"Sarebbe bello che il 21 marzo diventasse istituzionalmente per tutti gli italiani il giorno in cui le vittime innocenti di mafia, in tante città d'Italia, vengono chiamate per nome, uno a uno, in un appello rivolto alle coscienze di tutti". don Luigi Ciotti
fonte: La Repubblica
"Il Papa è dalla nostra parte, il mondo può davvero cambiare"
Parlano i familiari delle vittime di
mafia, che domani vedranno Francesco: "Ci dà la forza di gridare la tragedia di
mio figlio", dicono i genitori di Dodò, ucciso a 11 anni mentre giocava a
calcetto. La figlia di Vincenzo Grasso, oggi referente di Libera: "Bergoglio
vicino agli ultimi come noi, costretti ad abbassare lo sguardo nelle nostre
terre"
di ANDREA GUALTIERI
Dodò aveva 11 anni e né lui né la sua famiglia
c'entravano con faide e 'ndrangheta. Stava solo giocando a calcetto insieme al
papà, il 25 giugno 2009, ed entrambi erano ignari che sullo stesso campo della
periferia di Crotone ci fosse un uomo finito nel mirino delle cosche locali. Gli
sciagurati sicari si misero a sparare all'impazzata, uccidendo il loro obiettivo
ma ferendo anche altre 9 persone che si trovavano lì per caso. Il piccolo
Domenico, Dodò per chi lo conosceva, rimase in coma per tre mesi. Poi morì.
Venerdì i suoi genitori, Giovanni Gabriele e Francesca Anastasio, saranno a
Roma, nella chiesa di San Gregorio VII, per partecipare alle 17 e 30 alla veglia
di preghiera con i familiari delle vittime innocenti delle mafie, organizzata da
Libera. E ascolteranno le parole di papa Francesco, che ha raccolto l'invito di
don Luigi Ciotti e presiederà la funzione. "La voce del pontefice darà forza
alle nostre nel gridare che la tragedia di mio figlio non deve capitare ad
altri", afferma Giovanni Gabriele, che racconta: "Andiamo nelle scuole,
incontriamo la gente per portare la nostra testimonianza e ora vedere il Papa
che si schiera con noi ci dà forza nel credere che qualcosa davvero può cambiare
e anche la nostra terra può avere un futuro".
Saranno almeno 700 le
persone che si ritroveranno alla veglia. Ognuno di loro arriverà all'incontro
con il Papa portando il ricordo, il senso del vuoto affettivo e quello
dell'ingiustizia subita, ma anche l'orrore dell'oblio. Secondo don Ciotti
l'incontro con il pontefice è "un dono, tanto più grande perché precede, anzi
apre", la Giornata della memoria e dell'impegno che sabato a Latina vedrà
migliaia di persone sfilare in corteo e poi dividersi per partecipare a uno dei
15 seminari sulla realtà mafiosa. "Sarebbe bello - aggiunge il sacerdote
fondatore di Libera - che il 21 marzo diventasse istituzionalmente per tutti gli
italiani il giorno in cui le vittime innocenti di mafia, in tante città
d'Italia, vengono chiamate per nome, uno a uno, in un appello rivolto alle
coscienze di tutti".
Stefania Grasso, una delle referenti nazionali di
Libera, spera che "l'attenzione di questi giorni serva a sostenere il cammino
delle famiglie anche quando tutti sembrano dimenticare le storie dei loro cari".
A lei le mafie hanno ucciso il papà ma l'inchiesta è stata archiviata e per quel
delitto non c'è nemmeno il nome di un colpevole. Proprio oggi ricorrono i 25
anni dal giorno in cui i due killer spararono a Locri. Vendeva auto, Vincenzo
Grasso. E davanti alle richieste del racket aveva deciso di non pagare e
denunciare. "Non era un eroe, era un uomo comune: aveva paura, ma anche un
rispetto degli altri e un amore per la vita sulla base dei quali riteneva che
comportarsi bene fosse l'unico modo per sentirsi felici", racconta Stefania. È
stato dopo il delitto che lei e la sua famiglia hanno conosciuto don Ciotti.
Chiamò a casa, secondo uno stile che con Bergoglio è diventato consueto anche in
Vaticano. Poi andò a trovarli, li fece sentire parte della grande comunità di
Libera. "È un percorso che ci ha accompagnati e che si ripete ancora in decine
di altri casi", dice Stefania, che aveva 19 anni quando suo padre morì e che col
tempo proprio all'interno di Libera ha trovato la forza di dar voce alla sua
testimonianza. Da 4 anni è referente nazionale dei familiari delle vittime, ma
intanto porta avanti la sua vita: "Sono rimasta a lavorare a Locri. E, con me, i
miei fratelli e i miei nipotini, come desiderava mio padre".
Dice che la
disponibilità del pontefice ad incontrarli è una fonte di grande speranza:
"Questo Papa ha scelto la vicinanza agli ultimi". E per Stefania i familiari
delle vittime innocenti sono proprio tra gli ultimi: "È così:
nella nostra terra devi essere tu ad abbassare lo sguardo. Anziché amplificare
il messaggio delle vittime innocenti si cerca di affossarlo, forse perché
ricordare ciò che loro hanno subito significa dover ammettere che non si sta
facendo nulla. Ci vuole coraggio nel ricordare. Per noi non è una responsabilità
né un dovere. Certo non lo scegli, ma è un modo per vedere vivo il sogno dei
nostri cari che sono stati uccisi".
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