"Piera Aiello, testimone di giustizia, è la cognata di Rita Atria. In questi giorni viene pubblicato il suo libro "Maledetta mafia".
Partanna (Trapani). Piera Aiello ha solo
18 anni quando giorni dopo il matrimonio il suocero, Vito Atria un
piccolo mafioso locale, viene assassinato. Nel 1991 la stessa sorte tocca a
Nicolò, sotto gli occhi impotenti di Piera. "Dopo quell’omicidio in Piera scatta qualcosa:"come impongono le regole
della mia terra, con una bimba di tre anni da crescere e una rabbia immensa nel
cuore. In quel momento il destino ha messo un bivio lungo il mio percorso: dovevo
scegliere quale futuro dare a mia figlia Vita"
Il momento di svolta è l’incontro con un uomo che una
mattina, scrive Piera: "mi ha preso sottobraccio e mi ha piazzato davanti
ad uno specchio, eravamo in una caserma dei Carabinieri”.
Quell’uomo è Paolo
Borsellino”."Da quando lo"zio Paolo"mi ha piazzato davanti a
quello specchio e mi ha ricordato chi ero, da dove venivo e dove sarei dovuta
andare, sono diventata una testimone di giustizia. Io non ho mai commesso
reati, né sono mai stata complice dei crimini di mio marito e dei suoi amici,
gli stessi che poi ho accusato nelle aule dei tribunali e nelle corti
d’assise. Quel che è certo è che la mia storia, la mia vita, è stata
rivoluzionata dalla morte”.
La morte: la morte di Paolo Borsellino e la morte di Rita Atria, sua cognata, che a 17 anni decide di ribellarsi al sistema mafioso, ma dopo l’assassinio di Borsellino non riesce a reggere al dolore e si toglie la vita.
Nonostante tutto Piera continua ad andare avanti, sostenuta da una determinazione incrollabile e dalla
consapevolezza che l’eredità di Falcone, Borsellino e Rita non puo' andare perduta:''Ecco perche' oggi ho due nomi e due cognomi che corrono paralleli, che a volte si incrociano, si sovrappongono, che si respingono e si fondono”.(Fonte: Antimafiaduemila)
La morte: la morte di Paolo Borsellino e la morte di Rita Atria, sua cognata, che a 17 anni decide di ribellarsi al sistema mafioso, ma dopo l’assassinio di Borsellino non riesce a reggere al dolore e si toglie la vita.
Nonostante tutto Piera continua ad andare avanti, sostenuta da una determinazione incrollabile e dalla
consapevolezza che l’eredità di Falcone, Borsellino e Rita non puo' andare perduta:''Ecco perche' oggi ho due nomi e due cognomi che corrono paralleli, che a volte si incrociano, si sovrappongono, che si respingono e si fondono”.(Fonte: Antimafiaduemila)
Fonte: Corriere della Sera
La rabbia di Piera testimone di giustizia per orgoglio e per amore
Piera Aiello è una donna coraggiosa. Una donna che ha sempre
sfidato le regole non scritte della sua terra. Di quella Sicilia degli anni
’80, in cui la parola “mafioso” poteva essere sinonimo di “paciere”. Una ribelle nei gesti e nelle parole che si
“permette” di rispondere a suo suocero, don Vito Atria, che non accetta i
tradimenti di quello che diventerà suo marito, Nicola. E si piega al matrimonio per far sì che smettano “gli atti di
ritorsione contro di me e la mia famiglia”. Accetta il suo destino. “Penso che
vivrò una vita tranquilla, pianificata come quelle di molte altre mie amiche.
Invece mi sbaglio”. Così non esita nemmeno un secondo a prendere a calci il
fucile per cercare di salvare la vita a Nicola.
Un gesto disperato che però non serve a nulla. E quindi sceglie. Non vuole
“diventare un vedova di mafia”. Ma decide per lei e la figlia di tre anni una
nuova vita. Un percorso che le porta lontano da casa. E che si incrocia con il
destino di Paolo Borsellino. Piera diventa la prima testimone di
giustizia in Italia. Piera, è una donna che non si è mai arresa. Nemmeno quando
lo Stato l’ha “abbandonata”.
