martedì 24 novembre 2015

Lombardo: ''Mafie componenti indispensabili del sistema economico mondiale''

Quando si discute sul ruolo dell'economia delle comunità, anche nei territori piemontesi, il ruolo delle mafie ( e del "pensiero mafioso") non è affatto secondario. Occorrerebbe sempre considerare che esistono oramai differenti tipi di economie, e differenti "attori" interpreti dei "principi" che sottendono a quelle economie. Occorre avere coscienza e conoscenza che vi sono economie ( pure non propriamente mafiose ma permeabili al "pensiero mafioso") che sono  ben lontane dal perseguire il "bene lungimirante della comunità": questo è il discrimine che troppe volte vediamo accantonato allo scopo di far prevalere interessi particolari, pure ammantanti dall'etichetta di "legalità" che -capita spesso- è ben lontana dal significare Giustizia: "Pecunia non olet". Anche questo emerge dal contributo del sostituto procuratore Giusepe Lombardo intervenuto alla conferenza "15 anni di 'Ndrangheta in Piemonte e non solo..." svoltasi a Torino lo scorso 21 novembre 2015

Fonte Antimafiaduemila

Lombardo: ''Mafie componenti indispensabili del sistema economico mondiale''

lombardo giuseppe torinoIl Sostituto Procuratore di Reggio Calabria G. Lombardo: "Priorità dello Stato non è la lotta alla mafia"
di Francesca Mondin
"Le grandi mafie oggi si muovono tutte in modo coordinato fra di loro e sono componenti indispensabili del sistema economico mondiale". A dirlo è Giuseppe Lombardo, sostituto procuratore di Reggio Calabria, alla conferenza "15 anni di 'Ndrangheta in Piemonte e non solo…" che si è svolta a Torino il 21 novembre 2015. Un incontro organizzato dall'Associazione Culturale Falcone e Borsellino con la collaborazione del Movimento Agende Rosse gruppo "Paolo Borsellino" di Torino e di Libera presidio "Libero Grassi" ed il Patrocinio del Comune di Santena, a cui hanno partecipato anche Roberto Sparagna, Sostituto Procuratore di Torino e Giorgio Bongiovanni, direttore di ANIMAFIADuemila.
"Chi critica le indagini che riguardano il narcotraffico internazionale, di cui la 'Ndrangheta diventa sostanzialmente il soggetto unico a cavallo delle stragi '92 '93 - ha spiegato Lombardo - non si rende conto che le enormi liquidità che ne derivano sono in grado di provocare una quantità tale di risorse finanziarie liquide da condizionare il sistema finanziario mondiale, e le banche senza liquidità non hanno niente da dare, questo è il problema".
Tanto più se "il sistema vive momenti di crisi finanziarie - cioè - che dipendono dalla liquidità". 
Nel riassumere il concetto il Sostituto Procuratore ha evidenziato che "Se siamo consapevoli di questo, siamo anche consapevoli che contrastare economicamente le mafie significa impedire - in un certo senso - che l'economia riparta". Data la complessità della situazione il magistrato ha richiamato lo Stato ad avere "il coraggio di riconoscere questo" e di leggere le sentenze per capire veramente il fenomeno. Il rischio altrimenti, ha continuato Lombardo, è quello di alimentare un "sistema di comunicazione che serve a sviare la conoscenza su questi fenomeni".
Riguardo l'importanza dell'informazione il sostituto procuratore ha denunciato quanto poco spazio è stato dato ad esempio alla seconda guerra di mafia a Reggio Calabria: "Mille morti ammazzati non sono stati ritenuti degni di notizia a livello nazionale e questo è molto grave.. è stato il più cruento scontro armato che è avvenuto senza essere tuttavia classificato come guerra, è un paese civile quello dove si registrano questi fenomeni?". Per questo Lombardo ha sottolineato l'importanza di avere uno Stato "dinamico, autorevole, che si arrabbia e non uno Stato del participio passato di stare, perchè il sangue delle nostre vittime ha lo stesso valore di tutte le altre vittime del mondo".
