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mercoledì 27 dicembre 2017

Non tutti "I cristiani sono i primi ad aver dimenticato il Natale"

Nel giorno di  Natale viene pubblicato da HUFFPOST un articolo-intervista a Massimo Cacciari. Il titolo scelto per presentare la riflessione del filosofo è eloquente, apparentemente provocatorio: "I cristiani sono i primi ad aver dimenticato il Natale":"(...)Il Natale degli alberi in pivvuccì, degli acquisti online e i centri commerciali aperti tutto il giorno; il Natale della neve luccicante incollata sulle vetrine, delle barbe bianche, delle renne e delle slitte... Basta sapere che la nascita di Cristo non ha niente a che vedere con quello che vediamo intorno a noi. Il Natale è diventato un festa per bambini e adulti un po' scemi. Non c'è da levare alti lai contro il consumismo. C'è solo da riflettere, meditando con sobrietà e disincanto (...)".
Viviamo il tempo dell'aumento delle diseguaglianza e dell'esclusione -se non della soppressione- di coloro che non sono utili  e funzionali al "sistema", e pare "impossibile" opporsi a questo spirito del tempo che sembra poter sconfiggere ogni resistenza al suo imperativo. 
Massimo Cacciari invoca per la nostra società la necessita laica di ritrovare e riscoprire la necessità del confronto con l'impossibille, rappresentato dalla figura di Cristo): "(...) Perché è necessario avere come misura qualcosa che ci oltrepassa per riuscire a spingerci altrove. Cristo non predicava nei templi: predicava fuori, nelle strade. I suoi discepoli dicevano: "È fuori". Nel senso: "È fuori di testa, è pazzo". Eppure, Gesù ha segnato un prima e un dopo nella storia dell'uomo, ha creato il mondo culturale e antropologico in cui viviamo. C'è qualcosa di più realistico di questo? Senza quell'impossibilità niente ci spingerebbe a uscire da noi, a ri-orientare diversamente le nostre vite.
Perché dovremmo farlo? Per liberare il nostro tempo dalle sue miserie. Più la nostra epoca cirinserradentro di essa, più servono grandi idee, pensieri limite, parole ultime. Sono le uniche cose che ci possono sradicare dal tempo in cui viviamo.
Qui l'articolo-intervista a Massimo Cacciari) 
Alla riflessione di Cacciari vogliamo accostre l'articolo di Maurizio Pagliassotti, pubblicato su IL Manifesto, perchè, trattando del dramma delle  migrazioni di coloro che cercano di sfuggire a guerre, fame e povertà, l'articolo di Pagliassotti mostra una flebile luce di speranza nel comportamento eretico, "impossibile", di una comunità che decide di porsi "fuori dalle regole", misurandosi con l'impossibile più prossimo,  per rispondere ad un principio di giustizia e di umanità superiore. " La popolazione locale ha fatto intendere chiaramente a istituzioni, sindaco e gendarmeria in testa, che loro vogliono essere una piccola isola di accoglienza". 
Per chi è disposto a correre il rischio di morire assiderato, per chi è disposto a correre il rischio di incontrare dei lupi tra le foreste di larici e abeti, per chi è disposto a essere intercettato e respinto dalla gendarmeria francese che pattuglia le montagne, per tutti costoro una piccola casetta colorata di Briançon è il punto d’arrivo. 

La salvezza è una piccola casetta colorata a Briançon. 

di Maurizio Pagliassotti . 

