19 luglio 1992 - ore 16.58 - Strage di Via D'Amelio: a trent'anni dalla strage, siamo ancora a chiedere verità e giustizia sullo scandalo di una strage di Stato, sull'infamia di "pezzi" di Stato collusi con mafie e "zona grigia". Anche la Strage di Via D'amelio, come le altre che hanno insanguinato la storia del nostro Paese, attende piena Verità e piena Giustizia. Questo il debito che abbiamo nei confronti di coloro che persero la vita per essere, sino in fondo, fedeli servitori dello Stato e della comunità.
PER AMORE
Paolo Borsellino (52 anni) giudice
Agostino Catalano (43 anni) assistente-capo Polizia di Stato
Emanuela Loi ( 24 anni) agente Polizia di Stato
Walter Eddie Cosina (31 anni) agente scelto Polizia di Stato
Claudio Traina (27 anni) agente scelto Polizia di Stato
Vincenzo Li Muli (22 anni) agente Polizia di Stato
Fiammetta Borsellino:«Non partecipo agli anniversari di via D’Amelio. Mio padre fu lasciato solo e tradito.Una parte si è appropriata della memoria, anche indebitamente, monopolizzandola. Quando ho denunciato la solitudine di mio padre e il tradimento da parte dei suoi colleghi ho sentito il gelo intorno a me. Mio padre diceva sempre che molte cose non si possono provare, tuttavia se ne possono trarre conseguenze. All’indomani di via D’Amelio, mia madre aveva rifiutato i funerali di Stato. Allo stesso modo, noi figli abbiamo deciso di non partecipare mai più a cerimonie e celebrazioni di Stato finché non sarà chiarito, anche fuori dai processi penali, tutto quello che è accaduto.Per me fare memoria è avere risposte in termini di cose concrete, che ci avvicinino alla verità. Fare memoria non è dire vuote parole».
SalvatoreBorsellino (fonte AGI):"Non vogliamo avvoltoi. Le
esternazioni del ministro Nordio al di là del loro esito, hanno mostrato
la volontà di demolire la legislazione pensata da Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino per dare alle forze dell'ordine, alla magistratura, alla parte sana
della società, gli strumenti per combattere la criminalità organizzata. Dalle
istituzioni vogliamo solo verità e giustizia e poi potranno onorare Paolo
se lo desiderano, in ogni caso non troveranno posto simboli di morte, corone e
cuscini di fiori. Impediremo ipocrite manifestazioni di cordoglio da chi poi fa
tutt'altro. Noi non facciamo contestazioni violente: se dovessero presentarsi
persone non gradite, diremo la nostra. In via D'Amelio può venire chiunque,
l'importante è che si venga come semplici cittadini, non come rappresentanti
delle istituzioni. Altrimenti manifesteremo il nostro dissenso, alzando le
nostre agende rosse e girandoci di spalle. Combattiamo una lotta che negli
ultimi anni è diventata sempre più difficile. Ci sono stati gli anni della
speranza, nei quali credevo che la morte di mio fratello avrebbe cambiato le
cose. Vedevo una grande reazione e sembrava che ci potesse essere la reazione
dello Stato. Sembrava... Sono durati poco gli anni della speranza. Ho visto il
puzzo del compromesso morale, della complicità, dei governi dell'uno e
dell'altro colore che hanno iniziato a pagare le cambiali di questa scellerata
trattativa costata la vita a mio fratello. Quella trattativa che abbiano
appreso non essere reato da una magistratura giudicante in stato confusionale. Una
sentenza che ha assestato un grave colpo al senso di giustizia. Sto perdendo la
speranza di vedere giustizia, ma ci sono tante persone che continueranno a
combattere per la verità".
19 luglio 1992 - ore 16.58 - Strage di Via D'Amelio: a trent'anni dalla strage, siamo ancora a chiedere verità e giustizia sullo scandalo di una strage di Stato, sull'infamia di "pezzi" di Stato collusi con mafie e "zona grigia". Anche la Strage di Via D'amelio, come le altre che hanno insanguinato la storia del nostro Paese, attende piena Verità e piena Giustizia. Questo il debito che abbiamo nei confronti di coloro che persero la vita per essere, sino in fondo, fedeli servitori dello Stato e della comunità.
PER AMORE
Paolo Borsellino (52 anni) giudice
Agostino Catalano (43 anni) assistente-capo Polizia di Stato
Emanuela Loi ( 24 anni) agente Polizia di Stato
Walter Eddie Cosina (31 anni) agente scelto Polizia di Stato
Claudio Traina (27 anni) agente scelto Polizia di Stato
Vincenzo Li Muli (22 anni) agente Polizia di Stato
Fiammetta Borsellino:«Non partecipo agli anniversari di via
D’Amelio. Mio padre fu lasciato solo e tradito.Una parte
si è appropriata della memoria, anche indebitamente, monopolizzandola. Quando
ho denunciato la solitudine di mio padre e il tradimento da parte dei suoi
colleghi ho sentito il gelo intorno a me. Mio padre diceva sempre che molte
cose non si possono provare, tuttavia se ne possono trarre conseguenze. All’indomani di
via D’Amelio, mia madre aveva rifiutato i funerali di Stato. Allo stesso modo,
noi figli abbiamo deciso di non partecipare mai più a cerimonie e celebrazioni
di Stato finché non sarà chiarito, anche fuori dai processi penali, tutto
quello che è accaduto.Per me fare memoria è avere risposte in termini di cose
concrete, che ci avvicinino alla verità. Fare memoria non è dire vuote parole».
