Oggi il sen. Giulio Andreotti compie 94 anni. Per non dimenticare cosa è stato, noi oggi ricordiamo l'assassinio di Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980) e la Sentenza Corte della Corte di Appello di Palermo, 2 maggio 2003, con le parole del Procuratore di Torino Gian Carlo Caselli,
Gli incontri tra Giulio Andreotti e
i boss mafiosi al fine di discutere il delitto Mattarella, e di cui parla Gian carlo Caselli, sono trattati nella
Sentenza Corte di Appello di Palermo 2 maggio 2003, Parte III cap. 2 pp.
1093-1185 Presidente Scaduti, Relatore Fontana.
In particolare, nelle
conclusioni si legge (pp. 1514-1515):
Piesanti Mattarella insieme al Presidente Sandro Pertini |
«(...) Del resto, ad ultimativo conforto
dell’assunto, basta considerare proprio la vicenda, assolutamente indicativa, che ruota attorno all’assassinio dell'on. Pier Santi Mattarella.
Anche
ammettendo la prospettata possibilità che l’imputato sia personalmente
intervenuto allo scopo di evitare una soluzione cruenta della questione
Mattarella, alla quale era certamente e nettamente contrario, appare alla Corte evidente che egli ( Giulio Andreotti . n.d.r.) nell’occasione non si è mosso secondo logiche istituzionali, che potevano
suggerirgli di respingere la minaccia alla incolumità del Presidente della
Regione facendo in modo che intervenissero per tutelarlo gli organi a ciò
preposti e, per altro verso, allontanandosi definitivamente dai mafiosi, anche
denunciando a chi di dovere le loro identità ed i loro disegni: il predetto,
invece, ha, sì, agito per assumere il controllo della situazione critica e
preservare la incolumità dell’on. Mattarella, che non era certo un suo sodale,
ma lo ha fatto dialogando con i mafiosi e palesando, pertanto, la volontà di
conservare le amichevoli, pregresse e fruttuose relazioni con costoro, che, in
quel contesto, non possono interpretarsi come meramente fittizie e strumentali.
A seguito del tragico epilogo della vicenda, poi, Andreotti non si è limitato a prendere atto, sgomento, che le sue
autorevoli indicazioni erano state inaspettatamente disattese dai mafiosi ed a
allontanarsi senz’altro dagli stessi, ma è "sceso" in Sicilia per
chiedere al boss Stefano Bontade conto della scelta di
sopprimere il Presidente della Regione: anche tale atteggiamento deve
considerarsi incompatibile con una pregressa disponibilità soltanto strumentale
e fittizia e, come già si è evidenziato, non può che leggersi come espressione
dell’intento (fallito per le ragioni già esposte in altra parte della sentenza)
di verificare, sia pure attraverso un duro chiarimento, la possibilità di
recuperare il controllo sull'azione dei mafiosi riportandola entro i
tradizionali canali di rispetto per la istituzione pubblica e di salvaguardare
le buone relazioni con gli stessi, nel quadro della aspirazione alla continuità
delle stesse.»
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