venerdì 28 febbraio 2014

Anche noi siamo non Nino Di Matteo. La fotografia, la terza

Proseguono gli incontri. Al Liceo "M. Curie", la terza  fotografia a sostegno di Nino Di Matteo 

Lo scorso 14 novembre, con una lettera aperta don Luigi Ciotti ha espresso la vicinanza di Libera  al giudice Nino Di Matteo e agli altri giudici che conducono il processo sulla “trattativa”, minacciati di morte da Totò Riina. Accogliendo le parole di don Luigi Ciotti, anche noi del presidio Libera “Rita Atria” Pinerolo vogliamo manifestare la nostra attenzione  e la nostra vicinanza a Nino Di  Matteo e agli altri giudici. Pertanto,  dopo aver letto la lettera di don Ciotti,  chiediamo agli studenti che condividono le parole di don Ciotti di scattare una fotografia. Questa è la terza fotografia


martedì 25 febbraio 2014

Anche noi siamo non Nino Di Matteo. La fotografia

Al Liceo "M. Curie", la seconda fotografia a sostegno di Nino Di Matteo 
Lo scorso 14 novembre, con una lettera aperta don Luigi Ciotti ha espresso la vicinanza di Libera  al giudice Nino Di Matteo e agli altri giudici che conducono il processo sulla “trattativa”, minacciati di morte da Totò Riina. Accogliendo le parole di don Luigi Ciotti, anche noi del presidio Libera “Rita Atria” Pinerolo vogliamo manifestare la nostra attenzione  e la nostra vicinanza a Nino Di  Matteo e agli altri giudici. Pertanto,  dopo aver letto la lettera di don Ciotti,  chiediamo agli studenti che condividono le parole di don Ciotti di scattare una fotografia.


Primo incontro al Liceo Classico "Porporato" di Pinerolo - 22 febbraio 2014

Il Presidio LIBERA “Rita Atria” Pinerolo ha proposto anche al Liceo Classico "Porporato" il progetto “La cultura della legalità, l’amore per la Giustizia, comincia dalle nuove generazioni”. Il progetto è finalizzato a sottolineare l'importanza dei valori della Giustizia, della Dignità, della Libertà, a partire dalla Legalità e stimolando ad una partecipazione attiva e democratica alla vita della comunità.
Lo scorso 22 febbraio 2014 il primo incontro al Liceo "Porporato", partendo dalla che  "le mafie sono la Bellezza negata alle nostre vite"

gli studenti prendono posto nell'Aula Magna

Ci rivolgiamo alla Scuola perché la sua finalità, a nostro parere, è la formazione delle donne e degli uomini, dei futuri cittadini; formazione che è in stretto rapporto con la conoscenza dei principi e il rispetto delle regole che governano la convivenza civile e democratica. La Scuola stessa è la prima grande istituzione da rispettare -da rafforzare- perché è nella scuola che avviene il passaggio delle consegne di saperi e di valori tra le generazioni.
Come presidio LIBERA” Rita Atria” Pinerolo consideriamo nostro compito quello di fare memoria. Fare Memoria significa conoscere quanto è accaduto; fare Memoria significa capire i meccanismi" che si celano dietro ai fatti; fare Memoria significa impegnarsi affinché quanto è accaduto non abbia più il tempo e il modo di ripetersi. Fare Memoria significa conoscere per diventare ed essere cittadini responsabili.
Per queste ragioni pensiamo che l'istituzione "scuola”, deve essere protagonista nella conoscenza della Memoria storica del nostro Paese:  storie e nomi di coloro che si sono adoperati affinché i principi di Legalità, Giustizia, Dignità, Libertà, fossero i principi su cui fondare il destino e la storia dell’Italia.

presidio LIBERA "Rita Atria" Pinerolo



domenica 23 febbraio 2014

Il caso Gratteri: il ministro “sicuro” stoppato da Napolitano?

