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giovedì 29 luglio 2021

Rocco Chinnici, un giudice che troppo aveva intuito
: " Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai"

Rocco Chinnici, un giudice che troppo aveva intuito
 e che per questo andava eliminato: La mafia è tragica, forsennata, crudele vocazione alla ricchezza. La mafia stessa è un modo di fare politica mediante la violenza, è fatale quindi che cerchi una complicità, una alleanza con la politica pura, cioè praticamente con il potere.”

"(...) Era la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80. Erano gli anni dei corleonesi di Liggio e dei padri della lotta alla mafia. Erano gli anni in cui uomini come Boris Giuliano, Cesare Terranova, Gaetano Costa, Calogero Zucchetto, Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Emanuele Basile, Carlo Alberto dalla Chiesa ed altri stavano cercavano di sconvolgere il sistema che fino all’ora aveva vissuto sulla placida convivenza con la criminalità organizzata. Era l’epoca in cui si parlava della morte della vecchia mafia ma nessuno voleva parlare della nuova che in realtà altro non era che la stessa che cavalcava l’onda dei ‘piccioli’ e della crescita economica. Gli appalti, l’oro bianco, l’alta finanza.(...)"

L'efficacia del lavoro svolto dagli uffici istruttori di Palermo attraverso la sua direzione è testimoniata da una dichiarazione dell'epoca dello stesso Rocco Chinnici: "Un mio orgoglio particolare è la dichiarazione degli americani secondo cui l'Ufficio Istruzione di Palermo è diventato il centro pilota della lotta antimafia, un  esempio per le altre magistrature"Ma la risposta violenta di cosa nostra aveva già provocato le prime cosiddette "vittime eccellenti". A tale proposito così ebbe a dire Rocco Chinnici: "(...) anche se cammino con la scorta, so che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. per un magistrato come me è normale consdiderarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non mpedisce, nè a me nè ad altri giudici, d continuare a lavorare. Ma Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai"

Rocco Chinnici venne assassinato alle 8 del mattino del 29 luglio 1983 quando una Fiat 126 verde, imbottita con 75 kg di esplosivo parcheggiata davanti alla sua abitazione in via Pipitone Federico a Palermo, devasto’ la sua vita, quella del maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi e dell'appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta e del portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi . Ad azionare il telecomando che provocò l'esplosione fu Antonino Madonia, boss di Resuttana, che si trovava nascosto nel cassone di un furgone parcheggiato nelle vicinanze. Sulle sue orme continueranno il loro impegno nella lotta alla mafia due giovani magistrati, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che lo avrebbero seguito nello stesso destino, fatto di lotta, di isolamento e di morte violenta provocata da esplosivo per mano di cosa nostra.

Riproponiamo un articolo pubblicato da Antimafia duemila nel 2015

Fonte: Antimafiaduemila


Rocco Chinnici, un giudice che troppo aveva intuito
 

di Francesca Mondin - 28 luglio 2015


da destra: Ninni Cassarà, Giovanni Falcone, Rocco Chinnici

Era la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80.
Erano gli anni dei corleonesi di Liggio e dei padri della lotta alla mafia. Erano gli anni in cui uomini come Boris Giuliano, Cesare Terranova, Gaetano Costa, Calogero Zucchetto, Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Emanuele Basile, Carlo Alberto dalla Chiesa ed altri stavano cercavano di sconvolgere il sistema che fino all’ora aveva vissuto sulla placida convivenza con la criminalità organizzata. Era l’epoca in cui si parlava della morte della vecchia mafia ma nessuno voleva parlare della nuova che in realtà altro non era che la stessa che cavalcava l’onda dei ‘piccioli’ e della crescita economica. Gli appalti, l’oro bianco, l’alta finanza.
Era l’inizio della lunga lista di padri e madri della patria abbandonati sul campo di battaglia e mandati a morte sotto i feroci colpi della mafia. Nel giro di pochi anni, infatti, Cosa nostra aveva messo a punto una vera e propria mattanza di servitori dello Stato e giornalisti.


