lunedì 12 settembre 2022

Ex setificio Vagnone: il C.A.P. segnala aspetti di dubbia legittimità degli atti amministrativi; l'Associazione Commercianti boccia l'ipotesi di un ennesimo supermercato.

Continua la battaglia culturale che vede il Coordinamento Associazioni Pinerolesi (C.A.P.) impegnato  a difesa delle cicogne, della ciminiera, dello storico opificio Vagnone, della storia architettonica-urbanistica di Pinerolo: la tutela del patrimonio storico, architettonico e urbanistico della nostra città è salvaguardia della identità stessa della nostra comunità.


la ciminiera dell'ex Setificio Vagnone

Lettera del C.A.P. ad esprimere dubbi di legittimità degli atti amministrativi 

Martedì 23 agosto il C.A.P. ha inviato una lettera al Sindaco della città di Pinerolo, agli assessori all'Urbanistica e patrimonio e all'Ambiente e mobilità sostenibile, agli Enti regionali e della città metropolitana di Torino coinvolti o interessati al procedimento urbanistico in corso afferente il sito dell'ex setificio Vagnone, per segnalare alcuni aspetti di dubbia legittimità gravanti sugli atti amministrativi adottati dall'amministrazione e di prossima, prevedibile, adozione.

In sintesi, la segnalazione del C.A.P. riguarda due aspetti:
  • Il primo aspetto è in relazione all'apparente contrasto fra il Progetto preliminare di variante generale al PRGC, adottato con Deliberazione del Consiglio comunale n.38 del 30 giugno 2021, ed il permesso di abbattere la ciminiera rilasciato a marzo 2022. Il progetto preliminare di variante infatti pone sotto tutela il sito e lo indica di "interesse storico", anche in risposta ad una richiesta da parte della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio della Città metropolitana di Torino e dalla Regione Piemonte, Direzione ambiente, governo e tutela del territorio.
  • Il secondo aspetto riguarda la destinazione d'uso dell'area oggetto dell'intervento di sostituzione edilizia con previsione, per quanto noto, di costruzione di un nuovo supermercato. All'area ex Vagnone risulterebbe infatti attribuita destinazione d'uso residenziale, in conseguenza della quale sarebbe compatibile prevedere solo esercizi commerciali cosiddetti "di vicinato", cioè aventi estensione fino a 250 metri quadrati di superficie, quindi incompatibile con la costruzione di una piattaforma commerciale di medie dimensioni.
Il Coordinamento ha voluto quindi segnalare gli aspetti dubbi sopra esposti affinché l'Amministrazione Comunale possa sospendere in autotutela l'efficacia degli atti emessi, revocandoli (leggasi "permesso di abbattere la ciminiera"), consentendo a tutti i soggetti interessati di ciascun Ente di verificare e chiarire quanto appare in contrasto con il regime urbanistico attualmente operante nel Comune di Pinerolo.

L'Associazione Commercianti boccia l'ipotesi dell'ennesimo supermercato a Pinerolo
I commercianti del centro storico chiedono più amore e rispetto per il loro lavoro

Negli ultimi giorni si è registrato anche il netto pronunciamento dell'Associazione Commercianti del Pinerolese la quale, tramite la sua presidente Manuela Anzalone, ha bocciato l'ipotesi dell'ennesimo supermercato a Pinerolo, ritenendo che il numero delle strutture già presenti sul territorio sia più che sufficiente a soddisfare la domanda degli abitanti. 
Del resto la presenza oramai invadente dei "supermercati" non è elemento che involgarisce e snatura solo il carattere dei luoghi. Evidenti  ed estremamente critiche appaiono anche le ripercussioni sociali ed economiche che il numero abnorme di supermercati impone al tessuto del commercio cittadino, schiacciando e impoverendo sempre più il cosiddetto "commercio di vicinato" che contribuisce invece a rende vivo e vitale anche il centro storico di Pinerolo. 
Negli ultimi ultimi anni il commercio di vicinato ha dovuto sopportare e contrastare eventi epocali -a partire proprio dall'arrivo dei "supermercati", all'avvento delle vendite "on-line", alla pandemia. Contro tutto questo hanno lottato, e continuano a lottare quotidianamente, nostri concittadini i quali hanno investito denaro e passione per costruire e sostenere attività da cui deriva il sostegno economico delle loro stesse esistenze. "Le cicogne Pina e Raul" hanno potuto ascoltare tante storie di commercianti presenti nel centro storico di Pinerolo, i primi ad essere colpiti da un ennesimo supermercato: nostri concittadini i quali, anche loro,  chiedono  "più amore e rispetto" per il lavoro che svolgono ed il contributo quotidiano che la presenza delle loro attività offre al decoro e al mantenimento del centro storico cittadino.
La politica amministrativa locale è quindi chiamata a riflettere sulle ripercussioni sociali e culturali derivanti dalla gestione del territorio. Poiché, a nostro parere, proprio la gestione urbanistica di un territorio può rappresentare un indicatore utile ad individuare gli scopi, gli indirizzi, il “progetto generale” che guida e determina non solo il carattere di una amministrazione locale ma anche della sua comunità, ribadiamola domanda: "Quale cultura esprime una amministrazione, una comunità, che permette la distruzione di un nido di cicogne, di una ciminiera, di uno storico opificio, per costruire il 17° supermercato pinerolese?"

alcuni dei negozianti pinerolesi che hanno accolto l'appello in difesa delle "cicogne"






domenica 4 settembre 2022

Carlo Alberto Dalla Chiesa, Emmanuela Setti Carraro, Domenico Russo. 3 settembre 1982.

Il dovere di fare memoria: Carlo Alberto Dalla Chiesa, Emmanuela Setti Carraro, lagente Domenico Russo . 3 settembre 1982 - Palermo - Via Carini

Cento giorni di solitudine. Cento giorni di solitudine bastarono ai poteri mafiosi ( e non solo mafiosi) per spegnere "la speranza" dei palermitani e degli italiani onesti. Cosi' venne ucciso il generale Dalla Chiesa, nominato prefetto di Palermo per sconfiggere la mafia. Carlo Alberto Dalla Chiesa fu in realtà la "vittima sacrificale": lasciato solo "...a Palermo, con i poteri del prefetto di Forlì". Così ebbe a dire lui stesso, con triste ironia, nella ultima intervista rilasciata a Giorgio Bocca il 10 agosto 1982 e che riportiamo qui

Fra altre cose, in quella intervista il generale dimostra di aver compreso già moltissime cose dell'evoluzione delle mafie e dei suoi legami col mondo imprenditoriale, oltreché politico:«(...) La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. Vede, a me interessa conoscere questa "accumulazione primitiva" del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti à la page. Ma mi interessa ancora di più la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci, magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere (...)».

Per triste e oscena consuetudine nelle vicende di mafia, soprattutto quando riguardano "vittime eccellenti", a quarant'anni dalla strage ancora non conosciamo ufficialmente le "menti raffinatissime" che lasciarono morire il generale Dalla Chiesa, vittima predestinata di interessi concomitanti fra mala-politica e mafia



Dell'omicidio del generale Dalla Chiesa se ne occupò anche Giovanni Falcone nell'ambito delle vicende trattatenel Maxi-Processo. Riportiamo uno stralcio dall'ordinanza sentenza di rinvio a giudizio del maxi processo, CAPITOLO IV, L'OMICIDIO DEL PREFETTO DI PALERMO, CARLO ALBERTO DALLA CHIESA.
Il dott. Falcone e al punto 4. scrisse:
"(...) CARLO ALBERTO DALLA CHIESA, dunque, aveva accettato la nomina a Prefetto di Palermo quasi a malincuore, solo per il suo straordinario "senso dello Stato" e ben consapevole delle difficolta' che lo attendevano. Aveva accettato anche per rimuovere "situazioni di stallo" da lui ritenute lesive dello stesso prestigio dell'Arma, senza nutrire illusioni sul consenso delle istituzioni alla sua futura attivita' antimafia, prevedendo anzi che sarebbe stato "buttato al vento" non appena "determinati interessi saranno o dovranno essere toccati o compressi". Ciononostante, si era buttato nella mischia con l'entusiasmo ed il coraggio di sempre e, soprattutto, con le idee ben chiare. Egli, infatti, sapeva benissimo che, per rimuovere le cause profonde del potere mafioso, occorreva recidere i legami fra la mafia ed alcuni membri di partiti politici che in Palermo convivevano "con l'espressione peggiore del suo attivismo mafioso". E, senza mezzi termini, aveva informato di questa sua intenzione autorevoli esponenti di partiti governativi e lo stesso Ministro dell'Interno."

Riproponiamo anche l'articolo scritto nel settembre 2012 da Francesco Licata per commemorare il trentennale della strage nella quale furono uccisi Carlo Alberto dalla Chiesa, Emmanuela Setti Carraro, e l’agente Domenico Russo. Sottolineiamo la conclusione dell'articolo:"(...) Fu solo mafia?(...) una coincidenza va sottolineata, al di là di ciò che hanno raccolto le indagini: Moro, Pecorelli e Dalla Chiesa sono vicende caratterizzate da una non frequente «sinergia» tra mafia e terrorismo. La mafia siciliana ha ucciso (chissà perché?) il giornalista molto intimo dei Servizi, è stata coinvolta nel tentativo di salvare Aldo Moro prigioniero delle Br e ha pianificato ed eseguito l’assassinio del generale. Come una vera agenzia del crimine al servizio di altri."

fonte: La Stampa

Carlo Alberto Dalla Chiesa,

quei cento giorni di solitudine


Il 3 settembre 1982 in via Isidoro Carini a Palermo vengono uccisi il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie Emmanuela Setti Carraro. La loro A112 bianca venne crivellata di colpi di kalashnikov Ak-47

Trent’anni fa lo Stato lo lasciò solo, la mafia uccise lui e la moglie e l'agente di scorta

