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lunedì 16 luglio 2012

“L’UNICO PONTE CHE VOGLIAMO”…IN MEMORIA DI RITA ATRIA.

Una riflessione sul significato della "memoria".

MONASTERACE 28 LUGLIO: “L’UNICO PONTE CHE VOGLIAMO”…IN MEMORIA DI RITA ATRIA.

Targa Rita Atria
sulla lapide di RITA ATRIA
Vent’anni da quel 26 luglio 1992 quando Rita Atria, lasciata sola da tutti (famiglia, concittadini, società “civile” e Istituzioni) ha deciso di non farsi uccidere da quello che sarebbe accaduto dopo la morte del suo giudice, Paolo Borsellino, gettandosi dal 7° piano di viale Amelia a Roma.
L’idea che abbiamo noi di Memoria è quella scritta dal nostro Mario Ciancarella: “ricordare non basta. Memoria è un ricordo “attivo” che vuole comprendere i meccanismi, le cause e dunque le ragioni che  determinarono una storia, e sa rileggerle nel presente per capirne le “mutazioni” e le mimetizzazioni nelle forme nuove in cui quella stessa violenza torna e tornerà ad esercitarsi. Forme diverse sempre più evolute e sofisticate. E’ dunque solo la Memoria a dare senso al proprio impegno per costruire un futuro in cui si possa sperare che quella violenza non torni a mostrarsi, con volti diversi ma la con medesime atrocità, per il nostro passivo ed ignaro consenso. Perdere “la Memoria storica” ci rende estranei a noi stessi, incapaci di riconoscere le nostre radici, di capire il nostro presente, di costruire un qualsiasi futuro.”
Fare Memoria di Rita Atria dunque significa innanzitutto ricordare le cause che l’hanno portata a togliersi la vita e non solo esaltarne il gesto forte della Testimonianza e della rottura con la propria famiglia.  Sarebbe facile, rientrerebbe nella solita prassi ormai consueta che si limita al necrologio” da strumentalizzare, e tanti ne vediamo purtroppo di questi “eventi”.
La Testimonianza, in ogni tipo di settore e nella sua accezione reale, di prassi,  dovrebbe essere supportata dalla presenza sia politica che civile: un Paese dove chi testimonia entra in un programma di protezione non può di certo definirsi “normale”.
Bisogna partire dal riconquistare il senso della “normalità” e abbandonare la comoda e deviante definizione di “eroe”. Borsellino, Falcone, La Torre, Peppino Impastato, Pippo Fava, Rita Atria e tanti come loro non sono eroi, ma persone normali che hanno fatto della coerenza e dell’integrità etica e morale del proprio lavoro e del proprio impegno l’unica linea guida della loro esistenza.
Per troppi anni, chi è stato minacciato dalle mafie o chi ha subito attentati è stato portato agli onori della cronaca solo con lo scopo di fare audience. Per troppi anni abbiamo visto andare via dal territorio i  nostri riferimenti che presi dallo sconforto e dalla solitudine hanno creduto che in Parlamento sarebbero stati più utili. La politica non ha avuto il coraggio di rinnovarsi e spesso i politici italiani si sono comportano come coloro che prima ti inquinano causando tumori e poi ti pagano il letto all’ospedale dicendoti che ti stanno curando. Non possiamo permettere più tutto questo e quindi non è più rinviabile il momento dell’analisi.
Abbiamo pensato che non si può fare Memoria da soli perché la Memoria è un processo collettivo che non può prescindere da chi nei territori si spende ogni giorno per studiare le dinamiche di aggressione del potere.
Così il 28 luglio sera, a Monasterace (RC), ricorderemo Rita Atria cercando di capire come fare rete tra realtà che hanno deciso di essere forza di opposizione alle mafie e di controllo politico e sociale.
Ma non basta opporsi occorre anche dimostrare che l’antimafia e le scelte antimafiose creano sviluppo e maggiori possibilità occupazionali e di qualità della vita.
Ogni associazione, movimento, singolo cittadino non può prescindere, soprattutto nei nostri territori da questa analisi, sappiamo bene che le infiltrazioni mafiose sono dovunque e ci riguardano tutti.
Le scelte della politica nazionale tanto sulla Calabria che sulla Sicilia necessitano l’unione delle forze sane e determinate di queste regioni al fine di dare delle letture più ampie nella consapevolezza che ‘ndrangheta e mafia si alimentano dallo stessa fonte di energia e che solo facendo fronte comune e supportandoci a vicenda possiamo ottenere dei risultati.
L’iniziativa del 28 luglio crediamo possa rappresentare un punto di partenza e speriamo un punto di non ritorno per l’antimafia movimentista e sociale calabrese e siciliana.
Ai sindaci che lottano in terre di mafie chiediamo di avere come unico partito di riferimento il Territorio; che  si chiami Monasterace, piuttosto che Rosarno, piuttosto che Isola Capo Rizzuto, piuttosto che  Barcellona P.G., piuttosto che Palermo.
Alla stampa  chiediamo di seguire quello che Pippo Fava definiva il concetto etico di giornalismo e cioè  “Un giornalismo fatto di verità, impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, sollecita la costante attuazione della giustizia, impone ai politici il buon governo[…]”
Agli abitanti dei Territori chiediamo di essere Cittadini e cioè di partecipare attivamente alla vita politica e sociale senza delegare.
Alle Associazioni chiediamo di essere strumento di coesione e punti di riferimento sociali e soprattutto chiediamo indipendenza dai partiti e dalle istituzioni.
Questo è “L’unico ponte che vogliamo”, quello della forza delle idee, della forza della Resistenza sociale e di una antimafia antifascista e antimilitarista.
Associazione Antimafie “Rita Atria”
Documento nato dal confronto durante l’anno con: Associazione Peppino Impastato e Associazione radio Aut nell’ambito del Forum Sociale Antimafia Felicia e Peppino Impastato, SNOQ – Reggio Calabria, Casablanca (Graziella Proto), “I Siciliani” giovani (Riccardo Orioles), Stopndrangheta.it, Telejato.
Per informazioni e adesioni:
info@ritaatria.it

sabato 31 marzo 2012

31 Marzo 1984 Nardò (LE). Uccisa Renata Fonte, la cui unica colpa era di aver creduto nei propri ideali.

Renata Fonte è una martire dei giorni nostri vittima delle ingiustizie e delle prevaricazioni, vizi di una società soffocata dalla corsa al potere e dal tragico individualismo.
Questa donna, vitale e difficile al compromesso, viene uccisa con tre colpi di pistola, la notte del 30 marzo 1984, mentre raggiunge la sua abitazione. Il paese è Nardò, in provincia di Lecce, che, come tutte le realtà del Sud, vive, in quegli anni, patti celati o palesi con il potere centrale e con la malavita organizzata.

E' proprio l'amore per la sua terra a spingere l'irrefrenabile Renata ad impegnarsi nel sociale ed a difendere dalla lottizzazione e dalla speculazione edilizia il parco naturale di Porto Selvaggio. L'iniziativa condotta dal "Comitato per la salvaguardia del parco naturale di Porto Selvaggio", capeggiato dalla stessa, crea un gran polverone, sostenuto dai media. Il risultato è l'emanazione dalla Regione Puglia di un'apposita Legge di tutela del parco, ancora oggi vigente.

L'anno successivo la Fonte vince le elezioni comunali, scavalcando un noto personaggio locale, Antonio Soriano, conosciuto come "procuratore di pensioni per finti invalidi". Oltre ad essere una delle poche donne impegnate in campo politico la Fonte è a Nardò la prima eletta del Partito Repubblicano, in cui essa nutre grandi speranze di rinnovamento, in parte disattese.

La donna viene nominata Assessore alla cultura ed alla pubblica istruzione e mette massimo impegno nel ruolo affidatogli, pur accantonando il "personale": suo marito e le sue due figlie, convinta com'era che fosse indispensabile trainare il paese verso il cambiamento anche e soprattutto per loro.

La magistratura segue varie ipotesi sul delitto, compie ampie e travagliate indagini e riesce a scoprire il nome degli assassini, tali Domenico My e Marcello Durante, attraverso la testimonianza di un vicino di casa della vittima che riconosce la macchina su cui fuggono. Appare subito chiaro che costoro non sono altro che killer assoldati da progettisti ben più motivati dei due scellerati.

Mentre Soriano, il primo dei non eletti del Pri, si prepara a sostituire la Fonte nel ruolo d'assessore, l'uomo che la stessa aveva contestato sin dalla candidatura in lista e di cui aveva chiesto l'espulsione dal partito perché corrotto e privo di scrupoli, le indagini proseguono e si giunge all'interrogatorio di un pescivendolo, riconosciuto quale tramite tra i killer e i mandanti. 

Dalla confessione di quest'ultimo emerge la possibilità che movente dell'omicidio fosse la ferrea opposizione della Fonte alla speculazione edilizia di Porto Selvaggio. Alcune testimonianze rivelano che qualche giorno prima della morte, nelle aule comunali, la donna incontra un uomo che le chiede apertamente di non opporsi alla delibera prevedente l'assembramento nel piano regolatore di 70 ettari di terreno agricolo attigui al cuore di Porto Selvaggio. La Fonte, secondo una possibile ricostruzione, non accetta e minaccia lo scandalo, questa fermezza nel perseguire i suoi ideali probabilmente gli costa la vita.

Tra i principali mandanti c'è lo stesso Antonio Soriano che con alcuni amici avrebbe voluto avviare una speculazione edilizia nella zona del parco naturale in questione con la costruzione di un villaggio turistico.

Giunti a tal punto, come spesso avviene in Italia, le indagini si fermano, in primo grado Soriano e Durante vengono condannati all'ergastolo, gli altri complici devono scontare vari anni di carcere. I nomi dei pseudo-amici di Soriano non verranno mai alla luce, la giustizia non trionfa in pieno, la magistratura non ritiene opportuno continuare le indagini, considerando gli imputati gli unici e soli responsabili.

Termina la vita di una giovane donna la cui unica colpa è di aver creduto nei propri ideali. Carlo Bonino ne ha narrato la vita nel libro "La posta in gioco", edito da Carmine De Benedittis, dal quale è stato tratto l'omonimo film, egregiamente interpretato da Lina Sastri e Turi Ferro per la regia di Sergio Nasca. Non è un gran film ma è una bella storia, di una donna convinta che tutto doveva essere discusso alla luce del sole e che su questo principio non sarebbe mai tornata indietro. Una storia che fa riflettere e spinge a chiedersi quanto utile possa essere stato il prezzo pagato da Renata Fonte per aver voluto perseguire i suoi ideali con le sole armi dell'onestà e della perseveranza. La risposta non è semplice ma se l'esempio di questa donna non viene dimenticato e riesce ancora a scuotere la coscienza di uno solo di noi il suo sacrificio non è stato inutile.

martedì 28 febbraio 2012

 
Si svolgerà a Genova il prossimo 17 marzo la diciassettesima edizione della "Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie", promossa dall'associazione Libera e Avviso Pubblio. 
La Giornata della Memoria e dell'Impeno ricorda tutte le vittime innocenti delle mafie. Oltre 900 nomi di vittime innocenti delle mafie, semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell'ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali morti per mano delle mafie solo perchè, con rigore e coerenza, hanno compiuto il loro dovere. 
"Ma da questo terribile elenco  - sottolinea Libera -  mancano tantissime altre vittime, impossibili da conoscere e da contare".

Segreteria di Genova:
mail segreteria.17marzo@libera.it - genova.17marzo@libera.it 
tel. 3311778260 

Per informazioni sui "100 passi in Liguria verso il 17 marzo" contattare l'ARCI LIGURIA in via dei Giustiniani 66 rosso al 010-0982190.

NB: Per prenotare hotel a Genova e dintorni, Libera ha stretto una convenzione per i gruppi che partecipano alla Giornata con il Convention Bureau. La segreteria organizzativa del Convention Bureau di Genova risponde alla mail info@cbgenova.it e al numero di telefono 010-5761975.