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martedì 4 marzo 2014

A Milano, scoperta la "banca della 'ndrangheta". La mafia c'è perché c’è mercato per i suoi servizi.

"La mafia c'è perché c'è mercato per i suoi servizi". Lo aveva sottolineato Gian Carlo Caselli nella sua requisitoria da Procuratore capo di Torino al processo Minotauro, L'inchiesta, che ha visto coinvolti diversi amministratori locali,  si è trasformata in un duro atto d’accusa alla politica piemontese;  a quella politica che per anni ha negato l’esistenza della mafia al nord. Nella sua requisitoria,  Il procuratore si era concentrato proprio sulle “relazioni esterne” della mafia. “La mafia c’è perché c’è mercato per i suoi servizi. Ci sono tante persone che traggono vantaggio dall’esistenza della mafia, persone che non hanno nessun interesse a denunciarla. Persone, politici e amministratori, che la legge penale non può punire perché la loro colpa è l’opportunismo.

Ilda Boccassini
Riportiamo allora la notizia che pare l'esatta conferma di quanto aveva affermato Caselli: la "banca della 'ndrangheta" scoperta a Milano dall'indagine condotta dai giudici Ilda Boccassini e Giuseppe Pensabene. Anche in questo caso, la mafia c'è perché c'è mercato per i suoi servizi"



Fonte: La Repubblica

Milano, scoperta la banca della 'Ndrangheta: riciclava il denaro degli imprenditori, 33 arresti


Con l'accusa di riciclaggio e concorso in associazione mafiosa una decina di imprenditori sono stati arrestati. Il perno dell'indagine coordinata dall'aggiunto Ilda Boccassini è Giuseppe Pensabene, ex soldato della famiglia Imerti nella guerra mafiosa
Si sta concludendo in queste ore una retata anti-ndrangheta che sembra avere aspetti incredibili. La squadra Mobile di Milano ha chiuso  -  queste le prime indiscrezioni - una specie di 'banca autonoma' della 'ndrangheta, gestita da un'organizzazione capace sia di riciclare con facilità il denaro di imprenditori che volevano evadere il fisco, sia di prestare soldi e di reinvestire in aziende sane. Gli ordini di cattura riguardano oltre tranta persone. Il perno sul quale ruota l'indagine è Giuseppe Pensabene, ex soldato della famiglia Imerti nella guerra di 'ndrangheta, diventato però al Nord un usuraio-ragioniere, capace di tenere a freno le armi e usare la testa. In un'intercettazione viene definito "come la banca d'Italia" ed era anche il reggente della Locale di Desio, il clan in larga parte sgominato dall'inchiesta Infinito.
Una decina sarebbero gli imprenditori che in queste ore stanno perdendo la libertà, proprio con l'accusa di riciclaggio o di concorso in associazione mafiosa, gli arrestati sono in tutto 33. Come sinora non hanno parlato loro, così nessuna denuncia è stata presentata da altri imprenditori o commercianti vittime di usura: alcuni si erano messi al servizio del clan. Pochi i dettagli che trapelano dal blitz, ma sembra anche che, per la prima volta in maniera così vasta, ci siano sequestri preventivi di beni mobili e immobili ai danni delle persone finite nell'inchiesta firmata dai magistrati D'Amico e Boccassini.

martedì 24 settembre 2013

La 'ndrangheta (lombarda) è una metastasi favorita dall'omertà

Mentre in Piemonte siamo in attesa della sentenza di primo grado del processo "Minotauro", dall’operazione che ipocritamente fece scoprire che le mafie esistono anche in terra sabauda, in Lombardia la sentenza di secondo grado del processo “Infinito” conferma e convalida l’apparato accusatorio sostenuto dalle indagini del procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dai pm Alessandra Dolci e Paolo Storari.

requisitoria del procuratore di  Giancarlo Caselli al processo Minotauro

fonte: La Repubblica

I giudici: "La 'ndrangheta lombarda è una metastasi favorita dall'omertà"

Pubblicate le motivazioni della sentenza d'appello del processo 'Infinito' che ha portato alla condanna di 110 persone. "La 'ndrangheta si fa scudo della sua segretezza e della sua esteriore impermeabilità".



In Lombardia "è ben radicata e diffusa" quella che si può definire la '''ndrangheta padana", in parte autonoma dalla casa madre calabrese e che opera nella "diffusa omertà che porta le vittime a subire senza denunciare, a nascondere piuttosto che a rivelare". Lo scrivono i giudici della prima sezione della Corte d'appello di Milano nelle oltre 1.700 pagine di motivazioni della sentenza con cui lo scorso aprile hanno inflitto 110 condanne, confermando in sostanza la storica sentenza 'Infinito' di primo grado.


Il 23 aprile i giudici d'appello (collegio Polizzi-Bocelli-Caputo) col loro verdetto hanno confermato la storica sentenza - emessa nel novembre del 2011 con rito abbreviato dal gup milanese Roberto Arnaldi - che ha riconosciuto la presenza in Lombardia della 'ndrangheta e delle sue infiltrazioni nel tessuto sociale, politico ed economico del Nord Italia. Anche in secondo grado erano arrivate 110 condanne e fino a 15 anni e tre mesi di carcere (solo con qualche limatura al ribasso nelle pene) alla cupola  ai presunti boss e affiliati di quelle cosche smantellate con la maxi operazione, coordinata dalla Dda milanese, che nel luglio del 2010, al termine delle


inchieste 'Infinito' e 'Tenacia', aveva portato in carcere oltre 170 persone.



Nelle 1.714 pagine di motivazioni, da poco depositate, i giudici descrivono, facendo leva sugli atti dell'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dai pm Alessandra Dolci e Paolo Storari, anche quella sorta di "crisi interna alla 'ndrangheta padana indotta dal confliggere di aspirazioni o esigenze autonomiste fra chi opera al Nord e i tradizionali riferimenti della terra adre, che da parte sua non rinunzia a un ruolo egemone". Tentativo di autonomia stroncato nel 2008 con l'omicidio di Carmelo Novella, che era a capo della "Lombardia", la struttura di vertice della 'ndrangheta al Nord.



I giudici nelle motivazioni scrivono a lungo anche di quel processo di "emancipazione e interazione tra le 'locali' (le cosche) di neoformazione in territori nordici", della "influenza della cosche in vari settori dell'attività economica" e poi dei "tentativi, anche riusciti, d'infiltrare le amministrazioni locali per ottenere vantaggi". A tutto questo si aggiunge "l'assoggettamento delle vittime" degli episodi di intimidazione "che s'asterranno dallo sporgere denunce". Paradossalmente, scrive la Corte d'appello, "la prova dell'esistenza del sodalizio mafioso affiora invece dalla sua stessa negazione, dalla diffusa omertà che porta le vittime a subire senza denunciare, a nascondere piuttosto che a rivelare".



Non c'è bisogno al Nord , secondo i giudici, che "cittadini o singole vittime sappiano distinguere fra 'locale' e 'locale'", perché "la 'ndrangheta si fa scudo della sua segretezza, della sua esteriore impermeabilità, nel contempo dimostrando in forma anonima la sua concretezza. Per i giudici la 'ndrangheta in Lombardia è ormai una vera e propria metastasi", una realtà "conclamata" e "capillare".