Primo Maggio: Festa del Lavoro, Primo maggio 1947: Strage di Portella delle Ginestre.
Un filo rosso-sangue fa sì che in Italia ancora oggi sia forte il "ricatto del lavoro", tanto che c'è davvero poco da festeggiare e ancora tanto per cui dover lottare: per coloro che hanno perso il lavoro; per coloro che un lavoro non l'hanno mai avuto; per coloro che lavorano senza diritti; per coloro che sul lavoro perdono la vita.
la stele che ricorda la strage di Portella delle Ginestre avvenuta il 1 maggio 1947
Il presidente Mattarella: "Mille morti sul lavoro in un anno rappresentano una tragedia inimmaginabile. Ciascuna di esse è inaccettabile.E' ben noto che il lavoro è una delle leve più importanti di progresso, di coesione sociale. Per le famiglie italiane ha c ostituito il vettore principale del miglioramento sociale nei decenni trascorsi".
Nei primi quattro mesi del 2024 sono stati già più di 350 le vittime del Lavoro in Italia: uno scandalo che non provoca indignazione
La Strage di Portella della Ginestra, Primo maggio 1947, viene considerata la prima "strage di stato", l'inizio di quella che negli anni successivi verrà detta "strategia della tensione": spargere sangue innocente per impedire che le cose cambino, oppure per indirizzare il cambiamento nella direzione voluta da un potere oscuro e "mafioso". La connivenza, la complicità, fra mala-politica e mafie è poi un corollario drammatico, scandaloso, inequivocabile, provato.
Scandaloso è vedere come alcuni comportamenti del "potere" sembrano ricalcare i principi del potere mafioso: così come i capi-mafia siciliani distribuivano le terre ai contadini (non per merito bensì per "appartenenza,fedeltà o contiguità", per ricatto!) così il "potere" concede spesso il Lavoro: incarichi, nomine, accreditamenti, distribuiti secondo "familismi amorali" oppure a premiare "indicibili meriti".
Da principio fondamentale di una nazione, il Lavoro è diventato merce di scambio, regalia per compensare e premiare amici e servi del potere, costruendo nel contempo regole-norme a privilegiare i cosiddetti "poteri-forti": elemento chiave che ha reso possibile da un lato l'incremento delle diseguaglianze e dall'altro l'accumulazione di ricchezza nelle mani di "soliti noti": uno scambio che fortifica "il ricatto del Lavoro".
Anche contro questo, contro il ricatto del lavoro, manifestavano i contadini di quel 1° maggio del 1947 a Portella della Ginestra.
Le parole di Serafino Petta, sopravvissuto alla strage dei contadini di Portella della Ginestra, che fece 12 morti e 27 feriti.
«Ci eravamo dati appuntamento per festeggiare il Primo maggio ma anche l’avanzata della sinistra all’ultima tornata elettorale e per manifestare contro il latifondismo. Non era neanche arrivato l’oratore quando sentimmo degli spari. Avevo 16 anni, pensavo che fossero i petardi della festa, ma alla seconda raffica ho capito. Ho cominciato a cercare mio padre, non l’ho trovato. Quello che ho visto sono i corpi distesi per terra. I primi due erano di donne: la prima morta, sua figlia incinta ferita. Questa scena ce l’ho ancora oggi negli occhi, non la posso dimenticare». A sparare fu la banda di Salvatore Giuliano, «i mandanti non si conoscono ancora ma ad armare la sua mano furono la mafia, i politici e i grandi feudatari», spiega. «Volevano farci abbassare la testa perché lottavamo contro un sistema in cui poche persone possedevano migliaia di ettari di terra e vi facevano pascolare le pecore, mentre i contadini facevano la fame. Un mese dopo successe però una cosa importante: «Tornammo qua a commemorare i morti senza paura, “Non ci fermerete”, gridavamo tutti e non ci hanno fermati. Abbiamo cominciato la lotta per la riforma agraria e nel ‘52 abbiamo ottenuto 150 assegnatari di piccoli lotti. Ma neanche loro si sono fermati, e a giugno bruciarono sedi di Cgil e partito comunista, poi nel mirino finirono anche i sindacalisti».
Liliana Segre scelse la parola INDIFFERENZAaffinchè venisse impressa sul muro che accoglie i visitatori del "Binario 21", divenuto il Memoriale della Shoah di Milano .