A nostro parere, nelle ultime ore sono avvenuti due fatti inquietanti sul tema della Giustizia ( non parliamo di Legalità!): la denuncia del testimone di (in)giustizia, Ignazio Cutrò, di cui abbiamo riportato l'intervista da lui rilasciata, e la mancata nomina di Nicolò Gratteri a ministro della Giustizia nel neo-nato governo-Renzi
Così  si legge nell'articolo che riportiamo sotto: "(...) Napolitano avrebbe detto: “Dottor Renzi, Gratteri è troppo caratterizzato“.  Nicola Gratteri non è iscritto ad alcuna corrente della magistratura, né ha mai preso parte a iniziative politiche. L’unica cosa che lo “caratterizza” è la determinazione nella lotta alla mafia.(...)" 
E’ questo “il troppo” che ha impedito a Nicolò Gratterie di essere nominato ministro della Giustizia? Facciamo nostro quanto chiede Riccardo Iacona: "Ora il presidente del consiglio spieghi "



Fonte: Il Fatto Quotidiano

Governo Renzi, il caso Gratteri: il ministro “sicuro” stoppato da Napolitano

"Tutto può succedere tranne che arrivi questa richiesta", aveva profetizzato il pm anti-ndrangheta intervistato lunedì a Presadiretta. Il no del Colle dopo le rassicurazioni dell'entourage del premier sulla nomina alla Giustizia. Ma il motivo del veto è ancora tutto da chiarire. Iacona: "Ora il presidente del consiglio spieghi"