SalvatoreBorsellino:"Sono passati trenta
lunghi anni senza verità. Sono stati celebrati numerosi processi, ma ancora
attendiamo di conoscere tutti in nomi di coloro che hanno voluto le stragi del
'92-'93. Abbiamo chiaro che mani diverse hanno concorso con quelle di Cosa
nostra per commettere questi crimini, ma chi conosce queste relazioni occulte
resta vincolato al ricatto del silenzio. Ora chiediamo noi il silenzio.
Silenzio alle passerelle. Silenzio alla politica. Invece di fare tesoro di ciò
che in questi trent'anni è successo ci
accorgiamo che la lotta alla mafia non
fa più parte di nessun programma politico.Anzi, alcuni recenti provvedimenti legislativi, come la cosiddetta
riforma che introduce il principio dell'improcedibilità per numerosi tipi di
reati e la cosiddetta riforma dell'ergastolo ostativo in discussione presso il
Senato, fanno carta straccia degli
insegnamenti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Adesso basta con
queste disonestà. I cittadini si aspettano dalle istituzioni azioni concrete,
dissociazioni dalla mafia e soprattutto trasparenza per riavere la loro
fiducia. Quest'anno la nostra giornata di memoria si intitolerà "Il suono
del silenzio" e poichè niente deve poter rompere questo silenzio, se non
la musica, ci sarà in via D'Amelio soltanto una pedana sopra la quale un grande
violoncellista, Luca Franzetti, che abbiamo scelto non soltanto per la sua arte
ma anche per il suo grande impegno civile, suonerà e commenterà le sei suites
per violoncello solo di Bach, in particolare la numero 2, ispirata alla rabbia
e la numero 3, ispirata all'amore".
19 luglio 1992 - ore 16.58 - Strage di Via D'Amelio: il dovere di fare memoria sullo scandalo di una strage di Stato, sull'infamia di "pezzi" di Stato collusi con mafie e "zona grigia". Anche la Strage di Via D'amelio, come le altre che hanno insanguinato la storia del nostro Paese, attende piena Verità e piena Giustizia. Questo il debito che abbiamo nei confronti di coloro che persero la vita per essere, sino in fondo, fedeli servitori dello Stato e della comunità.
Lo scorso anno le parole dell'avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino (fratello minore del magistrato)non lasciavo spazio a coperture di alcun genere: "(...) un attentato “con il marchio del Viminale e della Polizia di Stato” dell’epoca. (...) esistono ancora clamorosi punti oscuri, troppe lacune, tanti tasselli che le procure competenti non vogliono evidentemente ricostruire pur avendo gli elementi a disposizione. Si aspetta che qualcuno parli ma le voci di chi sa sono ancora mute (...)”.
“È uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. Così I giudici della corte d’assise di Caltanissetta si erano espressi nelle motivazioni della sentenza del processo "Borsellino quater" depositate dopo la sentenza emessa nell'aprile 2017. In quelle motivazioni si evidenziava l'esistenza di misteri e depistaggi condotti da personalità appartenenti allo Stato. I giudici imputano il depistaggio agli investigatori dell’epoca e parlano espressamente di “disegno criminoso”, dove il movente sarebbe proprio da cercare nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera del magistrato: "un proposito criminoso degli investigatori, che esercitarono in modo distorto i loro poteri". L'ex questore La Barbera, deceduto nel dicembre 2002, è stato accusato anche della sparizione del diario di Borsellino e la procura ha chiesto il rinvio a giudizio per tre poliziotti. (leggi qui)
Le parole di Agnese Piraino Leto, moglie di Paolo Borsellino: «Paolo mi disse: “Mi ucciderà la mafia ma solo quando altri glielo consentiranno”».
Le dichiarazioni più volte rilasciate da Fiammetta Borsellino, una delle figlie del giudice Paolo: "Ci sono tante persone che devono dare spiegazioni e nessuna delle persone interessate ce ne ha date. Il depistaggio iniziò subito, dalle indagini affidate a un appartenente al Sisde a una procura impreparata".
Salvatore Borsellino, il fratello del giudice:“Potrò seppellire Paolo solo quando potrò mettergli fra le mani quell’Agenda rossa. Solo allora potremo chiudere quella bara”.
PER AMORE
Paolo Borsellino (52 anni) giudice
Agostino Catalano (43 anni) assistente-capo Polizia di Stato
Emanuela Loi ( 24 anni) agente della Polizia di Stato
Walter Eddie Cosina (31 anni) agente scelto Polizia di Stato
Claudio Traina (27 anni) agente scelto Polizia di Stato
Vincenzo Li Muli (22 anni) agente Polizia di Stato
Resta ferito l‟ultimo agente della scorta, Antonio Vullo, che si salva poiché era rimasto all'interno di una delle auto blindate, cercando di parcheggiare la vettura.