                                                                    Una mafia invisibile
Ripercorrendo per alcuni nodi fondamentali l'evoluzione della 'Ndrangheta, Lombardo ha spiegato come ad un certo punto la magistratura interrogandosi sulla reale forma della 'Ndrangheta si è trovata dinnanzi ad un "errore di fondo enorme, condizionato dal fatto che mentre a Cosa nostra era stata ricostruita l'organizzazione verticistica sulla base di collaboratori di giustizia di grande rilievo, questo non era stato fatto per la 'Ndrangheta". Fino a pochi anni fa infatti la struttura della mafia calabrese era spiegata orizzontalmente, senza grandi gerarchie e negando la presenza di collaboratori di giustizia di grosso calibro. Invece già negli "anni '90 a Reggio Calabria collaboravano con giustizia soggetti di livello criminale straordinario - ha spiegato il pm di Reggio Calabria - con il limite che questi soggetti avevano inserito, accanto a quello già in parte dimostrato dai processi, dei temi ulteriori, imprevisti".
Soltanto "le attività d'indagine del 2005-2006 vanno a valorizzare quei passaggi che dimostravano che c'erano tendenzialmente delle strutture verticistiche".
Addirittura Lombardo ha raccontato di un dialogo registrato durante le indagini sulla superstrada statale 106 ionica tra due coniugi in cui il marito, "che era apparentemente sindacalista che faceva da raccordo tra le varie famiglie mafiose e la società italiana per le condotte d'acqua … dice  'quello che vedi non è la 'Ndrangheta come te l'hanno raccontata, quella che conta davvero è la cosiddetta 'Ndrangheta invisibile che è molto più legata ad ambiti massonici e complessi e che comanda perchè accanto a chi comanda e decide c'è chi esegue'". La mafia presentata dal magistrato di Reggio Calabria è quindi una mafia "invisibile" ancora più difficile da scovare e condannare, ecco perchè "E' necessario per i magistrati avere la forza e la possibilità di fare indagini complete, solo la completezza dell'investigazione ci può far capire se quei soggetti fanno parte della struttura criminale e si nascondono… o se invece stanno all'esterno e quindi dall'esterno la favoriscono - ha spiegato il sostituto procuratore di Reggio - questo dipende da una serie di fattori, il fattore principale che io ritengo condizioni fino in fondo il nostro lavoro è uno solo: il contrasto alle mafie non è una priorità dello Stato italiano".
Un aiuto che le Istituzioni potrebbero dare nella lotta alla mafia secondo Lombardo, sarebbe ad esempio una norma chiara sul concorso esterno di associazione mafiosa, un "problema che esiste da 140 anni". Fin dall'epoca di Falcone e Borsellino "c'era la consapevolezza che era difficile dimostrare queste condotte perchè è un istituto sostanzialmente di creazione giurisprudenziale che la nostra classe politica cerca di indebolire sempre di più perchè capisce perfettamente che il problema è lì".
"Quando siamo andati a cercare conferme sul fatto che ci potessero essere componenti riservati delle mafie che in qualche modo noi avevamo tentato di ricondurre ad una fattispecie criminosa ed avevamo utilizzato il concorso esterno, ci siamo resi conto anche del motivo per il quale quelle contestazioni quasi regolarmente andavano incontro a sentenze di assoluzione - ha sottolineato Lombardo - perchè stavamo contestando a determinati soggetti che facevano parte della struttura criminale in una componente invisibile un reato che era sbagliato perchè li collocavamo all'esterno di quella struttura criminale."

mercoledì 18 novembre 2015

LEA e DENISE GAROFALO. IL CORAGGIO DI UNA DONNA: VEDO, SENTO, PARLO!

Questa sera verrà trasmesso il film "LEA", dedicato a Lea Garofalo, testimone di giustizia, uccisa in un agguato organizzato dal suo ex compagno, il boss della ‘ndrangheta Carlo Cosco.  Il film andrà in onda su Rai Uno, in prima serata.