Nicola Gratteri
Tutto può succedere tranne che arrivi questa richiesta”. Era stato profetico il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, magistrato simbolo della lotta alla ‘ndrangheta, ospite a Presadiretta su Raitre lunedì scorso, quando Riccardo Iacona gli aveva chiesto se fosse disponibile a diventare ministro della Giustizia nel nuovo governo Renzi. Lui si era detto disponibile: “Sì, se avessi la libertà di realizzare le cose che ho in testa”. Dopo l’esclusione dalla lista del nuovo esecutivo, Gratteri si è chiuso nel più assoluto silenzio e non ha ancora voluto spiegare, se mai lo farà, l’origine di tanto fondato pessimismo. Intanto sulla sua pagina Facebook ci pensa il grande amico e coautore Antonio Nicaso a far filtrare l’irritazione per il voltafaccia last minute di cui il magistrato è rimasto vittima: “Io e Gratteri continueremo ad andare nelle scuole, dove ci apprezzano di più”.
La cosa certa è che Gratteri era ministro della Giustizia quando Matteo Renzi è salito al Colle e non lo era più quando è sceso. 
Al suo posto, l’ex ministro Pd all’Ambiente Andrea Orlando, fama di “garantista”, noto per aver chiesto l’abolizione dell’ergastolo e la non obbligatorietà dell’azione penale (leggi il blog di Peter Gomez). Eppure, scrive oggi Il Fatto Quotidiano, l’entourage del premier aveva assicurato l’incarico al magistrato, per telefono, giusto ieri pomeriggio. Cosa confermata sempre al Fatto da tre fonti che hanno chiesto di restare riservate. Ma sono molte le  testate che oggi (con maggiore o minore evidenza) sollevano perplessità sulla reale motivazione dello stop a un magistrato che non solo ha coordinato le più importanti indagini contro la ‘ndrangheta degli ultimi anni, ma è anche autore di una serie di proposte per rendere più duro ed efficiente il contrasto a tutte le mafie. Proposte finite anche in un rapporto di 400 pagine consegnato appena il mese scorso al governo Letta. Non solo. Dato il peso internazionale della ‘ndrangheta, Gratteri è diventato un punto di riferimento fondamentale, per la polizia federale tedesca come per l’Fbi. La sua nomina al governo avrebbe lanciato il segnale di una vera svolta dell’Italia, spesso messa all’indice per il suo lassismo nella lotta alla criminalità e alla corruzione
IL COLLE STOPPA, BERLUSCONI FESTEGGIA. La versione semiufficiale è che Napolitano abbia fatto muro perché “c’è una regola non scritta, ma sempre rispettata: i magistrati in servizio non possono andare alla Giustizia“. La foto “rubata” di un appunto in mano a Renzi, dove compare la scritta riquadrata “magistrato in servizio”, è finita on line, quasi a suggellarla. E’ stato il Colle a fermare il pm, ma è altrettanto vero che il Giornale racconta di un Silvio Berlusconi “soddisfatto” di due ministeri soltanto, Sviluppo economico e, appunto, Giustizia. Mentre Libero festeggia in un titolo interno: “Orlando dall’ambiente ai tribunali: almeno niente pm”. Anche l’Unità osserva che la nomina di Gratteri avrebbe mandato “in fibrillazione Berlusconi e Alfano” (altri restroscena, però, smentiscono l’opposizione dell’Ncd all’ascesa ministeriale del magistrato calabrese).
Sul Corriere della sera, il principe dei quirinalisti Marzio Breda prende atto della smentita di Napolitano su un “braccio di ferro” con Renzi sulla lista dei ministri, ma, scrive, la lunghezza del colloquio tra il presidente della Repubblica e il premier “qualche sospetto potrebbe autorizzarlo”. Il Corriere cita come controversi il caso Bonino (silurata dagli Esteri) e Gratteri: “Poco difesi e quindi depennati senza troppo problemi? Sostituiti in extremis o mai davvero in corsa? Sacrificati sull’altare di una discontinuità anche generazionale?”, si chiede Breda. Oppure “candidature non del tutto potabili sotto il profilo degli equilibri politici?“.
MAGISTRATO GUARDASIGILLI? SULLA POMODORO NESSUNO HA FIATATO. In realtà sono due i magistrati che hanno occupato la poltrona di Guardasigili. Filippo Mancuso, giudice ormai prossimo alla pensione chiamato al governo da Lamberto Dini nel 1995, e Nitto Palma, entrato nel governo Berlusconi nel 2011 al posto di Angelino Alfano, ma dopo una carrierea parlamentare ormai decennale. Però, nei totoministri in vista del governo Renzi, è circolato con insistenza il nome di Livia Pomodoro, presidente in carica del Tribunale di Milano, e nessuno ha sollevato questioni di incompatibilità. Così i dubbi diventano legittimi. E’ stata davvero la discriminante dell’essere “in servizio” a sbarrare la strada a Gratteri? Ed è possibile che la “regola non scritta” sia venuta fuori solo all’ultimo momento, quando il nome del procuratore aggiunto di Reggio Calabria veniva fatto da giorni? O il veto è di altra natura? Sempre sul Corriere, è Maurizio Bianconi a domandarsi: “Come avrebbero reagito i berlusconiani? e gli avvocati?”. Da qui la “moral suasion” di Napolitano su Renzi.
Secondo Repubblica, Renzi è salito al Colle determinatissimo: “Per me è il candidato migliore, non voglio cedere. E’ il segnale più importante della discontinuità che intendo dare al mio esecutivo”. Ma Napolitano avrebbe risposto testualmente: “La regola non scritta per la Giustizia è mai una magistrato al ministero, mai. Questa è una regola insormontabile”. Il Secolo XIX va oltre. Secondo retroscena pubblicato oggi, Napolitano avrebbe detto: “Dottor Renzi, Gratteri è troppo caratterizzato“. Nicola Gratteri non è iscritto ad alcuna corrente della magistratura, né ha mai preso parte a iniziative politiche. L’unica cosa che lo “caratterizza” è la determinazione nella lotta alla mafia. Anche con soluzioni che certamente provocherebbero reazioni fortissime, come il drastico inasprimento delle pene per il 416 bis, l’associazione mafiosa, e la riduzione delle possibilità di patteggiare per ottenere condanne più miti. 
GIUSTIZIA, LE RICETTE DI GRATTERI CONSEGNATE A LETTA. Solo lunedì, Gratteri illustrava i suoi progetti di Riforma ospite di Riccardo Iacona a Presadiretta su Raitre, in una puntata dedicata al “Tesoro della mafia”. Oltre a raccontare di boss e colletti bianchi, Gratteri ha illustrato in modo molto concreto parte del rapporto “Per una moderna politica antimafia” consegnato a gennaio al governo Letta al termine del lavoro di una commissione che annoverava tra gli altri anche il collega Raffale Cantone (vedi sotto). Il rapporto contiene ricette per rendere più efficaci non solo i processi ai boss, ma anche le confische dei beni e la punibilità in tribunale del voto di scambio politico-mafioso. “Se davvero Renzi era così deciso a volere Gratteri al ministero della Giustizia,deve spiegarci pubblicamente perché ha accettato il diktat di Napolitano“, dice ora Iacona a ilfattoquotidiano.it. “Gratteri è un magistrato molto determinato sulla lotta alla mafia, ma nella nostra intervista è emerso anche il suo aspetto garantista, per esempio sul tema delle carceri”.  