Vogliamo sottolineare il passaggio della lettera che Annalisa Savino, Preside del Liceo Scientifico "Leonardo Da Vinci " di Firenze, ha voluto indirizzare ai suoi studenti, ma anche ai genitori degli studenti e ai docenti dell'istituto,a seguito del pestaggio di cui sono state vittime alcuni studenti dell'istituto, passaggio nel quale si richiama il sentimento della INDIFFERENZA come condizione essenziale alla affermazione del fascismo italiano: "(...) Il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. E' nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti. "Odio gli indifferenti" diceva un grande italiano, Antonio Gramsci, che i fascisti chiusero in un carcere fino alla morte, impauriti come conigli dalla forza delle sue idee.(...)".
Agli studenti e p. c. alle loro famiglie ai
docenti
alla DSGA e al personale ATA
Oggetto: messaggio sui fatti di via della Colonna
Cari studenti,
in
merito a quanto accaduto lo scorso sabato davanti al Liceo Michelangiolo di
Firenze, al dibattito, alle reazioni e alle omesse reazioni, ritengo che ognuno
di voi abbia già una sua opinione, riflettuta e immaginata da se, considerato
che l'episodio coinvolge vostri coetanei e si è svolto davanti a una scuola
superiore, come lo è la vostra. Non vi tedio dunque, ma mi preme ricordarvi
solo due cose.
Il
fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. E'
nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per
motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti.
"Odio gli indifferenti" diceva un grande italiano, Antonio Gramsci,
che i fascisti chiusero in un carcere fino alla morte, impauriti come conigli
dalla forza delle sue idee.
Inoltre, siate consapevoli
che è in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso
piede e fondato le loro fortune, rovinando quelle di intere generazioni. Nei
periodi di incertezza, di sfiducia collettiva nelle istituzioni, di sguardo
ripiegato dentro al proprio recinto, abbiamo tutti bisogno di avere fiducia nel
futuro e di aprirci al mondo, condannando sempre la violenza e la prepotenza.
Chi decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in
contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri, va lasciato solo, chiamato
con il suo nome, combattuto con le idee e con la cultura. Senza illudersi che
questo disgustoso rigurgito passi da sé. Lo pensavano anche tanti italiani per
bene cento anni fa ma non è andata così.
"Perché siamo tutti in pericolo.(...)Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone. (...)"
Il dovere della Memoria. Pier Paolo Pasolini, ucciso la notte del 2 novembre 1975 sulla spiaggia dell'Idroscalo di Ostia. "Una storia sbagliata", come canterà Fabrizio De André nella canzone a Lui dedicata: l'ennesimo delitto italiano di cui ,ancora oggi, è negata-nascosta la Verità.
Pier Paolo Pasolini è "intellettuale scomodo", "Io so ma non ho le prove" uomo dalle mille contraddizioni, ma pure colui che in maniera "eretica" analizza e predice la condizione di degrado -civile e morale- a cui la società italiana si andava incamminando. Ancora oggi appaiono drammaticamente profetiche le sue analisisui falsi miti della modernità; sul nascente fenomeno del "consumismo"; sul decadimento dei valori e dei legami affettivi e culturali delle comunità; sulla "trasformazione antropologica” che gli italiani parevano subire, aderendo a modelli di cui oggi avvertiamo -con colpevole ritardo- la vacuità e la insostenibilità; sulla "speculazione edilizia" che avrebbe deturpato per sempre luoghi e paesaggi italiani.
Riproponiamo il ricordo per immagini che Nanni Moretti dedicò a Pier Paolo Pasolini, la riflessione di pasolini su "La forma della città",l'ultima intervista rilasciata a Furio Colombo.
Fra le tante cose su cui Pasolini riflette in quella intervista colpisce un passaggio: "(...) Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone. (...)". Ancora una volta, per l'ultima volta, Pasolini appare "profetico" quando vediamo coloro che hanno costruito, e continuano a costruire, carriere e privilegi personali (o di casta) fingendosi difensori dei deboli, paladini di legalità o di buona politica.
