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mercoledì 29 agosto 2012

Memoria e impegno."Il 29 agosto 1991 è stato assassinato Libero Grassi, imprenditore, un uomo coraggioso, ucciso dalla mafia, dall'omerta', dalle associazioni degli industriali, dall'indifferenza dei partiti e dall'assenza dello Stato"

Queste le parole del manifesto che ogni anno viene affisso sul muro nei pressi dell'abitazione dell'imprenditore Libero Grassi, ucciso a Palermo dai killer di Cosa  Nostra esattamente ventuno fa,  per essersi ribellato alla "legge" mafiosa del racket.


Nella cerimonia di commemorazione di questa mattina il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, ha fatto un appello agli imprenditori: "Bisogna fare capire agli imprenditori che ancora pagano per paura che non è più conveniente stare da quella parte. Perchè, purtroppo, molti sono ancora convinti che sia conveniente stare dalla parte sbagliata. Abbiamo elementi certi per ribadire che tanti pseudo imprenditori pensano di far parte di lobby o di consorzi illegali che li porta ad avere forniture più facili - ha detto Montante - Questi pseudoimprenditori - ha aggiunto - devono invece capire che è più facile stare dalla parte dello Stato".

In via Alfieri sono stare deposte tre corone di fiori e, come ogni anno, la figlia dell'imprenditore, con uno spray, ha spruzzato sul marciapiedi, proprio nel punto dell'agguato, della vernice rossa.

Il testo della lettera che Libero Grassi pubblicò sul Giornale di Sicilia in data 10 gennaio 1991
Caro estortore,
volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui.“ Libero Grassi  


Riprendiamo l'articolo pubblicato dall'Unita in data 28 agosto 2011 e nel quale si raccontava l'intervista di Miche Santoro a Libero Grassi, nella trasmissione Samarcanda:


«Caro estortore...non ti pago»:  la lettera che diede inizio alla battaglia 

Il 10 gennaio 1991 Libero Grassi scrisse una lettera al “Giornale di Sicilia”: «Caro estorsore...non ti pago». Dopo 8 mesi, il 29 agosto 1991, Cosa nostra lo ucciderà con cinque colpi di pistola calibro 38. La lettera è una pubblica rottura dell'omertà: l’imprenditore, il cittadino, sottoposto alle minacce degli estorsori, non solo rifiuta di pagare, ma accusa commercianti ed imprenditori siciliani di soggiacere passivamente alla coercizione mafiosa: il pizzo accettato come una tassa dovuta ad un sistema di potere parallelo, in cui sguazzano politici, imprenditori e mafiosi. La cui efficacia impositiva si misura in termini di silenziosa rassegnazione. 

intervista di Libero Grassi ."Samarcanda". 11 aprile 1991

La presa di posizione lo espone ad uno sconcertante isolamento: il presidente palermitano di Assindustria, Salvatore Cozzo, legato a Salvo Lima, minimizza la denuncia: una tammurriata per farsi un po’ di pubblicità. Michele Santoro lo invita a raccontare la sua storia a Samarcanda. È l’11 aprile 1991. Libero è di fronte alle telecamere. Lo sguardo è attento dietro gli occhiali da lettura. Alla domanda del conduttore: Lei si è trovato faccia a faccia con queste richieste di tangenti? Risponde: «Mi sono trovato più volte… ho subito due estorsioni, una rapina e altre intimidazioni».

Poi Libero Grassi sposta il discorso su un tema scottante rivolgendosi al giudice Di Maggio presente in studio: «Il giudice di Maggio ha detto il primato della legge, il primato della politica, il primato della morale. Ma c’è un primato superiore quello della qualità del consenso… la formazione del consenso che poi è l’arma della mafia. La prima cosa che controlla la mafia… è il voto… ad una cattiva raccolta di voti corrisponde una cattiva democrazia… la legge la fanno i politici… se i politici hanno un cattivo consenso faranno delle cattive leggi e allora noi dobbiamo curare la qualità del consenso. La mafia in Sicilia è il maggior interlocutore del problema politico in quanto dispone del voto, dei soldi e degli inserimenti nell’amministrazione, perché oramai è diventata ceto dominante». 



Santoro lo interrompe e lo stuzzica: "Perché non vuol pagare, lei è pazzo?"

Libero non ha sussulti, non si scompone, è quasi immobile: «Non sono pazzo, non mi piace pagare perché è una rinunzia alla mia dignità di imprenditore (significherebbe che) io divido le mie scelte con il mafioso». Si ferma per un istante prende un foglio dalla cartellina e legge una dichiarazione del giudice Luigi Russo in merito alle estorsioni: «Si può anche non pagare, ma chi non paga deve sapere bene cosa gli succede prima o poi… se tutti facessero così (non pagando) dalla Sicilia sparirebbero le imprese e migliaia di piccole aziende andrebbero in fiamme». 