venerdì 21 febbraio 2014

Processo "MINOTAURO". Stralcio dalle motivazioni della sentenza.

Lo ripetiamo anche questa volta.  Con “sabaudo orgoglio” avevamo dimenticato che, proprio lo scorso anno, la 'ndrangheta in Piemonte compiva cinquanta anni.
Nel lontano 1963,  un giovane muratore originario di Marina di Gioiosa Ionica, Rocco Lo Presti, veniva mandato al confino in Val Susa. Nel giro di pochi anni, quel giovane muratore diviene un protagonista del boom edilizio locale: procurando manodopera a basso prezzo per i cantieri, facendo venire da Marina di Gioiosa Ionica, in Calabria, il cugino Francesco Mazzaferro, divenendo titolare di un’impresa di movimento terra che ben presto ottiene il monopolio del settore in un’area della alta Val Susa. Infine,  stringendo rapporti con esponenti della politica locale. Il copione che si ripete sempre: le mafie votano e, soprattutto, fanno votare.
Avevamo dimenticato che, proprio a Torino, nel 1983  viene ucciso il giudice Bruno Caccia, procuratore capo di Torino, uunico  omicidio "eccellente" compiuto dalle mafie al Nord. Questa tragica vicenda presenta ancora punti oscuri, per i quali la famiglia del giudice chiede ora la riapertura del processo.
Avevamo dimenticato che nel 1997 Comune di Bardonecchia, il regno di Rocco Lo Presti,  viene “sciolto” per infiltrazioni mafiose; unico comune sciolto per mafia al Nord sino al 2013, quando analogo provvedimento colpisce in Piemonte i comuni di Leinì e Rivarolo Canavese.
Questo è avvenuto in Piemonte nel passato. Il presente ce lo racconta, almeno in parte , quanto emerso dal processo "Minotauro".

Fonte : La Stampa


Sui voti all’ex assessore Ferrero pesava l’ombra delle cosche

Depositate le motivazioni della sentenza Minotauro:
tra i politici appoggiati dalla ’ndrangheta figurava anche la prima responsabile della Sanità nella giunta regionale di Cota.

Caterina Ferrero e Fabrizio Bertot

TORINO
«Se non fosse stato per noi, non avrebbe preso un voto a Volpiano». Antonio Agresta, boss della ’ndrangheta condannato a 10 anni in Appello per associazione a delinquere di stampo mafioso, ininterrottamente detenuto dal 1992 al 2009 spiega così al suo interlocutore l’appoggio che la ’ndrangheta avrebbe dato a Caterina Ferrero, candidata, vincente, alle elezioni regionali del 2010 con 8417 preferenze poi diventata assessore della giunta Cota.  Eccolo il quadro emerso delle motivazioni della sentenza Minotauro.  

Il tramite per far confluire le preferenze delle famiglie, sarebbe stato - ancora una volta - Nevio Coral, suocero di Caterina Ferrero, ex sindaco di Leini, condannato a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, un politico che «ha agito in dispregio delle regole di correttezza ed onestà che dovrebbero sovraintendere la vita pubblica». I giudici scrivono: «Si desume chiaramente come in quella competizione Coral avesse, ancora (!) una volta, chiesto ed ottenuto l’appoggio elettorale di personaggi appartenenti a famiglie notoriamente mafiose, promettendo qualcosa in cambio».  
L’ aveva già fatto per il figlio Ivano e poi per se stesso allorquando si candidò alla carica di sindaco a Volpiano nel 2011. 

Un altro ex sindaco, finora mai indagato nel procedimento Minotauro, rischia di finire nel mirino della giustizia. La Corte ha infatti ritenuto «doverosa la trasmissione degli atti in procura in relazione a Fabrizio Bertot», ex primo cittadino del secondo Comune sciolto per mafia (Rivarolo) da maggio europarlamentare Secondo la Corte «ha reso dichiarazioni non veritiere» sull’accordo stipulato dal segretario comunale Antonino Battaglia, l’imprenditore Giovanni Macrì e i principali esponenti della ‘ndrangheta torinese, compreso il capo Giuseppe Catalano.  

Le motivazioni hanno confermato quanto già emerso in dibattimento. La ’ndrangheta esiste, è unitaria e si ramifica in articolazioni. 

TESTIMONE DI INGIUSTIZIA ?


Ignazio Cutro'. TESTIMONe DI INGIUSTIZIA? 
ECCO QUELLO CHE È DIVENTATO IGNAZIO CUTRÒ E QUELLI CHE, COME LUI, VEDONO COMPIERSI L’ANATEMA DI CORRADO ALVARO, LO SCRITTORE CALABRESE ORIGINARIO DI SAN LUCA: “ LA DISPERAZIONE PIÙ GRAVE CHE POSSA IMPADRONIRSI DI UNA SOCIETÀ È IL DUBBIO CHE VIVERE ONESTAMENTE SIA INUTILE"
oggi l'ennesima sua denuncia: " NON SIAMO NOI CHE DOBBIAMO ABBANDONARE LA SICILIA. DEVONO ESSERE ALLONTANATI I MAFIOSI!"

Fonte L'Espresso

COSA NOSTRA

Ignazio Cutrò, imprenditore antiracket: "Ha vinto la mafia, lascio l'Italia". L’imprenditore agrigentino che fece arrestare i suoi estorsori ha deciso di vendere quel che resta della sua azienda e abbandonare il Paese. "Ormai siamo in miseria e qui non posso lavorare"


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Ignazio Cutrò, imprenditore antiracket: Ha vinto la mafia, lascio l'Italia
Ignazio Cutrò

La mafia ha vinto la sua partita a scacchi contro Ignazio Cutrò. L’imprenditore della provincia di Agrigento ha deciso di mollare tutto, vendere quel che resta della sua azienda e abbandonare l’Italia. Una vittoria per le cosche, contro chi, con le sue dichiarazioni, ha consentito alla magistratura di arrestare e far condannare gli estortori con base in una delle aree siciliane dove i clan sono ancora feroci e vendicativi. E il complice di questa sconfitta ha un nome ben preciso: lo Stato. Cutrò ha già comunicato le sue decisioni al viceministro dell’Interno Filippo Bubbico.


La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’addio agli studi di Veronica e Giuseppe, i due figli di Cutrò. “Si erano trasferiti a Milano con tante speranze – racconta l’imprenditore – ma ora siamo rimasti senza un centesimo in tasca e i miei ragazzi sono dovuti tornare a casa, a Bivona”. Il volto burocratico dell’amministrazione ha colpito duro: nonostante Cutrò, che è anche presidente dell’associazione nazionale testimoni di giustizia, abbia dato il suo contributo da cittadino nella battaglia contro la mafia, a lui ed alla sua famiglia sono stati negati i sostegni necessari per andare avanti. Lavorare è diventato impossibile: nessuno, come da copione per chi denuncia il racket e la mafia – si è più affidato alla sua impresa. Ma cartelle esattoriali e scoperture bancarie non si sono fermate, mettendo con le spalle al muro Cutrò e il destino della sua famiglia. “E’ inutile girarci intorno – racconta commosso – ormai siamo ridotti in miseria”.



