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mercoledì 23 settembre 2015

Giancarlo Siani: "l'eresia" di voler capire, conoscere, andare oltre l'apparenza.

Quel 23 settembre 1985 era un lunedì. Giancarlo Siani aveva finito di lavorare prima del solito. Doveva andare a un concerto. La fidanzata lo aspettava...La sera in cui fu ammazzato, Giancarlo Siani tornava a casa prendendo il vento di faccia nella sua Citroen Méhari verde bottiglia. Aveva compiuto 26 anni da quattro giorni. Ed era felice.

Quest'anno , per fare Memoria, scegliamo l'articolo sritto da Francesca Mondin su Antimafiaduemila perchè l'articolo termina rivelando il senso del fare memoria : "
"(...) Si cerca in tutti i modi di imbavagliare la libertà di stampa, (ancora oggi!) ultimo caso il disegno di legge dove si vuole limitare la pubblicazione delle intercettazioni.(...) Ora spetta ad ogni singolo cittadino raccogliere con responsabilità ed orgoglio l’eredità che ci ha lasciato questo ragazzo di appena ventisei anni, l’entusiasmo per capire, frugare, andare oltre l’apparenza e conoscere cosa succede attorno a noi."

Fonte : Antimafiaduemila

Giancarlo Siani, l’entusiasmo di cercare e capire


siani giancarlo web5Video
di Francesca Mondin

E’ il 23 settembre del 1985, Giancarlo Siani, giornalista di Torre Annunziata, sta tornando a casa, cinque giorni prima aveva compiuto gli anni, ventisei. Davanti ha una vita intera, ambizioni, progetti, sogni. Poco più in là due uomini aspettano. E’ quasi arrivato, parcheggia l’auto. I due individui sono armati. All’improvviso una raffica di proiettili lo colpisce alla testa ed in un soffio il suo futuro viene strappato via.
Non era un caporedattore o un direttore di un giornale importante, quel ragazzo era un semplice cronista d’assalto che stava ancora facendo la così detta “gavetta”. Uno dei tanti precari. “Il Mattino”, giornale per il quale aveva iniziato a scrivere, ancora non lo aveva nemmeno assunto.
Giancarlo Siani era però uno dei pochi che faceva i nomi dei maggiori boss di Camorra, I Nuvoletta, i Gionta, i Giuliano.
Aveva lavorato prima per il periodico “Osservatorio sulla camorra”, rivista di carattere socio-informativo ed era convinto che essere giornalista significasse raccontare. Indagare, scoprire cosa si poteva nascondere sotto la semplice cronaca. Senza censura e mettendo da parte la paura. Girava per Torre Annunziata in cerca di fatti, sulla sua Méhari, una macchina verde, poco più di un carretto a motore, senza nemmeno la protezione di un tetto o un finestrino.
All’epoca la Camorra, come le altre organizzazioni mafiose, si stava modernizzando e fiutava la possibilità di arricchirsi e crescere. I Nuvoletta si erano avvicinati ai corleonesi di Totò Riina. Intanto la guerra di Camorra aveva lasciato già decine di morti alle spalle. Di tutto quello che vede e capisce, Siani non tace nulla e scrive. Denuncia con le sue indagini l’espansione dell’impero del boss Valentino Gionta. Racconta del fiume di soldi, che facevano gola alla malavita, arrivati in Campania per la ricostruzione dell’Irpina dopo il terremoto dell’80. Svela con i suoi articoli l’organizzazione, il sistema e le logiche mafiose, raccontando degli intrecci e rapporti con l’economia e la politica. In altre parole offre all’opinione pubblica tanti tasselli di un puzzle che uniti permettono al cittadino di comprendere logiche losche che governano allora come oggi alcuni ambienti politico-imprenditoriali.