"Lea" è il Film TV di Marco Tullio Giordana che andrà in onda questa sera, il 18 novembre, in prima serata su Rai Uno.

Il regista de I Cento Passi e de La Meglio Gioventù, Marco Tullio Giordana, è tornato dietro la macchina da presa per dirigere un film tv ispirato alla vita di Lea Garofalo, vittima della ‘ndrangheta. 

 La storia di Lea e Denise Garofalo
fonte CN24
La storia di Lea narra di una donna coraggiosa. Lea nasce a Petilia Policastro il 24 aprile 1974. Anche lei, come Peppino Impastato  e Rita Atria, cresce in una famiglia legata alle mafie di quelle terre. All’età di 13 anni Lea si innamora di Carlo Cosco dal quale, dopo 4 anni, avrà la figlia Denise. Anche Carlo Cosco è un esponente della 'ndrangheta calabrese, ma la Garofalo sente il bisogno di avere una vita diversa, senza paura e senza violenza. Nel 2002 Lea Garofalo decide che è giunto il momento di iniziare a collaborare con la giustizia e di conseguenza viene inserita nel programma di protezione insieme alla figlia Denise.
In quegli anni Lea vive in solitudine, cambiando spesso residenza e raccontando ai magistrati tutti gli affari illeciti del clan dell’ex compagno. Nel 2009 la donna, sfiduciata dalle Istituzioni, esce dal sistema di protezione e ritrovandosi in difficoltà economiche chiede all’ex compagno di contribuire al mantenimento della figlia Denise. Da Campobasso, Lea si sposta quindi a Milano, dove cade nella trappola di Cosco che approfitta della situazione per far rapire Lea. Lea Garofalo scomparve la sera del 24 novembre del 2009. Una telecamera di servizio riprese l'ultima passeggiata di Lea e Denise a Milano, immediatamente prima che la donna venisse sequestrata dal marito. (vedi qui).
A catturare i responsabili della morte di Lea ci penserà Denise, sua figlia. Nonostante la giovanissima età, Denise fornirà un contributo fondamentale per individuare e processare tutti i responsabili dell’omicidio della madre, costituendosi "parte civile" nel processo contro il suo stesso padre.
Emerge così la verità sulla fine di Lea Garofalo.
In un primo tempo, le indagini portarono alla convinzione degli inquirenti che la donna, dopo essere stata torturata per ore, venisse uccisa e il corpo dissolto nell’acido. Tuttavia, grazie alle rivelazioni di Carmine Venturino, uno degli indagati, i poveri resti del corpo della donna sono stati ritrovati nel 2012 in un terreno del comune di Cormano ( Mi)   La sua identità è stata confermata dall’esame del DNA. 
Lea Garofalo venne sequestrata, torturata, uccisa e il corpo dato alle fiamme. La barbarie degli "uomini d'onere" arriva a questo!
Alla fine dell'iter processuale, nel 2013, la Cassazione si è pronunciata definitivamente sul processo per la scomparsa, l’omicidio e la distruzione del cadavere di Lea Garofalo con la condanna definitiva: Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino sono condannati all'ergastolo; 25 anni di reclusione per Carmine Venturino e assoluzione per non aver commesso il fatto per Giuseppe Cosco; inoltre la Corte ha disposto il risarcimento dei danni per le parti civili: la figlia, la madre e la sorella di Lea Garofalo e il comune di Milano.
Il 19 ottobre 2013 si sono svolti a Milano, in piazza Beccaria, i funerali civili di Lea Garofalo. In piazza erano presenti migliaia di persone, fra le quali anche  Don Luigi Ciotti, in rappresentanza di LIBERA, e il sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Lo stesso giorno è stato intitolato a Lea Garofalo un giardino pubblico in viale Montello a Milano; a quel luogo, altri ne sono seguiti dedicati alla memoria di LEA GAROFALO: una donna coraggiosa.

sabato 14 novembre 2015

Attentati di Parigi. Il vescovo di Pinerolo ai fedeli islamici: troviamoci a pregare insieme