La strage di via D'Amelio.
Paolo Borsellino: "Per
battere la mafia lo Stato meriti fiducia. (...) Bisogna prendere atto
che il sottosviluppo economico non è da solo responsabile della
tracotanza mafiosa, che ha radici ben più complesse". Qui
l'articolo integrale su AGI
Fonte AGI: Un
audio inedito del giudice Paolo Borsellino è stato
ritrovato negli archivi dell'Istituto siciliano di studi politici ed
Economici (Isspe). Si tratta di un'audio-registrazione di 26
minuti il cui contenuto è stato trascritto a macchina con
le correzioni a mano fatte dallo stesso magistrato. L'AGI ne
pubblica in esclusiva un estratto insieme al testo scritto. In
questo, Paolo Borsellino affronta il tema della lotta alla mafia,
senza sconti per la politica e la borghesia.
Fabrizio Fonte,
presidente del Centro studi Dino Grammatico e vice presidente di
Isspe: "La registrazione, per la sorprendente attualità delle
riflessioni espresse dall'indimenticabile magistrato palermitano su
Cosa nostra, meritava di essere resa pubblica. Questo
ritrovamento ha un valore storico e culturale perchè ci consente di
poter ascoltare dalla viva voce del giudice Paolo Borsellino
un'analisi di ciò che era la Sicilia in quegli anni, senza alcuna
mediazione o alterazione, basta pensare che, nel corso di
questi trent'anni, caratterizzati anche da tristi e preoccupanti
depistaggi, le uniche certezze sono state radicate a interviste e
interventi dell'epoca, sia Borsellino sia dal magistrato Giovanni
Falcone, comprendendo ogni volta qualcosina in più".
Riportiamo alcuni stralci della riflessione di Paolo Borsellino:
Paolo Borsellino: "Per battere la mafia lo Stato meriti fiducia"
"Bisogna prendere atto che il sottosviluppo
economico non è, o non è da solo, responsabile della tracotanza
mafiosa, che ha radici ben più complesse, tanto da farla definire in
recenti studi non il prezzo della miseria, ma il costo della
sfiducia.(...)
La risposta statuale intesa in termini
meramente quantitativi di impiego di risorse umane e finanziarie non
risolve il problema e altri spesso lo aggrava. Tutti abbiamo recentemente appreso delle
polemiche scatenatisi in ordine alla grande profusione di risorse
finanziarie nei territori campani terremotati che hanno finito per
scatenare gli appetiti della camorra, trasformando quelle terre per
il loro accaparramento in un tragico teatro di sangue ed è noto
quale timore si nutrono a Palermo per l'attenzione immancabile di
Cosa nostra al fiume di finanziamenti che, si spera, dovrebbero
apprestarsi a riversarsi sulla nostra città. (...)
La via
obbligata per la rimozione delle cause che costituiscono la forza di
Cosa nostra passa attraverso la restituzione della fiducia nella
pubblica amministrazione. Nessun impiego anche massiccio di risorse
finanziarie produrrà benefici effetti se lo Stato e le pubbliche
istituzioni in genere, non saranno posti in grado e non agiranno in
modo da apparire imparziali detentori e distributori della fiducia
necessaria al libero e ordinato svolgimento della vita civile.
Continuerà altrimenti il ricorso, e non si spegnerà il consenso,
espresso o latente, attorno a organizzazioni alternative in
grado di assicurare egoistici vantaggi, togliendoli, evidentemente ad
altri. (...).
La fiducia che distribuisce la mafia è a somma
algebrica zero.Fiducia nello Stato significa anche fiducia in
un'efficiente amministrazione della giustizia sia penale, sia
soprattutto civile. Si tratta di impedire che, specie in
Sicilia si perpetui e consolidi il ricorso a un sistema alternativo
criminale di risoluzione delle controversie. E fiducia nelle istituzioni significa
soprattutto affidabilità delle amministrazioni locali, quelle
cioé con le quali il contatto con i cittadini è immediato e
diretto. Si tratta di gestire la cosa pubblica senza
aggrovigliarsi negli interessi particolaristici e nelle lotte di
fazioni partitiche. Il rischio, altrimenti, per le istituzioni
che sono incapaci di riformarsi e di guardare la bene comune, è
quello di diventare veicoli principali delle pressioni mafiose
e delle lobby affaristiche loro contigue. (...)
Una sfida che lo Stato deve vincere in tempi
rapidi perché è in grado di farlo, se non entro il 1992, come
ottimisticamente recita il titolo di questo convegno (organizzato
nel gennaio 1989, ndr) almeno in tempi che ci consentano di
affrontare la maggiore integrazione europea forti di una sana e
ordinata vita civile. Questo aspettano le nuove generazioni che tutte
ormai si dimostrano, anche clamorosamente, desiderose di vivere in modo diverso e migliore del nostro. Esse ci richiedono questi impegni e questi sacrifici".
"Vedendo quelle
immagini mi viene da vomitare, ma uno sciacallo come lui non può
fare altro che sciacallaggio".
Così Salvatore Borsellino ha commentato delle immagini che
ritraggono Matteo Salvini il quale, indossando una mascherina
riportante il volto di Paolo Borsellino, si è fatto fotografare in
via D'amelio. Il segretario della Lega, arrivato venerdì a Palermo
per presenziare all'udienza preliminare per il caso Open Arms e per
il quale è accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti
d'ufficio, si è prodotto in una "passerella" proprio sul
luogo della strage.
Salvatore Borsellino propone
ora di istituire una "Scorta della memoria", un presidio
simbolico e volontario che possa custodire e difendere
simbolicamente quel luogo: "almeno dal primo primo
maggio al 30 di luglio, i mesi delle stragi, quel luogo e
quell'albero dalle 8 del mattino alle 8 della sera. Un giorno della
nostra vita per chi a sacrificato la sua vita per noi.
Salvatore Borsellino: "Mia
nipote Roberta è andata in Via D'Amelio a chiedere scusa a Paolo. Se
Rita fosse stata ancora in vita sarebbe scesa giù per cacciarlo via
a calci. Purtroppo io abito lontano. Posso custodire quel posto
soltanto il 19 luglio. Il 19 luglio abbiamo impedito agli avvoltoi di
venire in Via D'Amelio a roteare sul luogo della strage ma purtroppo
ci sono anche gli sciacalli e quelli vengono quando non c'è nessuno
a fare da guardia a quell'albero.Sono felice che a nostra madre
sia stato risparmiato lo spettacolo a cui ho dovuto assistere io
ieri, quella mascherina con l'effige di Paolo ostentata da quel
politico come in altri casi ha ostentato, per opportunismo o per
raccogliere qualche misero voto, l'effige di Trump o il rosario.Via
D'Amelio è sacra: quel luogo, quell'albero non possono restare
incustoditi. Ho riflettuto a lungo: queste profanazioni non si
possono e non si devono ripetere. Quell'albero,
piantato nella buca che era stata scavata dall'esplosione che ha
fatto a pezzi Paolo, Agostino, Claudio, Emanuela e Eddie Walter è
stato voluto da nostra madre perché potesse accogliere le persone, i
giovani soprattutto, che vengono in quella via a trovare Paolo, ad
onorare la memoria di suo figlio e dei ragazzi della sua scorta
uccisi insieme a lui.Chi
si iscriverà per fare il suo turno di scorta, che durerà un giorno,
sarà ospitato per la notte presso la Casa, avrà in consegna una
pettorina rossa con la scritta Scorta per la memoria e farà
per l'intera giornata, dalle 8 del mattino alle 8 di sera, da guardia
all'albero avendo come arma una Agenda Rossa che potrà poi tenere
come ricordo di quel giorno della sua vita che ha donato per fare da
scorta a Paolo. I gruppi del Movimento delle Agende Rosse, sparsi
tutta Italia, saranno i primi, spero, a contribuire a questo servizio
di scorta, ma chiunque potrà farlo".
19 luglio 1992 - Strage di Via D'Amelio: il dovere di fare memoria sullo scandalo di una strage di Stato, sull'infamia di "pezzi" di Stato collusi con mafie e "zona grigia". Anche la Strage di Via D'amelio, come le altre che hanno insanguinato la storia del nostro Paese, attende piena Verità e piena Giustizia.
Questo il debito che abbiamo nei confronti di coloro che persero la vita per essere, sino in fondo, fedeli servitori dello Stato e della comunità. questo il debito che abbiamo con paolo Borsellino il quale, come dice oggi il Presidente Sergio Mattarella "Ha indicato la strade del coraggio"
Il coraggio di usare parole dure non è mancato ieri all'avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino (fratello minore del magistrato) che ha parlato senza mezzi termini di "(...) un attentato “con il marchio del Viminale e della Polizia di Stato” dell’epoca. (...) esistono ancora clamorosi punti oscuri, troppe lacune, tanti tasselli che le procure competenti non vogliono evidentemente ricostruire pur avendo gli elementi a disposizione. Si aspetta che qualcuno parli ma le voci di chi sa sono ancora mute (...)”.
“È uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. Così I giudici della corte d’assise di Caltanissetta si erano espressi nelle motivazioni della sentenza del processo "Borsellino quater" depositate dopo la sentenza emessa nell'aprile 2017. In quelle motivazioni si evidenziava l'esistenza di misteri e depistaggi condotti da personalità appartenenti allo Stato. I giudici imputano il depistaggio agli investigatori dell’epoca e parlano espressamente di “disegno criminoso”, dove il movente sarebbe proprio da cercare nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera del magistrato: "un proposito criminoso degli investigatori, che esercitarono in modo distorto i loro poteri". L'ex questore La Barbera, deceduto nel dicembre 2002, è stato accusato anche della sparizione del diario di Borsellino e la procura ha chiesto il rinvio a giudizio per tre poliziotti. (leggi qui)
Vengono confermate le parole di Agnese Piraino Leto, moglie di Paolo Borsellino: «Paolo mi disse: “Mi ucciderà la mafia ma solo quando altri glielo consentiranno”».
Riecheggiano ancora le dichiarazioni più volte rilasciate da Fiammetta Borsellino, una delle figlie del giudice Paolo: "Ci sono tante persone che devono dare spiegazioni e nessuna delle persone interessate ce ne ha date. Il depistaggio iniziò subito, dalle indagini affidate a un appartenente al Sisde a una procura impreparata".
Salvatore Borsellino, il fratello del giudice:“Potrò seppellire Paolo solo quando potrò mettergli fra le mani quell’Agenda rossa. Solo allora potremo chiudere quella bara”.
PER AMORE
Paolo Borsellino (52 anni) giudice
Agostino Catalano (43 anni) assistente-capo Polizia di Stato
Emanuela Loi ( 24 anni) agente della Polizia di Stato
Walter Eddie Cosina (31 anni) agente scelto Polizia di Stato
Claudio Traina (27 anni) agente scelto Polizia di Stato
Vincenzo Li Muli (22 anni) agente Polizia di Stato
Resta ferito l‟ultimo agente della scorta, Antonio Vullo, che si salva poiché era rimasto all'interno di una delle auto blindate, cercando di parcheggiare la vettura.
La strage di via D'Amelio.
L'intervista all'avv. Fabio Repici, pubblicata da ANTIMAFIADUEMILA:
F Fabio Repici: “L’attentato di via D’Amelio ha il marchio del Viminale e della Polizia di Stato”
Roma, 18 lug. – I concorrenti esterni a Cosa nostra, la vicenda dell’agenda rossa sottratta dalla borsa di Paolo Borsellino, e l’agguato al poliziotto Calogero Germanà. Sulla strage di via D’Amelio, avvenuta il 19 luglio di 28 anni fa, con l’uccisione del giudice e degli agenti della sua scorta “esistono ancora clamorosi punti oscuri, troppe lacune, tanti tasselli che le procure competenti non vogliono evidentemente ricostruire pur avendo gli elementi a disposizione. Si aspetta che qualcuno parli ma le voci di chi sa sono ancora mute”. È lo sfogo dell’avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino (fratello minore del magistrato) che parla senza mezzi termini di un attentato “con il marchio del Viminale e della Polizia di Stato” dell’epoca. “La riapertura dell’indagine a Palermo per l’omicidio del poliziotto Antonino Agostino, delitto di ben 31 anni fa, – spiega all’AGI – è la dimostrazione che se si ha la volontà di andare a fondo nell’accertamento della verità i misteri si chiariscono, anche se è trascorso tanto tempo”.
“Il pilastro della sentenza di via D’Amelio – spiega nel dettaglio Repici – è quella del processo quater della corte d’assise di Caltanissetta chiusa il 20 aprile del 2017. Dalla motivazione sono tre gli elementi portanti: a favorire le calunnie di Vincenzo Scarantino sono stati quei soggetti che lo avevano in mano e lo controllavano, e mi riferisco ai poliziotti del gruppo Falcone-Borsellino comandato da Arnaldo La Barbera; il depistaggio ha avuto il fine di sottrarre all’accertamento della verità i concorrenti esterni a Cosa Nostra; i giudici hanno affermato che quello fu un depistaggio di Stato, perché vi hanno preso parte soggetti delle istituzioni. La Barbera non ha agito certamente da solo, ha risposto agli ordini dei suoi superiori gerarchici dell’epoca”.
L’avvocato di parte civile della famiglia Borsellino, impegnato, tra l’altro, nel processo per depistaggio ai tre poliziotti (il 22 luglio riprende il dibattimento, ndr), non ha dubbi: “L’attentato di via D’Amelio ha il marchio del Viminale e della Polizia di Stato” dell’epoca. “Borsellino prima di morire aveva richiesto la collaborazione di un funzionario di Polizia, Calogero Germanà, che da funzionario della Criminalpol stava investigando su una vicenda che il giudice aveva molto a cuore e che probabilmente ci consente di individuare anche l’amico che l’aveva tradito, secondo le parole dei suoi colleghi Camassa e Russo. Si tratta del tentativo di aggiustamento del processo per l’omicidio del capitano Basile. Germanà indaga, deposita una informativa alla Procura di Marsala e viene chiamato due ore dopo dal vicecapo della Polizia e convocato subito al Viminale. Dopo alcuni giorni – afferma ancora Repici – gli arriva la comunicazione del suo trasferimento al commissariato di Mazara del Vallo. Due mesi dopo, succede una cosa che nella storia della mafia non si è mai vista: tre capi del calibro di Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro agiscono da killer e sparano. Uccidere Germanà, evidentemente, avrebbe consentito loro di prendere un titolo di merito da spendere poi in altri tavoli”.
Altro capitolo irrisolto, secondo Repici, è quello della nota agenda rossa: “Un video girato in via D’Amelio riprese l’allora capitano Arcangioli con in mano la borsa di Borsellino poco dopo l’attentato, borsa poi rimessa nell’auto esplosa ma senza il suo contenuto. Il giudice non si separava mai da quella agenda. A distanza di tre anni dalla sentenza della Corte d’assise, attendiamo ancora di conoscere le mosse della procura di Caltanissetta perché riveda l’assoluzione di Arcangioli dall’accusa di furto”.