Ancora una volta, per l'ultima volta, Pasolini appare "profetico" anche con se stesso: "(...) Lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci sono anche i miei libri e i miei film. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo".
il ricordo di Nanni Moretti
"La forma della città"
La
riflessione di Pasolini sul Fascismo e sul paesaggio contenuta nel
documentario "La forma della città". Riflettendo
sulla forma della città di Orte, Pasolini offre una analisi
impietosa e profonda del nascente fenomeno della "speculazione
edilizia" alimentata dal "boom economico che l'Italia conobbe
negli anni del secondo dopoguerra. Secondo Pasolini, mentre il fascismo non era riuscito a modificare la
realtà e la cultura dell’Italia se non per alcuni caratteri
esteriori, più pericoloso per il patrimonio
culturale italiano appare il processo di omologazione condotto
dalla cosiddetta "civiltà dei consumi" (di cui strumento
principe è "la televisione" (!) con la
sua pervasività e capacità di suggestione e
indottrinamento), capace di distruggere e disgregare le realtà
locali, il "genius loci", le peculiarità dei territori italiani, appiattendoli e
snaturandoli per mezzo di una
infinita lottizzazione speculativa. Pasolini si erge
così a primo difensore di quello che lui chiama "il passato
senza nome", ovvero la forma della città, il paesaggio
italiano, ponendo l'attenzione sulla necessità di avere cura del
territorio e rispetto verso quel patrimonio "anonimo" frutto della storia di una comunità, fondamento di uno sviluppo meditato e sostenibile.
Furio Colombo:"Questa intervista ha avuto luogo sabato 1° novembre (1975), fra le 4 e le 6 del pomeriggio, poche ore prima che Pasolini venisse assassinato. Voglio precisare che il titolo dell’incontro che appare in questa pagina è suo, non mio. Infatti alla fine della conversazione che spesso, come in passato, ci ha trovati con persuasioni e punti di vista diversi, gli ho chiesto se voleva dare un titolo alla sua intervista. Ci ha pensato un po’, ha detto che non aveva importanza, ha cambiato discorso, poi qualcosa ci ha riportati sull’argomento di fondo che appare continuamente nelle risposte che seguono. «Ecco il seme, il senso di tutto – ha detto – Tu non sai neanche chi adesso sta pensando di ucciderti. Metti questo titolo, se vuoi: “Perché siamo tutti in pericolo”».
"Perché siamo tutti in pericolo"
- Furio Colombo: "Pasolini, tu hai dato nei tuoi articoli e nei tuoi scritti, molte versioni di ciò che detesti. Hai aperto una lotta, da solo, contro tante cose, istituzioni, persuasioni, persone, poteri. Per rendere meno complicato il discorso io dirò «la situazione», e tu sai che intendo parlare della scena contro cui, in generale ti batti. Ora ti faccio questa obiezione. La «situazione» con tutti i mali che tu dici, contiene tutto ciò che ti consente di essere Pasolini. Voglio dire: tuo è il merito e il talento. Ma gli strumenti? Gli strumenti sono della «situazione». Editoria, cinema, organizzazione, persino gli oggetti. Mettiamo che il tuo sia un pensiero magico. Fai un gesto e tutto scompare. Tutto ciò che detesti. E tu? Tu non resteresti solo e senza mezzi? Intendo mezzi espressivi, intendo…"
- Pier Paolo Pasolini: "Sì, ho capito.Ma io non solo lo tento, quel pensiero magico, ma ci credo. Non in senso medianico. Ma perché so che battendo sempre sullo stesso chiodo può persino crollare una casa. In piccolo un buon esempio ce lo danno i radicali, quattro gatti che arrivano a smuovere la coscienza di un Paese (e tu sai che non sono sempre d’accordo con loro, ma proprio adesso sto per partire, per andare al loro congresso). In grande l’esempio ce lo dà la storia. Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali. I pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzionare deve essere grande, non piccolo, totale, non su questo o quel punto, «assurdo» non di buon senso. Eichmann, caro mio, aveva una quantità di buon senso. Che cosa gli è mancato? Gli è mancato di dire no su, in cima, al principio, quando quel che faceva era solo ordinaria amministrazione, burocrazia. Magari avrà anche detto agli amici, a me quell’Himmler non mi piace mica tanto. Avrà mormorato, come si mormora nelle case editrici, nei giornali, nel sottogoverno e alla televisione. Oppure si sarà anche ribellato perché questo o quel treno si fermava, una volta al giorno per i bisogni e il pane e acqua dei deportati quando sarebbero state più funzionali o più economiche due fermate. Ma non ha mai inceppato la macchina. Allora i discorsi sono tre. Qual è, come tu dici, «la situazione», e perché si dovrebbe fermarla o distruggerla. E in che modo.
- Furio Colombo: Ecco, descrivi allora la «situazione». Tu sai benissimo che i tuoi interventi e il tuo linguaggio hanno un po’ l’effetto del sole che attraversa la polvere. È un’immagine bella ma si può anche vedere (o capire) poco.
