Quel 23 settembre 1985 era un lunedì. Giancarlo Siani aveva finito di lavorare prima del solito. Doveva
andare a un concerto. La fidanzata lo aspettava...La sera in cui fu ammazzato, Giancarlo Siani tornava a casa prendendo il
vento di faccia nella sua Citroen Méhari verde bottiglia. Aveva compiuto 26 anni da quattro giorni. Ed
era felice.
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Ricordiamo la storia di Giancarlo Siani, come lo ha ricordato Antonio Castaldo, nell'artico scritto lo scorso anno in occasione dell'anniversario della sua uccisione
Fonte : Corriere
Della Sera
di Antonio Castaldo
Era Lunedì. Giancarlo aveva finito di
lavorare prima del solito. Doveva andare a un concerto. La fidanzata lo
aspettava. E mentre dal Chiatamone, nel cuore barocco di Napoli, volava
verso casa, su al Vomero, molto probabilmente sorrideva. Aveva ottenuto un
contratto di due mesi, una sostituzione estiva alMattino. Da cinque anni era
un «abusivo», lo schiavetto della redazione di Castellammare di Stabia. Senza
contratto e senza diritti. Ma il purgatorio stava per finire. «Appena parte il
nuovo piano editoriale sarai assunto», gli aveva detto il direttore Pasquale
Nonno. Il suo sogno, lo stesso di ogni ragazzo che vuole fare il giornalista,
stava per realizzarsi. Avrebbe avuto un contratto da praticante. La sera in cui
fu ammazzato, Giancarlo Siani tornava a casa prendendo il vento di faccia nella
sua Citroen Méhari verde bottiglia. Aveva
compiuto 26 anni da quattro giorni. Ed era felice.
Una sentenza passata in giudicato nel 2000 ha stabilito che ad
uccidere il giornalista napoletano alle 20.50 del 23 settembre 1985 sono stati
due killer del clan Nuvoletta. Da quello stesso giorno il suo nome è
diventato un simbolo di legalità. Giancarlo è diventato un eroe, un martire.
Nessuno può negarlo e una sentenza lo conferma, i killer lo hanno ammazzato per
quello che aveva scritto. E per ciò che stava per scrivere. Eppure, come ci
ricorda un libro di Bruno De Stefano appena pubblicato, Passione e morte di un
giornalista scomodo (Giulio Perrone editore), Siani era «un
cronista che faceva semplicemente il suo lavoro con tanta passione e
altrettanto rigore». E «il santino da eroe e da martire cucito addosso a questo
giovanotto solare e sorridente più che rendergli onore lo mortifica, svilisce
la sua intelligenza e il suo equilibrio trasformandolo in uno sprovveduto aspirante
cronista inconsapevole dei rischi a cui andava incontro». Il libro di De Stefano restituisce
alla corretta ricostruzione dei fatti un ragazzo morto ammazzato inseguendo la
verità. E ce n’era bisogno perché altri avevano affrontato il caso dal punto
di vista soltanto emozionale, come in un romanzo. Mancava un’analisi organica e
definitiva della lunga vicenda processuale. Un testo che completasse certezze
maturate in 15 anni di passi falsi.
Siani era un cronista di provincia. L’ultimo
arrivato nel più grande quotidiano del Sud. Fin dal giorno del delitto, per
qualcuno è stato difficile accettare l’idea che fosse stato giustiziato a causa
del suo lavoro di cronista di frontiera. All’inizio anche la stessa
magistratura ha inseguito ipotesi suggestive quanto irreali, collusioni con
cooperative di ex detenuti piuttosto che piste passionali. La verità era
altrove, ed è venuta fuori solo a partire dalla metà degli anni 90, grazie ad
alcuni pentiti e al lavoro di un magistrato determinato come Armando D’Alterio.
Siani era dal 1980 corrispondente dalla
città di Torre Annunziata, in
quegli anni al centro della sanguinosa faida che opponeva il gruppo di
Bardellino (il nucleo primigenio del clan dei casalesi) alle famiglie vesuviane
di Alfieri e Gionta. Una
guerra di mafia culminata nel massacro del 26 agosto del 1984 a Torre Annunziata. Gli uomini di Bardellino piombarono
nel quartier generale dei Gionta a bordo di un pullman. Morirono 8
persone, 7 i feriti. Ma il boss Valentino scampò all’agguato.
Giancarlo non poté scrivere molto sul fatto più grosso che
gli fosse mai capitato. Come sempre in questi casi, i pezzi di prima pagina sono appannaggio
degli inviati speciali. Ma nei
mesi successivi si diede da fare con gli scenari criminali in continuo
mutamento.
L’8 giugno 1985 Gionta viene arrestato nei pressi della
tenuta di campagna dei Nuvoletta, dove aveva trovato rifugio durante la
latitanza. Ancora una volta Siani resta in panchina. Ma il 10 giugno appare un pezzo di
analisi che prova a spiegare quell’arresto inaspettato: “La sua cattura potrebbe essere
il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con
l’altro clan di ‘Nuova famiglia’, i Bardellino”, scrive, evidentemente
imbeccato dagli investigatori. E
questa frase, a quanto hanno accertato dai giudici, decreta la sua condanna a
morte.
Tuttavia, l’ombra di infamia fatta aleggiare sui
potentissimi Nuvoletta non è il solo movente. Siani
stava indagando da alcuni mesi sugli intrecci tra la classe politica vesuviana
e la criminalità organizzata. Le sue fonti racconteranno delle continue
richieste di documenti su appalti e piani di ricostruzione, riccamente
finanziati dai fondi per il terremoto.
Un’amica di vecchia data, Chiara Grattoni, testimonierà
che Giancarlo era in quel periodo eccitato per le notizie che aveva scoperto: “La cosa che ricordo
di più, che mi impressionò di più, era che lui sosteneva che i politici di
Torre Annunziata fossero implicati in fatti di camorra [...]. Era molto preso dalla cosa”.
Confermò la donna. E come alla
fine concluse il pm D’Alterio, “Siani
faceva paura per il solo fatto che in un ambiente omertoso, quale quello di
Torre Annunziata, faceva domande e smuoveva le acque”.
Siani, insomma, dava fastidio perché poneva interrogativi
scomodi. E perché continuava a raccogliere documenti su documenti. Il giorno della sua morte telefonò
ad Amato Lamberti, il sociologo da sempre impegnato nella lotta alla camorra, e
gli chiese urgentemente un incontro. Doveva parlargli. Ma al telefono non
poteva, e non vicino al giornale, dove evidentemente non si sentiva
al sicuro.
Nessuno sa cosa avesse scoperto. Quando
è stato ucciso, nella scassatissima auto decappottabile, in ufficio e a casa,
non è stata trovata traccia del dossier su cui lavorava. Una stranezza per
chi come lui era abituato ad archiviare anche gli scontrini. Sta di fatto che, come hanno raccontato Lamberti e
vari altri testimoni, Siani aveva imboccato la pista della corruzione e
dell’abbraccio velenoso tra camorra e politica. Negli anni successivi altre inchieste
e altri processi proveranno la correttezza delle sue intuizioni. Il Comune di
Torre Annunziata sarà sciolto per infiltrazioni mafiose e il sindaco
condannato. Giancarlo aveva
ragione ma non gli è stata concessa la possibilità di scriverlo. Aveva appena
compiuto 26 anni.
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