraio un Presidio Permanente davanti alla fabbrica.
I motivi sono che, dopo il fallimento del 31 gennaio 2017, questi lavoratori sono “SOSPESI” senza salario e senza contributi. Ad oggi non ci sono soluzioni di ammortizzatori sociali per poter sopravvivere e, cosa ancora più grave, non esiste un tavolo per sapere come sarà il futuro produttivo della fabbrica. Ora ci sono due società in corsa per prendere quello che gli interessa e con il rischio di lasciare fuori la maggior parte di lavoratori.

Le iniziative devono essere finalizzate a questi obiettivi:

  1. Impegnare il nuovo acquirente ad un piano industriale che dia continuità produttiva e non lasci nessuno fuori. Per questo è necessario attivare tutte le strade e sedi istituzionali a partire dal coinvolgimento del Presidente Chiamparino in prima persona.
  2. Certezza di ammortizzatori sociali che consentano una copertura salariale a tutti e accompagnino l'attuazione del piano produttivo. Oggi questi strumenti non ci sono perché sono stati annullati dalle leggi Fornero e Job Acts, e non si tratta di “un vuoto legislativo”, come ci viene detto oggi da molti politici e sindacalisti, ma bisogna riconquistarli con la lotta.
  3. Un Piano per l'area (ex Beloit e Buroni) che eviti il degrado inevitabile e già visto in altre fabbriche abbandonate sul nostro territorio. Degrado che verrebbe pagato da tutta la collettività.
  4. Fare chiarezza su come si è arrivati ad avere un buco di oltre 50 milioni di euro, definire le responsabilità e portare alla restituzione del mal tolto. Non è accettabile che siano i lavoratori, l'Inps e la collettività a pagare per le ruberie altrui.

Per queste ragioni il Direttivo dell'ALP/Cub riunito con la presenza di alcuni lavoratori PMT, ritiene urgente preparare una iniziativa di sciopero generale nel pinerolese, anche perché tali problematiche interessano oggi la PMT e potrebbero interessare domani altre realtà in crisi del territorio.
Per discutere e confrontarsi su questo tema invitiamo lavoratrici e lavoratori, partiti, sindacati, chiese e cittadini tutti ad una

ASSEMBLEA PUBBLICA Venerdì 21 aprile
presso il Salone dei Cavalieri a Pinerolo dalle ore 21.00

Un gruppo di lavoratrici e lavoratori del PRESIDIO PMT.
Direttivo ALP/Cub


Pinerolo aprile 2017

giovedì 20 aprile 2017

Anche noi invitiamo alla "Cena di Libera Terra"

Anche durante l'anno scolastico in corso, e come avvenuto dalla sua formazione (2011), il presidio LIBERA "Rita Atria" ha svolto numerosi incontri nelle scuole pinerolesi. Fra questi anche presso l'Istituto Superiore "A. Prever", il cui consiglio d’Istituto vuole ora sottolineare il rapporto culturale instaurato col presidio "Rita Atria" organizzando la "Cena di Libera Terra".
La Cena  a cui siamo stati invitati -e alla quale invitiamo- si svolgerà il prossimo 28 aprile 2017 e sarà l'occasione per riflettere ancora una volta sul significato della Memoria: ricordare le vittime innocenti delle mafie e in particolare la figura di Rita Atria, la vittima inocente, testimone di giustizia, a cui è dedicato il presidio pinerolese. Anche Rita Atria era studentessa di un istituto alberghiero.
La cena ha pure una finalità educativa, volendo ribadire l'importanza anche etica di un uso consapevole dei prodotti alimentari e del cibo di cui ci nutriamo: per questo motivo la cena sarà preparata utilizzando alcuni prodotti di LIBERA TERRA (vedi qui), frutto del lavoro che le cooperative svolgono sulle terre confiscate ai mafiosi.
Il tema prescelto per la cena, il riferimento a piatti della tradizione alimentare calabrese/mediterranea, è un altro omaggio alla Giornata della Memoria e dell'Impegno nel Ricordo delle Vittime Innocenti delle mafie che LIBERA celebra il 21 marzo, e ogni anno in una località differente. La località scelta per lo svolgimento della manifestazione nazionale di quest'anno è stata proprio Locri, in Calabria. (Vedi qui). 
Le prenotazioni per la cena si ricevono allo 0121-72402