Altra lacuna è quella sui concorrenti esterni a Cosa Nostra appartenenti alle istituzioni: “La procura di Firenze – ricorda il penalista – ha aperto un procedimento penale sulla scorta delle dichiarazioni di Giuseppe Graviano, secondo cui si spinse sull’acceleratore per la strage di via D’Amelio. Graviano ha fatto i nomi di Berlusconi e Dell’Utri. Anche qui, non abbiamo notizie di iniziative giudiziarie adottate dai pm di Caltanissetta”. E ancora, l’estromissione del pm Nino Di Matteo dal ‘pool’ di magistrati che indagavano sulle stragi del ’92: “Lo abbiamo saputo di recente dal procuratore nazionale De Raho che ha parlato in commissione antimafia dell’estromissione di Di Matteo, uomo evidentemente sganciato dai giochi delle correnti in magistratura. Un’operazione che, guarda caso, coincideva con gli sforzi fatti dal pm Luca Palamara e un altro collega”.
“La morte di Borsellino – è il ricordo di Recipi – ha rappresentato per i ragazzi della mia generazione una cesura. C’è un prima e un dopo. Borsellino era un uomo fedele alle istituzioni che consapevolmente dopo la strage di Capaci andò incontro alla morte nell’interesse dell’intera nazione. Se l’attentato che segnò la morte di Giovanni Falcone fu uno choc inedito per tutti noi, soprattutto per le modalità della strage, quasi di una scenografia superiore all’immaginario collettivo, quella di via D’Amelio, avvenuta 57 giorni dopo, ci fece precipitare in uno stato di angoscia disumana. Anche dopo le parole di Caponnetto (“è tutto finito”), noi ragazzi pensammo che la violenza mafiosa realizzata con via D’Amelio non fosse più un qualcosa di arginabile. Borsellino sapeva di essere sulla via del pericolo e le istituzioni non furono in grado di metterlo in salvo. Quella strage fu una sconfitta per il Paese e per i giovani universitari come me, iscritti a giurisprudenza, segnò per sempre la nostra vita”.
19 luglio 1992 - Strage di Via D'Amelio: il
dovere di fare memoria sullo scandalo di una strage di Stato,
sull'infamia di "pezzi" di Stato collusi con mafie e "zona
grigia". Anche la Strage di Via D'amelio, come le altre
che hanno insanguinato la storia del nostro Paese, attende piena Verità e piena Giustizia.
Questo il debito che abbiamo nei confronti di coloro che persero la vita per essere, sino in fondo, fedeli servitori dello Stato e della comunità.
“È uno dei più gravi depistaggi della
storia giudiziaria italiana”. Così I giudici della corte d’assise
di Caltanissetta si sono espressi nelle motivazioni della sentenza del processo "Borsellino quater" depositate poco più di due settimane orsono (la sentenza era stata emessa
nell'aprile 2017). In quelle motivazioni si evidenzia l'esistenza
di misteri e depistaggi condotti da personalità appartenenti
allo Stato. I giudici imputano il depistaggio agli
investigatori dell’epoca e parlano espressamente di “disegno
criminoso”, dove il movente sarebbe proprio da cercare nel quadro
di una convergenza di interessi tra Cosa nostra e
altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera del
magistrato: "un proposito criminoso degli investigatori,
che esercitarono in modo distorto i loro poteri". L'ex questore
La Barbera, deceduto nel dicembre 2002, è stato accusato anche della
sparizione del diario di Borsellino e la procura ha chiesto il rinvio
a giudizio per tre poliziotti. (leggi qui)
Vengono confermate le parole di Agnese Piraino
Leto, moglie di Paolo Borsellino: «Paolo mi disse: “Mi
ucciderà la mafia ma solo quando altri glielo
consentiranno”».
Dure le dichiarazioni rilasciate in queste ore anche da Fiammetta Borsellino, una delle figlie del giudice Paolo: "Ci
sono tante persone che devono dare spiegazioni e nessuna delle
persone interessate ce ne ha date. Il depistaggio iniziò subito,
dalle indagini affidate a un appartenente al Sisde a una procura
impreparata"
Dichiarazioni dure quelle di Fiammetta Borsellino tanto che Attilio Bolzoni, uno dei giornalisti più impegnati a comprendere le vicende delle mafie italiane, si chiede nell'articolo comparso oggi su La Repubblica: "Lo Stato cosa può restituire a uno di quegli italiani "fuori posto" in Italia come Paolo Borsellino? Cosa può dare o dire alla sua famiglia più di un quarto di secolo dopo e dopo tutti quei depistaggi, la clamorosa revisione di un processo, i "pupi" vestiti da pentiti, gli spioni travestiti da poliziotti, le indagini che rovistano nelle indagini? Lo Stato, come sempre, ha mostrato i suoi due volti anche davanti a uno dei suoi figli migliori(...)".
