Quelle cene elettorali con la ’ndrangheta. La collaboratrice di giustizia Rosetta Todaro ripercorre i rapporti tra il clan Iaria e alcuni politici piemontesi
Torino. l'aula bunker al Lorusso-Cotugno |
Fonte: LA STAMPA
MASSIMILIANO PEGGIO
Caterina Ferrero |
Fabrizio Bertot
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«Giovanni e Bruno parlavano
spesso di politica e votazioni. Portavano i santini agli amici e dicevano chi
votare. Mi ricordo i santini di Fabrizio Bertot. In occasione di una campagna
elettorale siamo andati al ristorante Mandracchio di Rivarossa, dove c’era
Caterina Ferrero. C’erano 150 persone, tanti calabresi. Dopo la presentazione
della Ferrero ci siamo messi a mangiare, gli uomini da una parte, le donne
d’altra».
Giovanni e Bruno fanno
Iaria di cognome. Sono zio e nipote, condannati lo scorso ottobre a 7 e 13 anni
di carcere con rito abbreviato nel primo atto di Minotauro. A raccontare i
retroscena della famiglia Iaria è Rosetta Todaro, compagna di Bruno fino
all’estate 2011 quando, per amore della loro figlia Giulia, ha deciso di
diventare collaboratrice di giustizia, mentre lui era in carcere. È stata lei
ieri la protagonista del processo Minotauro: per quasi 8 ore ha risposto da un
luogo protetto alle domande del pm Dionigi Tibone, in videoconferenza. A fine
udienza è stata messa «ko» dal controesame dei difensori degli imputati. Si è
sentita male quando l’avvocato Carlo Romeo, ultimo a prendere la parola, l’ha
incalzata ripercorrendo i suoi ricordi. «Signora, lei ha detto di essere andata
in carcere da Bruno per...». La frase del legale è arrivata diretta al di là
del microfono: Rosetta, 52 anni, tre infarti alle spalle, s’è accasciata. È stata
soccorsa dagli uomini di scorta, poi il collegamento si è interrotto
costringendo il presidente del collegio, il giudice Paola Trovati, a sospendere
l’esame.
Nevio Coral |
Si è chiusa così, con un colpo di
scena, la giornata processuale del maxiprocesso alla ’ndrangheta, dopo ore di
racconti criminali, cocaina a fiumi, pistole nascoste tra la biancheria della
piccola Giulia e in cucina, soldi. Ma anche rivelazioni su sostegni elettorali.
«Bruno diceva di comandare lui a Cuorgnè» dice Rosetta. In aula, ad ascoltarla,
c’era anche Nevio Coral, ex sindaco di Leini, accusato di aver intrecciato
rapporti con la criminalità organizzata, suocero di Caterina Ferrero. Ma mentre
la nuora e l’ex sindaco di Rivarolo, Bertot, non sono finiti tra gli indagati,
lui si è ritrovato tra le decine di imputati.
Secondo Rosetta, Bruno e suo zio
Giovanni (in passato esponente del Psi) si occupavano di politica per «ottenere
favori». Per i santini Bruno riceveva buoni «benzina». Un giorno ha sentito i
due parlare di certi «lavori» con Coral. Nella casa di Bruno si tenevano
incontri e cene con presunti affiliati. Nella loro tavernetta si sarebbe
celebrato un «battesimo», investitura di ’ndrangheta. Bruno era «capo locale» a
Cuorgnè. L’uomo che, parlando in libertà nella sua Golf farcita di cimici, ha
svelato ai carabinieri i segreti della criminalità organizzata. E che gestiva
un night, «tirava» di cocaina, beveva come una spugna. E poi guardava il
telefilm su Totò Riina, «Il capo dei capi» e dal divano pronunciava di getto la
formula di affiliazione alla mafia, benché «’ndranghetista».
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