Il boato
Era il 1983. Venerdì 29 luglio, ore 8.05. Il capo dell’ufficio istruzione di Palermo Rocco Chinnici saluta il portinaio del condominio in cui abita. Via Federico Pipitone avvolta dal caldo torrido di fine luglio e dagli odori e rumori palermitani è sempre la solita. Chinnici esce di casa. Un uomo preme un pulsante. Un boato. Un istante lungo un sospiro e la via si trasforma nell’inferno. Sirene spiegate, ambulanze, urla, macerie, vetri e mura frantumate, un immenso cratere profondo e nero ha preso il

posto della macchina del giudice. La mafia aveva colpito ancora, e lo aveva fatto nel modo più vigliacco e sensazionale che poteva. Un' autobomba, la prima di una lunga serie, aveva spazzato via Rocco Chinnici, i due agenti della scorta Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, e il portinaio del condominio Stefano Li Sacchi 
la strage














Zeroprobabilità di errore perché questo giudice testardo che aveva intuito troppe cose andava cancellato. 
Cosa aveva capito Rocco Chinnici di tanto fastidioso? 
Paolo Borsellino parla di lui come di una grande mente che già alla fine degli anni ’70, quando ancora le conoscenze sul fenomeno mafioso erano molto lacunose, era riuscito a intuire prima di tutti cosa fosse Cosa nostra e le sue connessioni con l’alta finanza, la politica e l’imprenditoria. “Le dimensioni gigantesche della organizzazione, la sua estrema pericolosità, gli ingentissimi capitali gestiti, i collegamenti con le organizzazioni di oltreoceano e con quelle similari di altre regioni d’Italia, le peculiarità del rapporto mafia-politica, la droga ed i suoi effetti devastanti, l’inadeguatezza della legislazione: c’è già tutto in questi scritti di Chinnici”.
La grandezza di Chinnici fu anche nel cercare di potenziare e rendere efficaci gli strumenti per la lotta alla mafia. Il giudice aveva capito l’importanza di lavorare in équipe e aveva gettato le basi per il futuro pool antimafia guidato da Antonio Caponnetto: “Ne tentò i primi difficili esperimenti, sempre comunque curando che si instaurasse un clima di piena e reciproca collaborazione e di circolazione di informazioni fra i “suoi” giudici. - racconta Paolo Borsellino in un suo scritto - Per suo merito, nell’estate del 1983, si erano realizzate, pur
nell’assenza di una idonea regolamentazione legislativa, ancora oggi mancante, tutte le condizioni per la creazione del pool antimafia”.
Chinnici può essere considerato per molti aspetti il precursore della lotta antimafia portata avanti poi dal pool antimafia e da Falcone e Borsellino, fu lui a creare l’embrione del primo maxi processo con il procedimento allora detto “dei 162”. Fu tra i primi a capire che bisognava cercare tutte le interconnessioni tra i grandi delitti compiuti dalla mafia per studiare unitariamente l’intero fenomeno mafioso. Così come era convinto che unitamente, dai vari componenti dello Stato, andava combattuta la criminalità organizzata. Infatti, scrive il giudice Borsellino: “Non si stancò mai di ripetere, ogni volta che ne ebbe occasione, che solo un intervento globale dello Stato, nella varietà delle sue funzioni amministrative, legislative ed, in senso ampio, politiche, avrebbe potuto sicuramente incidere sulle radici della malapianta, avviando il processo del suo sradicamento”. 
Oggi: lo stato delle cose
Dopo 32 anni però la mafia invece di essere sradicata si è avvinghiata ancora di più alle scure trame del potere raggiungendo livelli di convivenza politico finanziaria che le permette oggi di essere la più grande potenza economica italiana con un fatturato di oltre 80 miliardi di euro. Molti sono stati gli uomini e le donne che dopo Chinnici hanno ereditato la sua lotta, ma puntualmente sono stati ostacolati, isolati, screditati e quando questo non bastava uccisi. Alcune vittorie grazie al coraggio di questi uomini sono state raggiunte e alcune verità sono emerse, qualche volto è stato scoperto ma certamente è mancato quell’intervento globale dello Stato di cui parlava il giudice. Anzi, sembra non esserci tuttora la volontà, da parte di alcuni centri di potere, di capire e trovare i mandanti dei grandi delitti e stragi. “Una disamina complessiva di quanto è emerso dai processi (sugli omicidi eccellenti, ndr) - scrive il pm Nino Di Matteo sul suo nuovo libro Collusi (scritto a quattro mani con Salvo Palazzolo, edizioni BUR, ndr) - … lascia intravedere dietro ogni omicidio eccellente una convergenza di interessi mafiosi e di altri poteri, di volta in volta politico-istituzionali, imprenditoriali o finanziari. Tale convergenza si è manifestata con modalità differenti.”. 
Chi ha voluto dunque la morte del giudice Chinnici?
Nel mirino investigativo del giudice erano finiti i cugini Salvo, all’epoca i veri padroni della Sicilia imprenditoriale. Nino Di Matteo che nel 1996 si occupò a Caltanissetta dell'indagine sull'attentato a Chinnici nel libro Collusi scrive: “Le parole di Brusca (collaboratore di giustizia che parlò del coinvolgimento dei Salvo nell’attentato, ndr) e i numerosi riscontri emersi nel processo non lasciano spazio a interpretazioni: questa volta, Cosa Nostra aveva agito su input di altri. A dare il via era stato un vero e proprio potentato economico-politico, costituito da soggetti la cui autorevolezza criminale derivava dall’inserimento in un circuito esterno all’organizzazione mafiosa.” I cugini Salvo, scrive ancora Di Matteo, “avevano potuto chiedere e ottenere un omicidio eccellente di quel tipo proprio perché rappresentavano lo snodo più importante di contatto e penetrazione del potere politico nazionale”.
I processi per il delitto Chinnici sono stati numerosi e come sempre l’iter giudiziario è stato piuttosto lungo e complesso.
Soltanto il 24 giugno 2002 la Corte d’appello di Caltanissetta ha confermato 16 condanne (12 ergastoli e quattro condanne a 18 anni di reclusione) per alcuni fra i più importanti affiliati di Cosa nostra.
La sentenza ha dato ragione alla tesi dell’accusa secondo cui l’omicidio di Rocco Chinnici fu chiesta dagli “esattori” Nino e Ignazio Salvo (entrambi deceduti, il primo per malattia, il secondo ucciso nel 1992).
Il giallo del fascicolo scomparso
Secondo alcuni pentiti il terzo processo d’appello, celebrato a Messina nel 1988, dopo due annullamenti della Cassazione, avrebbe subito degli ‘aggiustamenti’ per arrivare all’assoluzione, per insufficienza di prove, dei mandanti Michele e Salvatore Greco, e di Pietro Scarpisi e Vincenzo Morabito come esecutori. Secondo quanto dissero all’epoca i collaboratori di giustizia in questione, infatti, la mafia avrebbe corrotto l’allora presidente della corte d’Assise, Giuseppe Recupero, accusato di aver preso 200 milioni. Il fascicolo venne trasmesso nuovamente a Palermo nell’estate del ’98 dal gup di Reggio Calabria, dichiaratosi “incompetente’’ a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno in mafia e corruzione di quest’ultimo. Il caso però finì nel dimenticatoio per poi tornare fortuitamente alla luce per la scoperta di due giornalisti che stavano lavorando al libro “Così non si può vivere” edito da Castelvecchi. L’inchiesta sul “fascicolo scomparso” venne quindi affidata al procuratore aggiunto Vittorio Teresi per poi essere archiviata lo scorso anno. Sulla vicenda sono tornati 15 senatori del Movimento 5 stelle che, alla vigilia del 32/esimo anniversario della strage hanno presentato un'interrogazione presentato al ministro della Giustizia.

