Lo scorso 13 novembre
2015 il presidio LIBERA “Rita Atria” Pinerolo ha tenuto l'incontro pubblico “Rendiamo
illegale la Povertà: reddito di cittadinanza è reddito di dignità”.
I relatori intervenuti, esponenti delle forze politiche (la sen.
Nunzia Catalfo del Movimento Cinque Stelle, Marco Grimaldi di
Sinistra Ecologia Libertà), erano chiamati a confrontarsi a partire
dai dati della realtà sociale presentati dall’assessora Agnese
Boni, dal Vescovo di Pinerolo mons. Debernardi, da Leopoldo Grosso vice-presidente Gruppo Abele. In quella occasione
abbiamo lanciato un appello affinchè l'incontro fosse da
considerare il punto di partenza” per “un cammino”, da
svolgere anche nella nostra comunità, capace di prefigurare e
richiedere un “cambiamento di azione” per il contrasto
alla Povertà: un cambiamento necessario, non più rinviabile.
Le "fotografie"
Sono trascorsi oramai
sette anni dallo scoppio della crisi finanziaria le cui conseguenze,
a detta di molti economisti, sono paragonabili a quelle di una
“guerra”. Lo stesso Papa Francesco ha parlato più volte in
termini analoghi a proposito del momento storico che stiamo vivendo:
“una terza guerra mondiale combattuta a
pezzi”: perchè tanti sono i conflitti in corso nel mondo,
più o meno estesi; tanti e diversi sono “i fronti” aperti da
questa “guerra”. Il fronte “sociale” è fra i più
drammatici.
Per quanto riguarda
l'Italia, il RAPPORTO CARITAS 2015 ha presentato la
“fotografia” di un Paese frammentato. Un paese che pare avere
smarrito il senso della comunità e nel quale la condizione di
povertà o di difficoltà economica, è sempre più relegata a
questione “privata”, messa ai margini dello stesso “patto
sociale” su cui dovrebbe fondarsi la Democrazia del nostro paese.
Apprendiamo da quel Rapporto come i cittadini italiani che versano in condizioni di povertà assoluta sono più che raddoppiati dal 2008
ad oggi, passando da un numero di 1.800.000 ad oltre 4.000.000. Ma la
realtà del fenomeno della povetà, vecchia e nuova, presenta dati
ancora più drammatici: sono infatti circa 10.000.000 coloro che vivono condizioni di “marginazione sociale”
conseguente alla difficoltà economica: una “società degli
esclusi”: una sorta di “terzo stato” a cui è stato precluso
aver “voce e volto”, se non nella massa informe della “gente”
che affolla centri di carità e di assistenza.
Colpe e responsabilità
Ma la “fotografia”
del rapporto Caritas non è un mero esercizio di analisi statistica o
socio-economica. La CARITAS individua chiaramente quelle che, a
suo parere, sono colpe e responsabilità.
Le responsabilità
maggiori sono quelle addebitate alla Politica italiana, alla
sua storica disattenzione nei confronti del fenomeno della povertà a
cui si risponde scaricando pesi e costi sulla “famiglia” (welfare
mediterraneo). Una politica italiana corporativa “(...)incentrata
sulla rappresentanza e il riconoscimento degli interessi di specifici
gruppi professionali e sociali capaci di esercitare pressioni sul
Parlamento, a discapito di una visione complessiva del bene comune”.
Colpe
hanno pure le forze sindacali, impegnate sì a promuovere e
difendere culture politiche incentrate sulla tutela del lavoro e dei
lavoratori “già impegnati”, ma “(…) culture politiche che
si sono rivelate incapaci di leggere e tutelare la
condizione di chi si trovava escluso dal mondo
del lavoro.”
Infine, giudizio critico
la CARITAS esprime anche nei confronti del cosiddetto Terzo
Settore, il mondo del volontariato, delle associazioni, del
cooperativismo, che non ha saputo assumere, se non in misura
limitatissima, il ruolo di rappresentanza dei cittadini più deboli.
Il terzo settore italiano infatti ha finito con lo “specializzarsi”
“(...) nella fornitura di servizi per conto delle
amministrazioni pubbliche, smarrendo così la propria funzione di
rappresentanza e pressione politica in favore dei diritti sociali
universali(...)”.
Occorre
dare voce alla necessità di un cambiamento possibile e non più
rinviabile
La povertà deve
essere considerato il vulnus del “patto sociale” su cui si
fonda una nazione democratica. Coloro che in Italia vivono in
condizioni di difficoltà, i 10.000.000 di cittadine e cittadini
senza voce e senza volto, non chiedono elemosine ma chiedono più
Giustizia Sociale. Occorrono pertanto misure e azioni differenti
da quelle sinora condotte, in cui diritti e doveri costituiscano il
“patto sociale” sul quale costruire nuove forme di “bene-essere”
della comunità. Misure che portino ad un reale contrasto alle
povertà anche attraverso rapporti di maggiore responsabilizzazione
dei soggetti stessi: misure e azioni che da un lato vedano
riconosciuti e tutelati il principio inderogabile della Dignità
dell'individuo, dall'altro prevedano l'assunzione di responsabilità
di ciascuno, per quanto ad ognuno compete, nei confronti della
comunità.
Sono necessarie azioni
i cui mezzi per la loro attuazione non possono essere richiesti se
non alla Politica. D'altro canto, se la Politica persevera nella
sua “disattenzione” verso il dramma sociale mostrato dalle
“fotografie” a cui prima si faceva riferimento, finisce con
l'apparire mero esercizio del Potere svolto a favore di interessi e
privilegi inaccettabili. Quelle “fotografie”, economiche e
sociali, sono in realtà le esistenze reali e dolenti di coloro a
cui viene negato la condizione di una vita decorosa: “fotografie”
inaccettabili quando permangono sostanzialmente inattaccabili
privilegi, corruzione, malaffare.
Se papa Francesco ha
detto che non si può parlare di povertà e vivere “come faraoni”,
noi affermiamo che, a partire dalle classi politiche, non ci si può
occupare del bene comune” di una comunità e godere al contempo di
retribuzioni e privilegi simili a quelli di “signori medioevali”!
L'Appello
Per questi motivi
porgiamo un invito, un appello, a partire dalle associazioni, dalle cittadine e cittadini
che sentono la “responsabilità etica” di vivere nella comunità:
incontrarsi per dare vita ad un “cammino” (fatto di conoscenza,
analisi e riflessioni) necessario ad elaborare azioni e misure
concrete da proporre alle Istituzioni a contrasto del dramma delle
povertà.
Noi crediamo che sia
necessario "essere voce e dare voce a coloro che voce non
hanno" per affermare la necessità di un cambiamento,
possibile e non più rinviabile
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