martedì 24 gennaio 2017

365 GIORNI SENZA GIULIO

365 GIORNI SENZA GIULIO. DOVEROSO UNIRSI ALLA RICHIESTA DEI GENITORI DI GIULIO REGENI: "VOLGIAMO LA VERITA' E LA VOGLIAMO TUTTA".
Questa la richiesta ferma e dignitosa di mamma e del papà di Giulio, Paola e Claudio, espressa oggi a 365 giorni dalla sequestro di Giulio Regeni. Paola Regeni: Lo ho riconosciuto soltanto dalla punta del naso". 
Ricordiamo che i genitori di Giulio, nei giorni in cui evidenti sono stati depistaggi, ambiguità e tentennamenti, avevano pensato ad un gesto estremo per smuovere le acque: diffondere la foto di Giulio all'obitorio della Sapienza. Come fece già Patrizia Aldrovandi, come ha fatto Ilaria Cucchi. 
Paola Regeni così aveva dichiarato nel corso della conferenza stampa seguita al ritrovamento del corpo martoriato di Giulio: 
"La morte di Giulio non è un caso isolato. Non è morbillo, non è varicella. La parte amica dell'Egitto ci ha detto che l'hanno torturato e ucciso come un egiziano. Forse non saranno piaciute le sue idee. E forse era dai tempi del nazifascismo che un italiano non moriva dopo esser stato sottoposto alle torture. Ma Giulio non era in guerra, non era in montagna come i partigiani, che hanno tutto il mio rispetto. Era lì per fare ricerca. Eppure lo hanno torturato. (...) L'ultima foto che abbiamo di Giulio è del 15 gennaio, il giorno del suo compleanno - dice Paola - , quella in cui lui ha il maglione verde e la camicia rossa. Non si vede, ma davanti a lui c'è un piatto di pesce e intorno gli amici, perché Giulio amava divertirsi. Il suo era un viso sorridente, con uno sguardo aperto. E' un'immagine felice. L'Egitto ci ha restituito un volto completamente diverso. Al posto di quel viso solare e aperto c'è un viso piccolo piccolo piccolo, non vi dico cosa gli hanno fatto. Su quel viso ho visto tutto il male del mondo e mi sono chiesta perché tutto il male del mondo si è riversato su di lui".All'obitorio, l'unica cosa che ho ritrovato di quel suo viso felice è il naso. Lo ho riconosciuto soltanto dalla punta del naso".



Nella giornata di ieri, è stato reso pubblico il filmato che riprende Giulio in quello che , presumibilmente, è stato l'ultimo colloquio avuto con Mohammed Abdallah, capo del sindacato autonomi degli ambulanti del Cairo.  A fine dicembre 2016, Mohammed Abdallah aveva dichiarato: «Sì, l’ho denunciato e l’ho consegnato agli Interni e ogni buon egiziano, al mio posto, avrebbe fatto lo stesso».
Il filmato riportato oggi dagli organi di stampa è stato fatto dallo stesso Abdallah, grazie ad una micro-telecamera fornita dai servizi segreti egiziani: Abdallah e Giulio parlano del progetto della fondazione Antipode, l’associazione britannica che aveva messo a disposizione sino a diecimila sterline per partecipare a un progetto per l’inclusione sociale, destinato ai paesi in via di sviluppo.
 ''Mia moglie ha il cancro - spiega l'ambulante a Giulio - per me è importante qualsiasi somma di denaro''. Regeni risponde: ''Non si tratta di soldi miei, non posso darteli. Sono un accademico, non posso usarli per ragioni private''.

Le ultime immagini di Giulio Regeni



Riportiamo la trascrizione del colloquio, la cui diffusione è stata autorizzata dal Ros
 
Regeni: Tu sei convinto che io possiedo molta autorità. In verità io non ho alcuna autorità! il programma parte dalla Gran Bretagna. Io non conosco le persone operanti all’interno dell’istituto competente per i soldi! Che posso fare? Vuoi che gli scrivo una mail dicendogli che ci servono i soldi subito perché fra due settimane c’è la ricorrenza del 25 gennaio?! (ultima frase detta ironicamente N.d.T.).

Abdallah: Si può fare?

Regeni: Ma certo che no. Per me non è professionale.
 
