sabato 31 marzo 2012

Arrestato in Thailandia boss di cosa nostra: è stato il banchiere di Totò Riina e Bernardo Provenzano

La polizia thailandese ha arrestato ieri sera all'aeroporto di Bangkok Vito Roberto Palazzolo, considerato uno dei boss di Cosa nostra. Palazzolo, da tempo latitante, è stato bloccato grazie ad un'operazione dell'Interpol mentre si preparava a lasciare il Paese ed è tuttora detenuto presso lo scalo. LEGGI TUTTO QUI

31 Marzo 1984 Nardò (LE). Uccisa Renata Fonte, la cui unica colpa era di aver creduto nei propri ideali.

Renata Fonte è una martire dei giorni nostri vittima delle ingiustizie e delle prevaricazioni, vizi di una società soffocata dalla corsa al potere e dal tragico individualismo.
Questa donna, vitale e difficile al compromesso, viene uccisa con tre colpi di pistola, la notte del 30 marzo 1984, mentre raggiunge la sua abitazione. Il paese è Nardò, in provincia di Lecce, che, come tutte le realtà del Sud, vive, in quegli anni, patti celati o palesi con il potere centrale e con la malavita organizzata.

E' proprio l'amore per la sua terra a spingere l'irrefrenabile Renata ad impegnarsi nel sociale ed a difendere dalla lottizzazione e dalla speculazione edilizia il parco naturale di Porto Selvaggio. L'iniziativa condotta dal "Comitato per la salvaguardia del parco naturale di Porto Selvaggio", capeggiato dalla stessa, crea un gran polverone, sostenuto dai media. Il risultato è l'emanazione dalla Regione Puglia di un'apposita Legge di tutela del parco, ancora oggi vigente.

L'anno successivo la Fonte vince le elezioni comunali, scavalcando un noto personaggio locale, Antonio Soriano, conosciuto come "procuratore di pensioni per finti invalidi". Oltre ad essere una delle poche donne impegnate in campo politico la Fonte è a Nardò la prima eletta del Partito Repubblicano, in cui essa nutre grandi speranze di rinnovamento, in parte disattese.

La donna viene nominata Assessore alla cultura ed alla pubblica istruzione e mette massimo impegno nel ruolo affidatogli, pur accantonando il "personale": suo marito e le sue due figlie, convinta com'era che fosse indispensabile trainare il paese verso il cambiamento anche e soprattutto per loro.

La magistratura segue varie ipotesi sul delitto, compie ampie e travagliate indagini e riesce a scoprire il nome degli assassini, tali Domenico My e Marcello Durante, attraverso la testimonianza di un vicino di casa della vittima che riconosce la macchina su cui fuggono. Appare subito chiaro che costoro non sono altro che killer assoldati da progettisti ben più motivati dei due scellerati.

Mentre Soriano, il primo dei non eletti del Pri, si prepara a sostituire la Fonte nel ruolo d'assessore, l'uomo che la stessa aveva contestato sin dalla candidatura in lista e di cui aveva chiesto l'espulsione dal partito perché corrotto e privo di scrupoli, le indagini proseguono e si giunge all'interrogatorio di un pescivendolo, riconosciuto quale tramite tra i killer e i mandanti. 

Dalla confessione di quest'ultimo emerge la possibilità che movente dell'omicidio fosse la ferrea opposizione della Fonte alla speculazione edilizia di Porto Selvaggio. Alcune testimonianze rivelano che qualche giorno prima della morte, nelle aule comunali, la donna incontra un uomo che le chiede apertamente di non opporsi alla delibera prevedente l'assembramento nel piano regolatore di 70 ettari di terreno agricolo attigui al cuore di Porto Selvaggio. La Fonte, secondo una possibile ricostruzione, non accetta e minaccia lo scandalo, questa fermezza nel perseguire i suoi ideali probabilmente gli costa la vita.

Tra i principali mandanti c'è lo stesso Antonio Soriano che con alcuni amici avrebbe voluto avviare una speculazione edilizia nella zona del parco naturale in questione con la costruzione di un villaggio turistico.

Giunti a tal punto, come spesso avviene in Italia, le indagini si fermano, in primo grado Soriano e Durante vengono condannati all'ergastolo, gli altri complici devono scontare vari anni di carcere. I nomi dei pseudo-amici di Soriano non verranno mai alla luce, la giustizia non trionfa in pieno, la magistratura non ritiene opportuno continuare le indagini, considerando gli imputati gli unici e soli responsabili.

Termina la vita di una giovane donna la cui unica colpa è di aver creduto nei propri ideali. Carlo Bonino ne ha narrato la vita nel libro "La posta in gioco", edito da Carmine De Benedittis, dal quale è stato tratto l'omonimo film, egregiamente interpretato da Lina Sastri e Turi Ferro per la regia di Sergio Nasca. Non è un gran film ma è una bella storia, di una donna convinta che tutto doveva essere discusso alla luce del sole e che su questo principio non sarebbe mai tornata indietro. Una storia che fa riflettere e spinge a chiedersi quanto utile possa essere stato il prezzo pagato da Renata Fonte per aver voluto perseguire i suoi ideali con le sole armi dell'onestà e della perseveranza. La risposta non è semplice ma se l'esempio di questa donna non viene dimenticato e riesce ancora a scuotere la coscienza di uno solo di noi il suo sacrificio non è stato inutile.

venerdì 30 marzo 2012

DECRETI: SALVA ITALIA E CRESCI ITALIA. E PINEROLO?