- Pier Paolo Pasolini:Grazie per l’immagine del sole, ma io pretendo molto di meno. Pretendo che tu ti guardi intorno e ti accorga della tragedia. Qual è la tragedia? La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra. E noi, gli intellettuali, prendiamo l’orario ferroviario dell’anno scorso, o di dieci anni prima e poi diciamo: ma strano, ma questi due treni non passano di li, e come mai sono andati a fracassarsi in quel modo? O il macchinista è impazzito o è un criminale isolato o c’è un complotto. Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità. Che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori. E facile, è semplice, è la resistenza. Noi perderemo alcuni compagni e poi ci organizzeremo e faremo fuori loro, o un po’ per uno, ti pare? Eh lo so che quando trasmettono in televisione Parigi brucia tutti sono lì con le lacrime agli occhi e una voglia matta che la storia si ripeta, bella, pulita (un frutto del tempo è che «lava» le cose, come la facciata delle case). Semplice, io di qua, tu di là. Non scherziamo sul sangue, il dolore, la fatica che anche allora la gente ha pagato per «scegliere». Quando stai con la faccia schiacciata contro quell’ora, quel minuto della storia, scegliere è sempre una tragedia. Però, ammettiamolo, era più semplice. Il fascista di Salò, il nazista delle SS, l’uomo normale, con l’aiuto del coraggio e della coscienza, riesce a respingerlo, anche dalla sua vita interiore (dove la rivoluzione sempre comincia).
Ma adesso no. Uno ti viene incontro vestito da amico, è gentile, garbato, e «collabora»(mettiamo alla televisione) sia per campare sia perché non è mica un delitto. L’altro – o gli altri, i gruppi – ti vengono incontro o addosso – con i loro ricatti ideologici, con le loro ammonizioni, le loro prediche, i loro anatemi e tu senti che sono anche minacce. Sfilano con bandiere e con slogan, ma che cosa li separa dal «potere»?
- Furio Colombo: Che cos’è il potere, secondo te, dove è, dove sta, come lo stani?
- Pier Paolo Pasolini:Il potere è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri.Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra di Borsa uso quella. Altrimenti una spranga. E quando uso una spranga faccio la mia violenza per ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? Perché mi hanno detto che è una virtù volerlo. Io esercito il mio diritto-virtù. Sono assassino e sono buono.
- Furio Colombo:Ti hanno accusato di non distinguere politicamente e ideologicamente, di avere perso il segno della differenza profonda che deve pur esserci fra fascisti e non fascisti, per esempio fra i giovani.
- Pier Paolo Pasolini:Per questo ti parlavo dell’orario ferroviario dell’anno prima. Hai mai visto quelle marionette che fanno tanto ridere i bambini perché hanno il corpo voltato da una parte e la testa dalla parte opposta? Mi pare che Totò riuscisse in un trucco del genere. Ecco io vedo così la bella truppa di intellettuali, sociologi, esperti e giornalisti delle intenzioni più nobili, le cose succedono qui e la testa guarda di là. Non dico che non c’è il fascismo. Dico: smettete di parlarmi del mare mentre siamo in montagna. Questo è un paesaggio diverso. Qui c’è la voglia di uccidere. E questa voglia ci lega come fratelli sinistri di un fallimento sinistro di un intero sistema sociale. Piacerebbe anche a me se tutto si risolvesse nell’isolare la pecora nera. Le vedo anch’io le pecore nere. Ne vedo tante. Le vedo tutte. Ecco il guaio, ho già detto a Moravia: con la vita che faccio io pago un prezzo… È come uno che scende all’inferno. Ma quando torno – se torno – ho visto altre cose, più cose. Non dico che dovete credermi. Dico che dovete sempre cambiare discorso per non affrontare la verità.
- Furio Colombo: E qual è la verità?
- Pier Paolo Pasolini: Mi dispiace avere usato questa parola. Volevo dire «evidenza». Fammi rimettere le cose in ordine. Prima tragedia: una educazione comune, obbligatoria e sbagliata che ci spinge tutti dentro l’arena dell’avere tutto a tutti i costi. In questa arena siamo spinti come una strana e cupa armata in cui qualcuno ha i cannoni e qualcuno ha le spranghe. Allora una prima divisione, classica, è «stare con i deboli». Ma io dico che, in un certo senso tutti sono i deboli, perché tutti sono vittime. E tutti sono i colpevoli, perché tutti sono pronti al gioco del massacro. Pur di avere.L’educazione ricevuta è stata: avere, possedere, distruggere.