Paolo Borsellino (52 anni) giudice
Agostino Catalano (43 anni) assistente-capo Polizia di Stato
Emanuela Loi ( 24 anni) agente della Polizia di Stato
Walter Eddie Cosina (31 anni) agente scelto Polizia di Stato
Traina Claudio (27 anni) agente scelto Polizia di Stato
Vincenzo Li Muli (22 anni) agente Polizia di Stato
PER AMORE L'edizione straordinaria in cui si dava la notizia della strage di via D'Amelio.
Fonte: ANTIMAFIADUEMILA
di Saverio Lodato: "(...) molti mandanti carnefici di allora, restano nell’ombra, incappucciati. Sono ancora fra noi."Guarderemo con molto interesse a questo ventiseiesimo anniversario della strage di via d’Amelio. Non possiamo, infatti, ricordare Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina e Agostino Catalano, sempre allo stesso modo. Con le stesse stucchevoli parole adoperate in quest’ultimo quarto di secolo. Con la medesima alluvione di retorica alla quale in troppi hanno fatto ricorso, pur di non cercare mai la verità a un palmo del loro naso.
Diciamolo una volta per tutte: ci siamo nutriti di favolette buone per tutte le stagioni antimafia. Che spiegavano tutto e niente. Che ci aiutavano a tirare a campare. Ci siamo nutriti della favoletta che uno come Paolo Borsellino, ucciso ad appena 57 giorni dall’uccisione di uno come Falcone, avesse pagato con la vita per esclusiva decisione di un gruppo di sanguinari pecorai, guidati daTotò Riina. Questa favoletta, non si offenda nessuno, ci è servita da ninna nanna che conciliava il sonno, quando qualche soprassalto di coscienza ci faceva dire che le cose invece erano andate assai diversamente. Ora lo sappiamo ufficialmente. Ora lo dicono le carte delle corti d’assise: non per mano di soli pecorai, non per mano di solo Riina, morì il giudice Paolo Borsellino. È vero, verissimo, che tanto ancora resta da scoprire. E vero, verissimo, che pochi tasselli, per quanto dirompenti, non disegnano ancora il puzzle complessivo; che un quarto di secolo rappresenta un’eternità, e si poteva arrivare alle conclusioni di oggi molto prima. È altrettanto vero, altrettanto verissimo, che molti mandanti carnefici di allora, restano nell’ombra, incappucciati. Sono ancora fra noi. Quei pochi tasselli, ormai acquisiti, ci fanno dire che Paolo Borsellino pagò per essersi messo di traverso mentre altri, rappresentanti del Potere statuale e dei Poteri Occulti, stavano trattando alla grande, in gran segreto, predisponendosi al tradimento, con i capi di Cosa Nostra. Quei pochi tasselli oggi ci fanno dire che fu proprio questa “causale” ad imprimere l’accelerazione temporale della strage. Paolo Borsellinodoveva morire subito. Al più presto possibile. Perché troppo aveva capito. E dunque, troppo presto avrebbe tirato le fila di quell’indagine appuntata sinteticamente nella sua agenda rossa. Quell’agenda rossa che non è mai stata trovata. Che non fu fatta scomparire dai pecorai o da Totò Riina. Ma da azzimati uomini in divisa, molto probabilmente gli stessi, anche se non tutti, che si diedero da fare - per dirla con le parole dei giudici della corte d’assise di Caltanissetta, presieduta da Antonio Balsamo, giudice a latere, Janos Barlotti, - per il “più grande depistaggio giudiziario della storia d’Italia”. Ci sarà spazio, in questo anniversario, per una lettura, di quanto accadde in via d’Amelio, che metta per sempre alla porta la retorica e le favolette? Campeggerà, almeno ventisei anni dopo, quella parola “Stato”, tanto presente nella sentenza della corte d’assise di Palermo, presidente Alfredo Montalto, giudice a latere, Stefania Brambille, che si è recentemente conclusa con pesantissime condanne per gli imputati proprio del processo sulla trattativa Stato-Mafia? Ce l’auguriamo. E su tutti i familiari di Paolo Borsellino, mai come in questo anniversario, incombe il peso di dare sino in fondo il loro contributo affinché la favoletta finisca per sempre. Tutti dovremmo almeno cominciare a dire, con nettezza, in pochissime e chiare parole, perché Paolo Borsellino andò a morire.
Anche Paolo Borsellino, Catalano Agostino, Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina, Traina Claudio,Vincenzo Li Muli , sono vivi! Sono vivi nelle coscienze di coloro che accettano di assumersi la responsabilità di lottare per la Verità e la Giustizia in un paese corroso dal cancro delle mafie e del "pensiero mafioso". Sono vivi nelle coscienze di coloro che, ancora oggi, si sforzano di condurre una vita onesta e dignitosa, senza paura.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sono quelli i primi nomi che oggi vogliamo pronunciare. I loro nomi, le loro idee, a rappresentare le tante vite stroncate dalle mafie e dal potere di cui spesso la mafia è "braccio armato", le tante vittime innocenti di cui faremo Memoria il prossimo 21 marzo.
Totò Riina ancora sino a ieri, veniva considerato il capo di "cosa nostra". Maria Falcone oggi dice: "Non gioisco. Non perdono".