Trent’anni e una verità parziale
Ci sono voluti otto anni di processi, per arrivare ad una prima verità giudiziaria. La sentenza di Cassazione dice che a decretare la morte del giovane giornalista sarebbe stato il boss Lorenzo Nuvoletta in seguito ad un articolo del 10 giugno 1985, dove Siani aveva raccontato come il capomafia, amico e referente in Campania di Totò Riina, aveva tradito l’alleato Valentino Gionta, ‘vendendolo’ ai carabinieri.
Dopo trent’anni però la verità sull’omicidio di Giancarlo Siani è ancora incompleta.
A riportare a galla il caso è stato un libro uscito lo scorso anno ''Il caso non è chiuso” (ed. Castelvecchi), frutto di un’inchiesta giornalistica di Roberto Paolo, caporedattore del quotidiano "Roma". Secondo le prove e le testimonianze inedite raccolte dall’autore, a premere il grilletto contro Siani non sarebbero stati Armando Del Core e Ciro Cappuccio, gli uomini attualmente in carcere, condannati all’ergastolo per l’omicidio Siani, ma altri due ragazzi, entrambi deceduti, che lavoravano per i Giuliano. Così come a pianificare l’attentato non sarebbe stato solo il clan dei Nuvoletta ma anche quello Gionta e Giuliano, ognuno per un proprio interesse. Una pista, in realtà, già seguita nelle prime indagini ma poi abbandonata. Siani, secondo quanto raccontato nel libro, andava fatto fuori perchè stava indagando sulla gestione dell'affare delle cooperative di ex detenuti. Business sul quale la cosca napoletana e quella di Torre Annunziata lucravano ingenti somme di denaro.
I pm della Dda di Napoli, Henry John Woodcock e Enrica Parascandalo che stanno conducendo nuove indagini nel massimo riserbo, non hanno ancora rilasciato informazioni sullo stato dell’inchiesta.
Secondo il giornalista Roberto Paolo, la nuova verità che potrebbe emergere dalle indagini in corso potrebbe completare quella lacunosa raggiunta con la prima sentenza, costruita con molta fatica e impedimenti.

L’eredita di Giancarlo Siani
Ad oggi una cosa è certa, Giancarlo Siani aveva, per citare Pippo Fava (altro martire giornalista ucciso dalla mafia) un concetto etico del giornalismo. Cosa che in terra di Camorra non era accettato. Infatti è stato ucciso perché era solo, non aveva protezioni di nessun tipo, l’attivismo antimafia era agli albori e si faceva scudo di questi rari esempi di coraggio. Nessuno parlava di Camorra, per i media l’argomento mafia era un tabù.
Oggi la situazione è senza dubbio diversa, lo dimostra il fatto che in questi giorni per il trentennale ci sono stati molti eventi per ricordare il giovane cronista di Torre Annunziata e rispetto all’epoca ci sono molte organizzazioni e associazioni antimafia.
Inoltre qualche raro programma televisivo ogni tanto accenna un’inchieste sul malaffare. Ma l’attenzione nei confronti di chi, come Giancarlo Siani allora, è oggi in prima linea sulle terre di confine è ancora molto bassa. Ci sono moltissimi giornalisti, magistrati e cittadini che ricevono minacce e intimidazioni di ogni tipo, c’è ancora troppa omertà e indifferenza. L’informazione è in balia dello share. Basti pensare all’ultimo show di Vespa a "Porta a Porta" con i Casamonica. 
Si cerca in tutti i modi di imbavagliare la libertà di stampa, ultimo caso il disegno di legge dove si vuole limitare la pubblicazione delle intercettazioni. La televisione pullula di talkshow, che spesso si trasformano in spettacoli da Colosseo dove l’insulto è la parola d’ordine e allo spettatore si ritrova a ridere, piangere o criticare, senza in fondo aver capito veramente l’obiettivo del confronto.
Ora spetta ad ogni singolo cittadino raccogliere con responsabilità ed orgoglio l’eredità che ci ha lasciato questo ragazzo di appena ventisei anni, l’entusiasmo per capire, frugare, andare oltre l’apparenza e conoscere cosa succede attorno a noi.

martedì 23 settembre 2014

Quel 23 settembre 1985 era un lunedì. Giancarlo Siani Aveva compiuto 26 anni da quattro giorni. Ed era felice!

Quel 23 settembre 1985 era un lunedì. Giancarlo Siani aveva finito di lavorare prima del solito. Doveva andare a un concerto. La fidanzata lo aspettava...La sera in cui fu ammazzato, Giancarlo Siani tornava a casa prendendo il vento di faccia nella sua Citroen Méhari verde bottiglia. Aveva compiuto 26 anni da quattro giorni. Ed era felice.

