mercoledì 8 dicembre 2021

Associazione "Rita Atria" Pinerolo: "Una sentinella per il paesaggio e per l'ambiente"

Ringraziamo Vita Diocesana, ed il suo direttore Patrizio Righero, per averci invitato ad una riflessione su vari temi,  a partire dall'impegno della nostra associazione  nel contrasto culturale a mafie e "pensiero mafioso" (cercare di ottenere quel che non ci meritiamo). Pur non trattando direttamente di queste ultime entità, è evidenza storica il loro stretto legame con i temi dell'intervista che riportiamo: indipendenza dell'impegno associativo da forze politiche-partitiche; difesa del patrimonio paesaggistico-storico-urbanistico dallo scempio della speculazione edilizia e dall'impoverimento culturale delle comunità; la necessità di politiche coraggiose e sostenibili, necessarie a fronteggiare la crisi epocale che stiamo attraversando: una crisi che pare l'ultimo egoistico atto di un capitalismo e di una "cultura predatoria" a danno  dell'Ambiente, delle comunità e delle classi sociali più deboli. Inquietanti le similitudini con l'azione di mafie e del "pensiero mafioso" (pensiero che può albergare anche in coloro che non potrebbero essere definiti "propriamente mafiosi")!
A distanza di dieci anni dalla formazione del nostro gruppo, ancora piu fondato e necessario appare quindi  l'impegno che ci eravamo allora prefissato (puoi leggere qui): "(...) ci è parso necessaria la presenza -anche nel pinerolese- di un osservatorio che si ponga il compito di monitorare e analizzare i fenomeni presenti sul territorio. Azione che deve avvenire anche nei confronti delle amministrazioni, affinché dichiarazioni di principio e proclamazioni di intenti sul tema della Legalità e sulla necessità di una reale trasparenza nelle scelte della amministrazione della res-pubblica, il bene comune, non siano mere intenzioni verbali e principi enunciativi ma assumano concretezza e attuazione reale. Diventare ed essere “sentinelle del territorio”.

                                                    Pinerolo merita amore!


"Una sentinella per il paesaggio e per l'ambiente"

1.  Iniziamo con Rita Atria. Da presidio di Libera ad associazione "indipendente". Che cosa è successo? È cambiato lo spirito del gruppo? Quali sono gli obiettivi principali? 

Si è  trattato di una vicenda travagliata che ha raggiunto il suo acme allorquando il nostro gruppo ha espresso  ferme riserve  nei confronti di episodi e situazioni nelle quali, da altre parti, pareva accettabile-accettato il collegamento di LIBERA Piemonte con un partito politico. Riteniamo che una associazione che si proclama apartitica debba -per l'appunto- essere e mostrarsi “libera" da legami che rischiano di limitare lindipendenza della sua voce. Per quanto riguarda la nostra attività,  nulla è  cambiato nell'intento  che ci eravamo posti: provare ad essere “ sentinelle  del territorio” attraverso un attività di contrasto culturale a mafie e pensiero mafioso(cercare di ottenere quel che non ci meritiamo), pensiero che può albergare in ciascuno di noi a conferma della frase scritta da Rita Atria allindomani dell'uccisione di Paolo Borsellino:()  La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci.


2. Tra le vostre attenzioni c'è sempre stata quella al paesaggio e alla sua bellezza. Quale valutazione date dell'operato dell'amministrazione di Pinerolo in questo senso?

I padri costituenti insegnano che la Bellezza dell’Italia, la tutela del suo patrimonio paesaggistico, storico e artistico, costituiscono il fondamento dei valori etici e morali della Repubblica (art.9 della Costituzione Italiana). Per quanto riguarda l’attuale amministrazione, duole rilevare come una delle bandiere del M5S - lo stop al consumo del territorio- sia stata ammainata con la “Variante 3R” al PRGC: una Variante che lascia praticamente intatti gli indici di cubatura senza far tesoro di esperienze “ coraggiose”, ad esempio quelle delle sindache  Matilde Casa e Isabella Conti, le quali hanno dimostrato essere possibile far ritornare “agricoli”  terreni “edificabili”. A Pinerolo, ove si stimano esserci 2000 alloggi sfitti, dove abbiamo quotidiani problemi di traffico, di inquinamento atmosferico invernale, di allagamenti in occasione di forti eventi atmosferici, sarebbe stato logico “copiare” quelle esperienze virtuose agendo  nel rispetto dell’articolo 41 della Costituzione Italiana:L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale(…)”.

 

3. Veniamo alla questione del Turk. Che cosa è successo dall'incendio ad oggi? Che cosa prevede il Piano Esecutivo Convenzionato tra Comune e proprietà?

Nel 2014 si firmava un protocollo d’intesa tra la giunta dell’allora sindaco Buttiero e la proprietà dell’area Turk. Contestualmente, la ”Variante ponte” promossa dal sindaco concedeva a quell’area inspiegabili privilegi: cubature abnormi e l’assenza del limite in altezza per gli edifici, i quali potevano pertanto superare i canonici 5 piani. Nonostante queste criticità, l’attuale sindaco Salvai ha deciso di “stralciare” l’area dall’ennesima  variante al Piano Regolatore, confermando l’abbattimento dello storico edificio del TURK e l’abnorme edificazione. Esaminando ora il Piano Esecutivo Convenzionato (PEC) presentato si rimane sorpresi anzitutto dalla mancanza di normative stringenti su temi tecnici fondamentali. Inoltre non si offre una soluzione agli inevitabili disagi che provocherà l’enorme cantiere e le centinaia di auto dei nuovi condomini sul già trafficato Corso Piave: si consente infatti l’edificazione della maggior parte degli alloggi SENZA realizzare una strada di accesso alternativa.

 

4. Il M5S dice che non c'è speculazione edilizia perchè «La speculazione edilizia avviene quando il privato acquista un terreno non edificabile che, grazie ad intervento pubblico, diventa edificabile. Con relativo (ed alto) guadagno patrimoniale. L’area in questione è edificabile dagli anni 90». Siete d'accordo?

Una speculazione avviene quando si genera un guadagno tra il costo di acquisto di un bene ed il prezzo di vendita. L’area in questione è edificabile da fine anni ’70, quando il comune rimosse un vincolo a “verde pubblico” gravante sull’area gettando così le basi per una speculazione edilizia. Per contrastare  la “speculazione” sarebbe  quindi sufficiente rimettere il vincolo a “verde pubblico”, con argomentazioni ormai note non solo agli ambientalisti. Infatti quei 12.000 mq di prato + 41.000 mq di bosco contribuiscono non poco alla qualità della vita dei pinerolesi: attenuano il cosiddetto “effetto isola di calore”, la sovratemperatura estiva tipica delle aree urbane ; riducono la concentrazione delle polveri sottili, in aumento a causa dei lunghi periodi di siccità che impediscono il naturale dilavamento da parte della pioggia; limitano gli effetti delle forti precipitazioni, in aumento a causa del “riscaldamento globale”;  abbassano la concentrazione di tutti gli inquinanti atmosferici grazie all’emissione di ossigeno ed al degrado di determinati inquinanti (monossido di carbonio, ozono,ecc.) .

 

5. In quale modo, a vostro avviso, si potrebbe gestire la questione Turk in modo da preservarne la testimonianza architettonica e di rende un servizio alla città?

Il concorso di idee promosso nel 2014 dal circolo pinerolese di Italia Nostra e dagli eredi della famiglia Turk  aveva mostrato soluzioni urbanistiche di qualità che mantenevano e rivitalizzavano l’edificio del Turk, prevedendo contestualmente la creazione di nuovi edifici residenziali. Tuttavia, siccome a Pinerolo non abbiamo bisogno di altri alloggi quanto piuttosto di creare posti di lavoro ,magari a “km zero”, ci permettiamo di offrire una proposta “rivoluzionaria”: rendere nuovamente produttivi gli edifici presenti in quell’area, agevolando al massimo proprietari e potenziali affittuari. Come? Copiando l’esperienza del comune di Pesaro, creando una“no-tax area”: l’ACEA potrebbe fornire energia elettrica e gas a costo industriale, mentre l’adiacente centrale Telecom agevolerebbe la cosiddetta industria 4.0, in forte sinergia con le industrie ed gli istituti tecnici pinerolesi.

6. Allargando il cerchio da Pinerolo a Frossasco. Che cosa comporterebbe a vostro avviso l'avvio del co-inceneritore richiesto da Kastamonu. In che direzione si sta muovendo l'associazione Rita Atria su questo problema?

Il cambiamento climatico, la necessità di de-carbonizzare anche il settore dei trasporti, l’elevatissimo tasso di inquinamento in Pianura Padana, impongono un ritorno ad “economie di prossimità”. Pare  quindi anacronistica la previsione di un impianto colossale come quello di Frossasco, che comporta enormi consumi di gasolio sia per far arrivare da lontano i rifiuti legnosi sia per ridistribuire poi il prodotto finito. Come non bastasse, e nonostante la home-page di Rilegno reciti che “Il 97,1 % delle tonnellate di legno recuperato diventa pannello”, a Frossasco solo il 50 %  del legno recuperato diventerebbe  “pannello” mentre il 25 % verrebbe bruciato in quella che è già la pianura già più inquinata d’Europa(!). Ci pare questa una inaccettabile contraddizione! Auspichiamo invece  una visione politica nuova che privilegi la creazione di piccoli centri di trattamento, con delimitazione de  bacini di raccolta, a tutto vantaggio per l’ambiente e per l’occupazione.

 

lunedì 6 dicembre 2021

Turk: "Osservazioni al Piano Esecutivo Convenzionato"

Giovedi 9 Dicembre ore 21.00 presso il Salone dei Cavalieri di Viale Giolitti, 7/9 Italia Nostra Sezione del Pinerolese organizza un incontro pubblico insieme alle associazioni Legambiente Circolo di Pinerolo, Associazione "Rita Atria" Pinerolo e SALVIAMO IL PAESAGGIO, DIFENDIAMO I TERRITORI. Una serata di illustrazione delle osservazioni al Piano Esecutivo Convenzionato "Turck" adottato dal Comune di Pinerolo, per approfondire le osservazioni presentate in merito alla più grande trasformazione urbanistica degli ultimi decenni che ci lascia alquanto perplessi sull'abbattimento dell'Ex Merlettificio Turck e sulle scelte di sistemazione dell'intera area compresa tra il Canale Moirano e il Torrente Lemina.

Invitiamo caldamente alla partecipazione all'incontro
a cui è stata formalmente invitata anche la nuova Amministrazione


lo storico edificio del TURK


In attesa della serata di giovedì 9 dicembre ricordiamo che, in relazione al progetto previsto sull'area TURK, l’Associazione “Rita Atria” Pinerolo ha posto 6 domande al rieletto sindaco Salvai e al neo-assessore all’Urbanistica Fabiano Vodini (puoi leggerle qui ), domande che muovono a loro volta da preliminari considerazioni e interrogativi di carattere generale, etico e culturale: 

La considerazione: l’amministrazione Salvai ha deciso di “stralciare" (mettere da parte) dalla Variante Generale  quell'area così importante per l'intero organismo della città (a partire ovviamente dalla sua centrale collocazione). Questo ha permesso che venissero concesse "regole di privilegio" ad una area privata (ad esempio, la possibilità di edificare "torri" che superano l'altezza consentita in tutte le altre aree cittadine e l’aver mantenuta inalterata la capacità insediativa dell’area, mentre altrove quella veniva ridotta), "privilegiandola" rispetto a tutte le altre, come se il disegno di quell'area potesse prescindere dalle condizioni del contesto urbanistico e sinanco sociale in cui quella si inserisce. 

Le domande preliminari:
a) Perchè si è imposto-concesso una regola "privilegiata" a quell'area privata? 
b) Come il progetto che deriva da quella "regola di privilegio" si inserisce in una visione organica, sostenibile, etica e strategica, utile all'intero organismo cittadino e alla sua comunità? 
c) Quale cultura esprime una comunità i cui "amministratori" agevolano e permettono nel 2021 un progetto siffatto, una siffatta speculazione privata, che consente l’abbattimento dello storico edificio del Turk


lunedì 22 novembre 2021

6 domande al rieletto sindaco Luca Salvai e al neo-assessore all’Urbanistica Fabiano Vodini. Pinerolo merita più amore

L'Associazione "Rita Atria" Pinerolo torna ad occuparsi di urbanistica perchè, lo ribadiamo "(...) l'urbanistica può rappresentare un indicatore utile ad individuare gli scopi, gli indirizzi, il “progetto generale” che guida e determina il carattere di una amministrazione locale". (...) consideriamo la tutela del “territorio” come parte di una educazione alla legalità per una comunità che si dota di anticorpi contro l’infiltrazione della criminalità organizzata(...)"
Ancora una volta la nostra riflessione si incentra sulla vicenda dell'area TURK.



Pochi giorni orsono il settimanale "Eco del Chisone" dava notizia dell'accordo appena raggiunto fra proprietari e amministrazione sulla base di un progetto definito in passato "a guida pubblica".
Lo scorso 17 novembre scadeva il termine utile per la presentazione delle cosiddette "osservazioni" che cittadini e associazioni possono presentare contro quanto previsto dal progetto. Nei prossimi giorni pubblicheremo anche le "osservazioni" presentate dalla nostra associazione, unitamente a "SALVIAMO IL PAESAGGIO" e "LEGAMBIENTE Circolo di Pinerolo".

Premessa 
Come abbiamo detto prima,  il progetto relativo all'area Turk era stato definito "a guida pubblica", motivo per il quale dovrebbe essere scontato-obbligatorio aspettarsi e riscontrare in quel progetto conclamate utilità a favore della comunità. Tuttavia, esaminando la  documentazine progettuale a disposizione, l'impressione che ne abbiamo ricavato è stato quella di essere di fronte all'ultimo atto di una serie di azioni tese anzitutto ad agevolare quanto più possibile quella che molti considerano "la più grande speculazione edilizia privata mai avvenuta in Pinerolo".
Il Piano Esecutivo Convenzionato (PEC) presentato consente di edificare in quell'area circa 800 vani residenziali: quattordici nuovi edifici (!) fra cui due "torri".  Si conferma anche l'abbattimento dello  storico edificio del TURK,"il follone", abbattimento che già la “Variante Ponte” approvata dalla precedente amministrazione del sindaco Eugenio Buttiero aveva già reso possibile al fine di agevolare la speculazione edilizia nell'aerea.
La demolizione del Turk e la abonorme edificazione è stata confermata anche dalla amministrazione Salvai sconfessando, a nostro parere, uno dei principi su cui si era fondato il programma  elettorale che aveva visto il Movimento 5 Stelle conquistare in "solitaria tenzone" le elezioni del 2015. In quel programma così si leggeva: “A Pinerolo non servono più nuovi condomini nei suoi campi (...) occorre invertire la tendenza urbanistica alla dismissione di aree industriali per trasformarle in residenziale o commerciale e agevolarne piuttosto la riqualificazione polifunzionale(...)
Voci autorevoli si leveranno ancora una volta a difesa dell'edificio del Turk, vero e proprio monumento-archetipo dell'architettura industriale, attività su cui Pinerolo fonda le sue origini e la sua storia. Dal canto nostro un monito ed una facile profezia: non ci ricordiamo i nomi degli amministratori di Pinerolo che, a cavallo degli anni '50-'60 del secolo passato, ordinarono l'abbattimento della Caserma dell'architetto Sebastiene Le Prestre de Vauban, l'architetto di Luigi XIV ”il Re Sole”, macchiando Pinerolo del triste primato di essere l'unica città al mondo i cui amministratori hanno ordinato la cancellazione di uno degli edifici militari realizzati dal Vauban, considerati patrimonio dell’Unesco. Ora invece conosciamo i nomi degli amministratori che consentono l'ennesimo "delitto" a danno della storia e dell'immagine della città di Pinerolo. Uno “scempio”, ci permettiamo di utilizzare questo termine, compiuto a danno di una città, Pinerolo, che celebra proprio in questi tempi il millenario della sua fondazione. 
Pinerolo merita più amore. 
la caserma del Vauban chiudeva e definiva Piazza Cavour
In relazione al progetto previsto sull'area TURK, l’Associazione “Rita Atria” Pinerolo ha posto 6 domande al rieletto sindaco Salvai e al neo-assessore all’Urbanistica Fabiano Vodini, domande che muovono a loro volta da preliminari considerazioni e interrogativi di carattere generale,etico e culturale. 
La considerazione: l’amministrazione Salvai ha deciso di “stralciare" (mettere da parte) dalla Variante Generale  quell'area così importante per l'intero organismo della città (a partire ovviamente dalla sua centrale collocazione). Questo ha permesso che venissero concesse "regole di privilegio" ad una area privata (ad esempio, la possibilità di edificare "torri" che superano l'altezza consentita in tutte le altre aree cittadine e l’aver mantenuta inalterata la capacità insediativa dell’area, mentre altrove quella veniva ridotta), "privilegiandola" rispetto a tutte le altre, come se il disegno di quell'area potesse prescindere dalle condizioni del contesto urbanistico e sinanco sociale in cui quella si inserisce. 
Le domande preliminari:
a) Perchè si è imposto-concesso una regola "privilegiata" a quell'area privata? 
b) Come il progetto che deriva da quella "regola di privilegio" si inserisce in una visione organica, sostenibile, etica e strategica, utile all'intero organismo cittadino e alla sua comunità? 
c) Quale cultura esprime una comunità i cui "amministratori" agevolano e permettono nel 2021 un progetto siffatto, una siffatta speculazione privata, che consente l’abbattimento dello storico edificio del Turk? 

Ringraziando L'Eco del Chisone per la pubblicazione della"lettera aperta" contenente le "6 domande", siamo  in attesa delle risposte dei nostri amministratori: democrazia è anche quando i cittadini  pongono domande e gli "elettipro-tempore" rispondono a quelle domande!  

 6 domande al sindaco Luca Salvai 
e al neo-assessore all’Urbanistica Fabiano Vodini 
Alla luce di quanto annunciato e presentato nell'articolo pubblicato dall'Eco del Chisone, laddove leggiamo che non è prevista un’area residenziale chiusa e che tuttavia si contano oltre 7 milioni di euro di oneri di urbanizzazione; visto che già la “Variante Ponte” rivelava il numero di oltre 2000 unità abitative sfitte in Pinerolo; vista la conclamata crisi ambientale che viviamo, vorremmo porre 6 precise domande: 
1) Nell’articolo sull’area Turk si parla di oltre € 7.000.000 di oneri di urbanizzazione in assenza di un’area residenziale chiusa. Di quanto si riduce, a causa delle opere realizzate a scomputo, la cifra prevista in oltre 7.000.000 di Euro che entrerebbero nelle casse comunali se fosse prevista un’area residenziale chiusa? 
 2) Un’area residenziale chiusa avrebbe anche il vantaggio di non incrementare la spesa corrente. A quanto ammonta l’aggravio economico per la gestione/manutenzione del parco, dell’illuminazione, di marciapiedi e strade, di acquedotti e fognature? 
 3) In occasione della presentazione del 1° progetto si rilevò un "trattamento di favore" verso i soggetti attuatori, esentati dal realizzare il verde privato (obbligatorio per ogni condominio) e verso i futuri proprietari degli alloggi, liberi da spese di manutenzione del verde privato. Come è stato risolto questo problema? 
4) La Variante Ponte al Piano Regolatore vincolava l’edificazione alla preventiva realizzazione di una strada di accesso alternativa, onde evitare che il colossale cantiere impattasse sui già trafficati Corso Piave e Via Vigone. Come è stato affrontata questa problematica? 
 5) La strada di accesso alternativa è strettamente funzionale non solo al cantiere ma soprattutto al migliaio di auto che “nasceranno” da quei condomini. Gli alti costi di realizzazione di detta viabilità, che prevede anche un ponte ed espropri, dovrebbero allora esser quasi tutti a carico dei soggetti attuatori. Quali sono i costi a carico dei pinerolesi? 
 6) L'intervento edilizio comporta la scomparsa di forti abbattitori di C02 cioè gli attuali 40.000 mq di bosco e 12.000 mq di prato, e porterà a grandi emissioni per abbattere e rimuovere il bosco, gli edifici, per asfaltare ed edificare. Come si conciliano questi nefasti effetti con l'emergenza ambientale in atto, alla luce degli oltre 2000 alloggi sfitti, e col “bonus 110” che comincia a dare i suoi frutti?

domenica 29 agosto 2021

Libero Grassi e il coraggio della coerenza: "Caro estorsore...non ti pago»

Libero Grassi, imprenditore palermitano, viene assassinato trent'anni fa, la sera del 29 agosto 1991, per essersi ribellato alla "legge" mafiosa del racket rifiutandosi di pagare "il pizzo". Come ogni anno da quella sera del 29 agosto 1991, a Palermo, nei pressi dell'abitazione dell'imprenditore assassinato, in via Alfieri sarà affisso un cartello come quello nella fotografia sottostante, dal momento che la famiglia di Libero Grassi non ha mai acconsentito all'apposizione di una lapide. 
Dopo l'uccisione di Libero Grassi, sua moglie Pina Maisano ha continuato per anni la battaglia culturale contro le mafie iniziata dal marito. Nell'ultima intervista rilasciata in occasione del Premio Libero Grassi, Pina Maisano affermò ancora una volta: “Non mi rassegno a una Sicilia succube della mafia”.  (qui la sua intervista)
in un artico de  La Repubblica a presentazione del film-documentario prodotto dalla RAI e che ripercorre la vicenda di Libero Grassi così si legge: "(...) Catanese, di famiglia antifascista, l'ingresso nei meccanismi dell'imprenditoria grazie a un periodo a Gallarate, l'apertura dello stabilimento tessile a Palermo alla fine degli anni Cinquanta, Libero Grassi era attivo nella politica, con il Partito Repubblicano. E quando arrivano le prime richieste di racket, esce allo scoperto denunciando gli estorsori. E firmando, di fatto, la propria condanna a morte. Pagherà con la vita la sua opposizione pubblica alla cultura mafiosa convinto, com'era, che la lotta alla mafia dovesse coincidere con la sua professione. 
Libero Grassi ha vissuto in anni in cui esisteva una logica di potere e di controllo della città di Palermo totalmente mafiosa. Si è ribellato con il coraggio di esporsi pubblicamente, usando i giornali e la televisione. E con la forza di una vita sempre vissuta, con la moglie Pina Maisano e i figli Alice e Davide, all'insegna dei principi della giustizia, della libertà individuale e della crescita collettiva (...)".

L'esempio di Libero Grassi è ancora oggi "pietra di paragone", ancor più per il fatto che, come sappiamo bene, la "linea della palma" (il potere delle cosche mafiose così definito da Leornardo Sciascia) ha raggiunto e conquistato "pezzi" dell'Italia intera.
A sinistra Libero Grassi e la moglie, Pina Maisano, in una immagine di famiglia.
A destra, Pina Maisano dinanzi al cartello in cui si ricorda l'uccisione di Libero

La lettera al "caro estorsore"
Alla richiesta del pizzo da pagare alle cosche mafiose, Libero Grassi aveva risposto in maniera coraggiosa e del tutto originale, inaspettata, facendo pubblicare una lettera dal Giornale di Sicilia in data 10 gennaio 1991. La lettera aveva un titolo chiaro, forte: «Caro estorsore...non ti pago!» 
Caro estorsorevolevo avvertire il nostro ignoto estorsore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui.“                                                                          

Libero Grassi ospite di Michele Santoro
In un articolo pubblicato dall'Unita in data 28 agosto 2011 si raccontava l'intervista di Miche Santoro a Libero Grassi, nella trasmissione Samarcanda. 

intervista di Libero Grassi ."Samarcanda". 11 aprile 1991

Fonte . L'Unità - 28 agosto 2011- articolo di Marcello Ravveduto
Il 10 gennaio 1991 Libero Grassi scrisse una lettera al “Giornale di Sicilia”:«Caro estorsore...non ti pago». Dopo 8 mesi, il 29 agosto 1991, Cosa nostra lo ucciderà con cinque colpi di pistola calibro 38. La lettera è una pubblica rottura dell'omertà: l’imprenditore, il cittadino, sottoposto alle minacce degli estorsori, non solo rifiuta di pagare, ma accusa commercianti ed imprenditori siciliani di soggiacere passivamente alla coercizione mafiosa. Il pizzo accettato come una tassa dovuta ad un sistema di potere parallelo, in cui sguazzano politici, imprenditori e mafiosi e la cui efficacia impositiva si misura in termini di silenziosa rassegnazione. La coraggiosa presa di posizione di Libero Grassi che denuncia apertamente e pubblicamente la richiesta di pizzo, ha un effetto paradossale: uno sconcertante, inquietante, isolamento. Il presidente palermitano di Assindustria, Salvatore Cozzo, legato a Salvo Lima, addirittura minimizza la denuncia defininendola "una tammurriata per farsi un po’ di pubblicità".
Il clamore suscitato dalla denuncia di Libero grassi ha tuttavia varcato i confini del capoluogo siciliano e il giormalista Michele Santoro invita Libero Grassi alla trasmissione Samarcanda per  raccontare la sua storia. È l’11 aprile 1991. Libero Grassi è di fronte alle telecamere; lo sguardo è attento dietro gli occhiali da lettura. 
La domanda del conduttore: "Lei si è trovato faccia a faccia con queste richieste di tangenti?
La risposta di Libero Grassi: «Mi sono trovato più volte… ho subito due estorsioni, una rapina e altre intimidazioni». Poi Libero Grassi sposta il discorso su un tema scottante rivolgendosi al giudice Di Maggio presente in studio: «Il giudice di Maggio ha detto il primato della legge, il primato della politica, il primato della morale. Ma c’è un primato superiore quello della qualità del consenso… la formazione del consenso che poi è l’arma della mafia. La prima cosa che controlla la mafia… è il voto… ad una cattiva raccolta di voti corrisponde una cattiva democrazia… la legge la fanno i politici… se i politici hanno un cattivo consenso faranno delle cattive leggi e allora noi dobbiamo curare la qualità del consenso. La mafia in Sicilia è il maggior interlocutore del problema politico in quanto dispone del voto, dei soldi e degli inserimenti nell’amministrazione, perché oramai è diventata ceto dominante». 

Santoro lo interrompe e lo stuzzica: "Perché non vuol pagare, lei è pazzo?"
Libero Grassi non ha sussulti, non si scompone, è quasi immobile: «Non sono pazzo, non mi piace pagare perché è una rinunzia alla mia dignità di imprenditore (significherebbe che) io divido le mie scelte con il mafioso». Si ferma per un istante prende un foglio dalla cartellina e legge una dichiarazione del giudice Luigi Russo in merito alle estorsioni: «Si può anche non pagare, ma chi non paga deve sapere bene cosa gli succede prima o poi… se tutti facessero così (non pagando) dalla Sicilia sparirebbero le imprese e migliaia di piccole aziende andrebbero in fiamme». 

Ora Libero si agita sulla poltrona e sgrana gli occhi guardando fisso il giornalista: «Dico al dott. Luigi Russo che lui dice se tutti si comportassero come me si distruggono le industrie, se tutti si comportano come me si distruggono gli estorsori non le industrie». Con un gesto d’impeto toglie gli occhiali e tira un sospiro ad occhi chiusi. 

Dopo oltre vent’anni la testimonianza di Libero Grassi ci ricorda quanta strada è stata fatta nel campo della prevenzione e dell’assistenza alle vittime del racket. Rimane, tuttavia, di cocente attualità ed insoluto il tema della qualità del consenso elettorale, proprio ora che la «linea della palma», come scriveva Sciascia, ha raggiunto i lembi estremi del profondo nord.
Marcello Ravveduto


lunedì 2 agosto 2021

2 AGOSTO 1980 - BOLOGNA - LA STRAGE (non solo) FASCISTA

2 AGOSTO 1980. Il dovere della memoria. Ripetiamo quello che abbiamo già detto più volte: "Morti innocenti, delitti oscuri perpetrati da mani a cui abbiamo dato il nome di mafie, bande, terroristi, servizi segreti deviati, golpisti. E’ successo e forse potrebbe succedere ancora: delitti commessi pensando che, in Italia, potesse servire “a qualcosa e a qualcuno” spargere sangue innocente, seminare paure e insicurezza per annientare persone, idee, valori". 

Anche per i morti, i feriti, gli offesi della strage di Bologna ancora si deve chiedere Giustizia e Verità
Nell'anniversario di sei anni fa Emiliano Liuzzi , il giornalista del Fatto Quotidiano scomparso nell' aprile 2016, aveva scritto parole dure (leggi qui), gettando una luce su coloro che, anch'esse vittime della Strage, sono stati dimenticati: I feriti, i feriti a morte: "(...) che sono rimasti nell’illusione che il sacrificio sotto a quelle macerie servisse come sacrificio, appunto. Come vergogna".
Purtroppo, se possibile, gli anniversari delle stragi che hanno insanguinato l'Italia diventano ogni anno ancora più dolorosi se pensiamo a quanto emerso, ad esempio,  dal processo "Borsellino Quater", processo nel quale si acclara la verità denunciata sin dall'inizio dalla famiglia Borsellino: anche Via d'Amelio fu una "strage di stato", commessa con la complicità e la collusione di "pezzi" dello Stato impegnati ad eliminare qualunque ostacolo si frapponesse alla "trattativa". Tanto da agire, quei pezzi dello Stato, affinché si mettesse in atto il più grande depistaggio della storia italiana. A nulla sono valsi sinora gli appelli "inusuali" a parlare, a rivelare quel che si sa, appelli rivolti non già a pentiti criminali, mafiosi, ma a uomini e donne delle istituzione che, pure a conoscenza di brandelli di verità, continuano a tacere, a non ricordare.
Non c'è il sentimento della vergogna in quei "pezzi" dello Stato Italiano che, a distanza di 41 anni, consente che anche la strage di Bologna rimanga ancora senza i colpevoli maggiori, i mandanti. Anche per la Strage di Bologna valgono le parole di Roberto Scarpinato"(...)La storia insegna che quando un segreto dura nel tempo, sebbene condiviso da decine e decine di persone,  è il segno che su quel segreto è imposto il sigillo del Potere”.
Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione dei famigliari delle vittimedal palco di piazza Medaglie d'Oro davanti alla stazione così si è espresso oggi: "C'è un filo nero che parte da Portella della Ginestra fino alle stragi del '92. Gli apparati dello Stato entrano in campo ogni volta a coprire le trame eversive e ci sono sentenze per ogni strage che lo confermano. E' un fatto appurato che l'estrema destra fu protetta dai servizi segreti. Fiumi di sangue in cambio di fiumi di denaro. Giuseppe Falcone lo aveva capito e il terrorista Valerio Fioravanti ha infangato la sua memoria anche nel corso del recente processo Cavallini. Il processo ai mandanti procede nell'indifferenza della stampa nazionale, come se fosse solo un fatto bolognese. Nel manifesto abbiamo scritto: svelare mandanti e depistatori,  le implicazioni che emergono dal processo ai mandanti sconvolgono, conoscere i retroscena di Bologna permetterà di capire altri fatti come.l'uccisione di Aldo Moro e di Piersanti Mattarella. Ancora oggi sono in tanti a fare di tutto per nascondere la verità. Se almeno la metà degli italiani conoscesse un quarto di quello che già è stato accertato saremmo una democrazia più vigile e matura".
Anche la strage di Bologna è strage che colpisce l'intera nazione: le vittime provenivano da cinquanta città diverse, trentatré vittime avevano tra i 18 e i 30 anni, sette vittime avevano un'età compresa tra i 3 e i 14 anni: La vittima più giovane è Angela Fresu, tre anni: la mamma, Maria Fresu si trovava nella sala della bomba con la figlioletti in braccio. Stavano partendo con due amiche per una breve vacanza sul lago di Garda. Il corpicino della piccola, la più giovane delle vittime, venne ritrovato subito. I resti del corpo della mamma non sono stati ancora riconosciuti.
Anche per la Strage di Bologna valgono le parole di Roberto Scarpinato: "(...) La storia insegna che quando un segreto dura nel tempo, sebbene condiviso da decine e decine di persone, è il segno che su quel segreto è imposto il sigillo del Potere”.





i familiari delle vittime nella celebrazione di questa mattina passano vicino all'autobus 37, 
simbolo della strage perché fu utilizzato per trasportare feriti in ospedale e poi i morti

fonte del testo
ASSOCIAZIONE TRA I FAMIGLIARI DELLE VITTIME DELLA STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA 2 AGOSTO 1980

Il 2 agosto 1980, alle ore 10,25una bomba esplose nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione di Bologna. 
Lo scoppio fu violentissimo, provocò il crollo delle strutture sovrastanti le sale d'aspetto di prima e seconda classe dove si trovavano gli uffici dell'azienda di ristorazione Cigar e di circa 30 metri di pensilina. L'esplosione investì anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario.
Il soffio arroventato prodotto da una miscela di tritolo e T4 tranciò i destini di persone provenienti da 50 città diverse italiane e straniere.
Il bilancio finale fu di 85 morti e 200 feriti.(testimonianze di Biacchesi e da "Il giorno")
La violenza colpì alla cieca cancellando a casaccio vite, sogni, speranze.
 , 16 anni, venne ricoverata all'ospedale Maggiore, il corpo devastato dalle ustioni. Con la sorella Chiara, 15 anni, era in partenza per l'Inghilterra. Le avevano accompagnate il fratello Andrea e la madre Anna Maria Salvagnini. Il corpo di quest'ultima venne ritrovato dopo ore di scavo tra le macerie. Andrea e Chiara portano ancora sul corpo e nell'anima i segni dello scoppio. Marina morì dieci giorni dopo l'esplosione tra atroci sofferenze.
Angela Fresu, la vittima
più giovane  della strage
Maria Fresu si trovava nella sala della bomba con la figlia Angela di tre anni. Stavano partendo con due amiche per una breve vacanza sul lago di Garda. Il corpicino della piccola, la più giovane delle vittime, venne ritrovato subito. I resti del corpo della mamma non sono stati ancora riconosciuti.

Torquato Secci, impiegato alla Snia di Terni, venne allertato dalla telefonata di un amico del figlio Sergio, Ferruccio, che si trovava a Verona. Sergio lo aveva informato che a causa del ritardo del treno sul quale viaggiava, proveniente dalla Toscana, aveva perso una coincidenza a Bologna e aveva dovuto aspettare il treno successivo.
Poi non ne aveva più saputo nulla.
Solo il giorno successivo, telefonando all'Ufficio assistenza del Comune di Bologna, Secci scoprì che suo figlio era ricoverato al reparto Rianimazione dell'ospedale Maggiore.
"Mi venne incontro un giovane medico, che con molta calma cercò di prepararmi alla visione che da lì a poco mi avrebbe fatto inorridire", ha scritto Secci, "la visione era talmente brutale e agghiacciante che mi lasciò senza fiato. Solo dopo un po' mi ripresi e riuscii a dire solo poche e incoraggianti parole accolte da Sergio con l'evidente, espressa consapevolezza di chi, purtroppo teme di non poter subire le conseguenze di tutte le menomazioni e lacerazioni che tanto erano evidenti sul suo corpo".
Nel 1981 Torquato Secci diventò presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage.
La città si trasformò in una gigantesca macchina di soccorso e assistenza per le vittime, i sopravvissuti e i loro parenti.
I vigili del fuoco dirottarono sulla stazione un autobus, il numero 37, che si trasformò in un carro funebre. E' lì che vennero deposti e coperti da lenzuola bianche i primi corpi estratti dalle macerie.
Alle 17,30, il presidente della Repubblica Sandro Pertini arrivò in elicottero all'aeroporto di Borgo Panigale e si precipitò all'ospedale Maggiore dove era stata allestita una delle tre camere mortuarie.
Per poche ore era circolata l'ipotesi che la strage fosse stata provocata dall'esplosione di una caldaia ma, quando il presidente arrivò a Bologna, era già stato trovato il cratere provocato da una bomba.
Incontrando i giornalisti Pertini non nascose lo sgomento: "Signori, non ho parole", siamo di fronte all'impresa più criminale che sia avvenuta in Italia".
Ancora prima dei funerali, fissati per il 6 agosto, si svolsero manifestazioni in Piazza Maggiore a testimonianza delle immediate reazioni della città.
Il giorno fissato per la cerimonia funebre nella basilica di San Petronio, si mescolano in piazza rabbia e dolore. Solo 7 vittime ebbero il funerale di stato.
Il 17 agosto "l'Espresso" uscì con un numero speciale sulla strage. In copertina un quadro a cui Renato Guttuso diede lo stesso titolo che Francisco Goya aveva scelto per uno dei suoi 16 Capricci: "Il sonno della ragione genera mostri". Guttuso ha solo aggiunto una data: 2 agosto 1980.
Cominciò una delle indagini più difficili della storia giudiziaria italiana.

Una delle fotografie-simbolo della strage di Bologna: una donna che urla su una barella mentre la portano via dopo l’esplosione. La donna si chiama Marina Gamberini, l’unica sopravvissuta della Cigar, la tavola calda del piazzale Ovest, 

giovedì 29 luglio 2021

Rocco Chinnici, un giudice che troppo aveva intuito
: " Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai"

Rocco Chinnici, un giudice che troppo aveva intuito
 e che per questo andava eliminato: La mafia è tragica, forsennata, crudele vocazione alla ricchezza. La mafia stessa è un modo di fare politica mediante la violenza, è fatale quindi che cerchi una complicità, una alleanza con la politica pura, cioè praticamente con il potere.”