Lei, continua a lottare. Ed è per questo che ha scritto il libro, con
Umberto Lucentini, “Maledetta Mafia” (edizione SanPaolo, 176 pagine
euro12,00). “Ho voluto raccontare la mia vita anche perché vorrei che si
continuasse a parlare dei testimoni di giustizia, quei cittadini che hanno
scelto di aiutare la magistratura, non per uno sconto di pena. Ma perché
abbiamo voluto fare il nostro dovere. E quando non siamo più utili, lo Stato ti
butta via come se fossimo un limone spremuto”. C’è tanta rabbia nella sua voce.
Amarezza per le “delusioni” che le hanno dato “burocrati e persino
carabinieri”. Uomini dell’arma che “per leggerezza hanno rivelato la mia vera
identità nel Paese in cui vivo”. Già, Piera ha dovuto cambiare nome, città,
vita. Perché “la mafia non dimentica”. E il suo è un segreto da non rivelare.
Lei e la figlia Vita Maria, oggi ventenne, potrebbero essere in pericolo.
Ma la frustrazione per uno “Stato
assente” è stata ripagata “con la solidarietà della società civile”. Nel libro
racconta anche questo. Tutte quelle persone che, in un percorso lungo più di
vent’anni, l’hanno sostenuta, aiutata anche rischiando la propria incolumità.
Dal dirigente scolastico che accetta di iscrivere la figlia a scuola sotto
falso nome (l’identità non le era ancora stata cambiata) a quella vicina di
casa che, oggi, sapendo la sua storia la protegge con il suo silenzio.
Ma
“l’incontro più bello della vita” è stato con Paolo Borsellino. È stato lui,
proprio quando Piera era incerta se continuare o no il percorso di
testimone, a metterla “davanti a uno specchio” e domandarle: “Cosa vedi?”. Era
il 1991, aveva 21 anni. Una figlia di tre. E quella voglia di portare avanti i
valori trasmessi dai genitori: “L’onestà, il servizio per gli altri, la
correzione dei comportamenti sbagliati”. Il suocero era stato assassinato
mentre lei era in viaggio di nozze. Da quel momento il marito non ha fatto
altro che pensare alla “vendetta”. E lei non è riuscito a convincerlo. “Vai a
denunciare tutto ai carabinieri”, continuava a ripetergli. Non è successo. E lui
è stato ucciso. Comincia il suo percorso, appunto, con Borsellino. La segue la
cognata Rita, 18 anni. Erano legatissime. Insieme lasciano la Sicilia per Roma.
E quando Borsellino viene ucciso, dopo una settimana, questa giovane si butta
dalla finestra.
Per Piera è un nuovo dolore. Una
ferita che non si rimarginerà mai. Ma è riuscita comunque ad andare avanti. Nel
1997 Piera si è resa autonoma dal sistema. E con una certa fierezza spiega: “Io vivo
del mio lavoro. Ho fatto tutto da sola, lo Stato non mi ha aiutata”. Nel
frattempo ha continuato a testimoniare. Ha onorato quell’impegno preso con
Borsellino e portato avanti “con quei procuratori coraggiosi”. Oggi è portavoce
dei testimoni di giustizia. “Noi abbiamo fatto il nostro dovere, oggi vogliamo
i diritti”. La invitano dovunque. Lei va nelle scuole, parla con i giovani.
Racconta la sua storia. “Mai una volta i ragazzi hanno violato la mia privacy.
Non mi hanno mai fotografato né hanno divulgato mie immagini”. Ogni volta in
classe ripete: “Anche se lo Stato non c’è, dobbiamo essere puliti dentro. Non è
necessario essere degli eroi. Basta fare la nostra piccola parte ogni giorno e
non ci sarebbe bisogno di nessun testimone”.
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