L'insegnamento di Rocco Chinnici
In questi trentadue anni ci sono state molte iniziative della società civile per chiedere verità e giustizia, per manifestare il rifiuto al malaffare mafioso. Iniziative fondamentali per quel processo di sradicamento di cui parlava il giudice che però trova la sua realizzazione in una nuova coscienza critica che guidando l’azione individuale supera l’eccezionalità dell’evento o 
Paolo Borsellino porta la bara di Rocco Chinnici
dell’incontro pubblico. Rocco Chinnici fu tra i primi magistrati ad andare nelle scuole e parlare ai giovani, convinto della necessità di gettare le basi per questa nuova coscienza civile e socialeChinnici, racconta ancora Paolo Borsellino nel suo scritto, era convinto che “una lunga e defatigante istruttoria su un omicidio di mafia o su un traffico internazionale di stupefacenti non avrebbe avuto senso compiuto se insieme egli non avesse profuso tra i giovani, che con la sua attività giudiziaria cercava di difendere, anche quei frutti della sua esperienza e della sua cultura che, se ben recepiti, li avrebbero messi in grado di 





mercoledì 31 luglio 2013

Difendere Nino di Matteo vuol dire anche fare memoria e onorare Rocco Chinnici

Le notizie trapelate nei giorni scorsi su di un possibile attentato contro il giudice Nino Di Matteo  hanno allarmato forze dell'ordine, magistratura e tutti coloro che si impegnano contro le mafie. Spontanee e forti, iniziative e manifestazioni in sostegno del giudice si sono svolte in molte città italiane. Manifestazioni  ispirate soprattutto grazie all'azione del Popolo delle Agende Rosse , il movimento nato dalle battaglie che Salvatore Borsellino porta avanti da anni per fare piena luce sulla morte del fratello  Paolo. Al giudice Di Matteo sono così giunte lettere e testimonianze di solidarietà  da tutta Italia. 
Quella che riportiamo è la sua Lettera Aperta di ringraziameno.
E' l'occasione anche per fare memoria e onorare la figura di un altro giudice, Rocco Chinnici di cui il 29 luglio scorso ricorreva l'anniversario dell'uccisione. Di Rocco Chinnici riportiamo un breve ritratto, dopo la Lettera di Nino Di Matteo

Fonte: Blog di Salvatore Borsellino


LETTERA APERTA da Nino Di Matteo

Quando ho appreso che tanti cittadini, da ogni parte d’Italia, stavano organizzando le manifestazioni di oggi, mi sono sinceramente commosso ed ho immediatamente provato un profondo sentimento di riconoscenza e gratitudine nei confronti di tutti Voi.