- Furio Colombo: Allora fammi tornare alla domanda iniziale. Tu, magicamente abolisci tutto. Ma tu vivi di libri, e hai bisogno di intelligenze che leggono. Dunque, consumatori educati del prodotto intellettuale. Tu fai del cinema e hai bisogno non solo di grandi platee disponibili (infatti hai in genere molto successo popolare, cioè sei «consumato» avidamente dal tuo pubblico) ma anche di una grande macchina tecnica, organizzativa, industriale, che sta in mezzo. Se togli tutto questo, con una specie di magico monachesimo di tipo paleo-cattolico e neo-cinese, che cosa ti resta?
- Pier Paolo Pasolini: A me resta tutto, cioè me stesso, essere vivo, essere al mondo, vedere, lavorare, capire. Ci sono cento modi di raccontare le storie, di ascoltare le lingue, di riprodurre i dialetti, di fare il teatro dei burattini. Agli altri resta molto di più. Possono tenermi testa, colti come me o ignoranti come me. Il mondo diventa grande, tutto diventa nostro e non dobbiamo usare né la Borsa, né il consiglio di amministrazione, né la spranga, per depredarci. Vedi, nel mondo che molti di noi sognavano (ripeto: leggere l’orario ferroviario dell’anno prima, ma in questo caso diciamo pure di tanti anni prima) c’era il padrone turpe con il cilindro e i dollari che gli colavano dalle tasche e la vedova emaciata che chiedeva giustizia con i suoi pargoli. Il bel mondo di Brecht, insomma.
- Furio Colombo: Come dire che hai nostalgia di quel mondo.
- Pier Paolo Pasolini: No! Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone. Poiché erano esclusi da tutto nessuno li aveva colonizzati. Io ho paura di questi negri in rivolta, uguali al padrone, altrettanti predoni, che vogliono tutto a qualunque costo. Questa cupa ostinazione alla violenza totale non lascia più vedere «di che segno sei». Chiunque sia portato in fin di vita all’ospedale ha più interesse – se ha ancora un soffio di vita – in quel che gli diranno i dottori sulla sua possibilità di vivere che in quel che gli diranno i poliziotti sulla meccanica del delitto. Bada bene che io non faccio né un processo alle intenzioni né mi interessa ormai la catena causa effetto, prima loro, prima lui, o chi è il capo-colpevole. Mi sembra che abbiamo definito quella che tu chiami la «situazione». È come quando in una città piove e si sono ingorgati i tombini. l’acqua sale, è un’acqua innocente, acqua piovana, non ha né la furia del mare né la cattiveria delle correnti di un fiume. Però, per una ragione qualsiasi non scende ma sale. È la stessa acqua piovana di tante poesiole infantili e delle musichette del «cantando sotto la pioggia». Ma sale e ti annega? Se siamo a questo punto io dico: non perdiamo tutto il tempo a mettere una etichetta qui e una là. Vediamo dove si sgorga questa maledetta vasca, prima che restiamo tutti annegati.
- Furio Colombo: E tu, per questo, vorresti tutti pastorelli senza scuola dell’obbligo, ignoranti e felici.
- Pier Paolo Pasolini: Detta così sarebbe una stupidaggine. Ma la cosiddetta scuola dell’obbligo fabbrica per forza gladiatori disperati. La massa si fa più grande, come la disperazione, come la rabbia. Mettiamo che io abbia lanciato una boutade (eppure non credo) Ditemi voi una altra cosa. S’intende che rimpiango la rivoluzione pura e diretta della gente oppressa che ha il solo scopo di farsi libera e padrona di se stessa. S’intende che mi immagino che possa ancora venire un momento così nella storia italiana e in quella del mondo. Il meglio di quello che penso potrà anche ispirarmi una delle mie prossime poesie. Ma non quello che so e quello che vedo. Voglio dire fuori dai denti: io scendo all’inferno e so cose che non disturbano la pace di altri. Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi. È vero che sogna la sua uniforme e la sua giustificazione (qualche volta). Ma è anche vero che la sua voglia, il suo bisogno di dare la sprangata, di aggredire, di uccidere, è forte ed è generale. Non resterà per tanto tempo l’esperienza privata e rischiosa di chi ha, come dire, toccato «la vita violenta».Non vi illudete. E voi siete, con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la sua bella etichetta. A me questa sembra un’altra, delle tante operazioni della cultura di massa. Non potendo impedire che accadano certe cose, si trova pace fabbricando scaffali.