I privati non mi hanno più chiamato per lavorare – continua - e non posso nemmeno partecipare alle gare pubbliche perché, ormai non ho la documentazione amministrativa in regola. Non ho neanche i soldi per vivere, da quasi un mese a casa hanno tagliato luce e gas”. Il braccio di ferro che contrappone Cutrò alle famiglie mafiose che detengono il monopolio del racket estortivo della zona inizia nel 1999, con le prime richieste di “pizzo”. Poi, sono arrivate le minacce e infine gli attentati, con danni gravi ai mezzi della sua azienda e intimidazioni a lui ed ai componenti della sua famiglia. Ma Cutrò non si era mai piegato, ha denunciato ogni episodio e ha offerto la sua collaborazione per incastrare esponenti dei clan, in alcuni casi diventando “l’antenna” delle forze dell’ordine nel realizzare intercettazioni telefoniche ed ambientali.



Cutrò vive sotto scorta e sotto protezione dal 2008. Proprio in quel frangente, all’inizio della sua testimonianza, l’imprenditore avrebbe potuto scegliere una strada più comoda: abbandonare la Sicilia e vivere con una nuova identità a spese dello Stato, con un assegno vitalizio. Ma ha detto no e ha preferito restare in prima linea. Poi la crisi della sua azienda ha fatto il resto. Quella chance di andar via è sembrata l’unica soluzione per salvare almeno i suoi figli. “Ho chiesto al Ministero che ai miei figli venisse concessa quella possibilità di rifarsi una vita, di andare via dalla Sicilia con una nuova identità in una località protetta e ricevere il sussidio dallo Stato. Così, avrebbero potuto studiare e costruirsi un futuro. Ma anche quella richiesta è stata bocciata”. Forse oggi Cutrò si pente di non aver lasciato la Sicilia:Ma io avevo deciso di continuare a lottare – spiega – e sono rimasto nella mia terra, perché ero convinto che fosse necessario dare una testimonianza concreta di come sia possibile sconfiggere la mafia. Avevo torto. Ero convinto che lo Stato mi avrebbe aiutato. Oggi mi sento sconfitto e il segnale che arriva a chi testimonia contro le cosche mafiose non è certo incoraggiante”.

giovedì 20 febbraio 2014

Anche noi siamo con Nino Di Matteo

Proseguono gli incontri nelle scuole pinerolesi.
Lo scorso 14 novembre, con una lettera aperta don Luigi Ciotti ha espresso la vicinanza di Libera  al giudice Nino Di Matteo e agli altri giudici che conducono il processo sulla “trattativa”, minacciati di morte da Totò Riina. Accogliendo le parole di don Luigi Ciotti, anche noi del presidio Libera “Rita Atria” Pinerolo vogliamo manifestare la nostra attenzione  e la nostra vicinanza a Nino Di  Matteo e agli altri giudici. Pertanto,  dopo aver letto la lettera di don Ciotti,  chiediamo agli studenti che condividono le parole di don Ciotti di scattare una fotografia. martedì scorso , a l Liceo "M. Curie", la prima fotografia