Regeni: Eh lo so. Capisco. Io … col mio tempo (frase senza senso, detta in un arabo scorretto e quindi incomprensibile N.d.T.). Non ho nessuna autorità. Io sono solamente uno straniero in Egitto. Sono un ricercatore e mi interessa procedere nella mia ricerca - progetto. Io, Giulio, il mio interesse è questo. E mi interessa che voi come venditori ambulanti fruiate del denaro in modo ufficiale, come previsto dal progetto e dai britannici. Questo è l’importante per me.  

Abdallah: Ok.
 
Regeni: Non ho altri interessi. E mi auguro che sia lo stesso obiettivo di quelli del Centro.

Regeni: Ah ok. No, allora, io questo voglio saperlo da te! Voglio che proponi idee/ proposte e dopodiché discutiamo i particolari. Ho però prima bisogno di idee \ proposte come, ad esempio: disponiamo dei soldi, per quanto siano pochi, e vogliamo usarli che ne so … in … (e mima con le mani la forma di una struttura N.d.T.).

Abdallah: No … allora … Giulio … non riesci a capirmi! Questi soldi li useremo in progetti di affitto di spazi per bancarelle eccetera, oppure li useremo per progetti politici per promuovere la libertà …

Regeni: Fare politica la vedo difficile in questo frangente!
 
Regeni: Allora, se sul piatto si mette una buona idea e intendiamo ottenere sovvenzionamento, sempreché ce li concedano, mi auguro di sì, allora ci saranno eventualmente molti progetti provenienti da diverse parti del mondo per i quali poter ottenere del denaro. Quindi, quello che voglio spiegare è che la cosa non è sicura al cento per cento, ma dobbiamo tentare e sperare. Se noi sul piatto abbiamo delle idee, magari proveniente, ad esempio, da te, allora, una volta ottenute le informazioni (relative alle eventuali idee e progetti N.d.T.) …

Abdallah: Informazioni relative a cosa, tipo cosa? Così incomincio a reperirle. Mi metto subito all’opera.
 
Abdallah: No, non ero teso/preoccupato/ansioso. Giulio, ascolta. Noi ormai siamo amici, giusto? Io ho una situazione familiare disagiata. Mia figlia è stata operata il cinque. Mia moglie deve essere operata per cancro. Per cui io sono disposto a buttarmi su qualsiasi cosa, l’importante che ne escano fuori dei soldi!

Regeni: Senti, Mohammed, questi soldi non sono i miei. Io non posso utilizzarli a mio piacimento perché sono un accademico e non posso comunicare all’istituto britannico che intendo usare i soldi per fini personali. Si creerebbe un grande problema per i britannici!

Abdallah: Ma non c’è una scappatoia per poter utilizzarli a fini personali?

Regeni: Non so che dirti! Questi soldi provengono tramite  me, ma dalla Gran Bretagna e dal Centro Egiziano. E da quest’ultimo ai venditori ambulanti. Non c’è altra via!

(pausa caffè N.d.T.) altri 30 secondi
 
Abdallah: Dico bene?

Regeni: Giusto.

Abdallah: Seconda cosa, mia figlia ha subito un intervento e necessita di essere sottoposta ad un ulteriore intervento e quindi mi trovo in condizioni di bisogno economico.

Regeni:

Mi dispiace, ma questa è un’altra questione. Io non so cosa dirti in relazione ai soldi! Soldi che, tra l’altro, potrebbero arrivare dopo marzo e non adesso. Non possiamo fruire di altri soldi prima dell’arrivo dei soldi dell’istituto britannico!

giovedì 19 gennaio 2017

Paolo Borsellino: "Per Amore"!

Oggi, 19 gennaio 2017, Paolo Borsellino avrebbe compiuto 77 anni. Aderiamo anche noi all'invito di "Le Agende Rosse" a fare memoria di questo giorno per "fare memoria" dell'insegnamento di Paolo Borsellino. E facendo memoria di Paolo Borsellino non possiamo non mettergli "al fianco" Giovanni Falcone: due vite "cresciute insieme", nelle strade del quartiere "Kalsa" di Palermo. Due vite indissolubilmente legate, quelle di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, che continuano a parlare alle nostre vite, che continuano ad "insegnare" affinchè questo paese, l'Italia, possa diventare un paese ove regni GIUSTIZIA.