"(...) Era la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80. Erano gli anni dei corleonesi di Liggio e dei padri della lotta alla mafia. Erano gli anni in cui uomini come Boris Giuliano, Cesare Terranova, Gaetano Costa, Calogero Zucchetto, Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Emanuele Basile, Carlo Alberto dalla Chiesa ed altri stavano cercavano di sconvolgere il sistema che fino all’ora aveva vissuto sulla placida convivenza con la criminalità organizzata. Era l’epoca in cui si parlava della morte della vecchia mafia ma nessuno voleva parlare della nuova che in realtà altro non era che la stessa che cavalcava l’onda dei ‘piccioli’ e della crescita economica. Gli appalti, l’oro bianco, l’alta finanza.(...)"

L'efficacia del lavoro svolto dagli uffici istruttori di Palermo attraverso la sua direzione è testimoniata da una dichiarazione dell'epoca dello stesso Rocco Chinnici: "Un mio orgoglio particolare è la dichiarazione degli americani secondo cui l'Ufficio Istruzione di Palermo è diventato il centro pilota della lotta antimafia, un  esempio per le altre magistrature"Ma la risposta violenta di cosa nostra aveva già provocato le prime cosiddette "vittime eccellenti". A tale proposito così ebbe a dire Rocco Chinnici: "(...) anche se cammino con la scorta, so che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. per un magistrato come me è normale consdiderarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non mpedisce, nè a me nè ad altri giudici, d continuare a lavorare. Ma Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai"

Rocco Chinnici venne assassinato alle 8 del mattino del 29 luglio 1983 quando una Fiat 126 verde, imbottita con 75 kg di esplosivo parcheggiata davanti alla sua abitazione in via Pipitone Federico a Palermo, devasto’ la sua vita, quella del maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi e dell'appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta e del portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi . Ad azionare il telecomando che provocò l'esplosione fu Antonino Madonia, boss di Resuttana, che si trovava nascosto nel cassone di un furgone parcheggiato nelle vicinanze. Sulle sue orme continueranno il loro impegno nella lotta alla mafia due giovani magistrati, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che lo avrebbero seguito nello stesso destino, fatto di lotta, di isolamento e di morte violenta provocata da esplosivo per mano di cosa nostra.

Riproponiamo un articolo pubblicato da Antimafia duemila nel 2015

Fonte: Antimafiaduemila


Rocco Chinnici, un giudice che troppo aveva intuito
 

di Francesca Mondin - 28 luglio 2015


da destra: Ninni Cassarà, Giovanni Falcone, Rocco Chinnici

Era la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80.
Erano gli anni dei corleonesi di Liggio e dei padri della lotta alla mafia. Erano gli anni in cui uomini come Boris Giuliano, Cesare Terranova, Gaetano Costa, Calogero Zucchetto, Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Emanuele Basile, Carlo Alberto dalla Chiesa ed altri stavano cercavano di sconvolgere il sistema che fino all’ora aveva vissuto sulla placida convivenza con la criminalità organizzata. Era l’epoca in cui si parlava della morte della vecchia mafia ma nessuno voleva parlare della nuova che in realtà altro non era che la stessa che cavalcava l’onda dei ‘piccioli’ e della crescita economica. Gli appalti, l’oro bianco, l’alta finanza.
Era l’inizio della lunga lista di padri e madri della patria abbandonati sul campo di battaglia e mandati a morte sotto i feroci colpi della mafia. Nel giro di pochi anni, infatti, Cosa nostra aveva messo a punto una vera e propria mattanza di servitori dello Stato e giornalisti.


Il boato
Era il 1983. Venerdì 29 luglio, ore 8.05. Il capo dell’ufficio istruzione di Palermo Rocco Chinnici saluta il portinaio del condominio in cui abita. Via Federico Pipitone avvolta dal caldo torrido di fine luglio e dagli odori e rumori palermitani è sempre la solita. Chinnici esce di casa. Un uomo preme un pulsante. Un boato. Un istante lungo un sospiro e la via si trasforma nell’inferno. Sirene spiegate, ambulanze, urla, macerie, vetri e mura frantumate, un immenso cratere profondo e nero ha preso il

posto della macchina del giudice. La mafia aveva colpito ancora, e lo aveva fatto nel modo più vigliacco e sensazionale che poteva. Un' autobomba, la prima di una lunga serie, aveva spazzato via Rocco Chinnici, i due agenti della scorta Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, e il portinaio del condominio Stefano Li Sacchi 
la strage














