Al ritorno da una breve vacanza nel paese natìo in Calabria, mi arrovella una domanda: cosa può legare il semaforo posto su un antico muro di sostegno di un borgo calabrese all’idea di un “grattacielo” a Pinerolo?
Il borgo calabrese, il semaforo sull'antico muro, il "grattacielo" di Pinerolo |
Il quesito mi viene sollecitato
da quanto si legge in un documento allegato alla delibera approvata dall’amministrazione
pinerolese nello scorso mese di luglio. La delibera prevede la vendita dell’area
dei cosiddetti “Portici Blu” al fine di realizzare “(…) “un edificio capace di lasciare un
segno forte sul paesaggio cittadino”. (Un “secondo” grattacielo a
Pinerolo?)
“Lasciare un segno forte…”
Mi sono chiesto: è forse lo stesso principio, fatte le debite
proporzioni, che ha ispirato gli amministratori del borgo calabrese
posizionando il semaforo sull’antico muro, forse come segno di modernità o come
gesto concreto dell’attenzione che l’ amministratore ha nei confronti dei
bisogni della sua comunità?
Eppure, visti nel loro contesto e
riflettendo sui due “oggetti”, il semaforo sull’antico muro così come il
“grattacielo” nel panorama di Pinerolo, mi viene da pensare che entrambi
rappresentano, a mio parere, due elementi “osceni”. “Osceni” nel significato
etimologico della parola latina da cui deriva il termine “osceno”: “ob
scenum”, ovvero qualcosa che è fuori dalla scena, fuori dal contesto, qualcosa
di inadeguato.
Memorie degli studi universitari
alla facoltà di Architettura di Torino, uno dei principi che più mi
affascinavano era quello del “genius
loci”, lo spirito del luogo, la vocazione di un luogo. Un principio fondamentale
che, come apprendevamo, aveva determinato la varietà delle forme architettoniche
espresse dalle differenti culture e civiltà: fondato sul rispetto delle atmosfere
e del carattere spirituale dei luoghi, delle tradizioni costruttive, sulla
sensibilità per l’uso di materiali. Cosicché, sino a qualche decennio orsono
era piuttosto agevole individuare il luogo, la nazione -e quindi la cultura-
che aveva “costruito” un edificio, una casa, un’opera architettonica, un
disegno urbanistico. Saper cogliere ed esprimere nel progetto che si
elaborava il “genius loci”, lo spirito del luogo, secondo i nostri docenti era
un elemento discriminante per rendere oggettivamente ammirevole, qualificante e
giustificata, l’opera di un professionista che ambisse a svolgere il lavoro di
architetto.
La realtà della professione
dell’architetto, al di fuori dalle aule universitarie e soprattutto in Italia,
è stata davvero differente. La figura dell’architetto, come altre, in Italia si
è trasformata spesso in quella di un mero esecutore di ordini, volontà e
programmi altrui. Ma non pensiamo di ritrovare facilmente lo spirito della
famiglia dei Medici, di Giulio II, o anche
dei Savoia, nelle vesti di pubblici e privati committenti! La
speculazione edilizia, la forza della “rendita”, a volte “il malaffare”, questi
i “poteri-committenti” che hanno provocato il degrado di tanti paesaggi e
“luoghi” italiani e che hanno visto -troppo spesso!- accondiscendenti e ignavi esecutori proprio
in coloro che della bellezza dei luoghi, della loro difesa e creazione,
avrebbero dovuto essere strenui e appassionati protagonisti.
uno dei tanti episodi del "Sacco di Palermo": Villa Rutelli, demolita, e l'edificio che la sostituì. Palermo, Via della Libertà angolo Via La Marmora |
Magari in buona fede, committenti
e progettisti del grattacielo di Pinerolo muovevano forse da un impeto
simile? “ Pinerolo è bella! Facciamo ancora più bella!” Ai tempi della
sua costruzione, avvenuta negli ultimi anni ’50 del Novecento, anche il
grattacielo di Pinerolo fu salutato da alcuni come simbolo del progresso che
investiva e risollevava l’Italia del dopoguerra. Tuttavia, negli anni a
seguire non tardò molto che “il grattacielo” si riducesse a quello che era
nella realtà: il segno di una modernità vacua, un errore culturale – un po’ presuntuoso,
un “ob-scenum”- compiuto nel tessuto
e nel panorama di una delle più belle cittadine piemontesi.
Troppo tardi si è levata la voce
di Renzo Piano, l’archi-star
umanista italiano, quando giunse ad ammonire i colleghi: “Occorre anche saper dire dei no!”.
Occorrerebbe riflettere invece su
quanto decoro, sapienza urbanistica e valore architettonico d’insieme,
esprimano tanti antichi borghi, paesi e cittadine di ogni regione italiana,
anche quelli sorti in luoghi nei quali il retaggio della povertà economica ne
costituiva tratto essenziale. In quei luoghi, oscuri artigiani
dell’architettura e dell’urbanistica avevano “disegnato” e costruito
assecondando proprio “il genius loci”, la vocazione dei luoghi di cui parlavo
prima,. Borghi, paesi e cittadine che tante volte oggi ritroviamo offesi
in paesaggi sviliti, oltraggiati da “cose-case” oscene o informi periferie, frutto
di volontà, cultura e valori davvero diversi da quelle che -per secoli- ne avevano
animato la crescita lenta, organica, meditata e “sostenibile” (come diremmo ora
dall’alto della nostra presunta modernità culturale).
Nella aule universitarie delle
facoltà di architettura, come nei luoghi ove si amministra “la cosa pubblica”, dovrebbero
risuonare anche le parole semplici di Peppino
Impastato, non già architetto o critico-teorico di moderna e acclarata fama
ma semplice martire della Giustizia e della Bellezza di questa nostra Italia: “Se si
insegnasse la Bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la
rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti
all’improvviso con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si
abitua con pronta facilà: si mettono le tendine alle finestre, le piante sul
davanzale, e presto ci si dimentica di quei luoghi prima, ed ogni cosa per il
solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. E’ perciò
che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non
si insinui più l’abitudine e la rassegnazione, ma rimangano sempre vivi la
curiosità e lo stupore”.
E allora, poco a poco, mi pare di
intravedere il legame fra il semaforo di uno sperduto borgo della Calabria e
l’idea di un grattacielo” di una ridente cittadina piemontese… Aspettando
un Renzo Piano (o un semplice “bertoncelli”) che ci insegni a saper
dire anche dei “no!”
Francesco
Incurato
referente presidio
Libera “Rita Atria” Pinerolo
P.S.: il semaforo
“calabrese” – posto a gestire un traffico in realtà inesistente - non è ancora
funzionante, come nella triste tradizione di quella regione ( ma non solo
in quella)!...ed è anche vero che con l’arrivò del cosiddetto
“International style”, e dei cosiddetti “archi-stars”, non è più così “osceno”
proporre a Milano un progetto rifiutato a New York!...Sic!
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