Per tanti l'insegnamento di quelle due vite si traduce in piccoli atti di impegno, libero e volontario, per dimostrare a se stessi e agli altri che Giovanni e Paolo sono vivi! Paolo Borsellino e Giovanni Falcone sono vivi dentro coloro che, quotidianamente, con piccoli atti di "resistenza", rifiutano di trarre favori e privilegi dal sistema mafioso e dal "pensiero mafioso" ( ottenere quello che non ci meritiamo!).
Anche per Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ancora oggi chiediamo Verità e Giustizia. A venticinque anni dalla loro morte siamo ancora a celebrare l'ennesimo processo ( "Borsellino quater") nel quale emergono le conferme della drammatica consapevolezza che paolo Borsellino confidò alla moglie poche ore prima di essere ucciso: "Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri."
                                                             Per AMORE
Fare Memoria. A Palermo, il 23 giugno 1992 è calata la notte quando Paolo Borsellino arriva, in ritardo, alla commemorazione organizzata dalle ragazze dai ragazzi dell'AGESCI a ricordare la Strage di Capaci.
Nel cortile di Casa Professa, il centro dei gesuiti palermitani, fra le fiaccole accese degli scout, un lunghissimo applauso sembra voler abbracciare Paolo Borsellino. Paolo Borsellino è turbato emozionato, e abbracciando, Lui, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo, Vito Schifani, comincia a pronunciare le parole di un discorso fra i più belli e significativi della storia del nostro Paese. 
In quel discorso, Paolo Borsellino parla di Giovanni Falcone ma in realtà spiega a tutti noi la sola motivazione che ha guidato la "bellissima esperienza" che hanno condotto insieme, Giovanni Falcone , Paolo Borsellino e tutti coloro che si sono sacrificati per la difesa dei valori della Giustizia: per questo motivo le parole pronunciate da Paolo Borsellino quella sera vengono ricordate sempre come "Il Discorso dell'Amore" . Nella fotografia, Falcone, Borsellino e Antonino Caponnetto, allora procuratore capo di Palermo.
Riportiamo un estratto di quel discorso che termina con le parole : "Dimostando a noi e al mondo che Falcone è vivo".
Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte.
Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte. Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché non si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore!
La sua vita è stata un atto d’amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato.
Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli sono stati accanto in questa meravigliosa avventura, amare Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria cui essa appartiene.
[…] Per lui la lotta alla mafia non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, che coinvolgesse tutti specialmente le giovani generazioni […], le più adatte a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità, e quindi della complicità.
Ricordo la felicità di Falcone quando in un breve periodo d’entusiasmo, conseguente ai dirompenti successi originati dalle dichiarazioni di Buscetta, egli mi disse: “La gente fa il tifo per noi”.

Questa stagione del “tifo per noi” sembrò durare poco, perché ben presto sopravvenne il fastidio e l’insofferenza al prezzo che per la lotta alla mafia doveva essere pagato dalla cittadinanza. Insofferenza alle scorte, insofferenza alle sirene, insofferenza alle indagini, insofferenza che finì per legittimare un garantismo di ritorno, che ha finito per legittimare, che ha finito a sua volta per legittimare provvedimenti legislativi che hanno estremamente ostacolato la lotta alla mafia, il loro codice di procedura penale. E adesso hanno fornito un alibi a chi, dolosamente spesso, colposamente ancor più spesso, di lotta alla mafia non ha più voluto occuparsi.
In questa situazione Falcone andò via da Palermo.
Non fuggì ma cercò di ricreare altrove le ottimali condizioni per il suo lavoro. Venne accusato di essersi avvicinato troppo al potere politico. Non è vero!
Pochi mesi di dipendenza al ministero non possono far dimenticare il lavoro di dieci anni.
E Falcone lavorò incessantemente per rientrare in magistratura, in condizioni ottimali. Per fare il magistrato, indipendente come lo era sempre stato. Morì, è morto, insieme a sua moglie e alle sue scorte e ora tutti si accorgono quali dimensioni ha questa perdita, anche coloro che, per averlo denigrato, ostacolato, talora odiato, hanno perso il diritto di parlare.
Nessuno tuttavia ha perso il diritto, e anzi il dovere sacrosanto, di continuare questa lotta…La morte di Falcone e la reazione popolare che ne è seguita dimostrano che le  coscienze si sono svegliate e possono svegliarsi ancora.
Sono morti per noi e abbiamo un grosso debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera; facendo il nostro dovere, rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici, rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che potremmo trarre , anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro; collaborando con la giustizia, testimoniando i valori in cui crediamo, anche nelle aule di giustizia: accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità.
Dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo”.  

venerdì 13 gennaio 2017

Dov'è (la mafia)? Dove si è nascosta (la mafia)?