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Ricordiamo la storia di Giancarlo Siani, come lo ha ricordato Antonio Castaldo, nell'artico scritto lo scorso anno in occasione dell'anniversario della sua uccisione

Fonte : Corriere Della Sera

di Antonio Castaldo

Era Lunedì. Giancarlo aveva finito di lavorare prima del solito. Doveva andare a un concerto. La fidanzata lo aspettava. E mentre dal Chiatamone, nel cuore barocco di Napoli, volava verso casa, su al Vomero, molto probabilmente sorrideva. Aveva ottenuto un contratto di due mesi, una sostituzione estiva alMattino. Da cinque anni era un «abusivo», lo schiavetto della redazione di Castellammare di Stabia. Senza contratto e senza diritti. Ma il purgatorio stava per finire. «Appena parte il nuovo piano editoriale sarai assunto», gli aveva detto il direttore Pasquale Nonno. Il suo sogno, lo stesso di ogni ragazzo che vuole fare il giornalista, stava per realizzarsi. Avrebbe avuto un contratto da praticante. La sera in cui fu ammazzato, Giancarlo Siani tornava a casa prendendo il vento di faccia nella sua Citroen Méhari verde bottiglia. Aveva compiuto 26 anni da quattro giorni. Ed era felice.
Una sentenza passata in giudicato nel 2000 ha stabilito che ad uccidere il giornalista napoletano alle 20.50 del 23 settembre 1985 sono stati due killer del clan Nuvoletta. Da quello stesso giorno il suo nome è diventato un simbolo di legalità. Giancarlo è diventato un eroe, un martire. Nessuno può negarlo e una sentenza lo conferma, i killer lo hanno ammazzato per quello che aveva scritto. E per ciò che stava per scrivere. Eppure, come ci ricorda un libro di Bruno De Stefano appena pubblicato, Passione e morte di un giornalista scomodo (Giulio Perrone editore), Siani era «un cronista che faceva semplicemente il suo lavoro con tanta passione e altrettanto rigore». E «il santino da eroe e da martire cucito addosso a questo giovanotto solare e sorridente più che rendergli onore lo mortifica, svilisce la sua intelligenza e il suo equilibrio trasformandolo in uno sprovveduto aspirante cronista inconsapevole dei rischi a cui andava incontro». Il libro di De Stefano restituisce alla corretta ricostruzione dei fatti un ragazzo morto ammazzato inseguendo la verità. E ce n’era bisogno perché altri avevano affrontato il caso dal punto di vista soltanto emozionale, come in un romanzo. Mancava un’analisi organica e definitiva della lunga vicenda processuale. Un testo che completasse certezze maturate in 15 anni di passi falsi.
Siani era un cronista di provincia. L’ultimo arrivato nel più grande quotidiano del Sud. Fin dal giorno del delitto, per qualcuno è stato difficile accettare l’idea che fosse stato giustiziato a causa del suo lavoro di cronista di frontiera. All’inizio anche la stessa magistratura ha inseguito ipotesi suggestive quanto irreali, collusioni con cooperative di ex detenuti piuttosto che piste passionali. La verità era altrove, ed è venuta fuori solo a partire dalla metà degli anni 90, grazie ad alcuni pentiti e al lavoro di un magistrato determinato come Armando D’Alterio.
Siani era dal 1980 corrispondente dalla città di Torre Annunziata, in quegli anni al centro della sanguinosa faida che opponeva il gruppo di Bardellino (il nucleo primigenio del clan dei casalesi) alle famiglie vesuviane di Alfieri e Gionta. Una guerra di mafia culminata nel massacro del 26 agosto del 1984 a Torre Annunziata. Gli uomini di Bardellino piombarono nel quartier generale dei Gionta a bordo di un pullman.  Morirono 8 persone, 7 i feriti. Ma il boss Valentino scampò all’agguato.
Giancarlo non poté scrivere molto sul fatto più grosso che gli fosse mai capitato. Come sempre in questi casi, i pezzi di prima pagina sono appannaggio degli inviati speciali. Ma nei mesi successivi si diede da fare con gli scenari criminali in continuo mutamento.
L’8 giugno 1985 Gionta viene arrestato nei pressi della tenuta di campagna dei Nuvoletta, dove aveva trovato rifugio durante la latitanza. Ancora una volta Siani resta in panchina. Ma il 10 giugno appare un pezzo di analisi che prova a spiegare quell’arresto inaspettato: La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di ‘Nuova famiglia’, i Bardellino”, scrive, evidentemente imbeccato dagli investigatori. E questa frase, a quanto hanno accertato dai giudici, decreta la sua condanna a morte.
Tuttavia, l’ombra di infamia fatta aleggiare sui potentissimi Nuvoletta non è il solo movente. Siani stava indagando da alcuni mesi sugli intrecci tra la classe politica vesuviana e la criminalità organizzata. Le sue fonti racconteranno delle continue richieste di documenti su appalti e piani di ricostruzione, riccamente finanziati dai fondi per il terremoto
Un’amica di vecchia data, Chiara Grattoni, testimonierà che Giancarlo era in quel periodo eccitato per le notizie che aveva scoperto: “La cosa che ricordo di più, che mi impressionò di più, era che lui sosteneva che i politici di Torre Annunziata fossero implicati in fatti di camorra [...]. Era molto preso dalla cosa”. Confermò la donna. E come alla fine concluse il pm D’Alterio, Siani faceva paura per il solo fatto che in un ambiente omertoso, quale quello di Torre Annunziata, faceva domande e smuoveva le acque”.
Siani, insomma, dava fastidio perché poneva interrogativi scomodi. E perché continuava a raccogliere documenti su documenti. Il giorno della sua morte telefonò ad Amato Lamberti, il sociologo da sempre impegnato nella lotta alla camorra, e gli chiese urgentemente un incontro. Doveva parlargli. Ma al telefono non poteva, e non vicino al giornale, dove evidentemente non si sentiva
al sicuro. Nessuno sa cosa avesse scoperto. Quando è stato ucciso, nella scassatissima auto decappottabile, in ufficio e a casa, non è stata trovata traccia del dossier su cui lavorava. Una stranezza per chi come lui era abituato ad archiviare anche gli scontrini. Sta di fatto che, come hanno raccontato Lamberti e vari altri testimoni, Siani aveva imboccato la pista della corruzione e dell’abbraccio velenoso tra camorra e politica. Negli anni successivi altre inchieste e altri processi proveranno la correttezza delle sue intuizioni. Il Comune di Torre Annunziata sarà sciolto per infiltrazioni mafiose e il sindaco condannato. Giancarlo aveva ragione ma non gli è stata concessa la possibilità di scriverlo. Aveva appena compiuto 26 anni. Ed era felice!

lunedì 23 settembre 2013

Era Lunedì.Giancarlo Siani tornava a casa prendendo il vento di faccia nella sua Citroen Méhari verde bottiglia. Aveva compiuto 26 anni da quattro giorni. Ed era felice.

Quel 23 settembre 1985 era un lunedì. Giancarlo Siani aveva finito di lavorare prima del solito. Doveva andare a un concerto. La fidanzata lo aspettava...La sera in cui fu ammazzato, Giancarlo Siani tornava a casa prendendo il vento di faccia nella sua Citroen Méhari verde bottiglia. Aveva compiuto 26 anni da quattro giorni. Ed era felice.

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Ricordiamo la storia di Giancarlo Siani, come lo ha ricordato Antonio Castaldo, nell'artico scritto lo scorso anno in occasione dell'anniversario della sua uccisione

Fonte : Corriere Della Sera

di Antonio Castaldo

Era Lunedì. Giancarlo aveva finito di lavorare prima del solito. Doveva andare a un concerto. La fidanzata lo aspettava. E mentre dal Chiatamone, nel cuore barocco di Napoli, volava verso casa, su al Vomero, molto probabilmente sorrideva. Aveva ottenuto un contratto di due mesi, una sostituzione estiva alMattino. Da cinque anni era un «abusivo», lo schiavetto della redazione di Castellammare di Stabia. Senza contratto e senza diritti. Ma il purgatorio stava per finire. «Appena parte il nuovo piano editoriale sarai assunto», gli aveva detto il direttore Pasquale Nonno. Il suo sogno, lo stesso di ogni ragazzo che vuole fare il giornalista, stava per realizzarsi. Avrebbe avuto un contratto da praticante. La sera in cui fu ammazzato, Giancarlo Siani tornava a casa prendendo il vento di faccia nella sua Citroen Méhari verde bottiglia. Aveva compiuto 26 anni da quattro giorni. Ed era felice.
Una sentenza passata in giudicato nel 2000 ha stabilito che ad uccidere il giornalista napoletano alle 20.50 del 23 settembre 1985 sono stati due killer del clan Nuvoletta. Da quello stesso giorno il suo nome è diventato un simbolo di legalità. Giancarlo è diventato un eroe, un martire. Nessuno può negarlo e una sentenza lo conferma, i killer lo hanno ammazzato per quello che aveva scritto. E per ciò che stava per scrivere. Eppure, come ci ricorda un libro di Bruno De Stefano appena pubblicato, Passione e morte di un giornalista scomodo (Giulio Perrone editore), Siani era «un cronista che faceva semplicemente il suo lavoro con tanta passione e altrettanto rigore». E «il santino da eroe e da martire cucito addosso a questo giovanotto solare e sorridente più che rendergli onore lo mortifica, svilisce la sua intelligenza e il suo equilibrio trasformandolo in uno sprovveduto aspirante cronista inconsapevole dei rischi a cui andava incontro». Il libro di De Stefano restituisce alla corretta ricostruzione dei fatti un ragazzo morto ammazzato inseguendo la verità. E ce n’era bisogno perché altri avevano affrontato il caso dal punto di vista soltanto emozionale, come in un romanzo. Mancava un’analisi organica e definitiva della lunga vicenda processuale. Un testo che completasse certezze maturate in 15 anni di passi falsi.
Siani era un cronista di provincia. L’ultimo arrivato nel più grande quotidiano del Sud. Fin dal giorno del delitto, per qualcuno è stato difficile accettare l’idea che fosse stato giustiziato a causa del suo lavoro di cronista di frontiera. All’inizio anche la stessa magistratura ha inseguito ipotesi suggestive quanto irreali, collusioni con cooperative di ex detenuti piuttosto che piste passionali. La verità era altrove, ed è venuta fuori solo a partire dalla metà degli anni 90, grazie ad alcuni pentiti e al lavoro di un magistrato determinato come Armando D’Alterio.
Siani era dal 1980 corrispondente dalla città di Torre Annunziata, in quegli anni al centro della sanguinosa faida che opponeva il gruppo di Bardellino (il nucleo primigenio del clan dei casalesi) alle famiglie vesuviane di Alfieri e Gionta. Una guerra di mafia culminata nel massacro del 26 agosto del 1984 a Torre Annunziata. Gli uomini di Bardellino piombarono nel quartier generale dei Gionta a bordo di un pullman.  Morirono 8 persone, 7 i feriti. Ma il boss Valentino scampò all’agguato.
Giancarlo non poté scrivere molto sul fatto più grosso che gli fosse mai capitato. Come sempre in questi casi, i pezzi di prima pagina sono appannaggio degli inviati speciali. Ma nei mesi successivi si diede da fare con gli scenari criminali in continuo mutamento.
L’8 giugno 1985 Gionta viene arrestato nei pressi della tenuta di campagna dei Nuvoletta, dove aveva trovato rifugio durante la latitanza. Ancora una volta Siani resta in panchina. Ma il 10 giugno appare un pezzo di analisi che prova a spiegare quell’arresto inaspettato: La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di ‘Nuova famiglia’, i Bardellino”, scrive, evidentemente imbeccato dagli investigatori. E questa frase, a quanto hanno accertato dai giudici, decreta la sua condanna a morte.
Tuttavia, l’ombra di infamia fatta aleggiare sui potentissimi Nuvoletta non è il solo movente. Siani stava indagando da alcuni mesi sugli intrecci tra la classe politica vesuviana e la criminalità organizzata. Le sue fonti racconteranno delle continue richieste di documenti su appalti e piani di ricostruzione, riccamente finanziati dai fondi per il terremoto
Un’amica di vecchia data, Chiara Grattoni, testimonierà che Giancarlo era in quel periodo eccitato per le notizie che aveva scoperto: “La cosa che ricordo di più, che mi impressionò di più, era che lui sosteneva che i politici di Torre Annunziata fossero implicati in fatti di camorra [...]. Era molto preso dalla cosa”. Confermò la donna. E come alla fine concluse il pm D’Alterio, Siani faceva paura per il solo fatto che in un ambiente omertoso, quale quello di Torre Annunziata, faceva domande e smuoveva le acque”.
Siani, insomma, dava fastidio perché poneva interrogativi scomodi. E perché continuava a raccogliere documenti su documenti. Il giorno della sua morte telefonò ad Amato Lamberti, il sociologo da sempre impegnato nella lotta alla camorra, e gli chiese urgentemente un incontro. Doveva parlargli. Ma al telefono non poteva, e non vicino al giornale, dove evidentemente non si sentiva
al sicuro. Nessuno sa cosa avesse scoperto. Quando è stato ucciso, nella scassatissima auto decappottabile, in ufficio e a casa, non è stata trovata traccia del dossier su cui lavorava. Una stranezza per chi come lui era abituato ad archiviare anche gli scontrini. Sta di fatto che, come hanno raccontato Lamberti e vari altri testimoni, Siani aveva imboccato la pista della corruzione e dell’abbraccio velenoso tra camorra e politica. Negli anni successivi altre inchieste e altri processi proveranno la correttezza delle sue intuizioni. Il Comune di Torre Annunziata sarà sciolto per infiltrazioni mafiose e il sindaco condannato. Giancarlo aveva ragione ma non gli è stata concessa la possibilità di scriverlo. Aveva appena compiuto 26 anni.

domenica 23 settembre 2012

Giancarlo Siani e la storia che non ha fatto in tempo a scrivere: è stato ucciso il 23 settembre 1985

"(...)Come hanno raccontato Lamberti e vari altri testimoni, Siani aveva imboccato la pista della corruzione e dell’abbraccio velenoso tra camorra e politica. Negli anni successivi altre inchieste e altri processi proveranno la correttezza delle sue intuizioni. Il Comune di Torre Annunziata sarà sciolto per infiltrazioni mafiose e il sindaco condannato. Giancarlo aveva ragione ma non gli è stata concessa la possibilità di scriverlo. Aveva appena compiuto 26 anni."
giancarlo siani

 Fonte : Corriere Della Sera

di Antonio Castaldo

Era Lunedì. Giancarlo aveva finito di lavorare prima del solito. Doveva andare a un concerto. La fidanzata lo aspettava. E mentre dal Chiatamone, nel cuore barocco di Napoli, volava verso casa, su al Vomero, molto probabilmente sorrideva. Aveva ottenuto un contratto di due mesi, una sostituzione estiva alMattino. Da cinque anni era un «abusivo», lo schiavetto della redazione di Castellammare di Stabia. Senza contratto e senza diritti. Ma il purgatorio stava per finire. «Appena parte il nuovo piano editoriale sarai assunto», gli aveva detto il direttore Pasquale Nonno. Il suo sogno, lo stesso di ogni ragazzo che vuole fare il giornalista, stava per realizzarsi. Avrebbe avuto un contratto da praticante. La sera in cui fu ammazzato, Giancarlo Siani tornava a casa prendendo il vento di faccia nella sua Citroen Méhari verde bottiglia. Aveva compiuto 26 anni da quattro giorni. Ed era felice.
Una sentenza passata in giudicato nel 2000 ha stabilito che ad uccidere il giornalista napoletano alle 20.50 del 23 settembre 1985 sono stati due killer del clan Nuvoletta. Da quello stesso giorno il suo nome è diventato un simbolo di legalità. Giancarlo è diventato un eroe, un martire. Nessuno può negarlo e una sentenza lo conferma, i killer lo hanno ammazzato per quello che aveva scritto. E per ciò che stava per scrivere. Eppure, come ci ricorda un libro di Bruno De Stefano appena pubblicato, Passione e morte di un giornalista scomodo (Giulio Perrone editore), Siani era «un cronista che faceva semplicemente il suo lavoro con tanta passione e altrettanto rigore». E «il santino da eroe e da martire cucito addosso a questo giovanotto solare e sorridente più che rendergli onore lo mortifica, svilisce la sua intelligenza e il suo equilibrio trasformandolo in uno sprovveduto aspirante cronista inconsapevole dei rischi a cui andava incontro». Il libro di De Stefano restituisce alla corretta ricostruzione dei fatti un ragazzo morto ammazzato inseguendo la verità. E ce n’era bisogno perché altri avevano affrontato il caso dal punto di vista soltanto emozionale, come in un romanzo. Mancava un’analisi organica e definitiva della lunga vicenda processuale. Un testo che completasse certezze maturate in 15 anni di passi falsi.
Siani era un cronista di provincia. L’ultimo arrivato nel più grande quotidiano del Sud. Fin dal giorno del delitto, per qualcuno è stato difficile accettare l’idea che fosse stato giustiziato a causa del suo lavoro di cronista di frontiera. All’inizio anche la stessa magistratura ha inseguito ipotesi suggestive quanto irreali, collusioni con cooperative di ex detenuti piuttosto che piste passionali. La verità era altrove, ed è venuta fuori solo a partire dalla metà degli anni 90, grazie ad alcuni pentiti e al lavoro di un magistrato determinato come Armando D’Alterio.
Siani era dal 1980 corrispondente dalla città di Torre Annunziata, in quegli anni al centro della sanguinosa faida che opponeva il gruppo di Bardellino (il nucleo primigenio del clan dei casalesi) alle famiglie vesuviane di Alfieri e Gionta. Una guerra di mafia culminata nel massacro del 26 agosto del 1984 a Torre Annunziata. Gli uomini di Bardellino piombarono nel quartier generale dei Gionta a bordo di un pullman.  Morirono 8 persone, 7 i feriti. Ma il boss Valentino scampò all’agguato.
Giancarlo non poté scrivere molto sul fatto più grosso che gli fosse mai capitato. Come sempre in questi casi, i pezzi di prima pagina sono appannaggio degli inviati speciali. Ma nei mesi successivi si diede da fare con gli scenari criminali in continuo mutamento.
L’8 giugno 1985 Gionta viene arrestato nei pressi della tenuta di campagna dei Nuvoletta, dove aveva trovato rifugio durante la latitanza. Ancora una volta Siani resta in panchina. Ma il 10 giugno appare un pezzo di analisi che prova a spiegare quell’arresto inaspettato:La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di ‘Nuova famiglia’, i Bardellino”, scrive, evidentemente imbeccato dagli investigatori. E questa frase, a quanto hanno accertato dai giudici, decreta la sua condanna a morte.