Ancora oggi, l'insegnamento degli uomini e delle donne che hanno sacrificato la loro vita per tanti si traduce in piccoli atti di impegno, libero e volontario, per dimostrare a se stessi e agli altri che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono vivi!
Paolo Borsellino e Giovanni Falcone sono vivi dentro coloro che, quotidianamente, con piccoli atti di "resistenza", rifiutano di trarre favori e privilegi dal sistema mafioso e dal "pensiero mafioso" ( ottenere quello che non ci meritiamo!).
Ma ancora oggi siamo a chiedere Verità e Giustizia. A venticinque anni dalla loro morte siamo ancora a celebrare processi nei quale emergono le conferme della drammatica consapevolezza che Paolo Borsellino confidò alla moglie poche ore prima di essere ucciso: "Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri."
19 luglio 1992 - Strage di Via D'amelio: il dovere di fare memoria sullo scandalo di una
strage di Stato, sull'infamia di "pezzi" di Stato collusi
con mafie e "zona grigia". Perchè anche la Strage di Via D'amelio, come
le altre, è ancora una strage senza Verità e senza Giustizia
L'articolo di
Lirio Abate, pubblicato oggi da L'Espresso, serve a riconfermare lo
scandalo dell'assassinio di Paolo Borsellino di Giovanni falcone, lo scandalo delle Strage di Capaci e della strage di Via D'amelio
“Borsellino, ecco perché ci vergogniamo”.
Questo il titolo scelto dal giornalista. E bastano poche righe per comprendere i contorni dello scandalo. Riportiamo il brano inizale dell'articolo che potete leggere integralmente qui
"Ventiquattro anni dopo la strage il processo sta
facendo emergere molti punti oscuri che riguardano investigatori e
uomini delle istituzioni che non avrebbero fatto bene il proprio
dovere e molti di loro, chiamati a testimoniare, hanno ripetuto ai
giudici di non ricordare
Sono interrogativi a cui si deve dare ancora una
risposta, ma che hanno portato nei giorni scorsi Lucia Borsellino,
figlia del magistrato ucciso, a sostenere davanti alla Commissione
antimafia presieduta da Rosi Bindi che "quello che sta emergendo
in questa fase processuale (è in corso a Caltanissetta il quarto
procedimento sulla strage, ndr) ci si deve interrogare sul fatto
se veramente ci si possa fidare in toto delle istituzioni".
Parole pesanti, che sembrano essere scivolate nel
silenzio mediatico e politico. Il processo sta facendo emergere molti
punti oscuri che riguardano investigatori e uomini delle istituzioni
che non avrebbero fatto bene il proprio dovere e molti di loro,
chiamati a testimoniare, hanno ripetuto ai giudici di non ricordare.(...)
Agnese Piraino Leto, moglie di Paolo Borsellino: «Paolo mi disse: “Mi ucciderà la mafia ma solo quando altri glielo consentiranno”».
Paolo Borsellino (52 anni) giudice
Agostino Catalano (43 anni) assistente-capo Polizia di Stato
Emanuela Loi ( 24 anni) agente della Polizia di Stato
Walter Eddie Cosina (31 anni) agente scelto Polizia di Stato
Traina Claudio (27 anni) agente scelto Polizia di Stato
Vincenzo Li Muli (22 anni) agente Polizia di Stato
PER AMORE
Se ci chiediamo perchè hanno accetto di morire, la risposta la troviamo nelle parole che lo stesso Paolo Borsellino pronunciò la sera del 23 giugno 1992, a un mese dalla Strage di Capaci, durante la commemorazione dell'eccidio fatta nel cortile di Casa Professa, a Palermo.
Quella sera Paolo Borsellino ricorda Giovanni Falcone, l'amico fraterno, il compagno di giochi nei cortili della Khalsa di Palermo, l'amico dinanzi al cui feretro aveva rinnovato il patto di amicizia "per sempre". Paolo Borsellino parla di Giovanni Falcone ma, lo sappiamo, parla anche di se stesso e di coloro che hanno scelto di rimanere accanto a lui per proteggerlo.
Le parole di Paolo Borsellino:
"(...) Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte. Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte. Non poteva ignorare, e non ignorava, Giovanni Falcone, l’estremo pericolo che egli correva perché troppe vite di suoi compagni di lavoro e di suoi amici sono state stroncate sullo stesso percorso che egli si imponeva. Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui?
Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato, che tanto non gli piaceva.
Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli siamo stati accanto in questa meravigliosa avventura, amore verso Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria a cui essa appartiene.(...) Sono morti per noi e abbiamo un grosso debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera; facendo il nostro dovere, rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici, rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che potremmo trarre (anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro); collaborando con la giustizia, testimoniando i valori in cui crediamo, anche nelle aule di giustizia: accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità. Dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo." Anche Paolo Borsellino, Catalano Agostino, Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina, Traina Claudio,Vincenzo Li Muli , sono vivi! Sono vivi nelle coscienze di coloro che accettano di assumersi responsabilità: di lottare per la Giustizia, di condurre una vita onesta e dignitosa.