- Furio Colombo: Ma abolire deve per forza dire creare, se non sei un distruttore anche tu. I libri per esempio, che fine fanno? Non voglio fare la parte di chi si angoscia più per la cultura che per la gente. Ma questa gente salvata, nella tua visione di un mondo diverso, non può essere più primitiva (questa è un’accusa frequente che ti viene rivolta) e se non vogliamo usare la repressione «più avanzata»…
- Pier Paolo Pasolini: Che mi fa rabbrividire.
- Furio Colombo: Se non vogliamo usare frasi fatte, una indicazione ci deve pur essere. Per esempio, nella fantascienza, come nel nazismo, si bruciano sempre i libri come gesto iniziale di sterminio. Chiuse le scuole, chiusa la televisione, come animi il tuo presepio?
- Pier Paolo Pasolini: Credo di essermi già spiegato con Moravia. Chiudere, nel mio linguaggio, vuol dire cambiare. Cambiare però in modo tanto drastico e disperato quanto drastica e disperata è la situazione. Quello che impedisce un vero dibattito con Moravia ma soprattutto con Firpo, per esempio, è che sembriamo persone che non vedono la stessa scena, che non conoscono la stessa gente, che non ascoltavano le stesse voci. Per voi una cosa accade quando è cronaca, bella, fatta, impaginata, tagliata e intitolata. Ma cosa c’è sotto? Qui manca il chirurgo che ha il coraggio di esaminare il tessuto e di dire: signori, questo è cancro, non è un fatterello benigno. Cos’è il cancro? È una cosa che cambia tutte le cellule, che le fa crescere tutte in modo pazzesco, fuori da qualsiasi logica precedente. È un nostalgico il malato che sogna la salute che aveva prima, anche se prima era uno stupido e un disgraziato? Prima del cancro, dico. Ecco prima di tutto bisognerà fare non solo quale sforzo per avere la stessa immagine. Io ascolto i politici con le loro formulette, tutti i politici e divento pazzo. Non sanno di che Paese stanno parlando, sono lontani come la Luna. E i letterati. E i sociologi. E gli esperti di tutti i generi.
- Furio Colombo: Perché pensi che per te certe cose siano talmente più chiare?
- Pier Paolo Pasolini: Non vorrei parlare più di me, forse ho detto fin troppo. Lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci sono anche i miei libri e i miei film. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo.
- Furio Colombo: Pasolini, se tu vedi la vita così – non so se accetti questa domanda – come pensi di evitare il pericolo e il rischio?
- Pier Paolo Pasolini: È diventato tardi, Pasolini non ha acceso la luce e diventa difficile prendere appunti. Rivediamo insieme i miei. Poi lui mi chiede di lasciargli le domande. «Ci sono punti che mi sembrano un po’ troppo assoluti. Fammi pensare, fammeli rivedere. E poi dammi il tempo di trovare una conclusione. Ho una cosa in mente per rispondere alla tua domanda. Per me è più facile scrivere che parlare. Ti lascio le note che aggiungo per domani mattina».
Il giorno dopo, domenica 2 novembre 1975, il corpo senza vita di Pier Paolo Pasolini era all’obitorio della polizia.
IL 27 GENNAIO 1945 UN REPARTO DELL'ESERCITO RUSSO VARCA L'INGRESSO DEL CAMPO DI STERMINIO DI AUSCHWITZ
il cancello di Aushwitz con la scritta "Arbeit macht frei": "Il lavoro rende liberi"
Ma fare Memoria significa conoscenza e coerenza. Pertanto invitiamo a togliere le maschere "pittate a lutto" che nascondono il volto di tanti ipocriti dei giorni nostri: alla luce di quanto accade in queste ore, in questi giorni, anche a causa del governo italiano che sostiene politiche ritenute da molti "fasciste e discriminatorie" nei confronti dei migranti, le vittime della Shoah non meritano tanta ipocrisia. VERGOGNA!
La Storia ci chiederà da che parte eravamo mentre tutto quello che sapevamo si ripeteva sotto i nostri occhi, mentre altri lager, persecuzioni, violenze, venivano costruiti e compiute ai danni di nuovi "diversi".
VERGOGNA!
"(…)Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga."
brano tratto da “Se questo è un uomo” di Primo LevI
''La Giornata della Memoria non deve essere un'occasione per manifestare la falsa coscienza e non può essere usata in modo strumentale. Ci deve ricordare la tragedia universale della violenza contro l'uomo e non solo contro gli ebrei.