“Caro Nino Di Matteo, devi sapere che non sei solo, che tutti voi a Palermo, e in ogni angolo d’Italia, non sarete mai più soli. Dalla stagione delle stragi è cresciuta nel nostro paese la consapevolezza che la questione delle mafie non è solo di natura criminale. È un problema più profondo, anche culturale e sociale. Una questione che non sarebbe ancora così grave se a contrastare le mafie ci fossero stati, oltre alla magistratura e alle forze di polizia, la coscienza pulita e l’impegno della maggior parte degli italiani. Questa coscienza e questo impegno, lentamente e faticosamente si sono negli anni moltiplicati.
Devi dunque sapere caro Nino, anche se qualcuno — mafiosi o complici dei mafiosi — continua a minacciare e lanciare messaggi inquietanti, che oggi tu e tutti gli altri magistrati siete meno soli. Che minacciare voi vuol dire minacciare tanti di noi, tanti italiani, che nei più vari ambiti si sono messi in gioco. Cittadini che non si limitano a scendere in piazza, a indignarsi o commuoversi, ma che hanno scelto di muoversi, di trasformare il loro “no” alle mafie in un impegno quotidiano per la democrazia, per la libertà e la dignità di tutti. 
Le luci non nascondono però le molte ombre. In tanti ambiti prevale ancora l’indifferenza o una semplice e facile risposta emotiva. Anche la politica non sempre ha saputo affrontare la questione con la pulizia morale e il respiro necessario: pensiamo solo ai troppi compromessi che hanno impedito un’adeguata riforma della legge sulla corruzione e ai patti sottobanco.
Lo Stato, tutto lo Stato, deve proteggere se stesso e i suoi cittadini. Ma negli ultimi tempi, come molti segnali lasciano intendere, le mafie — indisturbate nei suoi livelli più alti: economia, finanza, appalti, affari — hanno approfittato per organizzarsi in silenzio. 
Quelle minacce dall’interno di un carcere dicono perciò una verità imbarazzante: se nell’ambito repressivo e giudiziario importanti risultati sono stati ottenuti, sul versante del contrasto politico e sociale c’è ancora molta strada da fare. Perché di una cosa dobbiamo essere certi: sconfiggeremo le mafie solo quando sapremo colmare le disuguaglianze sociali che permettono il loro proliferare. Le mafie non vanno solo inseguite: vanno prevenute. Prevenzione vuol dire anche realizzare la condizione di dignità e di libertà responsabile prevista dalla Costituzione, il primo e più formidabile dei testi antimafia. Altrimenti, nello scarto fra le parole e i fatti, continuerà a insinuarsi la più pericolosa e subdola delle mafie: quella della corruzione, del privilegio e dell’abuso di potere. A te un forte abbraccio da parte mia e dalle oltre 1600 realtà associate a Libera.”

Luigi Ciotti

domenica 16 febbraio 2014

Le Donne e i Giovani: il cambiamento possibile

La speranza che la battaglia culturale contro le mafie abbia il sopravvento dipende dall’atteggiamento dei giovani e dalle donne.


Dipende dai giovani, perchè così parlò Paolo Borsellino in un discorso che è parte stessa del suo testamento spirituale, “(…) le giovani generazioni  le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Ricordo la felicità di Falcone quando in un breve periodo di entusiasmo egli mi disse "La gente fa il tifo per noi"; e con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l'appoggio morale della popolazione dà al lavoro del giudice, significava qualcosa di più, significava soprattutto che il nostro lavoro stava anche smuovendo le coscienze (…)”
Dipende dalle donne perché le donne, generando la vita, sono esse stesse generatrici del cambiamento possibile 
La storia che vogliamo presentare è quella di Giovanna Galatolo, una donna, la figlia di un boss mafioso.

Fonte: Corriere della Sera
Giovanna “disonorata “ per strappare alla mafia la figlia minorenne