Zeroprobabilità di errore perché questo giudice testardo che aveva intuito troppe cose andava cancellato. 
Cosa aveva capito Rocco Chinnici di tanto fastidioso? 
Paolo Borsellino parla di lui come di una grande mente che già alla fine degli anni ’70, quando ancora le conoscenze sul fenomeno mafioso erano molto lacunose, era riuscito a intuire prima di tutti cosa fosse Cosa nostra e le sue connessioni con l’alta finanza, la politica e l’imprenditoria. “Le dimensioni gigantesche della organizzazione, la sua estrema pericolosità, gli ingentissimi capitali gestiti, i collegamenti con le organizzazioni di oltreoceano e con quelle similari di altre regioni d’Italia, le peculiarità del rapporto mafia-politica, la droga ed i suoi effetti devastanti, l’inadeguatezza della legislazione: c’è già tutto in questi scritti di Chinnici”.
La grandezza di Chinnici fu anche nel cercare di potenziare e rendere efficaci gli strumenti per la lotta alla mafia. Il giudice aveva capito l’importanza di lavorare in équipe e aveva gettato le basi per il futuro pool antimafia guidato da Antonio Caponnetto: “Ne tentò i primi difficili esperimenti, sempre comunque curando che si instaurasse un clima di piena e reciproca collaborazione e di circolazione di informazioni fra i “suoi” giudici. - racconta Paolo Borsellino in un suo scritto - Per suo merito, nell’estate del 1983, si erano realizzate, pur
nell’assenza di una idonea regolamentazione legislativa, ancora oggi mancante, tutte le condizioni per la creazione del pool antimafia”.
Chinnici può essere considerato per molti aspetti il precursore della lotta antimafia portata avanti poi dal pool antimafia e da Falcone e Borsellino, fu lui a creare l’embrione del primo maxi processo con il procedimento allora detto “dei 162”. Fu tra i primi a capire che bisognava cercare tutte le interconnessioni tra i grandi delitti compiuti dalla mafia per studiare unitariamente l’intero fenomeno mafioso. Così come era convinto che unitamente, dai vari componenti dello Stato, andava combattuta la criminalità organizzata. Infatti, scrive il giudice Borsellino: “Non si stancò mai di ripetere, ogni volta che ne ebbe occasione, che solo un intervento globale dello Stato, nella varietà delle sue funzioni amministrative, legislative ed, in senso ampio, politiche, avrebbe potuto sicuramente incidere sulle radici della malapianta, avviando il processo del suo sradicamento”. 
Oggi: lo stato delle cose
Dopo 32 anni però la mafia invece di essere sradicata si è avvinghiata ancora di più alle scure trame del potere raggiungendo livelli di convivenza politico finanziaria che le permette oggi di essere la più grande potenza economica italiana con un fatturato di oltre 80 miliardi di euro. Molti sono stati gli uomini e le donne che dopo Chinnici hanno ereditato la sua lotta, ma puntualmente sono stati ostacolati, isolati, screditati e quando questo non bastava uccisi. Alcune vittorie grazie al coraggio di questi uomini sono state raggiunte e alcune verità sono emerse, qualche volto è stato scoperto ma certamente è mancato quell’intervento globale dello Stato di cui parlava il giudice. Anzi, sembra non esserci tuttora la volontà, da parte di alcuni centri di potere, di capire e trovare i mandanti dei grandi delitti e stragi. “Una disamina complessiva di quanto è emerso dai processi (sugli omicidi eccellenti, ndr) - scrive il pm Nino Di Matteo sul suo nuovo libro Collusi (scritto a quattro mani con Salvo Palazzolo, edizioni BUR, ndr) - … lascia intravedere dietro ogni omicidio eccellente una convergenza di interessi mafiosi e di altri poteri, di volta in volta politico-istituzionali, imprenditoriali o finanziari. Tale convergenza si è manifestata con modalità differenti.”. 
Chi ha voluto dunque la morte del giudice Chinnici?
Nel mirino investigativo del giudice erano finiti i cugini Salvo, all’epoca i veri padroni della Sicilia imprenditoriale. Nino Di Matteo che nel 1996 si occupò a Caltanissetta dell'indagine sull'attentato a Chinnici nel libro Collusi scrive: “Le parole di Brusca (collaboratore di giustizia che parlò del coinvolgimento dei Salvo nell’attentato, ndr) e i numerosi riscontri emersi nel processo non lasciano spazio a interpretazioni: questa volta, Cosa Nostra aveva agito su input di altri. A dare il via era stato un vero e proprio potentato economico-politico, costituito da soggetti la cui autorevolezza criminale derivava dall’inserimento in un circuito esterno all’organizzazione mafiosa.” I cugini Salvo, scrive ancora Di Matteo, “avevano potuto chiedere e ottenere un omicidio eccellente di quel tipo proprio perché rappresentavano lo snodo più importante di contatto e penetrazione del potere politico nazionale”.
I processi per il delitto Chinnici sono stati numerosi e come sempre l’iter giudiziario è stato piuttosto lungo e complesso.
Soltanto il 24 giugno 2002 la Corte d’appello di Caltanissetta ha confermato 16 condanne (12 ergastoli e quattro condanne a 18 anni di reclusione) per alcuni fra i più importanti affiliati di Cosa nostra.
La sentenza ha dato ragione alla tesi dell’accusa secondo cui l’omicidio di Rocco Chinnici fu chiesta dagli “esattori” Nino e Ignazio Salvo (entrambi deceduti, il primo per malattia, il secondo ucciso nel 1992).
Il giallo del fascicolo scomparso
Secondo alcuni pentiti il terzo processo d’appello, celebrato a Messina nel 1988, dopo due annullamenti della Cassazione, avrebbe subito degli ‘aggiustamenti’ per arrivare all’assoluzione, per insufficienza di prove, dei mandanti Michele e Salvatore Greco, e di Pietro Scarpisi e Vincenzo Morabito come esecutori. Secondo quanto dissero all’epoca i collaboratori di giustizia in questione, infatti, la mafia avrebbe corrotto l’allora presidente della corte d’Assise, Giuseppe Recupero, accusato di aver preso 200 milioni. Il fascicolo venne trasmesso nuovamente a Palermo nell’estate del ’98 dal gup di Reggio Calabria, dichiaratosi “incompetente’’ a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno in mafia e corruzione di quest’ultimo. Il caso però finì nel dimenticatoio per poi tornare fortuitamente alla luce per la scoperta di due giornalisti che stavano lavorando al libro “Così non si può vivere” edito da Castelvecchi. L’inchiesta sul “fascicolo scomparso” venne quindi affidata al procuratore aggiunto Vittorio Teresi per poi essere archiviata lo scorso anno. Sulla vicenda sono tornati 15 senatori del Movimento 5 stelle che, alla vigilia del 32/esimo anniversario della strage hanno presentato un'interrogazione presentato al ministro della Giustizia.

L'insegnamento di Rocco Chinnici
In questi trentadue anni ci sono state molte iniziative della società civile per chiedere verità e giustizia, per manifestare il rifiuto al malaffare mafioso. Iniziative fondamentali per quel processo di sradicamento di cui parlava il giudice che però trova la sua realizzazione in una nuova coscienza critica che guidando l’azione individuale supera l’eccezionalità dell’evento o 
Paolo Borsellino porta la bara di Rocco Chinnici
dell’incontro pubblico. Rocco Chinnici fu tra i primi magistrati ad andare nelle scuole e parlare ai giovani, convinto della necessità di gettare le basi per questa nuova coscienza civile e socialeChinnici, racconta ancora Paolo Borsellino nel suo scritto, era convinto che “una lunga e defatigante istruttoria su un omicidio di mafia o su un traffico internazionale di stupefacenti non avrebbe avuto senso compiuto se insieme egli non avesse profuso tra i giovani, che con la sua attività giudiziaria cercava di difendere, anche quei frutti della sua esperienza e della sua cultura che, se ben recepiti, li avrebbero messi in grado di