Io sono ebreo e ho il dovere di ricordare ciò che ha subito la mia gente. Ma proprio perchè questo è stato un massacro di esseri umani, tra cui ebrei, rom, gay e antifascisti, si devono ricordare tutti, soprattutto quelli piu' scomodi.
Dobbiamo ricordare, tutti i popoli che hanno subito violenza. In questo senso, il destino degli ebrei vale per quello di tutte le minoranze. Primo Levi non ha scritto 'Se questo è un ebreo', ma 'Se questo è un uomo'."
Moni Ovadia
Elie Wiesel, sopravvissuto dei campi di concentramento di Auschwitz, Buna e Buchenwald:"Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha trasformato la mia vita in una lunga notte, sette volte maledetta e sette volte sigillata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini, i cui corpi vidi trasformarsi in ghirlande di fumo sotto un muto cielo blu. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumavano la mia fede per sempre. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi privò, per tutta l'eternità, del desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima e trasformarono i miei sogni in polvere. Non dimenticherò mai queste cose, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai".
Eva Picková, morta ad Auschwitz il 18 dicembre 1943 all’età di 12 anni":
"...mio Dio, noi vogliamo vivere! Non vogliamo vuoti nelle nostre file. Il mondo è nostro e noi lo vogliamo migliore. Vogliamo fare qualcosa. E’ vietato morire!”.
bambini del Lager mostrano il braccio tatutato
migranti cacciati dal centro di accoglienza
Fare Memoria significa conoscere quanto è accaduto; fare Memoria significa capire i meccanismi" che si celano dietro ai fatti; fare Memoria significa impegnarsi affinché quanto è accaduto non abbia più “il tempo” e “il modo” di ripetersi. Fare Memoria significa conoscere per diventare ed essere cittadini responsabili.
Come è stato possibile l'orrore dei Lager?
Come è stato possibile concepire lo sterminio di popoli?
La cosiddetta "banalità del male", il pericolo che il male possa ripresentarsi, è un pericolo sempre presente Dopo quelli nazisti, l'Umanità ha sofferto per altri Lager, altri stermini, altre violenze terribili inflitte da uomini ad altri uomini.
Perchè? Come è possibile che ciò accada dopo quello che è già accaduto?
Primo Levisi interroga su come sia stato possibile il dramma dello sterminio nel libro “I sommersi e i Salvati”. Luogo di quella ricerca èl'animo umano di ogni tempo; le risposte sono celate nell'eterna -mediocre- lotta per il potere, con attori che si dividono le parti dei"padroni" e dei "servi" alla conquista di un "privilegio" possibile. “Il privilegio per definizione difende il privilegio. (…) L’ascesa dei privilegiati, non solo nel Lager ma in tutte le convivenze umane, è un fenomeno angosciante ma immancabile: essi sono assenti solo nelle utopie. E’ compito dell’uomo giusto fare la guerra ad ogni privilegio non meritato, ma non si deve dimenticare che questa è una guerra senza fine. Dove esiste un potere esercitato da pochi - o da uno solo- contro i molti, il privilegio nasce e prolifica, anche contro il volere del potere stesso; ma è normale che il potere, invece, lo tolleri e lo incoraggi.(…) la classe ibrida dei prigionieri-funzionari ne costituisce l’ossatura ed insieme l’elemento più inquietante. E’ una zona grigia, dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi. (…)”.
"La
notte poco prima delle foreste", La nuit juste avant les forêts, è un
atto unico del drammaturgo e regista francese Bernard-Marie
Koltès. L'opera teatrale è stata scritta nel 1977 ma, come dimostra l'effetto emotivo che ha suscitato il testo, il monologo letto da Pierfrancesco Favino sul palco
di Sanremo, parla alle donne e agli uomini di oggi, di ogni tempo, dimostrando il significato della vera Arte: costruire immagini nuove, scoprire mondi nuovi, per fissare un'emozione, un valore, che parla alle donne e agli uomini di tutti i tempi. Nelle parole recitate dal Pierfranco Favino, ognuno di noi ha potuto riconoscere i drammi delle moltitudini scacciate dalla propria terra da guerre, politiche predatrici, miseria e fame,- Moltitudini costrette a varcare deserti, steppe, foreste e mari, per giungere semmai si può raggiungere, in un luogo in cui sia possibile la speranza di una vita migliore.