A partire dallo scorso lunedì 9 gennaio 2017, sul quotidiano La Repubblica ha preso avvio il blog “MAFIE”, da una idea di Attilio Bolzoni. Il primo articolo pubblicato ha un titolo significativo: “Dov'è? Dove si è nascosta?” (qui la pagina del blog "MAFIE"). E Attilio Bolzoni chiede infine, provocatoriamente: Si è tramutata (la mafia) in un'élite che punta ad accorciare sempre di più le distanze fra mondo illegale e legale?(...) fra qualche anno ( le mafie) non le troveremo più. Non sapremo più riconoscerle“. Le domande contenute del titolo, muovono anche da un breve scritto di Letizia Battaglia. A venticinque anni dall'estate del '92, Letizia Battaglia non sa più dove andare a fotografare i mafiosi” perchè “(...)I mafiosi (e gli amici dei mafiosi) non sembrano più mafiosi. Rassomigliano fisicamente troppo alle persone perbene (….)

Letizia Battaglia, lo ricordiamo, è la fotografa che testimoniò col sul lavoro gli anni di sangue che cosa nostra sparse nella Sicilia sconquassata dalla "seconda guerra di mafia" che avrebbe portato alle stragi dell'estate del 1992. Fra le tante fotografie, fu proprio Letizia Battaglia a scattare quella che ritrae l'attuale presidente della Repubblica mentre soccorre il fratello morente, Pier Santi Mattarella, pochi minuti dopo essere stato colpito dai killer di cosa nostra, la mattina del 6 gennaio 1980

Le lezioni "sulla mafia" che tanti  fingono di  non ricordare."Dov'è (la mafia)? Dove si è nascosta (la mafia)?" Cominciamo dal Piemonte, ad esempio...

Proprio noi che viviamo in Piemonte qualche suggerimento su dove andare a cercare le mafie di oggi ci permettiamo però di darlo. Per (re)imparare a (ri)conoscere quello che sono diventate le mafie, per comprendere come agiscono oggi, basterebbe rileggere -studiandola magari a fondo- la requisitoria che Gian Carlo Caselli pronuncia al processo Minotauro  la mattina del 27 giugno 2013( leggi qui uno degli articoli dell'epoca)
L'allora procuratore capo di Torino riserva a sé proprio l'esposizione dei fatti rilevati nei confronti della cosiddetta “zona griga” piemontese: imprenditori, uomini politici , amministratori, “pezzi” della società civile che per mera convenienza, per opportunismo(!), diventano complici o strumenti delle organizzazioni mafiose; le quali organizzazioni -occorre ricordarlo- fondano da sempre la loro forza e il loro potere proprio sulle “relazioni sociali” che sono capaci di intessere in una comunità, in uno scambio di “reciproche convenienze”.
Giancarlo Caselli: (...) La mafia, soprattutto nella sua espansione fuori dalle aree tradizionali, non rinunzia certo alla violenza, ma la usa come ultima risorsa, (…) alle spalle abbiamo oltre trent’anni di mimetizzazione delle mafie al Nord. Questa mimetizzazione rappresenta un elemento di prova decisivo quanto alla pericolosità dell’associazione. Perché presuppone il filtro di una ZONA GRIGIA che costituisce un punto di forza dell’organizzazione (…) Per realizzare i loro affari i mafiosi hanno sempre più bisogno di “esperti”: ragionieri, commercialisti, immobiliaristi, operatori finanziari e bancari, notai, avvocati, politici, amministratori, uomini delle istituzioni [purtroppo, magistrati compresi]: la cosiddetta borghesia mafiosa. (…) Ecco perché non è accettabile la richiesta che spesso viene rivolta ai magistrati di indicare soltanto con molti omissis la rete di relazioni intrecciate dalla criminalità nel tessuto politico e sociale della comunità. Sarebbe un grande errore, il silenzio si trasformerebbe in omertà diffusa e non contribuirebbe sicuramente a bonificare il tessuto sociale. (…) Per fare questo non bastano i magistrati che perseguono i delitti, non bastano gli investigatori: c’è bisogno che tutti [anche, se non soprattutto, la politica e l’intera classe dirigente del Paese] si schierino e operino nella stessa direzione, per togliere spazi alla criminalità.
(...) Vedremo che ci sono tante persone che traggono vantaggi dall'esistenza della mafia. Persone che non hanno interesse a denunziare nulla. Persone (politici, amministratori) che la legge penale non può punire perchè la loro colpa è l'OPPORTUNISMO. Una colpa grave sul piano politico/morale ma non penalmente sanzionata. Una colpa che espone alla ricattabilità.(...)

