Nella serata di lunedì 17 dicembre il "guitto" Roberto Benigni, commentando quella che da molti viene ritenuta il documento fra i più belli che siano stati promulgati a fondamento di una nazione, la Costituzione Italiana, ha in realtà ripreso temi e suggestioni di un discorso "dimenticato" da molti: Il discorso è quello pronunciato da Piero Calamandrei a Milano, nel salone degli Affreschi della Società Umanitaria, il 26 gennaio 1955. Si doveva svolgere allora un ciclo di conferenze sulla Costituzione italiana
organizzato da un gruppo di studenti
universitari e medi e Piero Calamandrei tenne una "lezione" introduttiva che dovrebbe costituire il testo fondamentale dell'educazione civica degli italiani.
Piero Calamandrei |
Il discorso di Piero Calamandrei. Milano, 26 gennaio 1955.
L’art.34 dice:” I capaci e i
meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Eh! E se
non hanno i mezzi? Allora nella nostra costituzione c’è un articolo che è il più importante di tutta la
costituzione, il più impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che
avete l’avvenire davanti a voi. Dice così:
”E’ compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di
tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
E’ compito di rimuovere gli
ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una
giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo.
Soltanto quando questo sarà
raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’art. primo- “L’Italia è una
Repubblica democratica fondata sul lavoro “- corrisponderà alla realtà. Perché fino a che
non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio
lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul
lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in
cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una
uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una
democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in
grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze
spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di
tutta la società.
E allora voi capite da questo che
la nostra costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un
impegno di lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro
vi sta dinanzi!
E‘ stato detto giustamente che le
costituzioni sono anche delle polemiche, che negli articoli delle costituzioni c’è sempre anche se dissimulata
dalla formulazione fredda delle disposizioni, una polemica. Questa polemica, di solito è una
polemica contro il passato, contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuori
il nuovo regime.
Se voi leggete la parte della
costituzione che si riferisce ai rapporti civili politici, ai diritti di libertà, voi sentirete continuamente la polemica contro
quella che era la situazione prima della Repubblica, quando tutte queste libertà, che oggi sono
elencate e riaffermate solennemente, erano sistematicamente disconosciute. Quindi,
polemica nella parte dei diritti dell’uomo e del cittadino contro il passato.
Ma c’è una parte della nostra
costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società presente. Perché quando l’art. 3 vi dice: “ E’
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il
pieno sviluppo della persona umana” riconosce che questi ostacoli oggi vi sono
di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo contro
l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo strumento di
legalità, di trasformazione graduale, che la costituzione ha messo a disposizione dei cittadini
italiani.
Ma non è una costituzione immobile
che abbia fissato un punto fermo, è una costituzione che apre le vie verso l’avvenire. Non voglio dire
rivoluzionaria, perché per rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qualche cosa che sovverte
violentemente, ma è una costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa
società in cui può accadere che, anche
quando ci sono, le libertà giuridiche e
politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche, dalla
impossibilità -per molti cittadini- di
essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che
se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anche essa
contribuire al progresso della società.
Quindi, polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è
in noi per trasformare questa situazione
presente.
Però, vedete, la costituzione non
è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un pezzo di carta: la lascio
cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile,
bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria
responsabilità.
Per questo una delle offese che si fanno alla costituzione è l’indifferenza alla politica,
l’indifferentismo politico che è -non qui, per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghe categorie
di giovani- una malattia dei giovani. ”La
politica è una brutta cosa”, “che me ne importa della politica”: quando sento
fare questo discorso, mi viene sempre in
mente quella vecchia storiellina,, che qualcheduno di voi conoscerà, di quei
due emigranti, due contadini, che traversavano l’oceano su un piroscafo
traballante. Uno di questi contadini
dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran
burrasca con delle onde altissime e il
piroscafo oscillava: E allora questo contadino impaurito domanda a un marinaio: “Ma siamo in
pericolo?”, e questo dice: “Se continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora affonda”. Allora lui
corre nella stiva svegliare il compagno e dice: “Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare, il
bastimento fra mezz’ora affonda!”. Quello dice: ” Che me ne importa, non è mica mio!”. Questo è
l’indifferentisno alla politica.
E’ così bello, è così comodo: la
libertà c’è. Si vive in regime di libertà, c’è altre cose da fare che interessarsi alla politica. E lo so anch’io!
Il mondo è così bello, ci sono tante cose belle da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La
politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale
quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione
hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di
non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le
condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno
che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.
La costituzione, vedete, è
l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario non sono belli, ma è l’affermazione solenne
della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo
per tutti questo bastimento. E’ la carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi della
propria dignità di uomo.
Io mi ricordo le prime elezioni
dopo la caduta del fascismo, il 2 giugno
1946, questo popolo che da venticinque
anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, la prima volta che andò a
votare dopo un periodo di orrori- il
caos, la guerra civile, le lotte le guerre, gli incendi. Ricordo- io ero a
Firenze, lo stesso è capitato qui-
queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta perché avevano la sensazione di aver ritrovato
la propria dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare
questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio paese, del nostro paese,
della nostra patria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese.
Quindi, voi giovani alla
costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il
senso civico, la coscienza civica, rendersi conto- questa è una delle gioie della vita- rendersi conto
che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in più, che siamo parte di un tutto, nei limiti
dell’Italia e nel mondo.
Ora vedete- io ho poco altro da
dirvi-, in questa costituzione, di cui sentirete fare il commento nelle prossime conferenze, c’è dentro tutta la
nostra storia, tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti
sfociati in questi articoli. E a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci
lontane.
Quando io leggo nell’art. 2,
”l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, o quando leggo,
nell’art. 11, “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, la
patria italiana in mezzo alle alte patrie, dico: ma questo è Mazzini; o quando io leggo, nell’art. 8,
“tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”, ma questo è Cavour;
quando io leggo, nell’art. 5, “la Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie
locali”, ma questo è Cattaneo; o quando, nell’art. 52, io leggo, a proposito delle forze
armate,”l’ordinamento delle forze armate
si informa allo spirito democratico
della Repubblica” esercito di popolo, ma questo è Garibaldi; e quando leggo, all’art.
27, “non è ammessa la pena di morte”, ma questo, o studenti milanesi, è
Beccaria. Grandi voci lontane, grandi
nomi lontani.
Ma ci sono anche umili nomi, voci
recenti. Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa costituzione! Dietro a ogni articolo di questa
costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati,
impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in
Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la
libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una
carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti.
Se voi volete andare in
pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle
carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per
riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione.
Piero Calamandrei.
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