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lunedì 4 giugno 2012

Lettera degli studenti per salvare Telejato. Anche così si combattono le mafie


Siamo stanchi, Signor Presidente, di essere disincantati’:
Fonte : GIULIO CAVALLI 

Questa lettera sta circolando ora nei licei bolognesi, e via via in molte altre scuole. La trovate anche su diecieventicinque.it, la testata bolognese della rete dei Siciliani. “Dieci e venticinque”, il nome del sito, è l'ora in cui scoppiò la bomba che, il 2 agosto 1980, provocò la strage alla stazione di Bologna.



Riccardo Orioles, insieme a Pippo Fava  fondatore nel 1982 del mensile "I siciliani", la rilancia: "La legga, Signor Presidente. Qua dentro c’è l’Italia che vogliamo".

"Egregio Signor Presidente,
ragazzi di tutt’Italia si rivolgono direttamente a Lei, quale massimo rappresentante dello Stato, per trovare una voce all’onda di rancore che sta seppellendo la nostra generazione. Per l’importanza del documento che Le sottoponiamo, ci auguriamo caldamente che riterrà di renderne note alla Nazione le parole più significative.
Il cuore della presente lettera consiste senza dubbio di un proposito di natura pratica. D’altro canto, la sua causa profonda sta nell’impotenza in cui siamo costretti dalle attuali democrazie rappresentative, sta nell’angoscia di agire, e nella consapevolezza di vivere, proprio per quei principi di progresso che, sebbene continuamente negati da squallore e ottusità, trainano la civiltà europea da che si aprì la ricerca per un criterio di giustizia. E, in verità, il cuore amaro della nostra lettera sta proprio nel valore dell’educazione, della scuola, modello di vita e di politica.
In principio vorremmo tuttavia parlarLe dell’episodio che è stato l’innesco del nostro movimento, e degli interventi che ci siamo auspicati sarebbero seguiti all’appello. Nel corso di un viaggio d’istruzione in Sicilia, all’interno di un itinerario organizzato dall’associazione “Addiopizzo“, alcuni di noi, tra cui i redattori della presente, hanno conosciuto la piccola realtà di Telejato, una rete televisiva comunitaria totalmente dedita all’erosione del potere mafioso. Attraverso lo scherno dei miti e dei bassi modelli dell’illegalità, Telejato ci ha stupiti per determinazione, costanza, per la volontà ferma di migliorare il territorio, e di essere efficace. Valore, l’efficacia, che stiamo lentamente dimenticando, essendo ormai i cittadini italiani abituati a delegare le responsabilità, a lasciare il proprio dovere civico in eredità ad anonime reti amministrative.
Il confronto con Pino Maniaci, proprietario di Telejato, curiosamente, anzichè vertere su temi riguardanti la Mafia in modo specifico, si è concentrato proprio su questo, cioè sulla possibilità dell’individuo di partecipare al bene comune.
Certamente non tutti possono gestire televisioni antimafia, ma l’antimafia vera e propria è forse quella che si crea a partire dall’onestà e dall’interesse per il territorio dei singoli: questa la conclusione cui eravamo insieme giunti, e che, in parte, aveva placato l’insoddisfazione di vederci come al solito disincantati spettatori degli equilibri di potere.
Siamo stanchi, Signor Presidente, di essere disincantati. La conoscenza degli istinti meschini che sembrano dirigere la storia oramai non può più rassicurarci. Quello che le generazioni che ci hanno preceduto ignorano, è che il nostro disimpegno non è stato dovuto a stupidità o leggerezza, ma piuttosto al cinismo nato dalla lucida osservazione della realtà, e dall’abitudine alla sconfitta. Tuttavia, per l’improvvisa incombenza di un disastro sul nostro futuro, quello della crisi, quello di un’inadeguatezza di tutte le istituzioni vigenti – da quelle ideali a quelle concrete – a fronteggiare un passaggio di epoca, guardarvi serenamente non ci è più possibile.
Quando al termine dell’incontro siamo venuti a sapere che Telejato avrebbe chiuso il 30 giugno, al momento dell’entrata in vigore del digitale terrestre in Sicilia, nuovamente siamo rimasti a bocca aperta: nuovamente, le maglie della burocrazia, addirittura le leggi dello Stato sembravano soffocare l’impegno civile da cui esse stesse erano nate. Proprio allora la figlia di Maniaci, Letizia, coraggiosa, rinomata giornalista, è sgattaiolata tra di noi per uscire dallo studio televisivo, a capo chino, come cercando di non farsi notare. Proprio lei che, così giovane, riprende gli scoop e rende possibile il servizio di informazione di Telejato, incurante del rischio che grava sulla famiglia. Per quell’esempio di modestia e di abnegazione in quel momento siamo esplosi in un applauso, ritenendo d’altra parte che null’altro avremmo potuto fare, che le nostre azioni corrette non sarebbero bastate, che Telejato avrebbe chiuso, qualunque cosa ne pensassimo: che il fatto sia giusto o che non lo sia.
Ora, la riflessione che vogliamo proporre alla Nazione è in merito al significato della parola “politica”. In fondo, l’antimafia è politica. Poichè, se si considera la Mafia come quel fenomeno sociale di affidamento del territorio a interessi esclusivamente patrimoniali, l’antimafia è quel dovere di amore per il territorio, per la Nazione, per la propria comunità, che va ben oltre gli egoismi di parte. E se un certo amore per il bene comune è un dovere civico, allora certamente l’antimafia è politica: perchè non dimentichiamo che “politica” non significa insieme di partiti, lotta di classi o di capitali, ma “questioni della vita cittadina”, e che un tempo aveva traduzione “Res Publica”, e che ora, estesisi i nostri Stati da città a popoli interi, trova significato come “vita comunitaria”. Questa la nostra convinzione.
Quale comunità giovanile avremmo potuto chiederLe in merito a giustizia, meritocrazia, rottura delle briglie della finanza, Unione Europea, e a tante delle idee che animano i nostri dibattiti. Invece, La preghiamo di garantire una qualche forma di sopravvivenza a Telejato.
Da atti concreti, mirati vorremo ripartire, e fatti significativi. Riteniamo che dare vita a Telejato, come emittente di diverso genere oppure riservando una percentuale di frequenze alle reti comunitarie, sia oggi, proprio oggi, una priorità. Riteniamo sia questo il momento giusto – il momento di scarse risorse – per investire sullo spirito comunitario, e che solo in questo modo avremo un’occasione per salvare l’Italia, armonizzare l’Europa e governarla.
Infine, per lo meno, La preghiamo di tutelare la famiglia che di Telejato costituisce l’esistenza.
Noi siamo nati da quella famiglia. Se l’Italia ha come nucleo fondamentale la famiglia, allora è in una famiglia che costruisce i valori civici dell’Italia che la Nazione trova le proprie radici. Siamo cresciuti in un sistema di principi tipicamente familiari, nonchè nella nozione di lavoro come riscatto dell’uomo dall’assoggettamento alla sua fame, e alla sua voracità, per i simili che ama. Purtroppo, questi capisaldi della nostra società civile, abbandonati da molte famiglie, li hanno raccolti soltanto le scuole, realtà che sono state volutamente avulse dal potere ma che, lo si voglia o meno, hanno formato i nostri ideali. E noi riteniamo sia maturato il tempo per cui quegli ideali, dalle famiglie che resistono, all’istruzione che li alimenta, passino finalmente al potere effettivo, al potere politico.
Se verrà salvata Telejato e la sua famiglia, si darà un significato alla nostra educazione politica, unica fonte della Nazione stessa. E vedremo fin dove le istituzioni che politiche sono dette, nate per unirci, siano voci della Nazione, e dunque avverse alla Mafia.

1. Liceo Galvani, BO

2. Liceo Minghetti, BO

3. Liceo Fermi, BO

4. Liceo Righi, BO

5. Liceo Copernico, BO

6. Liceo Sabin, BO

7. Istituto Laura Bassi, BO

8. Liceo Manzoni, BO

9. I.I.S. Bartolomeo Scappi, Castel San Pietro Terme (BO)

10. Liceo da Vinci, Casalecchio di Reno (BO)

11. Istituto Giordano Bruno, Budrio (BO)

12. Liceo Mattei, San Lazzaro di Savena (BO)

13. Liceo Tassoni, MO

14. Liceo Parini, MI

15. Liceo Marco Polo, VE

16. Liceo Gioberti, TO

17. Istituto Baldessano-Roccati, Carmagnola (TO)

18. Liceo Cascino, Piazza Armerina (EN)

19. I.I.S. Marzoli, Palazzolo sull’Oglio (BS)

20. Consulta Provinciale Studenti di Brescia



venerdì 27 aprile 2012

PINO MANIACI. TeleJato è lui. La televisione più piccola e rompicoglioni del mondo.


 TeleJato, Beauty contest, quando l’economia governa vita e libertà
27 aprile 2012
Fonte: Pietro Orsatti. appunti per un racconto sociale  