Attentati di Parigi. Il vescovo di Pinerolo ai fedeli islamici: troviamoci a pregare insieme

Fonte: Vita Diocesana 

14 novembre 2015
Dopo i tragici avvenimenti di Parigi il vescovo di Pinerolo, monsignor Pier Giorgio Debernardi, ha rilasciato una dichiarazione condannando duramente le violenze dei terroristi e richiamando ai valori della pacifica convivenza tra fedi diverse.
Riportiamo di seguito il testo del messaggio con in quale invita i musulmani del territorio pinerolese ad un comune momento di preghiera.
"Sono atti di barbarie feroce quelli dell’attentato all’areo russo nel deserto del Sinai e quest’ultimo nel cuore di Parigi. Soprattutto è inaudita follia pensare di continuare a progettare altri attentati in altre città europee. Anche oggi la risposta non è mettere in atto la violenza per arginare  la violenza. Saremmo anche noi insensati. Ma serve la volontà determinata  da parte di tutti gli stati, ancora immuni da integralismo, di fermare questa follia con un supplemento di intelligenza e con la forza della ragione.
Guai a gridare il nome di Dio per giustificare questa atrocità. È lo straripamento della follia. Tutti – ogni persona di buona volontà – devono respingere questo impazzimento della ragione. A tutti quelli che credono in Dio, creatore dell’universo e della persona umana, rivolgo l’invito ad unirci in preghiera e per impegnarci con le nostre forze a voltare pagina in questo oscuramento della storia.
Rivolgo l’invito a tutti i fedeli islamici presenti nel nostro territorio a trovar un momento per dire insieme un “no” deciso e forte a questa strategia di violenza e invocare insieme il Dio della pace."

mons. Debernardi con i rappresentanti della comunità islamica di Pinerolo, nel giorno della fine del Ramadan

venerdì 13 novembre 2015

"Rendiamo illegale la povertà: reddito di cittadinanza è reddito di dignità"

Il presidio LIBERA “Rita Atria” Pinerolo, i rappresentanti di Istituto e Consulta del Liceo Scientifico "M. Curie" di Pinerolo, invitano all'incontro pubblico:"Rendiamo illegale la povertà: reddito di cittadinanza è reddito di dignità" che si terrà a Pinerolo questa sera, 13 novembre 2015 , alle ore 21.00 presso l'Auditorium del Liceo Scientifico "M. Curie"


Tema dell'incontro sarà il contrasto alla povertà attraverso la proposta del cosiddetto “reddito di cittadinanza” ( o “di dignità”). E' la richiesta, condotta anche da LIBERA e GRUPPO ABELE con la campagna “Miseria Ladra”, di un impegno concreto della politica italiana affinchè si costruiscano condizioni di dignità a partire dalle persone che più soffrono a causa della crisi economica che attraversiamo.

Le parole di don Luigi Ciotti:(...)il reddito di dignità è anche un atto di vera politica.: perché decide sui processi economici invece che subirli e ha il coraggio di modificarli quando ostacolano il bene comune; perché crede che la giustizia sociale sia il vero antidoto alle mafie, alla corruzione, ai privilegi e agli abusi di potere; perché sa che certi frangenti delicati come questo, il sostegno ai deboli, alle vittime, agli emarginati è un imperativo etico, un obbligo di coscienza che precede ogni valutazione, ogni calcolo, ogni opportunità.(...)”.

domenica 1 novembre 2015

Pier Paolo Pasolini: "Perché siamo tutti in pericolo"