Fonte "Il Manifesto" 27.12.29017

Migranti. Nella struttura dieci volontari danno ospitalità a 30 persone in arrivo dall’Africa. La popolazione locale ha fatto intendere chiaramente a istituzioni, sindaco e gendarmeria in testa, che loro vogliono essere una piccola isola di accoglienza
LA VOCE È CORSA fino a Ventimiglia, qualche mese fa: incastonata tra in mezzo alle Alpi francesi, a cento chilometri da Torino a circa dieci dal confine italo francese, esiste una enclave di umanità, rifugio per tutti coloro che stanno percorrendo la loro odissea che li porterà da un amico o un parente.
Il compito della gendarmeria è molto semplice: intercettare tutti coloro che tentano di arrivare in questa casetta a due piani, di proprietà comunale, che dista pochi metri dalla bella stazione ferroviaria. La gendarmeria li trova al confine del Monginevro, sul colle della Scala, lungo la linea fortificata del 1941 che corre sotto il monte Chaberton, ovunque. Una «caccia» resa ancora più semplice dal gelo e dalla neve, caduta in abbondanza per la gioia degli sciatori e la disperazione di chi tenta di passare dall’Italia alla Francia in ciabatte o poco più. Semplice perché l’ingresso nel paese da ovest, dall’Italia, ha una sola via e quindi basta mettersi al termine dell’imbuto per acciuffare tutti i sans papiers che arrivano. Oppure, ancora più semplice, la police potrebbe venire dentro l’enclave per fermare tutti, e fare piazza pulita, basterebbero dieci uomini e mezz’ora di tempo.
MA I GENDARMI non si presentano, preferiscono rimanere lungo le strade che dal confine portano a Briançon. Perché in questa bella cittadina turistica, circondata dai passi più sacri del Tour de France- Galibier, Izoard, Iséran la popolazione ha fatto intendere chiaramente alle istituzioni, sindaco e gendarmeria in testa, che loro vogliono essere una piccola isola di umanità in un tempestoso oceano di inutile rancore. Ed è molto meglio per tutti se la police rimane dov’è. Così, da questa estate la Municipalità ha messo a disposizione di alcuni volontari una struttura che accoglie quelli che ce la fanno, dà loro un letto, un pasto, assistenza medica, e qualche consiglio su come continuare l’avventura.
LA STRUTTURA è molto discreta perché si trova nella parte bassa del paese, lontano dal delizioso centro medioevale e dalle piste di sci. Operano una decina di bénévoles, volontari di Briançon, che danno ospitalità a circa trenta tra uomini, donne e bambini in arrivo dall’Africa. Ogni giorno dall’Italia giungono tre o quattro ragazzi. Le condizioni climatiche estreme delle ultime settimane hanno disincentivato il flusso, perché il rischio di morire assiderati è alto. Spesso un’organizzazione italo francese riesce a intercettare prima i migranti, a salvare loro la vita – non senza fatica perché la meta sembra a un passo e molti hanno sviluppato una propensione al rischio fuori scala, anche di morte per congelamento, che li rende ciechi di fronte al reale pericolo della montagna – e a portarli nell’enclave di Briançon.
LORO, I MIGRANTI, in qualche modo passano e si materializzano sulla porta d’ingresso, spesso vestiti che dovrebbero essere piumini, ma sono solo plastica trasparente, ai piedi scarpette da tennis. La loro salvezza ha una porta d’accesso piccola che dà su una calda cucina, dove dentro enormi marmitte bolle sempre qualcosa.
La mattina del 25 dicembre non prevede particolari celebrazioni: in una pentola si gettano interiora di vitello, funghi, cipolle, e altra roba: è il piatto forte con cui si onora il gran varietà religioso, tra musica e serenità.Cucinano un ragazzo della Guinea, Lucky – la cui vita è una storia che fa accapponare la pelle, fatta di schiavismo, brutalità e razzismo, «ma se non fosse stato per il mio nome sarei già morto mille volte, o farei lo schiavo» – e una signora francese che indossa una tuta da sci viola, verde, blu, gialla. Nell’ufficio della responsabile di questo punto di paradiso, una donna austera e gentile con lunghi capelli grigi raccolti in un ordinato chignon, organizza la parte conclusiva dell’Odissea per ognuno di loro. Da questo luogo ghiacciato sulle Alpi francesi mancano esattamente otto chilometri alla libertà.
LA NORMATIVA transalpina prevede che i sans papiers possano essere rispediti in Italia se intercettati entro venti chilometri dal confine: qui a Briançon ci troviamo a dodici dal confine di Claviere, alta val Susa. Ma le caratteristiche delle enclaves è che sono circondate: e questa non fa eccezione. Se l’accordo tra popolazione, volontari e istituzioni prevede che tra queste stanze viga l’umanità, appena al di là ci si trova nuovamente in terra di nessuno. E così gli ultimi otto chilometri, ma in realtà sono ben di più perché si ha notizia di respingimenti avvenuti a Grenoble, sono disseminati di controlli lungo le statali che corrono verso Lione e Gap.
Il problema è evidente: evitare in ogni modo che la police li intercetti e li rispedisca al confine italiano, da cui potrebbero essere rispediti nuovamente a Foggia: il tutto in tre giorni.
UN RAGAZZO GHANESE basso e tozzo risponde alla fatidica domanda: «E tu dove vuoi andare?» puntando il dito in un lontano punto su una mappa della Francia, scandisce il nome della sua terra promessa: Nior.
Lui dice che solo quando sarà là «da un mio amico che mi aspetta», inizierà l’iter burocratico che lo porterà fuori da questo limbo. Gli mancano solo mille chilometri, ma dopo il deserto libico, gli schiavisti, le frustate, la fame, la sete, il carcere, il gommone in mezzo al mare, il centro di raccolta di Foggia, tutta l’italia attraversata con il terrore di essere intercettato, le Alpi attraversate a piedi in un mare di neve, ecco dopo tutto questo i restanti mille chilometri gli sembrano poca cosa, la parte conclusiva, e nemmeno troppo pericolosa, di un lungo cammino che coprirà «chaque coût», ad ogni costo.