Forse non lo sa, ma nelle parole di Giovanna Galatolo, la figlia del boss dell’Acquasanta, del sanguinario “don Vincenzo”, il “padrone” del quartiere addossato al Cantiere navale di Palermo, sembrano echeggiare le denunce di Peppino Impastato o la ribellione di Rita Atria. Perché è dirompente lo schiaffo dato alla regola dell’omertà da questa donna di cinquant’anni che, da novembre sotto protezione in località segreta, ha mollato la sua famiglia mafiosa rinnegando il padre all’ergastolo per l’omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, coinvolto nell’inchiesta sul fallito attentato dell’Addaura a Giovanni Falcone.
Come l’eroe-simbolo di Cinisi che si schierò contro il boss Gaetano Badalamenti e come la ragazza di Marsala che si suicidò disperata dopo la strage di Paolo Borsellino al quale aveva denunciato gli affari della sua famiglia, anche Giovanna Galatolo è capace del grande passo motivato da una speranza: «Strappare da questo mondo mia figlia, ancora minorenne».
Testimonianza forte, legami di sangue tranciati di netto pur di garantire un futuro migliore alla figlia, il dito puntato contro fratelli, zii, cugini, verbali sottoscritti con piena consapevolezza e adesso entrati di forza con tutto il dramma interiore della scelta nel processo in corso a Palermo contro Angelo Galatolo e Franco Mineo, l’ex deputato regionale di un partitino autonomista, “Grande Sud”, un passato di sindacalista, accusato di intestazione fittizia di beni aggravata, di peculato, malversazione e usura.
Solita storiaccia di cointeressenze e di prestanome. Con Mineo che, in cambio di voti, avrebbe versato il canone d’affitto riscosso in magazzini e negozi ai Galatolo, i veri proprietari. Ipotesi d’accusa confermata proprio da Giovanna “la pentita” o “la sbirra”, come tanti la chiamano nel quartiere. Ma questi ed altri insulti non la fecero tacere in autunno: «Mi ricordo di un certo Mineo, un sindacalista, amico di Angelo Galatolo, il figlio di Gaetano… Mi è stato chiesto pure di votare per Mineo, prima da Giovanni Galatolo, fratello di Angelo, poi anche Stefano Galatolo che lo chiese a mio marito…». E ieri ha confermato rispondendo alle domande del pubblico ministero Piero Padova parlando del bar più frequentato nella zona, il “Nuova Esedra”, di una merceria, del negozio di abbigliamento Vegard, formalmente gestiti dal prestanome, nei fatti proprietà di “famiglia”.
Fa riflettere questo passo con qualche precedente, non  molti, opposti ai tanti “non so” di generazioni allevate a pane e mafia che si muovono silenti sulla scia di genitori con le mani sporche di sangue. A cominciare dai figli di Rina e Provenzano, rimasti freddi e distaccati davanti all’orrore compiuto sotto i loro occhi mentre crescevano costretti alla latitanza con i genitori.
Giovanna Galatolo rompe gli schemi, sconvolge la finta e tragica quiete di un intero quartiere e padre, madre, zii, sono tutti pronti a farla passare per pazza, puttana o “disonorata”. Ma hanno davanti un osso duro e lei ha la forza di replicare, tosta: «Non voglio più stare nella mafia, perché ci dovrei stare? Solo perché mio padre è mafioso? No, non ci sto. Non voglio rimanere nell’ambito criminale. Né voglio trattare con persone indegne. Adesso che collaboro mi vogliono fare passare per prostituta. Io voglio dedicarmi solo a mia figlia».
Infine, lapidaria, la conferma dell’inferno in cui ha vissuto con un profilo di “don Vincenzo” che continuerebbe a comandare dal carcere: «Dalla sua cella impartisce direttive. So per averlo appreso da mia figlia che mio fratello Vito ha avuto un colloquio con lui…». Testimonianza verbalizzata con molti omissis perché su questo si indaga. E ancora: «Mio padre comandava dal carcere. Attraverso segni convenzionali ci diceva cosa dovevamo fare… Impartiva ordini durante i colloqui, faceva pure telefonate dal carcere per parlare con i suoi familiari. Vivevamo tutti nello stesso palazzo, quindi bastava parlasse con uno che parlava con tutti…».
È un colpo secco alla tracotante certezza di una mafia che si sentiva inattaccabile al suo interno, in questo caso messa a nudo come chiedeva nel 1992 Rosaria Schifani, la giovane vedova di uno degli agenti uccisi con Falcone, invocando i figli dei mafiosi a far pentire i padri o a rinnegarli.


mercoledì 5 febbraio 2014

Invito a teatro: " DENTRO GLI SPARI"

Pinerolo 5-6 febbraio 2014  Teatro Incontro: "DENTRO GLI SPARI" 
Vi invitiamo a teatro facendo memoria delle parole di Paolo Borsellino

"(...) La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le nostre giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Ricordo la felicità di Falcone quando in un breve periodo di entusiasmo egli mi disse: "La gente fa il tifo per noi." E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l'appoggio morale della popolazione dava al lavoro del giudice, significava qualcosa di più, significava soprattutto che il nostro lavoro stava anche svegliando le coscienze." Paolo Borsellino