Tuttavia, l’ombra di infamia fatta aleggiare sui potentissimi Nuvoletta non è il solo movente. Siani stava indagando da alcuni mesi sugli intrecci tra la classe politica vesuviana e la criminalità organizzata. Le sue fonti racconteranno delle continue richieste di documenti su appalti e piani di ricostruzione, riccamente finanziati dai fondi per il terremoto
Un’amica di vecchia data, Chiara Grattoni, testimonierà che Giancarlo era in quel periodo eccitato per le notizie che aveva scoperto: La cosa che ricordo di più, che mi impressionò di più, era che lui sosteneva che i politici di Torre Annunziata fossero implicati in fatti di camorra [...]. Era molto preso dalla cosa”. Confermò la donna. E come alla fine concluse il pm D’Alterio,Siani faceva paura per il solo fatto che in un ambiente omertoso, quale quello di Torre Annunziata, faceva domande e smuoveva le acque”.
Siani, insomma, dava fastidio perché poneva interrogativi scomodi. E perché continuava a raccogliere documenti su documenti. Il giorno della sua morte telefonò ad Amato Lamberti, il sociologo da sempre impegnato nella lotta alla camorra, e gli chiese urgentemente un incontro. Doveva parlargli. Ma al telefono non poteva, e non vicino al giornale, dove evidentemente non si sentiva al sicuro. Nessuno sa cosa avesse scoperto. Quando è stato ucciso, nella scassatissima auto decappottabile, in ufficio e a casa, non è stata trovata traccia del dossier su cui lavorava. Una stranezza per chi come lui era abituato ad archiviare anche gli scontrini. Sta di fatto che, come hanno raccontato Lamberti e vari altri testimoni, Siani aveva imboccato la pista della corruzione e dell’abbraccio velenoso tra camorra e politica. Negli anni successivi altre inchieste e altri processi proveranno la correttezza delle sue intuizioni. Il Comune di Torre Annunziata sarà sciolto per infiltrazioni mafiose e il sindaco condannato. Giancarlo aveva ragione ma non gli è stata concessa la possibilità di scriverlo. Aveva appena compiuto 26 anni.