Ora Libero si agita sulla poltrona e sgrana gli occhi guardando fisso il giornalista: «Dico al dott. Luigi Russo che lui dice se tutti si comportassero come me si distruggono le industrie, se tutti si comportano come me si distruggono gli estorsori non le industrie». Con un gesto d’impeto toglie gli occhiali e tira un sospiro ad occhi chiusi. 

Dopo vent’anni la testimonianza di Libero Grassi ci ricorda quanta strada è stata fatta nel campo della prevenzione e dell’assistenza alle vittime del racket. Rimane, tuttavia, di cocente attualità ed insoluto il tema della qualità del consenso elettorale, proprio ora che la «linea della palma», come scriveva Sciascia, ha raggiunto i lembi estremi del profondo nord.

 Marcello Ravveduto





domenica 1 aprile 2012

Vituzzu torna a casa

Il figlio di Tano Badalamenti è libero: il reato è stato prescritto . Per la verità non sappiamo se ci torna davvero: se ne sta da alcuni anni tranquillo, in Australia, non sappiamo che attività svolga per mantenersi, a meno che non disponga di parte dell'immenso patrimonio lasciatogli dal padre, in gran parte sequestrato. Vito Badalamenti, 55 anni, figlio del defunto boss di Cinisi don Tano era libero, ma latitante, adesso è solamente libero.

Era inserito nella lista dei dieci latitanti più pericolosi d'Italia , stilata dal Ministero degli Interni, non si sa in base a quali criteri, dopo la condanna, a sei anni, per associazione mafiosa, a seguito del processo maxi-quater , l'ultimo dei giudizi istruiti dal pool di Falcone, Borsellino e del giudice istruttore Leonardo Guarnotta, oggi presidente del tribunale di Palermo, che firmò il rinvio a giudizio ad una quarta parte del maxiprocesso.

Per sfuggire alla cattura, Badalamenti jr si diede alla latitanza, nel 1995: fu così condannato in contumacia, e la pena divenne definitiva il 17 dicembre 1999. Dal 22 novembre 2000 è stato spiccato nei suoi confronti un mandato d'arresto internazionale. Agli avvocati difensori è bastato attendere 12 anni, esattamente il doppio della pena inflitta per presentare, proprio la domanda di estinzione del reato il 17 dicembre scorso ed ottenere facilmente una sentenza di estinzione del reato.

Infatti la prima sezione della Corte d'appello di Palermo, presieduta da Gianfranco Garofalo, ha accolto il ricorso dei legali di Badalamenti, Paolo Gullo e Vito Ganci, i quali hanno chiesto la prescrizione appellandosi a una norma che prevede la libertà per il latitante che riesce a non finire in galera per un tempo doppio rispetto a quello della condanna. Trascorsi 12 anni di latitanza il reato è prescritto e Vituzzu è libero di poter tornare in Italia quando vuole, senza alcun conto da regolare con la giustizia. La sola misura ancora attiva – dopo che è caduta anche l'interdizione perpetua dai pubblici servizi – è la sorveglianza speciale, che lo costringerebbe a non allontanarsi da Cinisi, senza il permesso del giudice, a rientrare a casa prima delle 20 e a uscire dopo le 7. Dovrà comunque essere depennato dalla lista dei latitanti, facendo scorrere la graduatoria.

Lo stesso metodo è stato seguito più volte nella giurisprudenza italiana, come nel caso dei responsabili del delitto di Primavalle, non più perseguiti per lo stesso motivo. In questo caso la pericolosità oggettiva del soggetto lascia perplessi, ma lascia più stupefatti l'esistenza di una legge che premia la latitanza, anziché condannarla.

Il senatore Beppe Lumia, componente della Commissione Parlamentare Antimafia, ha detto: " È insopportabile vedere il figlio del boss Tano Badalamenti tornare in libertà a causa della prescrizione. Quel Tano Badalamenti che fece uccidere Peppino Impastato e che per troppi anni è rimasto impunito. Quanti sforzi sono stati fatti dai magistrati e dalle forze dell'ordine per fare giustizia, sforzi oggi andati in fumo". La prescrizione ,– ha aggiunto, – è il fallimento della giustizia italiana. Un problema del nostro Paese che deve essere superato con serietà e rigore. Ci sono diverse soluzioni legislative e amministrative per limitare i danni, dobbiamo trovare il coraggio di adottarle e metterle in pratica".