Per me e per i miei familiari il Vostro sostegno e la Vostra solidarietà sono di grande conforto e rappresentano una splendida iniezione di forza ed entusiasmo in un momento difficile.

Non solo per la fiducia e la stima che dimostrate di nutrire nei confronti del mio lavoro ma, ancor più, perché la vostra passione civile, la sete di verità e giustizia, la voglia di non cedere alla indifferenza, rappresentano il punto di riferimento più autentico per ogni cittadino che, nutrendosi dei valori della Costituzione, non si rassegna a vederne quotidianamente calpestati i sacri valori di libertà, democrazia, eguaglianza di tutti davanti alla legge.

Il Vostro entusiasmo, il Vostro impegno per l’affermazione e l’applicazione concreta dei valori costituzionali, contagerà la parte la parte sana del nostro Paese, e prevarrà sui tanti che purtroppo hanno dimenticato che l’esercizio di un ruolo politico, pubblico, istituzionale, qualunque esso sia, deve innanzitutto ispirarsi alla logica del servizio nei confronti del cittadino, specie del più debole e del più povero.
Vi ringrazio perché la Vostra solidarietà e la Vostra sacrosanta aspirazione alla giustizia, sono e saranno più forti, e per me più importanti, dei tanti ed assordanti silenzi istituzionali.
Vi ringrazio perché la tensione morale e l’attenzione con la quale seguite il nostro lavoro ci ricordano l’essenza più autentica ed entusiasmante del nostro impegno di magistrati: la ricerca della verità, l’affermazione del diritto come servizio alla collettività, garanzia di uguaglianza ed unica strada per arrivare alla vera libertà.
Porterò sempre in me il significato profondo della Vostra solidarietà.
Ciò che avete fatto oggi mi rende sempre più convinto ed orgoglioso di continuare a servire il mio Paese, cercando di indossare con dignità la stessa toga di chi ha sacrificato perfino la sua vita per amore della GIUSTIZIA.
Palermo, 29 luglio 2013
Nino Di Matteo



Rocco Chinnici viene ucciso il 29 luglio 1983
la strage provocata dall'esplosione
Un auto imbottita di esplosivo viene piazzata in via Pipitone Federico a Palermo, dinanzi all'abitazione del giudice. Nell'attentato, oltre al giudice Chinnici muoiono Stefano Li Sacchi,  il portiere dello stabile   nel quale Rocco Chinnici abitava,  il maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi e l'appuntato Salvatore Bartolotta.
Col giudice Rocco Chinnici, Procuratore Capo della Procura di Palermo, era nettamente cambia to l'atteggiamento tenuto sino ad allora da larga parte dalla magistratura siciliana nei confronti di "cosa nostra". Con l'operato di Rocco Chinnici a Palermo, sembrano lontane le dichiarazioni ufficiali nei quali si affermava che la mafia non esiste, o era manifestazione quasi  "folcloristico " della cosiddetta sicilianità, oppure era una organizzazione criminale oramai in in via di estinzione.
L'efficacia del lavoro svolto attraverso la sua direzione è testimoniata da una dichiarazione dell'epoca dello stesso Rocco Chinnici: "Un mio orgoglio particolare è la dichiarazione degli americani secondo cui l'Ufficio Istruzione di Palermo è diventato il centro pilota della lotta antimafia, un  esempio per le altre magistrature".
Ma la risposta violenta di cosa nostra aveva già provocato le prime cosiddette "vittime eccellenti". 

A tale proposito così ebbe a dire Rocco Chinnici: "(...) anche se cammino con la scorta, so che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. per un magistrato come me è normale consdiderarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non mpedisce, nè a me nè ad altri giudici, d continuare a lavorare". 
Parole che sembrano una profezia: altri giudici, allora ancora sconosciuti avevano  iniziato davvero a lavorare insieme a Rocco Chinnici e ne avrebero portato avanti l'opera avviata nel segno dell'etica e dell'onestà professionale. Fra quei giudici, due giovani figure stavano allora emergendo: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino