Impegnarsi oggi nella cultura antimafia significa occuparsi, a nostro parere, non solo dei mafiosi ma anche dei comportamenti mafiosi fatti propri anche da parte di coloro che mafiosi - nel senso stretto del termiìne- tali non sono:"(...) Noi dell’antimafia sociale affrontiamo ogni giorno e direttamente dei "poteri". Non delle ideologie, non delle costruzioni complesse, ma semplicemente dei "potenti" che comandano e vogliono continuare a farlo(...)"
Fonte : I Siciliani
I giorni di Falcone
Ventun anni dopo i giorni di
Falcone – che per noi antimafiosi segnano una svolta nella storia – l’Italia è
ancora lontana dai suoi ideali. Una parte del popolo è molto regredita sul
piano civile. E quella che invece resta fedele alla democrazia è estremamente
divisa e priva di riferimenti politici e organizzativi adeguati.
La crisi economica – dovuta a una
lunga gestione rozza e egoista – ha la sua parte in questo. Ma pesano ancor
più i lunghi anni di democrazia “liquida”, di politica-spettacolo, di leader
“carismatici”, di delega a qualcun altro. Quel che avevano conquistato i
cittadini, lo perdono gli spettatori. In questo senso la crisi è “morale” – non
come moralità astratta, ma come insieme di valori comuni – e non solo politica
o istituzionale.
L’antimafia, in tutti questi
anni, ha fatto da collante per i migliori. Indicando un servizio comune,
un’etica condivisa, un modo militante e civile di vivere il bene comune. Per
due generazioni di giovani, essa è stata una scuola e una Città.
Adesso, probabilmente, è arrivato
il momento di fare un passo avanti. Portare questi valori in un ambito più
vasto, organizzarne la realizzazione pratica, farne – in una parola – una
“politica” militante. Non per dividere ancora, ma anzi per unire.
E di unità c’è bisogno, fra i
cittadini non-sudditi, in questo momento. Sono la maggioranza, ma non riescono
a farsene uno strumento. Le loro lotte “plebee”, che sono numerosissime, continuamente
ondeggiano fra protesta senza seguito e ri-assorbimento in questa o quella
lotta “patrizia” di palazzo.
L’elementare concetto dell’unità
fra i poveri, della solidarietà fra vite simili e simili interessi, sembra
ancora un’utopia strana.
Noi dell’antimafia sociale
affrontiamo ogni giorno e direttamente dei "poteri". Non delle ideologie, non
delle costruzioni complesse, ma semplicemente dei "potenti" che comandano e vogliono
continuare a farlo. Questa è una buona metafora, e anche un modello, che
potrebbe utilmente estendersi all’intera società.
La rete, i beni comuni, la
mobilitazione a-ideologica su singoli obiettivi sono altri modelli che
s’intrecciano ad esso, e che nella nostra pratica noi cerchiamo di unire sempre
più strettamente.
Da qui la buona politica, che
verrà coi suoi tempi. Dobbiamo accelerarli il più possibile, perché la crisi –
lasciata a se stessa – è inumana. E lancia segnali “non-politici” (in realtà
profondamente politici) di disumanità e de-civilizzazione, come questo:
venticinque donne, nei primi quattro mesi del 2013, uccise altrettanti uomini.
Bisogna fare presto.
I Siciliani
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