venerdì 5 luglio 2013

Fare memoria. 1992. Quei giorni di calvario, fra Capaci e Via D'Amelio

Il calvario che venne imposto di vivere a Paolo Borsellino dopo l'assassinio di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Di Cillo vide giorni drammatici e giorni nei quali l'umanità di paolo Borsellino pareva rischiarare le tenebre che presto ne avrebbero coperto la luce

Mercoledì 1 luglio 1992
Paolo Borsellino vive in quel giorno uno dei momenti più drammatiche della sua storia. Borsellino quel giorno si trova a Roma  per interrogare Gaspare Mutolo: boss mafioso di primo piano,  Mutolo aveva già iniziato a collaborare con Giovanni Falcone rivelando al magistrato, fra le altre cose,  inquietanti fatti a carico di uno degli uomini più importanti dei servizi segreti italiani. Secondo le dichiarazioni di Mutolo,  Bruno Contrada, numero tre del Sisde, era uomo "a disposizione" della mafia siciliana. Nell'interrogatorio a Gaspare Mutolo, interrogatorio che doveva essere segretissimo, il giudice Borsellino vuole approfondire  e valutare le affermazioni del pentito.  
"(...) Durante l’interrogatorio, Borsellino viene avvertito che il nuovo ministro dell’interno, Nicola Mancino, appena insediatosi, lo vuole incontrare al Viminale. Borsellino dice a Mutolo: Sospendiamo. Torno fra mezzora”.
Al Viminale però non incontra il ministro ma il capo della polizia Vincenzo Parisi e –appunto- Bruno Contrada.
Secondo il racconto di Mutolo, Borsellino torna sconvolto: “L’ho visto fumare e riaccendersi una seconda sigaretta”. Mi ha riferito che Contrada glia ha detto: “ Chieda a Mutolo se ha bisogno di qualcosa…”, ma nessuno doveva sapere dell’interrogatorio". ( tratto da “Il Vile Agguato” di E. Deaglio)


Sabato 4 luglio 1992
Paolo Borsellino si reca al Palazzo di Giustizia di Marsala per la cerimonia di saluto che era già stata rinviata altre volte dopo il trasferimento a Palermo. Borsellino parla a braccio, ricorda i sacrifici che i magistrati devono affrontare per assicurare alla nazione il servizio della giustizia, senza mai nominarlo cita il collega Vincenzo Geraci, il quale aveva scritto che a Marsala Borsellino era andato perché voleva una procura con il mare, e riceve una lettera di saluto dai “suoi” sostituti, i giovani pm cresciuti sotto la sua la protettiva negli anni delle inchieste marsalesi: Giuseppe Salvo, Francesco Parrinello, Luciano Costantini, Lina Tosi, Massimo Russo, Alessandra Camassa.*
Una lettera che Borsellino incornicerà ed appenderà nello studio di casa:
Carissimo Paolo, 
al di là dei saluti ufficiali, anche se sentiti, un momento privato, un colloquio tra noi. Noi tutti siamo qui a Marsala con te fino dal tuo arrivo, ma ognuno di noi porta nel suo cuore un pezzetto di storia da raccontare sul lavoro a Marsala, nella procura che tu hai diretto. Ci piacerebbe ricordare tante situazioni impegnative o tristi o buffe che ci sono capitate in questa esperienza comune, ma l’elenco sarebbe lungo e, allo stesso tempo, insufficiente. Possiamo comunque dirti di aver appreso appieno il significato di questo periodo di lavoro accanto a te e le possibilità che ci sono state offerte: l’esperienza con i pentiti, i rapporti di un certo livello con la polizia giudiziaria, sono situazioni rare in una procura di provincia, e la tua presenza ci ha consentito di giovarci di queste opportunità. Abbiamo goduto, in questi anni, di un’autorevole protezione, i problemi che si presentavano non apparivano insormontabili perché ci sentivamo tutelati. Qualcuno ci ha riferito in questi giorni che tu avresti detto, ironizzando, che ogni tuo sostituto, grazie al tuo insegnamento, superiorem non recognoscet. Sai bene che non è vero, ma è vero invece che la tua persona, inevitabilmente, ci ha portati a riconoscere superiore solo chi lo è veramente. Ci sono state anche delle incomprensioni, e non abbiamo dimenticate nemmeno quelle: molte sono dipese da noi, dalle diversità dei caratteri e dalla natura di ognuno; altre volte, però, è stata proprio la tua natura onnipotente a vedere ogni cosa dalla tua personale angolazione, non suscettibile di diverse interpretazioni.
Tuttavia, anche in questo sei stato per noi un “personaggio”, ti sei arrabbiato, magari troppo, ma con l’autoritàche ti legittimava e che mai abbiamo disconosciuto. Anche nel rapporto con il personale abbiamo apprezzato l’autorevolezza e la bontà, mai assurdamente capo, ma sempre “il nostro capo”.
E poi te ne sei andato, troppo in fretta, troppo sbrigativamente, come se questo forte rapporto che ci legava potesse essere reciso soltanto con un brusco taglio, per non soffrirne troppo. Il dopo Borsellino non te lo vogliamo raccontare: pur se uniti tra noi, in tantissime occasioni abbiamo sentito che non c’eri più, e in molti abbiamo avvertito il peso, talvolta eccessivo per le nostre sole spalle, di alcune scelte, di importanti decisioni. E adesso il futuro, il tuo, ma anche il nostro. Noi ti assicuriamo, già lo facciamo, siamo all’erta, sappiamo che cosa vuol dire “giustizia” in Sicilia ed abbiamo tutti valori forti e sani, non siamo stati contaminati, e se è vero che “chi ben comincia...”, con ciò che segue, siamo stati molto fortunati. Per te un monito: è un periodo troppo triste ed è difficile intravederne l’uscita. La morte di Giovanni e Francesca è stata per tutti noi un po’ la morte dello stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo stato in Sicilia è contro lo stato, e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori: sii la nostra fiducia nello Stato. 
I “tuoi” sostituti.

Venerdì 5 giugno 1992 . “La cena degli onesti”
Antonio Ingroia racconta che alla sera, durante una cena a Terrasini, organizzata dai carabinieri, il calore delle gente raggiunge Paolo Borsellino in pieno.
«Si parlava di Falcone, delle indagini su Capaci, dei nuovi equilibri dentro Cosa Nostra. Terminiamo di cenare, ed il proprietario del locale si avvicina a Paolo, gli sussurra in un orecchio che il cuoco vorrebbe conoscerlo, nulla di più. Paolo mi sembra imbarazzato dalla insolita richiesta, ma dice di sì. Si alza, va incontro al cuoco, un uomo anziano, dal viso buono. Appena gli stringe la mano, questi si mette a piangere come un bambino. Paolo resta pietrificato per pochi secondi. Poi, commosso, lo abbraccia. I due escono dal ristorante, cominciano a passeggiare parlando fitto fitto, come vecchi amici, in palermitano stretto. “Sai Antonio”, mi racconta in auto mentre rientriamo a Palermo, “stavo per mettermi a piangere anch’io. Ha voluto dirmi che i palermitani onesti, i padri di famiglia, sono al nostro fianco”. Quella cena con i carabinieri, Borsellino, la ricorderà per sempre. La chiamerà “la cena degli onesti”

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