«Ci si sposa sempre meno, le famiglie si riducono di ampiezza, nascono pochi figli, i desideri sono individuali…». Negli ultimi anni queste affermazioni si sentono costantemente, passano di bocca in bocca … di giornale in giornale. C'è da dire che in una prospettiva individuale non è possibile attuare riforme che coinvolgono la sfera della collettività allo scopo di porre in essere azioni per il bene di tutti, anche eventualmente in contrasto con alcuni interessi particolari..
Il popolo italiano, infatti, è più individualista che in passato. Non c’è più nessuno che ha voglia di investire e di rischiare di fare impresa. Nonostante gli italiani siano un popolo di grandi sognatori, abbiamo smesso di sognare e di credere nel nostro paese. Le aziende non fatturano e i salari dipendenti continuano a diminuire.
Quali riforme sono state fatte per uscire da questo periodo di crisi? Si è cercato di dare delle risposte a tale domanda nella convention “Decreti: Salva Italia e Cresci Italia. E Pinerolo?” tenutasi lunedì 26 marzo presso il Salone dei Cavalieri a Pinerolo.
Il governo Monti, nominato il 16 novembre 2011, ha effettuato diverse riforme, che trattano anche, più o meno approfonditamente, di aumento dell’Iva, fiscalità, con riferimento alla lotta all’evasione e l’imposta patrimoniale.
Oggi il governo tecnico chiamato in tutta fretta a risanare i nostri conti pubblici, punta alla lotta al sommerso e quindi all’evasione fiscale, che inevitabilmente comporta un accesso continuo e massiccio ai  dati personali dei cittadini da parte degli uffici pubblici. Come dice il Garante della Privacy, Francesco Pizzetti, “è importante che si consideri questa una fase di emergenza dalla quale uscire al più presto perché può condurre a fenomeni di controllo sociale di dimensioni spaventose”. Pizzetti non critica certamente l’estenuante lotta all’evasione fiscale, ma la lesione che questa rischia inevitabilmente di produrre a uno dei beni meritevoli di maggior tutela, ossia il diritto alla riservatezza. In altre parole, la lotta all’evasione sì, ma non a discapito della privacy dei cittadini.
E Pinerolo come affronta la crisi? Sono previsti grandi investimenti per rilanciare l’imprenditoria e il settore turistico, in particolare Casa Canada, l’Accademia della Musica e la Scuola di Equitazione. Inoltre si farà attenzione a mantenere viva l'attività socio-assistenziale svolta dal CISS, attuando una variazione nel bilancio comunale pari ad euro 230.000.
Infine, puntando lo sguardo ancora al quadro nazionale, lungi dall'essere polemici, ma con estremo realismo, ci si è posti un’ultima domanda: com’è possibile attuare delle riforme nuove se le persone che ci governano sono le stesse di trent’anni fa? A voi le conclusioni del caso.

Cristina & Federica

Torna libero il figlio del boss Badalamenti


Vito, 55 anni, era stato condannato nel 1999 ed era fuggito in Australia. Accolto il ricorso dei legali: può usufruire del diritto di chi è riuscito a non finire in galera per un tempo doppio rispetto a quello della condanna. E' nella lista dei dieci latitanti più pericolosi stilata dal Viminale. 

 

Il figlio del defunto boss di Cinisi Tano Badalamenti, Vito, 55 anni, sul quale dal 1999 pendeva una condanna definitiva a sei anni per mafia - mai eseguita - è un uomo libero: la prima sezione della Corte d'appello di Palermo, presieduta da Gianfranco Garofalo, ha accolto il ricorso dei legali di Badalamenti, Paolo Gullo e Vito Ganci.

Nella lista dei dieci latitanti più pericolosi stilata dal Viminale e condannato al "maxiquater", Badalamenti jr. ora può usufruire del diritto di chi è riuscito a non finire in galera per un tempo doppio rispetto a quello della condanna. La non esecuzione della pena, passati 12 anni, gli garantisce di poter tornare in Italia, dall'Australia, dove ha trovato rifugio, come uomo libero. L'unica misura ancora attiva - dopo che è caduta anche l'interdizione perpetua dai pubblici servizi - è la sorveglianza speciale, che lo costringerebbe a non allontanarsi da Cinisi, senza il permesso del giudice, a rientrare a casa prima delle 20 e a uscire dopo le 7.

Il figlio di don Tano era stato condannato a sei anni di reclusione nell'ultimo dei giudizi istruiti dal pool di Falcone, Borsellino e del giudice istruttore Leonardo Guarnotta. Nel 1995 Badalamenti si diede alla latitanza, la pena a sua carico divenne definitiva il 17 dicembre del 1999. Ora, dopo 12 anni in fuga, i suoi legali si sono presentati alla Corte d'appello ottenendo la prescrizione.


Fonte: La Repubblica