Vito, nato a Cinisi il 29 aprile 1954, è vissuto all'ombra del padre e lo ha seguito, assieme al fratello minore Leonardo, in tutte le sue vicissitudini e peregrinazioni dallo scoppio della seconda guerra di mafia, cioè da quando i corleonesi di Totò Riina decisero di far fuori la vecchia generazione di mafiosi, il cui rappresentante più autorevole era Gaetano Badalamenti, padre di Vito. Nel corso della guerra vennero eliminati, a Cinisi, una trentina di parenti e soldati dell'esercito di quelli che Mario Francese chiamava "guanti di velluto", cioè dei badalamentiani, e Vito lasciò Cinisi insieme al padre nel 1981 per emigrare prima in Brasile, poi in Spagna dove venne arrestato, l'8 aprile 1984 a seguito di una complessa operazione internazionale concordata da funzionari della Squadra Mobile, della Criminalpol palermitana, della Guardia di Finanza, della DEA (dipartimento antinarcotici americano), della polizia spagnola e di quella svizzera: l'imputazione era di avere organizzato il colossale traffico di droga definito "Pizza connection". Malgrado don Tano fosse richiesto dalla giustizia italiana, venne estradato dalla Spagna negli Stati Uniti nel 1984, assieme al figlio Vito, il quale ha trascorso 4 anni in carcere poiché non ha pagato la cauzione fissata in diversi milioni di dollari. Alla fine del processo, mentre Don Tano è stato condannato a 45 anni di prigione, Vito è stato assolto da tutte le accuse e, non sappiamo se risarcito. Su Wikipedia leggiamo: "La stampa lo accredita come latitante all'estero, in Brasile o forse in Australia, da dove continuerebbe a gestire affari con la mafia americana e con quella siciliana". Di fatto, dovunque sia, adesso Vituzzu potrà tornare in Sicilia, quantomeno per rivedere l'anziana madre Teresa Vitale. In quale casa non si sa, visto che la casa di Corso Umberto 180 a Cinisi è stata confiscata e affidata in parte al Comune e in parte alle due associazioni di amici e parenti di Peppino Impastato, vittima della ferocia assassina del padre Tano. Da questo aspetto l'avvocato Gullo, che non è riuscito a fare assolvere don Tano dall'accusa di omicidio, che non è riuscito a fermare il sequestro della casa di don Tano, dopo 15 anni di ricorsi, è riuscito invece a fare liberare Vituzzo, il quale, se vuole, potrà dimorare nelle stalle malconce del feudo di Dainasturi, non sequestrato perché acquistato o posseduto prima del 1952, anno in cui Badalamenti padre avrebbe iniziato la sua carriera criminale.

Lo scrivente, che è presidente di una delle due associazioni e che pertanto ha la chiave della casa, è disposto a fargliela visitare, per tutto il tempo che crede, qualora egli avesse nostalgia di rivedere i luoghi in cui è nato ed è cresciuto. Che non vada però oltre un'intera giornata. Poi abbiamo da fare altre cose. Rimane da chiedersi se, nel caso di rientro di Vituzzu, il sindaco di Cinisi non si comporterà come il sindaco di Corleone Jannazzo, che ha giudicato negativamente il ritorno del figlio di Totò Riina, giudicandolo "indesiderabile", oppure se se ne starà zitto, mentre, magari, qualche cinisaro andrà a scrivere sui muri, come è stato fatto a Corleone: "Bentornato Vituzzu".Salvo Vitale Anitmafia2000

venerdì 30 marzo 2012

Torna libero il figlio del boss Badalamenti


Vito, 55 anni, era stato condannato nel 1999 ed era fuggito in Australia. Accolto il ricorso dei legali: può usufruire del diritto di chi è riuscito a non finire in galera per un tempo doppio rispetto a quello della condanna. E' nella lista dei dieci latitanti più pericolosi stilata dal Viminale. 

 

Il figlio del defunto boss di Cinisi Tano Badalamenti, Vito, 55 anni, sul quale dal 1999 pendeva una condanna definitiva a sei anni per mafia - mai eseguita - è un uomo libero: la prima sezione della Corte d'appello di Palermo, presieduta da Gianfranco Garofalo, ha accolto il ricorso dei legali di Badalamenti, Paolo Gullo e Vito Ganci.

Nella lista dei dieci latitanti più pericolosi stilata dal Viminale e condannato al "maxiquater", Badalamenti jr. ora può usufruire del diritto di chi è riuscito a non finire in galera per un tempo doppio rispetto a quello della condanna. La non esecuzione della pena, passati 12 anni, gli garantisce di poter tornare in Italia, dall'Australia, dove ha trovato rifugio, come uomo libero. L'unica misura ancora attiva - dopo che è caduta anche l'interdizione perpetua dai pubblici servizi - è la sorveglianza speciale, che lo costringerebbe a non allontanarsi da Cinisi, senza il permesso del giudice, a rientrare a casa prima delle 20 e a uscire dopo le 7.

Il figlio di don Tano era stato condannato a sei anni di reclusione nell'ultimo dei giudizi istruiti dal pool di Falcone, Borsellino e del giudice istruttore Leonardo Guarnotta. Nel 1995 Badalamenti si diede alla latitanza, la pena a sua carico divenne definitiva il 17 dicembre del 1999. Ora, dopo 12 anni in fuga, i suoi legali si sono presentati alla Corte d'appello ottenendo la prescrizione.


Fonte: La Repubblica