venerdì 9 gennaio 2015

PRESIDIO CONTRO LE VIOLENZE E I FANATISMI

Ieri abbiamo scritto: " Noi pensiamo che la migliore risposta che le comunità possono dare alla strage avvenuta nella redazione parigina di Charlie Hebdo sia quella di creare ponti di dialogo fra le religioni, azioni comuni,  rapporti incentrati sulla conoscenza e sul reciproco rispetto". Abbiamo ricordato il gesto del Vescovo di Pinerolo (qui l'articolo) e dato notizia del comunicato della Commissione della Diocesi di Pinerolo per il dialogo Islamo-Cristiano che condannava la  strage avvenuta a Parigi (leggi qui).

Oggi riceviamo l'invito di EMERGENCY - gruppo di Pinerolo per un presidio da tenersi domani mattina, ore 10.00 in Piazza Facta. 

                                              Aderiamo e Vi invitiamo a partecipare


Il comunicato di EMERCENGY - gruppo di Pinerolo:

La strage di Parigi ci ha lasciati addolorati, sgomenti, arrabbiati. Tutti sentiamo il bisogno di reagire. Ricordiamo quello che il premier norvegese Stoltenberg disse dopo la strage di Utoya del 2011: “Reagiremo con più democrazia, più apertura e più diritti”. 
Non vogliamo cedere alla paura e all’odio. Rifiutiamo la logica di chi divide il mondo in base alla religione, al colore della pelle, alla nazionalità. Rifiutiamo la logica di chi specula sulla morte per i propri interessi, alimentando una spirale di odio e violenza.

È il momento di stare insieme, di far sentire la voce di tutti quelli, e sono tanti, che di fronte alla morte e alla violenza rispondono con il dialogo, la solidarietà e la pratica dei diritti. Tutti quelli che non fanno distinzione tra le vittime di Utoya e Peshawar, di Baqa, di Baghdad, e Parigi, nel Mediterraneo e a New York. Tutti quelli che credono che diritti, democrazia e libertà siano l’unico antidoto alla guerra, alla violenza e al terrore. Dove l’odio divide, i diritti possono unire.


Vi aspettiamo, sabato 10 gennaio, alle 10 in piazza Facta a Pinerolo

EMERGENCY - gruppo di Pinerolo