FRANCESCO LA LICATA
PALERMO
Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa venne assassinato in una calda serata sciroccosa. Erano passate da poco le 21 del 3 settembre 1982 e la A112 color crema, guidata dalla giovane moglie, Emmanuela Setti Carraro, imboccava la via Isidoro Carini, lasciandosi alle spalle Villa Whitaker - sede della Prefettura - diretta verso il refrigerio di un ristorante all’aperto del golfo di Mondello. Seguiva l’utilitaria l’agente Domenico Russo, alla guida dell’Alfa blu che il generale-prefetto non utilizzava, convinto che l’anonimato di una «normale macchinetta» offrisse maggiori garanzie di sicurezza dell’auto blu, immediatamente identificabile.
Precauzione inutile, perché la task-force messa in campo da Cosa nostra monitorava da diverse ore i movimenti del bersaglio e forse aveva potuto disporre anche della soffiata partita da Villa Whitaker, da qualcuno che controllava strettamente il generale.
Due macchine e due moto rasero al suolo la A112, senza risparmio di violenza e a nulla valse la protezione offerta ad Emmanuela dall’abbraccio coraggioso del marito. L’agente Russo fu finito dal killer più sanguinario di quel momento: Giuseppe Pino Greco, detto «Scarpuzzedda».
il cartello che qualcuno scrisse sul luogo della strage
I palermitani stavano a cena, davanti ai televisori. La notizia, tuttavia, non l’ebbero dai telegiornali perché arrivò prima il passaparola. Esplose così rapida da richiamare in pochi minuti una folla di gente in piedi, impietrita in un silenzio irreale, con gli occhi rossi di rabbia. Quando, ormai a notte fatta, fu smontata la scena e i fari, i lampeggiatori delle volanti, si spensero, rimase solo la fragile disperazione di una città, sintetizzata in un cartello che sentenziava: «Qui muore la speranza dei palermitani onesti».
Così fu spenta una luce che si era accesa appena cento giorni prima, sull’onda dell’ennesimo eccidio mafioso che aveva colpito il segretario regionale del Pci, Pio La Torre, abbattuto dalla mafia insieme con l’amico, compagno e scorta volontaria, il militante Rosario Di Salvo.
La speranza, per la verità, non era nata sotto i migliori auspici. Il generale era stato inviato a Palermo come un’arma spuntata: Roma non aveva voluto dargli gli stessi poteri che gli erano stati dati nella lotta al terrorismoPrefetto senza poteri speciali: un messaggio rassicurante per la palude palermitana, preoccupata per la presenza di un uomo deciso, carabiniere nel Dna, poco incline alle pantomime sicule dell’indignazione senza conseguenze.
E infatti la città gli dimostrò immediatamente tutta la propria avversione. La città del potere, ovviamente. Perché i cittadini, invece, riponevano molte aspettative sulle capacità del prefetto. Carlo Alberto dalla Chiesa arrivò a Palermo in incognito. Ignorò l’auto che l’aspettava in aeroporto, montò su un taxi ed arrivò in Prefettura «pieno» delle notizie e degli umori strappati al tassista loquace. Non si fidava, il generale, e con quella «presentazione» intendeva mettere subito le cose in chiaro.
Fu criticato, ovviamente, per quella scelta. Non gli furono risparmiate ironie e commenti, pesanti allusioni sulla differenza di età con la giovane seconda moglie: insomma tutto il repertorio della maldicenza e della mafiosità locale. Persino il sindaco, l’avvocato Nello Martellucci, uomo del gruppo di potere dominante (Lima, Ciancimino, Gioia), si rifiutò di portargli il saluto con la pretestuosa motivazione che doveva essere il generale a «presentarsi» al padrone di casa. E come lo sbeffeggiavano quando andava nelle scuole a parlare di legalità coi ragazzi o quando faceva sequestrare agli angoli delle strade il pane prodotto e venduto abusivamente
Solo Leonardo Sciascia capì il valore di quel gesto e spiegò che non si poteva battere la mafia fino a quando i mercati di Palermo sarebbero rimasti repubbliche indipendentiCome a dire c’è Cosa nostra ma anche qualcosa di più subdolo, per esempio la mafiosità.
La solitudine del generale, in quei cento giorni palermitani, è stata ricordata più volte dal figlio, Nando, che non ha mai modificato il suo giudizio duro sulla politica che isolò il padre (giudizio riproposto oggi a Luciano Mirone, autore di «A Palermo per morire»). E quando si parla dell’isolamento di Dalla Chiesa il discorso non può non cadere sul rapporto con Giulio Andreotti, a cui il generale, in partenza - «disarmato» per Palermo - anticipa che non avrà «nessun riguardo per la corrente Dc più inquinata» (quella di Salvo Lima, di Gioia, di Ciancimino e dei cugini Ignazio e Nino Salvo). Li conosceva bene, il prefetto, quei personaggi. Aveva redatto un rapporto destinato alla Commissione antimafia, quando era comandante della Legione a Palermo. Ma quell’analisi - ricorda il figlio Nando - era arrivata in Parlamento molto manipolata, addirittura coi nomi «sbianchettati».
Qual era lo stato d’animo del generale e della giovane moglie, pochi giorni prima dell’eccidio? Bastano le parole dette al telefono alla madre da Emmanuela: «Non posso venire a Milano, non voglio lasciare Carlo nemmeno per un momento, chi lo salverebbe? Siamo dimenticati, mamma, da chi ci dovrebbe tutelare». 
l'immagine dell'auto e dei corpi del  prefetto e di sua moglie
Gli assassini del generale, della moglie e dell’agente sono stati condannati. Ma si tratta dei macellai. Mancano le menti raffinatissime, per dirla con le parole di Giovanni Falcone
Chi ha tradito Dalla Chiesa? Quale conto hanno fatto pagare al generale sabaudo mandato nella terra degli infedeli? 
Persino la Chiesa siciliana, solitamente cauta, nel giorno dei funerali usò parole di fuoco e puntò il dito sul potere ignavo: «Mentre a Roma si discute sul da farsi, Sagunto viene espugnata», gridò il cardinal Pappalardo dal sagrato della basilica di San Domenico.
Fu solo mafia? Oppure il «conto» inglobava anche i segreti del sequestro Moro e di quel grumo conseguente, conosciuto alle cronache come l’affaire del giornalista Mino Pecorelli? Certo, dopo trent’anni è difficile andare a rovistare nei pozzi neri, forse andava fatto subito. Ma una coincidenza va sottolineata, al di là di ciò che hanno raccolto le indagini: Moro, Pecorelli e Dalla Chiesa sono vicende caratterizzate da una non frequente «sinergia» tra mafia e terrorismo. La mafia siciliana ha ucciso (chissà perché?) il giornalista molto intimo dei Servizi, è stata coinvolta nel tentativo di salvare Aldo Moro prigioniero delle Br e ha pianificato ed eseguito l’assassinio del generale. 
Come una vera agenzia del crimine al servizio di altri.