Parole, quelle recitate da Pierfrancesco Savino, che sono una voce dai tanti che non hanno più voce ma che avrebbero forse tante cose da raccontare alle vite di ciascuno, in un misto di rabbia, disperazione, solitudine che si vorrebbe rompere, speranza che si vorrebbe ricostruire. magari sentendosi più vicini e responsabili delle sorte di chi ci sta accanto e che inceve troppe volte sentiamo "estraneo, diverso, nemico".
Il testo nel monologo Bisognerebbe
stare dall’altra parte senza nessuno intorno, amico mio
quando
mi viene di dirti quello che ti devo dire,
stare
bene tipo sdraiati sull’erba, una cosa così
che
uno non si deve più muovere con l’ombra degli alberi.
Allora
ti direi: ‘qua ci sto bene, qua è casa mia, mi sdraio e ti saluto’.
Ma
qua, amico mio, è impossibile, mai visto un posto dove ti lasciano in pace e ti
salutano.
Ti
dobbiamo mandare via, ti dicono, vai là, tu vai là
vai
laggiù, leva il culo da là
e
tu ti fai la valigia, il lavoro sta da un’altra parte,
sempre
da un’altra parte che te lo devi andare a cercare,
non
c’è il tempo per sdraiarsi e per lasciarsi andare, non c’è
il
tempo per spiegarsi e dirsi ‘ti saluto’.
A
calci in culo ti manderebbero via, il lavoro sta là, sempre più lontano, fino
in Nicaragua.
Se
vuoi lavorare, ti devi spostare, mai che puoi dire ‘questa è casa mia e ti
saluto’
tanto
che io quando lascio un posto ho sempre l’impressione che quello sarà casa mia,
sempre
di più di quello in cui vado a stare.
Quando
ti prendono a calci in culo di nuovo, tu te ne vai di nuovo
là
dove te ne vai sei sempre più straniero, sempre meno a casa tua.
E
quando ti prendono a calci in culo, tu te ne vai di nuovo
quando
ti giri a guardarti indietro, amico, è sempre il deserto.
Fermiamoci
una buona volta e diciamo ‘Andate a fanculo’
io
non mi sposto più, voi mi dovete stare a sentire
se
ci sdraiamo una buona volta sull’erba e ci prendiamo tutto il tempo
che
tu racconti la tua storia, quelli venuti dal Nicaragua
che
ci diciamo che siamo tutti, più o meno stranieri
ma
che adesso basta, stiamo a sentire, tranquilli, tutto quello che ci dobbiamo
dire
allora
sì che capisci che a loro non gliene frega un cazzo di noi.
Io
mi sono fermato, ho ascoltato, mi sono detto: ‘Io non lavoro più’
finché
non ve ne frega un cazzo di me.
A
che serve che quello del Nicaragua viene fino qua e che io vado a finire laggiù
se
da tutte le parti la stessa storia.
Quando
ho lavorato ancora, ho parlato a tutti quelli presi a calci in culo che
sbarcano qua
per
trovare lavoro e loro mi sono stati a sentire.
Io
sono stato a sentire quelli del Nicaragua che mi hanno spiegato com’è da loro
Laggiù
c’è un vecchio generale, che sta tutto il giorno e tutta la notta al bordo di
una foresta
gli
portano da mangiare perché non si deve spostare
che
spara su tutto quello che si muove
gli
portano le munizioni quando non ce ne ha più.
Mi
parlavano di un generale coi suoi soldati che circondano la foresta
tutto
quello che si muove diventa un bersaglio
tutto
quello che compare al bordo della foresta
tutto
quello che notano che non c’ha lo stesso colore degli alberi
e
che non si muove allo stesso modo
Io
sono stato a sentire tutto questo e mi sono detto che da tutte le parti è la
stessa cosa
più
mi faccio prendere a calci in culo e più sarò straniero
loro
finiscono qua e io finirò laggiù
laggiù
dove tutto quello che si muove sta nascosto nelle montagne
Io
ho ascoltato tutto questo e mi sono detto: “Io non mi muovo più, se non c’è
lavoro non lavoro
se
il lavoro mi deve far diventare matto e mi devono prendere a calci in culo, io
non lavoro più
Io
voglio sdraiarmi, una buona volta, voglio spiegarmi, voglio l’erba
l’ombra
degli alberi, voglio urlare, voglio poter urlare, anche se poi mi sparano
addosso.
Tanto
è quello che fanno. Se non sei d’accordo, se apri la bocca,
ti
devi nascondere in fondo alla foresta. Ma allora meglio così