Dicono che a giugno taglieranno la spina. Dicono che circa 200.000 persone perderanno la loro voce. Dicono che queste sono le leggi del mercato, se non hai i soldi per comprarti un diritto non puoi neanche esercitare un dovere. Dicono che c’è un mare di gente che brinderà quando quella porta sarà chiusa. Dicono che va bene così, i provocatori devono essere isolati. Dicono che la mafia non esiste e se mai è esistita lo è stata solo perché c’era gente che raccontandola le dava importanza. Dicono che non bisogna disturbare il navigatore. Dicono che per andare in video bisogna avere un editore. Dicono che per avere un editore bisogna essere obbedienti. Dicono che non bisogna pensare male del trasformismo. Dicono che il patto con il diavolo non è poi così male basta farci l’abitudine. Dicono che per vivere bisogna andare porta a porta con il cappello in mano. Dicono che la politica “del bene” non può mai essere criticata. Dicono che gli affari sono affari e chi se ne fotte della libertà di informazione. Dicono che chi ha i baffi, parla in dialetto, si fa capire dalla gente, spiega le cose in modo semplice e macina chilometri, impreca, si incazza, ride, vive, sbatte il muso, suda, non dorme e vive di malox e sigarette non abbia diritto di considerarsi giornalista. Dicono che chi mette la propria vita sul piatto della bilancia sia un fesso.
Dicono queste cose nel Belpaese.
Dicono queste cose mentre a Festival del Giornalismo di Perugia sfilano i big (reali e presunti) dell’informazione e si concede ennesimo spazio a chi spazio ne ha da decenni (2000 puntate non bastano?) facendo dell’informazione al servizio del potere farsa e inganno. Ma si sa, in un paese come questo mica si può pretendere che “la questione morale” riguardi anche a se stessi. Anime belle, fottiamocene allegramente di chi informazione la fa sul serio, senza una lira, sul campo, rischiando vita e coglioni per raccontare un frammento di realtà. E se poi lo fanno fuori – e ci hanno provato, eccome se ci hanno provato – poi facciamo un bel premio di giornalismo o un osservatorio o un fiction da mandare in prima serata. In memoria di. Lo spettacolo deve continuare. Spettacolo.
Conosco Pino Maniaci, e Patrizia, Letizia e Giovanni, da un bel po’ di anni. Mi onoro della loro amicizia. Con loro ho diviso risate e lacrime, paura e rischi, successi di un giorno e paure e difficoltà di anni. Con Pino mi sono trovato a scappare come un cretino in mezzo alla campagna per essere andato a filmare una delle tante stalle abusive dei Fardazza (se non sapete chi sono i Fardazza andate a guardarvi il capitolo “strage di Capaci” e “ala militare di Cosa nostra” su Wikipedia visto che ormai a questo contenitore avete delegato la memoria e la semplificazione), mi sono beccato minacce e intimidazioni, fatto chilometri, cercato tracce del fenomeno mafioso, raccontato pezzi di realtà, cagato sotto la notte dell’attentato del 17 luglio 2009.
Cronista di razza Pino, di quelli dalle scarpe sfondate e dai peli sullo stomaco. Uno che non molla. E infatti non ha mollato. Perfino quando l’ordine dei giornalisti siciliani (lo stesso che gli ha dato poi il tesserino da pubblicista dopo la colossale figura di merda che stava facendo) si fece parte in causa in un tentato processo nei suoi confronti per “esercizio abusivo della professione”. Uno che non ha mollato nonostante la fame, le minacce a lui e alla sua famiglia, amici e collaboratori. Uno che per azzittirlo lo dovresti strangolare per strada o fargli saltare in aria la macchina (e ci hanno provato infatti sia a strangolarlo che a fargli saltare per aria la macchina). TeleJato è lui. La televisione più piccola e rompicoglioni del mondo. Oggetto prezioso e delicato, seguito da più di 200.000 persone che senza saltare un giorno preferiscono il Tg di TeleJato ai programmi rassicuranti e politicamente allineati di Rai e Mediaset. Dove? In un triangolo di terra di Sicilia che va da Corleone a Castellammare del Golfo a Cinisi. Con al centro Partinico da dove va in onda. Vi devo spiegare che razza di territorio è? Vi devo raccontare la storia di Cosa nostra dal 1943 in poi? Vi devo parlare di quanto sangue e dolore violenza quel territorio è stato attraversato? Spero di no. Se non sapete un cazzo di quello di cui sto parlando c’è sempre Wikipedia, di lei vi fidate, no?
Bene: Pino Manici a giugno chiuderà TeleJato. Una roba del genere, che dovrebbe essere tutelata e tenuta in vita da un Stato e da una comunità che abbiano un minimo di di dignità, verrà azzittita. Grazie a una leggina dal nome rassicurante di “Beauty contest” che mette all’asta tutte le frequenze televisive con una base di partenza irraggiungibile per un’emittente delle dimensioni di TeleJato. Perché nonostante le promesse di mantenere uno spazio (promessa fatta da questo governo) per le televisioni comunitarie (e questo è formalmente e nei fatti TeleJato) alla fine l’impegno non è stato mantenuto. E TeleJato chiuderà.
E parliamo di informazione? E parliamo di “paese moderno”? E parliamo di svolta morale?  Alla fine i “piccioli”, in questa logica di riduzione della vita di una collettività a una conduzione meramente economica, vincono su tutti. I soldi non puzzano. Anzi, ormai siamo andati oltre. I soldi sono tutto. Tutto il resto è sacrificabile. Anzi, peggio, ignorabile.