Anche noi invitiamo alla "Cena di Libera Terra" 





domenica 16 aprile 2017

L'augurio di Pasqua ha bisogno di Pace e Giustizia per l'intera Umanità

La parola ebraica pesach, da cui deriva Pasqua, significa "passare oltre", "tralasciare". L'azione di "passare oltre" fa riferimento al racconto della "decima piaga", nella quale il Signore vide il sangue dell'agnello sulle porte delle case di Israele e "passò oltre", colpendo solo i primogeniti maschi degli egiziani, compreso il figlio del faraone (Esodo, 12,21-34). La Pesach indica quindi la liberazione di Israele dalla schiavitù sotto gli egiziani e l'inizio di una nuova libertà con Dio verso la terra promessa. 
Pasqua è la resurrezione del Cristo che sconfigge la morte: "passa oltre".
Ai nostri giorni, Pablo Picasso disegna una "Colomba del Futuro", immagine di un "futuro possibile", in cui il simbolo della Pace -la Colomba- si posa su strumenti di guerra di morte distrutti, sconfitti da una Umanità che "passa oltre". Un futuro possibile ma non ancora concretizzato.

Ai nostri giorni, nuovi "faraoni" erigono mura, regole-leggi, per impedire all'umanità dolente di "passare oltre" le piaghe causate da decenni (secoli) di politiche errate: guerre, miseria, ingiustizie. E mura e regole-leggi sono costruite a difesa dei privilegi dei "faraoni" e delle loro "caste di potere"; caste che sembrano retaggio medioevale eppure mai come oggi appaiono così salde, potenti e ben visibili, a perpetuare la secolare e oscena divisione fra padroni e sudditi.
Papa Francesco lo ha  affermato ieri sera, nella solenne Veglia della Notte Santa di questa Pasqua: "Maria di Magdala e l’altra Maria riflettono il volto di donne, di madri che piangono vedendo che la vita dei loro figli resta sepolta sotto il peso della corruzione che sottrae diritti e infrange tante aspirazioni, sotto l’egoismo quotidiano che crocifigge e seppellisce la speranza di molti, sotto la burocrazia paralizzante e sterile che non permette che le cose cambino".
Non vi è Speranza di Pace senza Giustizia; invece, quando si costruisce la Giustizia c'è salvezza per chiunque si adoperi e si offra a quel disegno, cristiani e non cristiani. 
Non c'è altra Pasqua se non quella che costruisce Pace e Giustizia per l'intera Umanità.

A coloro che sono in condizioni di difficoltà, a coloro che sono capaci di lottare per la Pace e la Giustizia, l'augurio di una Pasqua di Speranza, una Speranza che deve essere quella descritta da don Tonino Bello

Cosa è la speranza?
È difficile parlare di speranza. 
Bisogna far capire invece che la speranza è parente stretta del realismo, 
la tensione di chi, incamminandosi su una strada, 
ne ha già percorso un tratto e orienta i suoi passi, 
con amore e trepidazione, 
verso il traguardo non ancora raggiunto. 
È impegno robusto che non ha da spartire nulla con la fuga. 
Perché chi spera non fugge. Si incarna nella storia, non si aliena. 
Costruisce il futuro, non lo attende soltanto. 
Ha la grinta del lottatore, non la rassegnazione di chi disarma. 
Ha la passione del veggente, non l’aria avvilita di chi si lascia andare. 
Cambia la storia, non la subisce. 
Ricerca la solidarietà con gli altri viandanti, non la gloria del navigatore solitario. 
don Tonino Bello