Che le mafie, non siano “coppola e lupara” ma "ingiustizia e corruzione, gestione distorta della cosa pubblica, lo sappiamo da decenni, da secoli!
Per fotografare la mafia "di oggi" bisognerebbe semplicemente “fare memoria”! Ad esempio, partire dall'intuizione del “prefetto di ferro” Cesare Mori il quale, spedito in Sicilia da Mussolini nel 1924, ma poi richiamato a Roma ( da chi?...domanda retorica) proprio per fermare l'offensiva militare messa da lui in atto contro brigantaggio e “cosa nostra” nella Sicilia dei primi anni del '900, così ebbe a dichiarare: “Quando i giornali parlano di colpo mortale alla mafia, non hanno capito che brigantaggio e mafia sono due cose diverse. Il colpo mortale alla mafia lo daremo quando ci sarà consentito di rastrellare non solo tra i fichi d'india ama nelle prefettture, nelle questure, nei gradni palazzi padronali e, perchè no, in qualche ministero.

Facciamo memoria allora e traiamone comportamenti e analisi conseguenti! Uno dei passaggi più significati dell'intervista che Carlo Alberto Dalla Chiesa rilasciò a Giogio Bocca il 10 agosto 1982, pochi giorni prima di essere ucciso:La mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. A me interessa conoscere questa ‘accumulazione primitiva’ del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi o ristoranti à la page . Ma ancor più mi interessa la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, imprese e commerci magari passati a mani insospettabili e corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere”.

E allora per fotografare la mafia di oggi, ma soprattutto per impedire che mafie e “zona grigia” continuino a dominare questo paese, è necessario davvero “fare memoria” e mettere in pratica "la lezione" sulla mafia tenuta dal giudice Paolo Borsellino il 26 gennaio 1989 all' Istituto Tecnico Professionale di Bassano Del Grappa:
“(...) L'equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice 'quel politico era vicino ad un mafioso', 'quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto'. E no! questo ragionamento non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale , può dire: 'beh... Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria, che mi consente di dire quest'uomo è mafioso'. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c'è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati. (...)”.
Ancora Paolo Borsellino: "Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono daccordo".

La lezione che fingiamo di dimenticare
A Letizia Battaglia, verrebbe allora certo impedito di entrare nei luoghi “deputati” a ritrovare-fotografare mafie, mafiosi e “zona grigia” dei nostri giorni, perchè quei luoghi non sono ovviamente le strade dove scorreva il sangue delle guerre di mafie dello scorso secolo. E anche quella, in realtà, era solo la carneficina dei “pesci piccoli”, dei “picciotti-carne-da-macello”, mentre i “pezzi da novanta”, subito rimpiazzati i capi del “maxi-processo”, avrebbero continuato a manovrare vite e strategie nei luoghi del “potere oscuro”: i luoghi delle relazioni imprescrutabili, degli affari “indicibili”, degli “insospettabili", della "zona grigia"; di quel "mondo di mezzo" così cristallinamente illustrato da Massimo Carminti, uno dei maggiori imputati di "Mafia Capitale" (vedi qui). 
Nei luoghi ove agiscono oggi mafie e pensiero mafioso, ha ragione Letizia Battaglia, “(...) anche i mafiosi non sembrano più mafiosi e rassomigliano fisicamente troppo alle persone perbene.”
A 25 anni dalle stragi siciliane del 1992 tocca alle donne e agli uomini che continuano a credere nella Speranza incarnata da uomini che hanno sacrificato la loro vita per sconfiggere “mafie e pensiero mafioso” nel nostro Paese far sì che “le lezioni” impartite da quegli uomini non siano dimenticate o scansate: per tutti ricordiamo Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rocco Chinnici, Giovanni, Falcone, Paolo Borsellino.