Il dovere della Memoria impone la filessione su un uomo come Pier Paolo Pasolini, ucciso la notte del 2 novembre 1975 sulla spiaggia dell'Idroscalo di Ostia.
"L'intellettuale scomodo", dalle mille contradizioni, pure colui che in maniera "eretica" analizza e predice la condizione di degrado -civile e morale- a cui la società italiana si andava incamminando. Ancora oggi  appaiono drammaticamente profetiche le sue analisi: sui falsi miti della modernità; sul nascente fenomeno del "consumismo"; sul decadimento dei valori e dei legami affettivi delle comunità; sulla trasformazione “antropologica” che gli italiani parevano subire, aderendo a modelli di cui oggi avvertiamo -con colpevole ritardo- la vacuità e la insostenibilità.  
 Riproponiamo l'ultima intervista di Pier Paolo Pasolini rilasciata a Furio Colombo. Fra le tante cose su cui Pasolini rilfette in quella intervista ci colpisce una, che di certo non è la più importante: "(...)Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone. 
Ancora una volta, per l'ultima volta,  Pasolini appare "profetico" quando oggi vediamo coloro che hanno costruito carriere e privilegi personali ( o di casta) fingendosi difensori dei deboli, paladini di legalità o di buona politica.
Ancora una volta, per l'ultima volta,  Pasolini appare "profetico" anche con se stesso: "(...) Lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci sono anche i miei libri e i miei film. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo".

Per lui, a noi,  parlano ancora i suoi libri, i sui film, le sue parole. 

Furio Colombo: "Questa intervista ha avuto luogo sabato 1° novembre (1975), fra le 4 e le 6 del pomeriggio, poche ore prima che Pasolini venisse assassinato. Voglio precisare che il titolo dell’incontro che appare in questa pagina è suo, non mio. Infatti alla fine della conversazione che spesso, come in passato, ci ha trovati con persuasioni e punti di vista diversi, gli ho chiesto se voleva dare un titolo alla sua intervista.
Ci ha pensato un po’, ha detto che non aveva importanza, ha cambiato discorso, poi qualcosa ci ha riportati sull’argomento di fondo che appare continuamente nelle risposte che seguono. «Ecco il seme, il senso di tutto – ha detto – Tu non sai neanche chi adesso sta pensando di ucciderti. Metti questo titolo, se vuoi: “Perché siamo tutti in pericolo». 
 "Perché siamo tutti in pericolo"
Pasolini, tu hai dato nei tuoi articoli e nei tuoi scritti, molte versioni di ciò che detesti. Hai aperto una lotta, da solo, contro tante cose, istituzioni, persuasioni, persone, poteri. Per rendere meno complicato il discorso io dirò «la situazione», e tu sai che intendo parlare della scena contro cui, in generale ti batti. Ora ti faccio questa obiezione. La «situazione» con tutti i mali che tu dici, contiene tutto ciò che ti consente di essere Pasolini. Voglio dire: tuo è il merito e il talento. Ma gli strumenti? Gli strumenti sono della «situazione». Editoria, cinema, organizzazione, persino gli oggetti. Mettiamo che il tuo sia un pensiero magico. Fai un gesto e tutto scompare. Tutto ciò che detesti. E tu? Tu non resteresti solo e senza mezzi? Intendo mezzi espressivi, intendo…
Sì, ho capito. Ma io non solo lo tento, quel pensiero magico, ma ci credo. Non in senso medianico. Ma perché so che battendo sempre sullo stesso chiodo può persino crollare una casa. In piccolo un buon esempio ce lo danno i radicali, quattro gatti che arrivano a smuovere la coscienza di un Paese (e tu sai che non sono sempre d’accordo con loro, ma proprio adesso sto per partire, per andare al loro congresso). In grande l’esempio ce lo dà la storia. Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali. I pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzionare deve essere grande, non piccolo, totale, non su questo o quel punto, «assurdo» non di buon senso. Eichmann, caro mio, aveva una quantità di buon senso. Che cosa gli è mancato? Gli è mancato di dire no su, in cima, al principio, quando quel che faceva era solo ordinaria amministrazione, burocrazia. Magari avrà anche detto agli amici, a me quell’Himmler non mi piace mica tanto. Avrà mormorato, come si mormora nelle case editrici, nei giornali, nel sottogoverno e alla televisione. Oppure si sarà anche ribellato perché questo o quel treno si fermava, una volta al giorno per i bisogni e il pane e acqua dei deportati quando sarebbero state più funzionali o più economiche due fermate. Ma non ha mai inceppato la macchina. Allora i discorsi sono tre. Qual è, come tu dici, «la situazione», e perché si dovrebbe fermarla o distruggerla. E in che modo.

Ecco, descrivi allora la «situazione». Tu sai benissimo che i tuoi interventi e il tuo linguaggio hanno un po’ l’effetto del sole che attraversa la polvere. È un’immagine bella ma si può anche vedere (o capire) poco.
Grazie per l’immagine del sole, ma io pretendo molto di meno. Pretendo che tu ti guardi intorno e ti accorga della tragedia. Qual è la tragedia? La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra. E noi, gli intellettuali, prendiamo l’orario ferroviario dell’anno scorso, o di dieci anni prima e poi diciamo: ma strano, ma questi due treni non passano di li, e come mai sono andati a fracassarsi in quel modo? O il macchinista è impazzito o è un criminale isolato o c’è un complotto. Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità. Che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori. E facile, è semplice, è la resistenza. Noi perderemo alcuni compagni e poi ci organizzeremo e faremo fuori loro, o un po’ per uno, ti pare? Eh lo so che quando trasmettono in televisione Parigi brucia tutti sono lì con le lacrime agli occhi e una voglia matta che la storia si ripeta, bella, pulita (un frutto del tempo è che «lava» le cose, come la facciata delle case). Semplice, io di qua, tu di là. Non scherziamo sul sangue, il dolore, la fatica che anche allora la gente ha pagato per «scegliere». Quando stai con la faccia schiacciata contro quell’ora, quel minuto della storia, scegliere è sempre una tragedia. Però, ammettiamolo, era più semplice. Il fascista di Salò, il nazista delle SS, l’uomo normale, con l’aiuto del coraggio e della coscienza, riesce a respingerlo, anche dalla sua vita interiore (dove la rivoluzione sempre comincia). 
Ma adesso no. Uno ti viene incontro vestito da amico, è gentile, garbato, e «collabora» (mettiamo alla televisione) sia per campare sia perché non è mica un delitto. L’altro – o gli altri, i gruppi – ti vengono incontro o addosso – con i loro ricatti ideologici, con le loro ammonizioni, le loro prediche, i loro anatemi e tu senti che sono anche minacce. Sfilano con bandiere e con slogan, ma che cosa li separa dal «potere»?

 Che cos’è il potere, secondo te, dove è, dove sta, come lo stani?
Il potere è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra di Borsa uso quella. Altrimenti una spranga. E quando uso una spranga faccio la mia violenza per ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? Perché mi hanno detto che è una virtù volerlo. Io esercito il mio diritto-virtù. Sono assassino e sono buono.

Ti hanno accusato di non distinguere politicamente e ideologicamente, di avere perso il segno della differenza profonda che deve pur esserci fra fascisti e non fascisti, per esempio fra i giovani.
Per questo ti parlavo dell’orario ferroviario dell’anno prima. Hai mai visto quelle marionette che fanno tanto ridere i bambini perché hanno il corpo voltato da una parte e la testa dalla parte opposta? Mi pare che Totò riuscisse in un trucco del genere. Ecco io vedo così la bella truppa di intellettuali, sociologi, esperti e giornalisti delle intenzioni più nobili, le cose succedono qui e la testa guarda di là. Non dico che non c’è il fascismo. Dico: smettete di parlarmi del mare mentre siamo in montagna. Questo è un paesaggio diverso. Qui c’è la voglia di uccidere. E questa voglia ci lega come fratelli sinistri di un fallimento sinistro di un intero sistema sociale. Piacerebbe anche a me se tutto si risolvesse nell’isolare la pecora nera. Le vedo anch’io le pecore nere. Ne vedo tante. Le vedo tutte. Ecco il guaio, ho già detto a Moravia: con la vita che faccio io pago un prezzo… È come uno che scende all’inferno. Ma quando torno – se torno – ho visto altre cose, più cose. Non dico che dovete credermi. Dico che dovete sempre cambiare discorso per non affrontare la verità.

E qual è la verità?
Mi dispiace avere usato questa parola. Volevo dire «evidenza». Fammi rimettere le cose in ordine. Prima tragedia: una educazione comune, obbligatoria e sbagliata che ci spinge tutti dentro l’arena dell’avere tutto a tutti i costi. In questa arena siamo spinti come una strana e cupa armata in cui qualcuno ha i cannoni e qualcuno ha le spranghe. Allora una prima divisione, classica, è «stare con i deboli». Ma io dico che, in un certo senso tutti sono i deboli, perché tutti sono vittime. E tutti sono i colpevoli, perché tutti sono pronti al gioco del massacro. Pur di avere. L’educazione ricevuta è stata: avere, possedere, distruggere.

Allora fammi tornare alla domanda iniziale. Tu, magicamente abolisci tutto. Ma tu vivi di libri, e hai bisogno di intelligenze che leggono. Dunque, consumatori educati del prodotto intellettuale. Tu fai del cinema e hai bisogno non solo di grandi platee disponibili (infatti hai in genere molto successo popolare, cioè sei «consumato» avidamente dal tuo pubblico) ma anche di una grande macchina tecnica, organizzativa, industriale, che sta in mezzo. Se togli tutto questo, con una specie di magico monachesimo di tipo paleo-cattolico e neo-cinese, che cosa ti resta?
A me resta tutto, cioè me stesso, essere vivo, essere al mondo, vedere, lavorare, capire. Ci sono cento modi di raccontare le storie, di ascoltare le lingue, di riprodurre i dialetti, di fare il teatro dei burattini. Agli altri resta molto di più. Possono tenermi testa, colti come me o ignoranti come me. Il mondo diventa grande, tutto diventa nostro e non dobbiamo usare né la Borsa, né il consiglio di amministrazione, né la spranga, per depredarci. Vedi, nel mondo che molti di noi sognavano (ripeto: leggere l’orario ferroviario dell’anno prima, ma in questo caso diciamo pure di tanti anni prima) c’era il padrone turpe con il cilindro e i dollari che gli colavano dalle tasche e la vedova emaciata che chiedeva giustizia con i suoi pargoli. Il bel mondo di Brecht, insomma.

Come dire che hai nostalgia di quel mondo.
No! Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone. Poiché erano esclusi da tutto nessuno li aveva colonizzati. Io ho paura di questi negri in rivolta, uguali al padrone, altrettanti predoni, che vogliono tutto a qualunque costo. Questa cupa ostinazione alla violenza totale non lascia più vedere «di che segno sei». Chiunque sia portato in fin di vita all’ospedale ha più interesse – se ha ancora un soffio di vita – in quel che gli diranno i dottori sulla sua possibilità di vivere che in quel che gli diranno i poliziotti sulla meccanica del delitto. Bada bene che io non faccio né un processo alle intenzioni né mi interessa ormai la catena causa effetto, prima loro, prima lui, o chi è il capo-colpevole. Mi sembra che abbiamo definito quella che tu chiami la «situazione». È come quando in una città piove e si sono ingorgati i tombini. l’acqua sale, è un’acqua innocente, acqua piovana, non ha né la furia del mare né la cattiveria delle correnti di un fiume. Però, per una ragione qualsiasi non scende ma sale. È la stessa acqua piovana di tante poesiole infantili e delle musichette del «cantando sotto la pioggia». Ma sale e ti annega. Se siamo a questo punto io dico: non perdiamo tutto il tempo a mettere una etichetta qui e una là. Vediamo dove si sgorga questa maledetta vasca, prima che restiamo tutti annegati.

E tu, per questo, vorresti tutti pastorelli senza scuola dell’obbligo, ignoranti e felici.
Detta così sarebbe una stupidaggine. Ma la cosiddetta scuola dell’obbligo fabbrica per forza gladiatori disperati. La massa si fa più grande, come la disperazione, come la rabbia. Mettiamo che io abbia lanciato una boutade (eppure non credo) Ditemi voi una altra cosa. S’intende che rimpiango la rivoluzione pura e diretta della gente oppressa che ha il solo scopo di farsi libera e padrona di se stessa. S’intende che mi immagino che possa ancora venire un momento così nella storia italiana e in quella del mondo. Il meglio di quello che penso potrà anche ispirarmi una delle mie prossime poesie. Ma non quello che so e quello che vedo. Voglio dire fuori dai denti: io scendo all’inferno e so cose che non disturbano la pace di altri. Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi. È vero che sogna la sua uniforme e la sua giustificazione (qualche volta). Ma è anche vero che la sua voglia, il suo bisogno di dare la sprangata, di aggredire, di uccidere, è forte ed è generale. Non resterà per tanto tempo l’esperienza privata e rischiosa di chi ha, come dire, toccato «la vita violenta». Non vi illudete. E voi siete, con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la sua bella etichetta. A me questa sembra un’altra, delle tante operazioni della cultura di massa. Non potendo impedire che accadano certe cose, si trova pace fabbricando scaffali.

Ma abolire deve per forza dire creare, se non sei un distruttore anche tu. I libri per esempio, che fine fanno? Non voglio fare la parte di chi si angoscia più per la cultura che per la gente. Ma questa gente salvata, nella tua visione di un mondo diverso, non può essere più primitiva (questa è un’accusa frequente che ti viene rivolta) e se non vogliamo usare la repressione «più avanzata»…
Che mi fa rabbrividire.

 Se non vogliamo usare frasi fatte, una indicazione ci deve pur essere. Per esempio, nella fantascienza, come nel nazismo, si bruciano sempre i libri come gesto iniziale di sterminio. Chiuse le scuole, chiusa la televisione, come animi il tuo presepio?
Credo di essermi già spiegato con Moravia. Chiudere, nel mio linguaggio, vuol dire cambiare. Cambiare però in modo tanto drastico e disperato quanto drastica e disperata è la situazione. Quello che impedisce un vero dibattito con Moravia ma soprattutto con Firpo, per esempio, è che sembriamo persone che non vedono la stessa scena, che non conoscono la stessa gente, che non ascoltavano le stesse voci. Per voi una cosa accade quando è cronaca, bella, fatta, impaginata, tagliata e intitolata. Ma cosa c’è sotto? Qui manca il chirurgo che ha il coraggio di esaminare il tessuto e di dire: signori, questo è cancro, non è un fatterello benigno. Cos’è il cancro? È una cosa che cambia tutte le cellule, che le fa crescere tutte in modo pazzesco, fuori da qualsiasi logica precedente. È un nostalgico il malato che sogna la salute che aveva prima, anche se prima era uno stupido e un disgraziato? Prima del cancro, dico. Ecco prima di tutto bisognerà fare non solo quale sforzo per avere la stessa immagine. Io ascolto i politici con le loro formulette, tutti i politici e divento pazzo. Non sanno di che Paese stanno parlando, sono lontani come la Luna. E i letterati. E i sociologi. E gli esperti di tutti i generi.

Perché pensi che per te certe cose siano talmente più chiare?
Non vorrei parlare più di me, forse ho detto fin troppo. Lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci sono anche i miei libri e i miei film. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo.
Pasolini, se tu vedi la vita così – non so se accetti questa domanda – come pensi di evitare il pericolo e il rischio?
È diventato tardi, Pasolini non ha acceso la luce e diventa difficile prendere appunti. Rivediamo insieme i miei. Poi lui mi chiede di lasciargli le domande. «Ci sono punti che mi sembrano un po’ troppo assoluti. Fammi pensare, fammeli rivedere. E poi dammi il tempo di trovare una conclusione. Ho una cosa in mente per rispondere alla tua domanda. Per me è più facile scrivere che parlare. Ti lascio le note che aggiungo per domani mattina».
Il giorno dopo, domenica, il corpo senza vita di Pier Paolo Pasolini era all’obitorio della polizia.

L'omaggio di Nanni Moretti a Pasolini, tratto dal film "Caro Diario":